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Autore: Lady Stormborn    21/01/2014    1 recensioni
"Lane non poteva più sopportare tutto questo.
C'erano giorni in cui la voglia di chiudere con tutto e di sparire era così forte che si trovava con le chiavi di casa in mano, non sapendo nemmeno come, pronta a fuggire."
Terza classificata per il contest "Ritorno all'infanzia" indetto da Frantasy94 sul forum di EFP
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 3 parte seconda
Lo spartito dona speranza a chi vuole riceverla


 

Appena arrivati all'auditorium Lane si era chiusa in una sala che era rimasta inutilizzata da tempo. Di fronte ai suoi occhi, messi a dura prova dalla quasi totale mancanza di luce, si stagliavano oggetti di ogni tipo, nuovi e vecchi.

C'era una cassa di legno abbastanza grande dalla quale spuntava un usurato straccio, probabilmente quello che rimaneva di un vestito di scena; alla sua destra vi era quello che rimaneva di una vecchia chitarra classica, completamente senza corde. Doveva essere il vecchio deposito della scuola d’arte e spettacolo che una volta aveva la sua sede lì. Ricorda come in molti si fossero lamentati perché, oltre al teatro, la scuola si occupava anche di insegnare musica e così facendo produceva rumori considerati, da molti degli abitanti della zona, molesti.

Gli oggetti intorno a lei dovevano per forza essere della scuola perché non c'era altra spiegazione a quell'abbandono totale.

Tra quegli oggetti che perse tempo ad osservare quelli che più la colpirono, però, furono alcuni spartiti che non sembravano essere vecchi come il resto dei cimeli in quella stanza, ma sicuramente erano abbastanza usurati da farle credere che avessero almeno una ventina d'anni.

Dopo qualche minuto passato ad osservarli da una certa distanza, quasi spaventata all'idea di toccare qualcosa lì dentro, si avvicinò con passo incerto agli spartiti appoggiati sopra ad un leggio leggermente arrugginito.

“Ecco.” sussurrò tra sé e sé afferrandolo con delicatezza.

Sopra vi erano scritte alcune note introduttive che si aprivano in una lunga sinfonia che occupava tutta la pagina e, come poté notare buttando ancora un occhio verso il leggio, alcune altre che sembravano ben ordinate come se fossero lì pronte per essere suonate, ma chi doveva farlo non fosse mai arrivato.

Ciò che la colpì più di tutto fu che, sull'angolo destro più alto del primo foglio di pentagramma, vi era segnato un nome, non chiaramente leggibile, che confuse Lane. Quello era il nome di suo padre.

Non era effettivamente possibile perché quell'uomo non aveva mai coltivato le proprie passioni per quanto ricordasse molto bene quanto sorrideva ogni volta che la vedeva muovere i primi passi con il piano e le tastiere.

Non poteva credere che quello spartito fosse suo, che fosse stato lui a scrivere quella musica perché, se cominciava a suonarsela mentalmente ciò che ne scaturiva era un suono dolce, delicato, una ballata lenta e piena di sentimento, una cosa sicuramente non da suo padre.

Eppure, per quanto quel nome fosse usurato dal tempo, non poteva dire che fosse così illeggibile da non comprendere che era effettivamente il suo e che, nella scuola che una volta aveva la sua sede al vecchio auditorium, vi aveva studiato anche lui.

Era così strano pensare il suo severo, arcigno, padre seduto al piano oppure con una chitarra tra le braccia suonare quella musica così ispirata; poteva averla scritta per sua madre, era un'idea, in fondo quel foglio sembrava avere gli anni giusti per essere un dolce regalo di fidanzamento. In ogni caso se era ancora lì voleva dire solamente che era successo qualcosa per cui non era mai stato regalato o suonato per qualcuno che non fosse se stesso.

Per un secondo gli dispiacque che nessuno avesse mai suonato in pubblico quella dolce melodia, che nessuno avesse avuto modo di ascoltarla e goderne perché, che fosse di suo padre o meno, era davvero meravigliosa. Oltretutto, si accorse solo dopo una nuova veloce lettura, lo spartito era corredato di un testo che, ancora una volta, le fece sospettare che non fosse di suo padre.

