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Autore: F e d e    22/01/2014    2 recensioni
John e Mary decidono di partire per un weekend romantico lontani da Londra. Decidono così, di affidare loro figlio William, alla signora Hudson. O almeno, questo era il piano iniziale ...
Lievissimi spoiler.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Day #2
 
 
Quella domenica mattina William si svegliò di buon’ora, rimase a rotolarsi un po’ sul lettone prima di far sapere a suo zio che finalmente si era svegliato. Sherlock, d’altro canto, era rimasto sveglio tutta la notte, non aveva avuto sonno e non era stanco, quindi aveva deciso di rimanere a leggere un libro nella sua camera da letto mentre osservava William che dormiva. Quindi, appena il piccolo si svegliò, Sherlock decise di tirarlo su e cambiarlo. Sì, non faceva un buon odore. Assolutamente.
Sherlock, quindi, andò velocemente in cucina, prese il suo portatile e lo appoggiò sul letto, di fianco a William steso a pancia in su. L’uomo digitò velocemente qualcosa sulla tastiera e il video di Youtube partì “Come cambiare il pannolino a un bambino”.
Sherlock si sentiva proprio un idiota, mentre seguiva le istruzioni da internet, ma dopotutto non c’era nessuno a poter testimoniare ciò che stava accadendo, quindi si tranquillizzò.
Dopo aver cambiato precariamente il piccolo, era il momento di fargli mangiare qualcosa. La sera prima aveva scoperto che andava matto per i biscotti, quindi, data la scorta che la signora Hudson aveva nella sua cucina, Sherlock decise di intrufolarsi nell’appartamento della donna per prenderle tre pacchi ancora belli pieni. Sherlock prese William e lo fece sedere sul seggiolone, aprì un pacco di biscotti e glieli mise davanti. Il piccolo tutto contento, iniziò a mangiare e in men che non si dica si era già finito metà pacchetto. Sherlock decise che aveva mangiato abbastanza – anche perché poi i biscotti non sarebbero bastati sia per il pranzo che per la cena – quindi gli tolse il sacchetto da davanti e gli fece bere un po’ d’acqua.
«Su, adesso bevi» disse Sherlock al piccolo porgendogli un bicchiere. Quando William ebbe finito, Sherlock lo fece scendere dal seggiolone per permettergli di gironzolare per l’appartamento. L’uomo guardò quel piccolo esserino prendere il cuscino con la bandiera inglese – evidentemente gli piaceva, quindi Sherlock gliel’avrebbe regalato, dopotutto a lui non importava gran ché – e iniziare a giocarci: lo prendeva, lo faceva volare in aria e poi lo riprendeva.
Sherlock, si trovò inevitabilmente a pensare a quanta gioia doveva portare un bambino così bello e vivace in una famiglia, e in un momento di debolezza Sherlock pensò che sarebbe stato bello essere un uomo come gli altri, non avere nessuna preoccupazione, avere una famiglia, vivere una vita normale.
«Shellok!» il bambino si avvicinò correndo verso lo zio con il cuscino in mano. Quest’ultimo rimase a fissarlo dall’alto in basso, con in mano la sua tazza di thè. Aveva sentito male o quel bambino aveva appena pronunciato il suo nome? William batté i piedi per terra, Sherlock continuava a fissarlo senza prestargli la minima attenzione.
Dopo essersi ripreso, Sherlock posò la sua tazza sul tavolo e decise di assecondare il bambino in qualunque cosa volesse, il quale gli porse il cuscino, poi correndo, andò a posizionarsi vicino al divano.
«E ora cosa dovrei fare?» chiese Sherlock al bambino, sapendo benissimo che non gli avrebbe risposto. L’istinto gli disse di lanciare il cuscino verso William.
Questi era contentissimo – Sherlock quindi capì il suo intento – lo prese al volo e cercò di lanciarlo anche lui, ma non riuscì a farlo volare più in là di un metro.
Alla fine, Sherlock passò la mattinata così, lanciando un cuscino ad un bambino che non avrebbe mai più ricordato quel momento. Sherlock se ne fregò della sua caratteristica compostezza e acidità e ritornando bambino anche lui, comprese per la prima volta il significato di felicità.
 
