Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: SunriseNina    21/01/2014    1 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




«Il modus operandi corrisponde?»
Erano seduti in terra, osservando il curato e pittoresco chiostro del piccolo monastero.
Eler rifletteva osservando le nuvole sfilacciarsi in cielo: il clima andava mitigandosi velocemente.
«Direi di sì, Light.»
Madre Agnés, quarant’anni, morta improvvisamente d’infarto, in perfetta salute secondo il medico che una settimana prima l’aveva visitata: le aveva prescritto alcune erbe per l’insonnia, causata dallo stress in cui la donna era immersa ultimamente. Il monastero riceveva immense donazioni, ma l’aiuto alla popolazione in miseria dei quartieri limitrofi era stentato: avevano subito attacchi da parte di parecchi gruppetti di rivoltosi, che erano però sempre stati sedati dalla polizia. In quanto fedele amica dei più alti membri della Corte dei Conti la donna si era procurata parecchi –e non del tutto ingiustificati- nemici.
Personaggio in vista, vicino al potere del Re, malvisto della popolazione e il crepacuore improvviso e insensato: dalla fine di marzo a quelle prime giornate di maggio se ne erano verificati a decine, ancor più frequentemente del solito ma con lo stesso metodo serrato e logico.
Light, intenzionato a far cadere le false accuse su di sé, aveva zelantemente aiutato il compagno d’avventure ad andare a trovare tutti gli omicidi che potevano risalire al loro misterioso assassino. Il compito era sempre più complicato e ostacolato per vari motivi: la polizia stava accantonando la loro missione, considerando irrilevante che un duca morisse d’infarto o perché la sua carrozza veniva assaltata brutalmente da dei folli ribelli del contado; il mistero non si infittiva né si risolveva, ma procedeva, instancabile e irrisolvibile, mescolandosi alle ondate di violenza e paura che sconvolgevano il paese.
In tutto questo, il principale indiziato non poteva evitare di gioire segretamente, ogni volta che uno di quei casi veniva ricollegato all’assassino seriale: lo svenimento e la conseguente botta alla testa –così aveva ipotizzato-  gli aveva offuscato buona parte della memoria, confondendogli non poco l’esistenza. Riconosceva le persone, e appena lo faceva ricordava ogni cosa o larga parte di quello che avevano vissuto insieme, come se mano a mano raccogliesse manciate della sua  memoria e le rigettasse nella propria mente; tutto questo lo rendeva terribilmente inquieto, perché non aveva idea di cosa avrebbe potuto improvvisamente ricordare. Aveva incontrato per strada un suo vecchio amico, e improvvisamente aveva rimembrato le serate con lui a lamentarsi animatamente del regime, insieme a un manipoli di consimili: ma di questo non aveva fatto parola ad Eler. Tutto quello che gli importava era dimostrare che non era lui il responsabile di quegli omicidi.
L’investigatore austriaco, dal canto suo, era terribilmente sfibrato: Light lo percepiva nel suo respiro greve, nelle occhiaie sempre più marcate nonostante dormisse parecchio, nell’appetito una volta vivissimo che andava scemando.
Gli diede una gomitata amichevole: «Non esser così giù di corda.»
«Ma io non sono giù di corda.»
Light sospirò: forse lui non era un gran consolatore, ma anche Riou si impegnava nel rendergli più difficile il compito.
«Ho un’idea per tirarti su, anche se non sei triste, ovviamente.»
Eler sembrò diffidare inizialmente da quella frase: ma in cuor suo, Light lo sapeva, nutriva un’accondiscendenza verso ogni proposta dell’altro.
«Sarebbe?»
 
 

Il fondo del boccale si schiantò contro il tavolo, accompagnato da un lungo sospiro di soddisfazione: «Non bevevo da troppo tempo.»
Light sorrise, portandosi più moderatamente il bicchiere alle labbra: «Si vede dal tuo naso.»
«Sono raffreddato, non è per il bere.»
«Raffreddato a maggio? Tu, che sei arrivato qui dal gelo austriaco a piedi scalzi?»