Il testo parlava di sogni, sogni da realizzare, ambizioni da seguire e di come la vita non avesse senso se non finalizzata alla realizzazione dei desideri.

Suo padre non aveva creduto i suoi sogni abbastanza importanti da permetterle di realizzarli, ma perché?

In quel momento avrebbe avuto voglia di averlo lì, davanti a lui, e chiedergli perché l'aveva fatta rinunciare se ciò che era scritto in quella canzone era ciò in cui credeva.

Un colpo secco alla porta la fece ritornare alla realtà e al fatto che, a breve, avrebbe rivisto Simon comunque sarebbe andata.

“Hey, Miss, vieni con me, ti porto dagli altri.” Spiegò Billy facendole cenno con una mano di seguirlo; sorrideva quindi la sua opera di convinzione, pensò Lane, non doveva essere andata così male. “Cosa sono?” Aggiunse però prima che Lane potesse rimettere a posto gli spartiti.

“Sono partiture musicali, sono una canzone in realtà”.

Billy si avvicinò svelto chiudendosi la porta alle spalle. Senza che Lane potesse impedirglielo le prese dalle mani gli spartiti; probabilmente il tono di voce con cui gli aveva risposto gli aveva fatto pensare che non fossero propriamente solo degli spartiti.

Li lesse per qualche secondo mentre sembrava riflettere su qualcosa che Lane non poteva conoscere.

“È una bella canzone …” Giudicò. Il tono era fermo e un po' perso allo stesso tempo, come se qualcosa lo turbasse anche se era certa della validità di quella produzione. Lane poteva leggere tutto questo nello sguardo di Billy e la portò a confessargli ciò che aveva scoperto.

Così, senza pensarci troppo, gli raccontò di suo padre, gli disse che era il musicista che aveva composto quella canzone e di quello che le aveva fatto passare anche se, in parte, lei e Simon avevano raccontato delle loro vite prima di incontrarli, di come i loro genitori non volessero lasciargli vivere la loro vita. Solo dopo qualche minuto, quando la spiegazione divenne uno sfogo a cuore aperto, Billy decise di interrompere l'amica.

“Ma perché? Se anche lui amava la musica. Fattelo dire: questa,” disse sventolando lo spartito, “non è una cosa scritta da un dilettante. Deve averci passato molti anni nella scuola di musica tuo padre”.

“Lo so Billy, nemmeno io me lo spiego.” Anche Lane condivideva il suo stesso dubbio, ma era convinta che non avrebbe mai scoperto il perché; i suoi genitori ormai sarebbero stati adirati con lei per sempre, tanto valeva rinunciare da subito a una confessione di quel tipo da parte di suo padre.

“Okay, vieni con me.” Billy, senza chiedere nessun permesso, afferrò tutti i fogli della partitura e corse verso la porta uscendoci. Lane rimase per un attimo stordita, ma poi lo seguì.

Fuori dalla stanza era tutto come lo ricordava l'ultima volta che era venuta all'auditorium da piccola con suo padre a vedere uno spettacolo teatrale di cui non ricordava il nome.

I muri erano arredati con i quadri dei ragazzi che seguivano i corsi d'arte al loro liceo – ne riconosceva anche qualcuno – e dai ritratti dei grandi maestri che avevano insegnato lì prima che la scuola chiudesse.

Non sapeva dove stavano andando, ma era quasi certa che Billy la stesse portando dagli altri e la certezza gli arrivò quando si bloccarono di fronte ad una porta sulla quale era attaccato con del nastro adesivo un biglietto con la dicitura “camerini”. Il cuore cominciò a battere, ma si costrinse a rimanere calma.

Billy dovette averlo notato perché le sorrise rassicurante prima di aprire la porta. Di fronte a lei tutti i suoi amici si voltarono.

Ognuno di quei visi si distorse in smorfie diverse a seconda delle reazioni alla sua presenza. C'era chi era stupito, chi felice, chi quasi sereno e poi c'era lui, Simon, con un’espressione indecifrabile in volto che era strana a dire poco e che sicuramente non avrebbe mai capito con semplicità. Sicuramente non sembrava arrabbiato e questo era un dato di fatto.