«I francesi sono pazzi: che problema c’è se voglio tenermi i piedi liberi? Odio dover andare in giro con le scarpe. Sono scomode.»
Era sera tarda, ormai: l’oste non li disturbava, in parte perché la sua bettola non doveva avere troppi clienti, ma anche perché due rampolli così ben vestiti dovevano sicuramente esser provvisti di molti denari. Senza che questi lo chiedessero colmava continuamente i loro bicchieri, tenendo bene a mente quanto gli dovessero.
«Usciamo da qui, c’è puzza di topi putrescenti.»
Light rise, e i due se ne andarono barcollando dal locale –non prima di aver pagato due monete in più di quanto fosse loro richiesto-.
La bella stagione stava arrivando, ritardando sempre più lo spettacolo serale del tramonto: lo si intravedeva nel cielo che sovrastava le viuzze, nelle nuvole tinte di porpora. Corsero verso il ponte, desiderosi di vederlo in tutta la sua bellezza: le loro leggeri giacchette, lasciate aperte, svolazzavano intorno ai loro fianchi. Sembravano scolaretti scappati ai loro insegnanti, ebbri di libertà, inspiegabilmente felici.
In parte Light capiva il motivo di quella contentezza: non vedeva Eler anche solo accennare un sorriso da troppo tempo. Convivere con il suo velo di tristezza era logorante, e vederlo spogliato delle quotidiane preoccupazioni lo risollevava enormemente.
Si aggrapparono al muricciolo che delimitava la sponda del fiume: le acque scorrevano, inesorabili e maestose, incuranti del destino della loro città.
«Ti rendi conto di quante cose hanno visto queste acque?» biascicò Light all’altro «In questo stesso fiume dove sono stati gettati i ribelli delle Jacquerie, probabilmente vi facevano il bagno i Galli.»
«Mi manca il Donaukanal.»
Guardò l’altro, perplesso: «Il cosa?»
«Donaukanal, il fiume che attraversa Vienna.»
«Non è il Danubio?» chiese Light, stupito della propria ignoranza.
«È un suo braccio artificiale. Ci facevano andare al parco tutte le domeniche mattina, dopo la Messa. Potevamo solo camminare uno dietro l’altro, ci fermavamo a giocare solo mezz’oretta: ma quel fiume era bellissimo. Era tutto quel che avevamo di magnifico.»
Light cercò di interpretare quei ricordi, capendone il vero significato: «Mezza giornata a settimana per dei bambini? Chi erano questi carcerieri?»
«Suore. Per lo più. Ma gli altri bambini ci andavano più spesso, io…» la sua bocca era impastata, e le parole gli sgusciavano fuori dalla bocca leggermente strascicate «Passavo tanto tempo con altri maestri. I più bravi li mettevano sopra i libri tutto il giorno.»
«Che scuola terribile… Io ho imparato per tanti anni come privatista. Studiavo a casa.»
«Anche io.» lo guardò in viso, con aria stranamente malinconica ma serena «Ero in un orfanotrofio.»
Qualcosa nel petto di Light si incrinò e iniziò a cigolare: ogni minuscolo ingranaggio era al suo posto, e dentro di lui la macchina del passato di Eler aveva iniziato a sferragliare, massacrandogli l’anima.
Non poteva dire di non averlo pensato, almeno qualche volta: non accennava mai ai genitori, né a parenti di alcun genere; ma c’erano molte cose di cui Eler non parlava, e che Light non smaniava di sapere.
«Quindi non sai… insomma, chi siano i tuoi parenti?»
«Non ne ho la minima idea, ma… non mi ha mai fatto troppo effetto. Mi hanno insegnato ad essere pragmatico, a vivere… con me stesso e per me stesso. Sono un prodotto finito, Light: come un ragazzino che inizia come garzone e diventa capomastro, io sono un agente specializzato in investigazione che è nato in qualche sporco sobborgo da chissà quale infima coppietta.»
«Come riesci a parlare così di te stesso?»