“Piccola Miss!” Scoppiò Scat alzandosi in piedi e correndo ad abbracciarla felice di averla ritrovata. La mossa di Scat venne seguita da quella di tutti gli altri che si buttarono su di lei, tutti tranne Simon, ovviamente, anche se si era appena alzato in piedi e poteva vederlo indugiare anche dietro la spalla di Shun che le copriva in parte la visuale.

I ragazzi dovettero capire che i due si stavano guardando perché, in un secondo, si allontanarono tutti da Lane.

Con un veloce colpo della mano Scat richiamò i ragazzi all'ordine e, con lo stesso fare rigido, li invitò tutti ad uscire dalla stanza per lasciare soli Lane e Simon. Entrambi sembrano terrorizzati all'idea di rimanere soli l'uno con l'altro, ma alla fine, prima o poi, si sarebbero dovuti parlare e Simon si era ripromesso, come Lane, che non avrebbe perso altre occasioni.

“Ciao.” La salutò dopo qualche minuto di un silenzio imbarazzato che uno dei due doveva rompere in qualche modo.

“Ciao,” rispose Lane sorridendo imbarazzata, gli occhi ancora puntati a terra, “come stai?”.

“Io bene, tu?”.

“Ora bene,” confessò, “credo di non essere mai stata meglio”.

Quella piccola confessione di Lane sbloccò Simon che, velocemente, si buttò su di lei stringendola forte come forse non aveva mai fatto.

Lane per qualche secondo rimase stupita, ma subito dopo il profumo di Simon, quello rassicurante che tanto amava, sembrò tornare prepotente nelle sue narici e nella sua anima riempiendola di quell'amore dolce che aveva avuto paura di dimenticare e, soprattutto, di non poter più avere.

“Mi dispiace.” Sussurrò Simon contro il suo orecchio; il fiato caldo si schiantò contro la pelle del collo creando una frizione incandescente che la fece tremare.

“Lo so,” ricambiò lasciandogli un bacio contro la maglietta all'altezza del cuore, “ma sta di fatto che sei uno stronzo.” Ridacchiò.

Simon l'allontanò per guardarla negli occhi, fingendosi serio, “Oh, ma davvero? E così sarei uno stronzo”.

“Solo un po'.” Lo ammonì Lane e vide gli occhi del ragazzo perdere la fasulla durezza e addolcirsi come una carezza leggera, come il bacio delicato che gli sfiorò il collo con dolcezza.

“Mi sei mancata ragazzina e mi dispiace molto che sia finita così”.

“Simon,” lo riprese, “abbiamo sbagliato entrambi: io a tenere nascosto quello che sentivo e tu … perché sei tu.” Rise e, questa volta, senza rimettere di nuovo il broncio anche Simon rise.

Era tutto come prima e anzi, forse era molto meglio; questa volta entrambi sapevano quello che provavano davvero perché, in un modo non del tutto convenzionale, se lo erano confessati.

C'erano ancora le risate, il prendersi in giro e i piccoli gesti d'affetto che li facevano sentire amati come non mai. C'era tutto e c'era di più, contro ogni aspettativa.

Lane aveva immaginato una discussione, altre urla, altra rabbia e lacrime versate fino a quando gli occhi si fossero svuotati totalmente.

Eppure non c'era stato nulla del genere, niente che potesse testimoniare quelli che erano stati i loro trascorsi.

Sentiva solamente le sue mani correrle schiena dolci, accarezzarla come se fosse la cosa migliore del mondo e, alla fine, si trovò a riscoprire quelle sensazioni più che fraterne che ogni volta Simon le dimostrava con dedizione.

Non sentiva nemmeno di meritarselo, ma in quel momento non c’era spazio per il rancore, per la paura di quello che era accaduto e che ora sembrava esploso e sparito come una bolla di sapone.

“Sai che ci stanno spiando vero?” Sussurrò dolce all’orecchio di Simon.

“Pensi davvero che abbia creduto nelle loro buone intenzioni di lasciarci soli?” Chiede di rimando lasciandole un ultimo, veloce, bacio sulla spalla coperta dal maglione grigio, prima di voltarsi verso la porta e urlare: “Potete anche entrare portinaie”.