«È la verità.» buttò all’indietro la testa e ridacchiò «E non bevevo da troppo.»
Light squadrò il suo sorriso sornione e innaturale: ora comprendeva la facilità con cui si muoveva tra i suoi falsi nomi, e il perché non avesse la minima idea di quali fossero le basi dei rapporti umani. Aveva vissuto recluso, convinto di non essere una persona –fatta di carne, nome, affetti- ma una mente che doveva essere perfetta e al servizio dell’Impero che lo aveva raccolto, in fasce, e lo aveva salvato dalla morte prematura.
Rigirava tra i polpastrelli la catena che li univa: «Mi dispiace. Davvero.»
«A me dispiace per te, che non hai mai assaggiato dei Semmelknodel in brodo.»
Light si voltò verso Eler con un sorriso addolcito, e questi sembrò prenderlo come un permesso per cingergli la vita con le braccia, attirandolo a sé.
Provò l’impulso di spingerlo via come se offeso, ma si fermò e chiuse per alcuni secondi gli occhi: era calata una brezza notturna, a rinfrescargli il corpo caldo d’alcol; in quella meravigliosa situazione, non avrebbe potuto desiderare null’altro che l’abbraccio scherzoso di una persona desiderata.
Si presero per mano come di tacito accordo e si avviarono verso casa, senza rivolgersi alcuna parola, cullati l’uno dalla presenza dell’altro e dal calore dei loro palmi uniti.
Un brivido si era cristallizzato nella schiena di Light, al pensiero di quello che aveva passato il ragazzo che camminava affianco a lui: ma ancor più incredibile, e in un certo modo anche commovente, era stata quella sua confessione. Di sicuro bisognava tener conto della sua mente alticcia, ma poteva basarsi su così poco quella confidenza? No, ne era certo. Quella convivenza aveva fruttato molta più complicità di quanto ci si potesse immaginare, ma entrambi l’avevano semplicemente nascosta in qualche recondito nascondiglio del loro subconscio; ma la brezza primaverile e la copiosa bevuta avevano liberato quel legame, che era esploso in tutta la sua potenza.
I piedi iniziarono a dolere dopo pochi minuti e, quando arrivarono all’ingresso della casa del giovane Dieunuit, le scale che li attendevano sembravano impraticabili: si accasciarono contro il muro, alla ricerca della volontà di raggiungere definitivamente il loro giaciglio.
In fondo non si stava troppo male, sul pavimento ligneo dell’entrata: avrebbero potuto rimanere lì, accovacciati, sonnecchiare uno appoggiato all’altro come bambini.
Eler si appoggiò alla sua spalla, e iniziò a infastidirgli le ciocche che gli cadevano sulle tempie, canticchiando sottovoce. Presentì le sue intenzioni, ma non se ne preoccupò fino a quando i loro nasi si sfiorarono –come erano riusciti ad arrivare nuovamente fino a lì?-.
Provò a pensare a Mélisande, al suo collo fine e ai boccoli biondi; ma quel pensiero era insipido e incolore. La bellezza delle labbra di Eler invece era reale, viva, sgargiante.
Gli diede un bacio, poi un altro, un altro ancora; Riou fece un risolino: «Light, tu… sei ubriaco.»
«Amico mio, sei più brillo tu.»
«No no.»
«E invece sì!» rise Light, prendendogli il viso tra le mani e coprendoglielo di baci veloci e schioccanti.
Si rialzarono dal pavimento freddo dell’ingresso e barcollarono su per le scale fino alla camera da letto, continuando a farfugliare più o meno confusamente e a ridere ogni tanto.
«Ho caldo.» biascicò Eler, togliendosi i vestiti che aveva addosso; per poco non inciampò nei suoi stessi pantaloni, prima di cadere con indosso il solo intimo sul materasso.
Light gli si accovacciò vicino, ancora vestito, prostrato dal sonno e dall’alcol: voleva solo dormire, entrare nel mondo di Morfeo con in corpo quella sensazione di allegra contentezza.
«No, Light, resta sveglio…»
«Non ho voglia di farti compagnia, ho sonno.»
Eler sbuffò. Se Light non fosse stato così stanco, probabilmente avrebbe potuto godersi il picco di ubriachezza dell’altro e riderne per i successivi tre giorni: ma, per fortuna del giovane austriaco, non era nelle condizioni di potersi concentrare lucidamente su qualcosa.
Eler si avvicinò a lui, giocherellandogli con i capelli. Light ridacchiò: «Dai, smettila.»
«Voglio tenerti sveglio.»
Light sentì le sue gambe aggrapparsi alle proprie ginocchia, e cercò con la poca forza che gli rimaneva in corpo di mandarlo via: ma se poca era la forza, l’effettiva volontà era ancor minore. Gli piaceva quel contatto, quell’intimità, l’idea che potessero stare così vicini uno all’altro.
«Smetti di toccarmi…» biascicò, cercando di prendergli i polsi per fermarlo: ma le mani di Eler si muovevano velocemente sulla sua pelle, sotto la sua maglietta, lungo la schiena; gli carezzava i fianchi con le dita e i piedi con i propri. Sembrò indugiare un attimo, poi quel frenetico movimento delle mani si addolcì, e andò a infastidirgli la cintola.
«Riou, davvero, stai esagerando.» gli disse, con una flebile ma rianimata preoccupazione.
«Perché, non posso?» gli stava goffamente slacciando i pantaloni «Non ci vede nessuno, e a te piace.»
Light inspirò per ribattere, rosso in viso, ma dalla sua bocca non uscì nessuna parola: prese bruscamente la mano di Eler e lo spinse via.
SI guardavano con aria sconvolta, i petti e le menti in subbuglio; poi Riou crollò sul proprio cuscino. Il suo corpo iniziò a sussultare sommessamente, in preda a singhiozzi lacrimosi.
Light sentì un’incredibile tristezza invadergli il cuore e provò un immediato rimorso per quella resistenza: cercò di avvicinarsi a lui, di abbracciarlo, ma il ragazzo rimaneva immobile, con il viso sprofondato nella federa. Mugolava qualcosa, una cantilena lamentosa e rotta dal pianto.
«Riou, stai bene? Non farmi preoccupare…»
«Non dovrebbe essere… così.» bofonchiò l’altro.
«Che stai dicendo?»
«Io vorrei solo… Tutto è nascosto, perché? Lo so che a te piace, perché non posso?»
Light si accovacciò affianco a lui, osservando il muro di fronte come ipnotizzato. Già, perché?
In quel momento quel che avrebbe dovuto fare, in quanto ragazzo per bene, sarebbe stato addormentarsi con indifferenza all’altro, magari pensando alle dolci curve della propria donna; e lui non poteva pensare ad altro che a quel ragazzo, quel ragazzo affianco a lui… che poco prima aveva astiosamente respinto.
Si massaggiò vigorosamente gli occhi, reprimendo delle lacrime in procinto di nascere: voleva sparire, scappare dalle proprie responsabilità. Il timore e la vergogna si stavano impossessando di lui.
L’attrazione tra loro era innaturale e sconveniente: anche se si fosse ignorato a fatica il fatto che erano due uomini, erano per di più un investigatore e un indiziato! Era vero che le false accuse su di lui stavano cadendo, ma l’altro avrebbe potuto comunque avere il beneficio del dubbio, e in ogni caso il loro rapporto non avrebbe dovuto approfondirsi.
“E perché mai no?” si chiese improvvisamente.
Osservò la nuda schiena di Eler e le proprie gambe nascoste dalle lenzuola: in quel momento c’erano solo loro due. Non doveva considerare nessun altro elemento, doveva ragionare sulla questione prendendola al suo stato più puro.
Lui e Riou.