Uno ad uno i ragazzi rientrarono in stanza; nei loro occhi e nei loro sorrisi c’era del vero e proprio giubilo. Erano contenti, ovviamente, ma sembrava che anche il clima tra di loro si fosse rasserenato come se quel chiarimento avesse avuto poteri benefici non solo su Lane e Simon, ma anche su di loro. 

“Eh,” sospirò Scat estasiato, “che bella cosa l’amore.” Guardò solo di sbieco i due ragazzi prima di mettersi a ridacchiare con gli altri ragazzi che avevano capito la battuta secca. Hit nascose il volto nella spalla di Peppo che cercava di trattenersi, con scarsi risultati.

“Hey, ragazzi, a quando il matrimonio. Vorrei proprio vedere Lanne con il vestito rosa.” Annunciò Peppo nel suo consueto accento italiano.

“È bianco il vestito, zoticone!” Hit gli urlò contro per riprenderlo, ma Lane non sembrava nemmeno averci fatto caso rossa com’era sul volto. L’unica consolazione fu che, voltandosi, vide Simon imbarazzato almeno quanto lei. Si sfregava le mani l’una contro l’altra e teneva gli occhi bassi; era strano vedere Simon così imbarazzato, ma era in qualche modo molto divertente.

Lane vide Peppo alzare le mani in segno di resa a Hit che stava per colpirlo con una collana usandola come una frusta; gli altri ridevano allegri. L’atmosfera si era subito stemperata, ogni paura era stata schiacciata anche se, Lane lo sapeva, prima o poi avrebbero dovuto parlare di quello che era successo, non in quel momento, ovvio, ma poi.

“Bene gente, ora tacete,” li ammonì Billy portandosi in mezzo alla stanza con il fare del re della montagna, “visto che Lane suonerà ancora con noi,” un breve applauso interruppe il suo discorso facendo sorridere Lane, “abbiamo trovato questi spartiti”.

Lane gli si lanciò addosso cercando di afferrare i fogli che Billy stava impunemente mostrando agli altri sventolandoli con forza. “Smettila Bill”.

“Hey, placati Miss, non c’è nulla di cui preoccuparsi.” Soffio tra i denti allontanando verso l’alto i fogli dove Lane non sarebbe arrivata e ritornando a parlare con gli altri. “Credo che potremo suonarla perché è davvero bellissima”.

Tutti si avvicinarono interessati e quindi, controvoglia, Lane si dovette allontanare lasciandoli fare.

Il primo a leggere lo spartito fu Simon. “Bella,” il compiacimento per la bellezza della canzone però durò poco, il tempo di leggere quel nome, ipotizzò Lane quando vide gli occhi di Simon farsi della dimensione della luna piena, “ma … questo è …”.

“Mio padre, sì.” Un generale trattenere del fiato riempì la stanza, l’unico non sconvolto, e con ragione, era Billy che ovviamente sapeva tutta la storia. Ad uno ad uno si passarono lo spartito con il testo lasciando che lo stupore viaggiasse sui loro volti. Nessuno però sembrava sorpreso, ma più che altro stupito per la bellezza del pezzo di fronte a loro.

“È davvero interessante … potremmo suonarla.” Propose Scat. Quando Lane vide tutti esultare, per quanto non volesse sentire quel pezzo suonato, dovette rinunciare subito ad intromettersi: era appena tornata dopo una sconvolgete e improvvisa fuga che aveva colpito tutti, non poteva permettersi di interferire ancora con ciò che il gruppo voleva, doveva assecondarli per rispetto a loro che l’avevano accolta di nuovo senza nessun segno di malevolenza.

Improvvisamente sentì una mano, che riconobbe come quella di Simon, stringere la sua, quasi come se avesse capito quello che stava avvenendo dentro di lei.

La sentiva appena ruvida nella sua e così calda che la propria avrebbe potuto sciogliersi. Era la prima volta che Simon la prendeva davvero per mano, in un modo dolce che non c’entrava con il trascinarla da qualche parte per la troppa fretta. Era perfetto, era tutto perfetto.

“Okay, allora è deciso.” Annunciò Scat compiaciuto. “Lane ti va di cantarla?”.