Non vi erano motivazioni religiose a fermarlo, e sulla moralità di quella sua tendenza si era messo il cuore in pace molto tempo addietro. L’opinione altrui? Bastavano pochi accorgimenti per mantenere qualcosa segreto; e in quel momento di tensioni politiche e sociali, pochi avrebbero speso il loro tempo ad indagare su una coppia troppo unita di amici. Era statisticamente certo che non fossero gli unici esseri umani che conducevano una vita simile: avrebbe potuto tranquillamente essere un bravo marito –provvedere alla vita agiata della moglie e alla scuola degli ipotetici figli- e al contempo amare chi preferiva… Sempre che si fosse davvero sposato con Mélisande o chiunque altra.
Che altro teneva divisi i loro corpi in quell’unico letto, se non la sua codardia?
Inspirò profondamente. Erano lui e Riou. A Riou lui piaceva, e non aveva avuto remore a mostrarglielo; e per quel che riguardava se stesso, negare i propri sentimenti era ridicolo e doloroso.
Eler si era nel frattempo lasciato andare a un dormiveglia leggero e tormentato: si strinse a lui, destandolo improvvisamente. Light rise un poco per il suo viso confuso, e lo baciò teneramente.
Riou sorrise contento, e Light lo baciò ancora.
Si addormentarono con le gambe intrecciate e i petti a pochi centimetri l’uno dall’altro, sfibrati dalla bevuta ma al contempo tremendamente sollevati: erano entrambi consapevoli del fatto che qualcosa era irrimediabilmente cambiato, nell’istante in cui Light aveva deciso di preferire l’amore alla paura.





 
 
 
«Maggio è probabilmente il mese più bello dell’anno.»
Eler non rispose, ma il suo pacato sorriso era un segno di chiaro assenso.
Light osservò il paesaggio meraviglioso in cui erano immersi: uno dei tanti stagni della zona si estendeva davanti a loro, coronato da alberi in fiore e voluminosi arbusti pieni di bacche. Poco più avanti del punto strategico che avevano scelto iniziava il lieve pendio di ciottoli bianchi che portava all’acquitrino, in cui in alcuni punti crescevano sparuti canneti. A completare il sobrio ma delizioso spettacolo vi erano il sole impetuoso e un quartetto di grilli nascosto lì intorno, tra l’erba alta, a spezzare il silenzio.
Quella mattina domenicale si erano alzati entrambi con un insopportabile capogiro, e Light aveva storto il naso quando l’altro gli aveva proposto quella uscita fuori città per riprendersi: le sue intenzioni erano di restare nel letto tutto il giorno, immobile, a navigare nel proprio malessere.
Si era fatto alla fine convincere, e non se ne era pentito: avevano seguito la Senna per poco meno di tre ore ad un trotto rilassante, in groppa a due cavalcature prese in prestito dallo stalliere della famiglia Dieunuit. L’aria mattutina e il sole di quella fortunata giornata avevano migliorato il suo umore e anche il suo stato fisico: sazi della tarda colazione, se ne stavano lì sotto le fronde di un basso albero, ad osservare lo specchio d’acqua davanti a loro e a godersi la meritata tranquillità.
«Dovremmo fare più spesso questo genere di escursioni.»
Light annuì: «Sì, ho sempre desiderato fare qualche viaggio nelle zone più a Sud.»
«Sarebbe davvero bello.»
«Nella natura ci si sente liberi per davvero.»
L’altro non rispose. Rifletteva con lo sguardo perso in qualche angolo del panorama: Light indovinò dopo poco, a cosa stesse pensando.
Inspirò, preparandosi a quelle parole: sapeva che era solo questione di tempo.
«Light, ho deciso di toglierti le manette. Definitivamente, non solo come oggi.»
«Dici sul serio?» mormorò.
«Ci ho riflettuto. Mi sono sentito spesso in colpa per questa pena, e come penso avrai notato negli ultimi tempi ogni pretesto era buono per togliertele dai polsi: ma non potevo rinunciarci del tutto, eri sospettato. Non meriti di essere ammanettato, se la pista che conduceva a te si è rivelata falsa. Da quando a marzo ho preso questa iniziativa di costrizione i delitti sono proseguiti, e questo forse non ti scagiona del tutto, ma di sicuro non merita una pena tale.»
Light annuì: improvvisamente quella notizia non gli fece né caldo né freddo. Si era abituato a quella situazione, per quanto scomoda; e c’era da dire che Eler aveva effettivamente fatto di tutto, per non fargliela pesare eccessivamente.
Perché in quel momento aveva deciso di cambiare radicalmente la situazione? Qual era il vero significato di quel retro-front simbolico?
«Quali erano i patti con mio padre?»
«Che se avessi fatto cadere l’accusa, avrei lasciato la giurisdizione sul caso alla polizia francese. Penso che non gli sia andato per niente a genio, il mio gesto.»
Il giovane Dieunuit cercò di metabolizzare quelle parole, di dar loro un senso e una serie di conseguenze: e subito gli si pararono davanti delle ipotesi che non avrebbe voluto considerare.
«Che farai tu ora, Riou?»
«Mi vorrebbero indietro, a Vienna.»
I grilli continuavano il loro inno di lode all’estate che arrivava. Light si chiese se Eler aveva mai assistito a un clima simile.
«Ci tornerai, quindi?»
L’altro non gli nascose un vago sorriso soddisfatto: «Hanno accettato la richiesta che ho fatto a febbraio. Ho chiesto di poter diventare poliziotto del distretto di tuo padre, e durante questi mesi hanno valutato il mio operato e… Ora sono un agente dello Stato Francese.»
Light dovette moderare la reazione di sollievo che gli nacque nel cuore e che si espanse nelle vene come ossigeno a ridargli vita dopo una lunga apnea.
«È fantastico, Riou! È una posizione lavorativa così…»
«Vicina a te.»
Light rimase pietrificato. Lo guardò, sperando di… aver sentito male? Davvero lo avrebbe voluto?
Un’infinità di silenzio dilagò tra i due.
«Perché io, Riou?»
Voleva fargli capire che era sbagliato basarsi su di lui. Non era una strada che avrebbero potuto percorrere insieme: perché si ostinava a non capirlo?
La sera prima aveva deciso di abbattere le barriere tra loro, ma non aveva pensato a cosa avrebbe fatto avendo la possibilità di ricostruirle: avrebbero dovuto inseguire quella vicinanza, se il destino lo avesse impedito? Avrebbero dovuto lottare per quel legame, già di per sé complicato e controverso?
«Ho deciso così: sono intelligente quanto testardo, penso tu lo sappia. Ci ho riflettuto razionalmente e non cambierò idea.»
«E se te ne pentissi?»
«Non ho altra casa a cui far ritorno. Vienna non è la mia casa, è stata la culla del mio dolore.»
«E se io me ne andassi da qui?»
«Ci rifletterei ancor più a lungo e con più raziocinio … e alla fine ti seguirei.»
«E se io non volessi essere seguito da te?» disse, trascinato da quel discorso al limite dell’assurdità.
Eler lo guardò con occhi penetranti: «Vuoi essere lontano da me, Light?»
Un ciuffo più riccio degli altri gli spuntava dalla chioma all’altezza della tempia, profonde occhiaie nere accompagnavano le iridi stanche e scure.
A che serviva mentire a quegli occhi e a se stesso?
«No, Riou.»
I loro sguardi si incontrarono come due amici di lunga data, stupiti e inspiegabilmente entusiasti; le loro mani si cercarono, e poco dopo di esse si unirono anche le loro bocche, con più foga delle altre volte: Light si protese con titubanza verso l’altro, che cedette con arrendevolezza al peso del suo corpo e lasciò che si sdraiasse sopra di lui, a patto di poter giocherellare con i suoi capelli.
Quando sentì le mani dell’altro tra i capelli sorrise, al pensiero della confessione che gli aveva fatto mesi addietro: per tanto, troppo tempo aveva dovuto dissimulare il desiderio di toccarli con un vago risistemargli la frangia, mentre in quel momento erano completamente suoi.