La sua prima risposta sarebbe stata un no deciso; Scat però sapeva essere molto convincente e un singolo sguardo triste sarebbe stato un buon deterrente ad ogni propria negazione.

Non riuscì a dire esplicitamente sì, ma il suo silenzio fu abbastanza eloquente per tutti: avrebbe cantato la canzone scritta da suo padre.

 

***

 

“E ora,” Scat si mosse sul palco con tanto di passo appena molleggiato sull’anca, “vorremmo suonarvi una canzone che non è nel nostro repertorio, ma che siamo certi apprezzerete”.

Il pubblico applaudì sinceramente interessato e attese il via.

Era venuta molta gente quella sera. Come avevano previsto non erano abbastanza da riempire il grande auditorium, ma erano tanti per potersi sentire soddisfatti del pubblico che avevano richiamato dopo la loro prima esibizione in città.

Tra il pubblico, con grosso stupore di tutti, vi erano i genitori di Simon, con lo sguardo incerto, ma presenti, attenti ad ascoltare il figlio suonare insieme ai suoi compagni.

Simon poteva giurare di aver visto sua madre sorridere di fronte a un suo virtuosismo e il cuore gli si era aperto in una sorta di stato d’estasi che per poco non lo portò a sbagliare.

Dei genitori di Lane non vi era traccia e, in tutta onestà, non poteva dire di non esserne dispiaciuta. L’incontro e il chiarimento con i propri genitori, dopo la riappacificazione con Simon, poteva essere la degna conclusione di quella giornata gloriosa e, invece, non ci sarebbe stata. In ogni caso aveva già avuto molto e non poteva chiedere di più al destino di quello che stava avendo nel momento in cui le sue dita si muovevano virtuose e folli sulla tastiera e il pubblico applaudiva in estati.

Era comunque arrivato il momento di affrontare la realtà: cantare quella canzone non avrebbe sortito l’effetto sperato perché, se per un secondo aveva pensato che potesse servire a convincere suo padre che ciò che amava non era così distante da ciò che aveva amato lui, i suoi genitori non erano presenti e, probabilmente, non lo sarebbero mai più stati nella sua vita. Se all’inizio aveva sperato di non vederli in quel momento il suo sentire era completamente cambiato, ma non poteva fare altro che ascoltare in silenzio l’attacco della canzone e prendere le prime note con un vocalizzo dolce e rude allo stesso tempo, accompagnato dai ragazzi e dal suono dei tasti del suo amato piano.

Le parole corsero veloci, si susseguirono in un gioco di alti e bassi, di note e accordi che si armonizzavano alla perfezione. Pianse, se ne accorse solo quando una piccola lacrima le solcò il viso e poté sentire il leggero prurito dato da quel passaggio lieve ma incisivo.

C’erano le volte in cui si sarebbe trattenuta, ma non era questa; era sul palco e poteva dare libero sfogo a se stessa.

Si sentiva osservata dagli altri mentre quelle parole piene di speranza proseguivano alternandosi alle parti di assolo musicale. I ragazzi, oltre a svolgere il proprio compito, si stavano anche preoccupando che non crollasse. In qualche modo era convinta l’avrebbero fatto, era convinta che avrebbero cercato di starle vicini a quel modo un po’ fraterno, un po’ paterno e, a dirla tutta, anche un po’ maniacale. Eppure li amava per questo, perché ogni giorno le avevano dimostrato di amarla senza chiedere niente e senza compromessi.

Erano lì, pronti a difenderla, a sorreggerla se mai fosse crollata, a vincere la sua battaglia anche per lei se non ce l’avesse fatta da sola. Si sentiva in debito con ognuno di loro, ma, soprattutto, si sentiva legata a loro tanto da potersi obbligare a farcela, a finire quella canzone per loro, per dare una degna chiusura a quell’evento in cui l’avevano inserita nonostante avrebbero potuto essere risentiti con lei e cacciarla.

Di fronte a lei la gente ascoltava in uno stato di apparente trance; madri, padri, figli, sorelle, fratelli e amici, ogni tipo di relazione era ricostruibile attraverso gli atteggiamenti più disparati del pubblico a quella melodia: i genitori abbracciavano i figli con slancio; gli amici si sorridevano complici; i fidanzati si scambiavano teneri baci nascosti mentre le parole della canzone scivolavano via di nuovo lasciando spazio alla musica.

L’ultima nota fu seguita da un immediato sospiro di sollievo da parte di Lane che, immediatamente, corse ad abbracciare Simon che l’accolse tra le braccia cullandola. Il pubblico applaudì forte dopo qualche secondo di sbigottimento lasciato dall’ultima canzone; molti di loro, probabilmente, avrebbero voluto che la canzone continuasse per sempre.

“Sei stata grande.” Sussurrò Simon contro l’orecchio di Lane cercando di sovrastare il fragore degli applausi.

“Anche tu.” Il viso schiacciato contro la spalla di Simon che le lasciò un leggero bacio tra i capelli prima di allentare leggermente la presa. Si sentiva bene, vittoriosa per la prima volta nella sua vita, e, in quel momento, non credeva che sarebbe stato possibile nulla meglio di questo e, allo stesso tempo, era convinta che nulla avrebbe potuto distoglierla da tutto quel sano ottimismo.

 

***

 

Il calore degli applausi era da poco finito e si era trasferito, sotto forma del calore umano dei commensali, alla tavolata voluta da Scat per festeggiare la buona riuscita del concerto. Avevano praticamente occupato temporaneamente una sala dietro all’auditorium dove era sistemato un grande tavolo di legno che fungeva d’appoggio per le riunioni che spesso si tenevano lì; Lane aveva proposto la sala riunioni visto che spesso ci aveva avuto a che fare vista la posizione di suo padre in città.

Al momento quindi stavano cenando allegramente, il vino scorreva a fiumi e le chiacchiere non facevano in tempo a finire che riprendevano più vive di prima. Non ci volle molto a far passare un’ora dalla fine del concerto tra le crisi isteriche di Hit e la gioia contagiosa di Peppo che per altro non era nemmeno stato rimproverato da Simon per il suo continuo chiamarla Lanne.

Scat, di tanto in tanto, si alzava cercando di proporre un brindisi o un tema di discussione che evitasse di far aumentare il caos in quella stanza, ma dopo il terzo tentativo andato a vuoto ci aveva rinunciato rimettendosi seduto e prendendo a parlare di nessuno sapeva bene cosa con Billy.

Non vi era un angolo di quella sala dove l’allegria non la facesse da padrone; tutto era frutto della gioia dei ragazzi per la buona riuscita del concerto e per il successo che aveva riscosso la canzone del padre di Lane.

Anche quella volta Lane si convinse che nulla sarebbe potuto arrivare a distruggere quell’equilibrio. Eppure, anche quella volta, si sbagliava di grosso, ma lo capì appieno solo quando la porta della sala si aprì di scatto interrompendo le conversazioni già avviate e quelle a venire.

“Lane …” Una voce piccola e se possibile estremamente sconvolta chiamò il nome della ragazza lasciando tutti di stucco. Per un secondo, probabilmente avevano pensato che fosse qualcuno del pubblico venuto a complimentarsi con loro, ma quando videro il volto di Lane e Simon scattare sul posto per correre da lei pronto a difenderla capirono che ci doveva essere molto di più.

“Salve,” pronunciò Scat interrompendo il silenzio che si era venuto a creare, “io sono Scat e qui tengo in piedi la baracca.” Il monologo che stava per prendere inizio sfumò nell’indifferenza delle persone che le stavano di fronte, per nulla intenzionate ad ascoltare il suo ego prendere il sopravvento. 

Nessuno in quella sala lo stava ascoltando, in effetti, e Billy, un po’ imbarazzato, lo trascinò addirittura per un braccio per farlo tornare a sedere alla sedia di legno su cui stava fino a pochi secondi prima. Come riscontro si beccò un’occhiataccia non male da Scat, ma lasciò correre. Tutti loro avevano capito chi erano quelle persone e, a loro modo, stavano cercando di fare del loro meglio per far sentire a Lane che erano con lei. Solamente il fatto che fossero lì, in effetti, per lei era già molto, o quasi tutto, perché sapeva di non essere sola, di non dover combattere come un cavaliere solitario quella battaglia.