Si separò dalle sue labbra, il viso velato da pensieri mesti: «Stare con te è fantastico, Riou, ma sono comunque preoccupato. Non dovresti far tutte queste decisioni sulla tua vita in base a una sola persona, che conosci tra l’altro da pochi mesi.»
«Non avevo mai avuto nessuno per cui valesse il prezzo di prendere delle decisioni così veloci e radicali.»
Testardo e irremovibile, come al solito. Com’era bello.
«Sei uno stupido. Guadagni solo guai, con me.»
Il giovane investigatore, inspirò profondamente, e un brivido gli fece fremere l’intero petto: «Lo so, ed è una gran bella sensazione.»
Light si sentì ribollire qualcosa nel profondo dell’animo: una fantasia, un’idea, un’intenzione. Fece scendere timidamente la mano lungo la fila di bottoni che chiudevano i pantaloni dell’altro, sbottonandoli man mano: «So di proibito?»
Eler gli baciò leggermente le labbra: «No, di colazione all’inglese.»
 
 
Quando Eler gli sfilò dalle braccia la camicia, nonostante il caldo della giornata, tremò per alcuni istanti: esitò soltanto in quel momento e nell’attimo di goffaggine in cui fece incastrare la caviglia di Riou nei suoi pantaloni.
Light invertì i ruoli con una spinta poderosa, facendo soccombere Eler alla propria ombra: i raggi del sole di maggio rischiaravano la sua pelle nuda, e quando si sfilò i pantaloni l’erba secca gli solleticava fastidiosamente gli stinchi.
 
 
Per alcuni versi era una situazione inconcepibile, tanto da sembrare astratta: come poteva essere così ammaliato, stregato, desideroso di un corpo che era come il suo? Ma per quanto fosse impensabile, era evidente il fascino delle membra pallide e asciutte dell’altro, dei suoi fianchi leggermente arcuati, come i perfetti e simmetrici confini del suo desiderio.
Light gli baciò avidamente la pelle del petto e della pancia, con il brivido di chi può ammirare un’opera d’arte: e la perfezione di quella carne sotto le sue labbra, sotto le sue mani, era estremamente personale. Eler era perfetto per lui, le loro anime combaciavano: e i loro corpi di conseguenza non potevano che volersi l’un l’altro. Voleva che Eler si unisse a lui in qualsiasi modo il loro corpo e la loro mente permettessero.
L’innocenza di Eler era in suo possesso: tentennò un attimo, ma l’idea che quella serbata verginità era alla mercé della sua bocca lo fece traboccare di smania.
Gli prese le gambe e lasciò che appoggiasse le ginocchia divaricate sulle sue spalle; sentì l’altro fare una leggera resistenza, e alzò fugacemente lo sguardo verso Eler, alla ricerca di segni di rifiuto: trovò solo un viso improvvisamente paonazzo, intimorito; nonostante l’imbarazzo fece un cenno con il capo, per fargli capire che non doveva preoccuparsi.
La bocca di Light era timida e titubante: aveva paura che ad ogni minimo movimento con la lingua Eler si risvegliasse da quell’accondiscendenza –stava permettendo che un ragazzo, un ragazzo lo toccasse nel più impuro dei modi!- e lo respingesse con violenza: ma avvenne tutto il contrario. Sentì, con enorme felicità, il suo corpo distendersi e accomodarsi in quella situazione: e non si vergognò né esitò a stuzzicarlo, a stringergli le cosce con le mani, a lasciarsi andare alla più pura lussuria. Sentì più volte il corpo dell’altro intirizzirsi in preda a tremiti veloci che gli smorzavano il respiro; e dopo le prime volte, Eler non si sforzò nemmeno di trattenere la voce.