“Bambina …” La donna – poteva avere una quarantina d’anni ben portati – si avvicinò appena a Lane lasciando cadere le braccia lungo il busto coperto di un candito vestito rosa e da una giacca scura che sembrava non potesse scaldarla molto contro il freddo pungente all’esterno.

Lane fece quasi in automatico un passo indietro, ma trovò il petto di Simon a bloccarla; le si era messo al fianco, tenendosi sempre un passo dietro di lei per non disturbare la situazione, ma allo stesso tempo per poterle dimostrare anche la propria vicinanza fisica. In realtà solamente quando intrecciò la mano con quella della sua ragazza – era la sua ragazza? Si chiese – questa finalmente si rese conto che sarebbe rimasto lì tutto il tempo.

A quell’idea Lane sorrise portandosi un po’ più contro di lui che non si spostò, ma anzi sembrò cercare il modo più comodo possibile per sostenerla contro il suo petto per quei secondi che ci vollero prima che la donna riprendesse a parlare e Lane si irrigidisse nuovamente.

“Io credo che tu ci debba delle spiegazioni.” Sussurrò, ma non aveva il viso di una che sembrasse volerne: era imbarazzata, rigida nei suoi occhi bassi puntati verso il pavimento. Della donna rigida e altera che Lane ricordava era rimasto ben poco; che la sua fuga avesse aiutato sua madre a capire?

Nonostante quest’idea le balzò per la testa in realtà decise di non trattenersi dall’esternare i suoi pensieri. “Io non vi devo nulla mamma. Sono dovuta scappare per farti avere un po’ di pena e comprensione per me?”.

“Perché avrei dovuto avere pena di te, Lane? Non sei un reduce della guerra e nemmeno una bambina abbandonata. Ti abbiamo sempre dato tutto e sei cresciuta bella e forte, non meritiamo di essere trattati così, non abbiamo meritato la pena in cui ci hai fatto vivere con questo tuo colpo di testa”.

Gli occhi di Lane, così simili a quelli di sua madre, cedettero un po’. “Vi ho lasciato un biglietto.” Rispose come se fosse una giustificazione. Ovviamente il biglietto non avrebbe potuto togliere a un genitore ogni preoccupazione, ma quello che lei credeva era che i suoi genitori non avrebbero nemmeno provato quell’angoscia per lei, anzi, si era convinta, in errore, che per loro sarebbe stata una liberazione l’allontanamento di quella figlia troppo ribelle da controllare.

Invece gli occhi lucidi di sua madre mentre le diceva che aveva avuto paura per lei le stavano facendo pensare che forse, nel profondo, aveva creduto in un falso dio, in una convinzione sulla condotta morale dei propri genitori che non esisteva, ma sulla quale si era fondato il suo interno castello di carte.

“Pensi che a una madre basti un biglietto per non darsi pena per una figlia scappata chissà dove?”.

La donna sembrava quasi frustrata, accusata di essere una così pessima madre dalla propria figlia. Sembrò troppo a tutti, anche a Simon che, allungando una mano, la posò sul braccio di Lane facendola voltare.

“Lane, tua madre è stata davvero male e il fatto che tuo padre non abbia voluto ancora dire la sua mi assicura che anche lui è stato molto colpito. Credo che potresti non infierire.” Cercò di convincerla perché, in quella donna, stava rivedendo lo sguardo affranto di sua madre quel pomeriggio. L’aveva trattata male, ma alla fine sia lei sia suo padre erano venuti a vederlo lasciando da parte i rancori tra di loro.

Si era pentito durante il corso del concerto di averla trattata così e non voleva che accadesse lo stesso.

Lane sembrò pensarci. Sbatté le palpebre un paio di volte come se volesse fisicamente mettere meglio a fuoco la situazione. Tutto quello che però risultò nel suo cervello fu solo una maggiore confusione che non la fece parlare per lunghi secondi.

“Perché hai suonato quella canzone?”.

La voce del padre di Lane si alzò nella stanza attirando l’attenzione di tutti. Era calda, profonda, ma aveva qualcosa di rassicurante proprio in quel suo essere avvolgente.

Lane fu quasi terrorizzata da quella domanda. Non poteva rispondere, ma soprattutto non si era preparata una risposta visto che era convinta che i suoi genitori non lo avrebbero mai saputo non essendo presenti alla serata. Questo però voleva dire che c’erano e che l’avevano sentita.

“Voi …” Bofonchiò.

“Sì, eravamo lì, ti abbiamo sentita Lane.” Confermò l’uomo. “Sei stata molto brava”.

La giovane rimase interdetta da quella confessione; puntò lo sguardo su sua madre, ma visto il suo silenzio si convinse che anche lei la pensava allo stesso modo.

“Grazie.” Mormorò solamente senza sapere che altro dire.

“Penso che dovresti farlo …” Sussurrò l’uomo quasi spaventato nel dire quelle parole. C’era qualcosa che a Lane sfuggiva, ma non sapeva di cosa si trattasse. Si voltò verso Simon, alla ricerca di una risposta, ma lui sorrideva e basta e anche gli altri lo stavano facendo. Insomma, non riusciva a capire cosa intendesse suo padre, ma tutti gli altri sembravano avere compreso.

“Cosa?” chiese allora sperando di capire.

“Credo che tu dovresti fare musica.” Spiegò e la donna un passo avanti a lui annuì guardando la figlia ingigantire gli occhi per lo stupore. “Ti abbiamo sentita e sei molto brava. Come penso tu abbia immaginato anch’io ero un musicista, ma ho lasciato perdere i miei sogni. Risentire quella canzone stasera, vedere quelle persone entusiaste, ha riaperto in me una ferita che pensavo fosse guarita: quella di non aver seguito il mio sogno”.

“La canzone che hai scritto l’abbiamo amata dal primo momento papà.” Spiegò Lane seriamente entusiasta, “Quando ho letto il nome su quello spartito non ci volevo credere”.

“Lo so, immagino. Io pensavo fosse sparita. Immagina il mio stupore quando Simon ha intonato le prime note”.

Simon ridacchiò al fianco di Lane lasciando un po’ andare la sua mano ora che la situazione sembrava essersi appianata.

“Siamo orgogliosi di te Lane”.

Per la prima volta Lane sentì pronunciare da sua madre quelle parole che per lungo tempo aveva sperato di sentire e non poté fare altro che sorriderle.

Non sarebbe stato facile, non era certa che tutto sarebbe andato per il meglio, ma ora aveva Simon, aveva i suoi genitori e aveva Lei, la sua musica.

Ogni volta che sarebbe stata difficile avrebbe saputo che tutto era risolvibile, che anche quando tutto sembrava il peggio possibile alla fine si poteva risolvere.

Ogni azione comporta una reazione uguale o contraria, questa è la natura, ma a volte non è tutto così banalmente semplice. Questo lo poteva sentire nella mano di Simon, nel suo sorriso e nella presenza dei suoi genitori, negli occhi per una volta sereni di suo padre che la osservava con orgoglio.

Essere genitori è il lavoro più difficile perché nessuno te lo insegna e a volte è così vero che sembra di viaggiare in un tunnel senza uscita, pensando di fare il meglio e invece trovandosi a fare il peggio.

Ci sarebbero state altre discussioni, ma ora Lane sapeva che i suoi genitori l’amavano e che qualunque cosa fosse successa, da quel momento in poi, tutto si sarebbe risolto. 


 

Nda.

Come annunciato, e come avrete sicuramente notato, questo è l'ultimissimo capitolo di questa mini long. Ho voluto concludere con quello che era stato il finale di Mulan, ossia la pace fatta con il suo Shun e la comprensione da parte dei genitori di quanto la loro figlia fosse perfetta nonostante non sarebbe stata una brava moglie. Come in Mulan anche in questo caso ho voluto che fosse uno degli amici a portarla sulla strada per ritornare, in questo caso da Simon. Anche nel caso di Mulan, infatti, erano stati i suoi amici commilitoni la sua guida una volta che era stata cacciata dal campo. 
Per concludere ringrazio immensamente 
Frantasy1994 per aver indetto questo meraviglioso contest e tutti voi che avete letto questa piccola cosa che ho amato molto scrivere (anche se il lavoro e lo studio non mi hanno dato il tempo di lavorarci come avrei dovuto).
A presto!

   
 
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