Eler allungò la mano tra i suoi capelli e vi ci aggrappò: Light alzò di nuovo la testa, e rimase ammaliato dalla sua bocca schiusa e screpolata: si arrampicò per il suo petto che si alzava ed abbassava in respiri rochi e profondi e lo abbracciò, ascoltava i battiti dei loro cuori unirsi, gli scompigliava i capelli e gli baciava il collo, la fronte, le labbra ansimanti. Stringeva quel volto tra le mani, chiedendosi come potesse tutto quello essere vero, come potesse essere così bello. Scoppiò a ridere, si strinse al corpo di Eler e lo spinse sul fianco sinistro fino a ritrovarsi di nuovo sotto di lui, in preda a quella risata leggera ma incontrollata. Riou lo guardò senza capire, con aria quasi smarrita: «Che succede? Ho fatto qualcosa di male?»
Le risa dell’altro si attenuarono, e con occhi umidi gli sussurrò: «Nulla della mia vita è stato reale fino ad adesso. Non mi sono mai sentito così bene. Sono vivo, Riou, capisci?»
L’altro si passò la lingua sulle labbra, dove un sottile taglietto gli aveva fatto sbocciare una goccia di sangue. Il sole lo sovrastava e filtrava tra i suoi folti capelli, incoronandolo davanti al cospetto dell’amante, sdraiato sotto di lui.
«Light, stai…» la sua voce era flebile, proveniente dai più lontani anfratti della sua anima «…stai piangendo.»
«Anche tu.»
Risero entrambi, con le guance colme di lacrime.
 
Con tutte le lenzuola in cui si era avviluppato con l’indifferente corpo della fidanzata, non aveva mai avuto un giaciglio migliore di quel sottobosco primaverile.
Con un movimento troppo brusco, Eler gli strappò un’altra imprecazione. Aveva cercato di trattenerle fino a quel punto, ma dolore e piacere continuavano ad alternarsi in picchi imprevedibili.
«Light, sicuro che non vuoi girarti?»
«Ti ho detto di no.» mormorò a denti stretti, intento a calmarsi con respiri profondi. Non voleva per alcun motivo separarsi dalla visione del corpo dell’altro e dei suoi movimenti nel proprio: sentiva il bisogno di soddisfare ogni suo senso.
«Continua, non preoccuparti.»
«Ti fa male?»
«È sopportabile.»
Eler sembrava arrivare quasi al limite e impaurirsi, sul suo viso si alternavano sgomento e passione: in preda a una foga improvvisa e inaspettata inarcò la schiena pochi secondi e spinse con ancor più forza.
I suoi gemiti, i suoi gemiti! Light, in un lampo di lucida estraneità, pensò che avrebbe potuto far l’amore anche solo con la sua voce. E perché non con l’odore della sua pelle misto a quello dell’erba, e con la forma smussata della spina dorsale che sentiva sotto i polpastrelli, e con quegli occhi che gli erano sembrati tanto a lungo dei pozzi di tenebre?
Light percepì per la prima, meravigliosa volta in vita sua dei brividi di calore percorrergli tutto il corpo, indemoniandolo.
Lui era la casa di Riou. L’unico posto in cui il giovane potesse sentirsi al sicuro ed esprimere il suo vero io, con tutti i difetti e le sfumature caratteriali che la sua istruzione aveva segregato nel suo subconscio.
Voleva essere il luogo sicuro di Riou: voleva essere cercato, desiderato, amato da lui.
Non era più sola libidine: quello era un incontro che univa i poli dell’esistenza, la carne e lo spirito.
Le loro anime si incontrarono in cima a una scalinata di dolore e piacere.










Note Autrice.

Ho scritto questo capitolo letteralmente in fretta e furia presa dall'ispirazione, e non secondo l'ordine dei fatti (sì, smascheriamo la mia disorganizzazione): spero di essere riuscita a rendere il tutto omogeneo e di aver evitato errori di grammatica/sintassi/coerenza temporale et similia.
Spero che questo capitolo vi piaccia particolarmente, almeno quanto a me è piaciuto scriverlo: nonostante tutto sono abbastanza soddisfatta di com'è venuto.

Nina.
P.S.
Domanda abbastanza importante, se rispondeste nelle recensioni mi fareste un grande favore: il Rating della storia va bene Arancione o devo modificarlo in Rosso?
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: SunriseNina