*
 
Dopo una mattinata persa a giocare con il bambino, le chiamate ricevute dalla signora Hudson e i messaggi ansiosi di John, Sherlock decise che era arrivato il momento di concentrarsi sul caso affidatogli da Lestrade. Ma ovviamente, non poteva chiedere troppo. Il campanello, infatti, suonò, distogliendo Sherlock da ogni suo pensiero. Prima di scendere ad aprire, il consulente investigativo si affacciò alla finestra per vedere chi fosse arrivato. Una macchina nera era parcheggiata davanti al 221b. Sherlock sbuffò e andò ad aprire la porta, mettendoci più tempo di quanto ne sarebbe servito. Quando aprì la porta, si presentò davanti a lui suo fratello Mycroft, impeccabile come sempre nei suoi completi d’alta sartoria e con l’immancabile ombrello al braccio.
«Disturbo?» chiese Mycroft chiudendosi il portone alle spalle e seguendo il fratello su per le scale.
«Sempre, Mycroft. Sempre.» rispose Sherlock senza neanche girarsi verso l’interlocutore.
I due entrarono nell’appartamento, Sherlock si sdraiò sul divano, chiuse gli occhi e mise entrambe le mani congiunte sotto il mento. Il fratello, d’altro canto, rimase in piedi al centro della stanza, con il peso del corpo sull’ombrello e roteò gli occhi al comportamento del fratello.
«Allora» disse questi «come vanno le cose, caro fratellino?»
«Non provare a fare conversazione Mycroft» disse Sherlock senza aprire gli occhi «Dimmi piuttosto cosa vuoi, senza giri di parole.»
Mycroft tirò fuori una pila di fogli e li appoggiò sul tavolino della sala, di fronte al divano.
«Sono venuto a chiedere la tua consulenza per un caso – »
«Di sicurezza nazionale» lo interruppe Sherlock finendo la frase «Cambia battuta, dopo un po’ stanca.»
Il fratello maggiore gli lanciò un’occhiataccia ma decise di ignorare il suo comportamento, dopotutto c’era abituato. «Allora?» chiese.
Sherlock aprì gli occhi ma non si discostò dalla posizione «Allora, cosa?»
«Darai un’occhiata ai fascicoli che ti ho portato?»
«Nope!» disse Sherlock alzandosi dal divano e dirigendosi verso la cucina a versarsi una tazza di thè.
«Sherlock, per l’amor del cielo, per una volta potresti – »
«Ho già due casi in ballo.» lo interruppe questi.
«Due casi? Addirittura. Iniziamo a fare gli straordinari, a quanto pare.» disse Mycroft sarcastico. «Ma a quanto mi risulta, ti stai occupando di un solo caso. Sono proprio curioso di sapere qual è il secondo e soprattutto perché non ne sono venuto a conoscenza.»
«Segniamo la data sul calendario: Mycroft che per una volta non ha il controllo di ciò che gli capita proprio sotto il naso!»
Mycroft non fece in tempo a ribattere che il pianto di un bambino arrivò alle sue orecchie. Proveniva dalla camera di Sherlock. William doveva aver finito il suo sonnellino pomeridiano.
«Sherlock, ma che cosa –»
Quest’ultimo lo ignorò dirigendosi verso la sua camera da letto. Prese William in braccio e si mise di fronte a Mycroft.
«Fratello caro, questo è il secondo caso di cui mi sto occupando.»
Mycroft guardò sconcertato prima il fratello e poi il bambino che si stava stropicciando gli occhi con la manina.
«Ma questo … è il figlio di John?» chiese.
«In persona.» rispose Sherlock.
«John ha ricevuto una bella botta in testa per decidere di affidare suo figlio a te.»
«Divertente» disse Sherlock prima di mettere William sul seggiolone e posargli davanti un bel piatto di biscotti. «Ho scoperto di saperci fare con William. Io gli piaccio e lui piace a me, siamo in sintonia.»
«La botta l’hai presa forte anche te, a quanto pare» disse Mycroft sedendosi sulla sedia della sala. «Da quando in qua sai occuparti di un bambino?»
«Da quando le circostanze lo richiedono.»
«Capisco … » disse Mycroft turbato «Anche se mi sentirei più tranquillo metterti sotto sorveglianza da uno dei miei uomini, sai, per attestare che tutto davvero fili liscio.»
«Non ci provare» disse Sherlock girandosi di scatto verso il fratello. «William non ha problemi con me.»
«Solo perché non è in grado di parlare. Se lo fosse, te lo direbbe.» lo accusò il maggiore.
«Mycroft, non stavi andando via?» chiese Sherlock aprendo la porta dell’appartamento invitando il fratello, nel modo più gentile che conoscesse, ad uscire. Si era stancato di quella pagliacciata.
Il maggiore degli Holmes quindi, visto che la sua presenza non era gradita – come al solito – si alzò dalla sedia e inforcando il suo ombrello, si accinse ad uscire. Prima però, si voltò verso il tavolino del salotto osservando i fascicoli che poco prima aveva poggiato sopra.
«Puoi riprenderteli.» disse Sherlock seguendo il suo sguardo.
«Sherlock.» lo ammonì Mycroft.
«Fa come vuoi. Sono sicuro che William sarà felicissimo di potergli dare un’occhiata al posto mio»
Che tradotto, sarebbe: William sarà felicissimo di prenderli, strapparli e farci tanti bei coriandoli.
Mycroft capì l’antifona e con uno sbuffo tornò a riprendersi i documenti. «E’ così difficile fare un favore a tuo fratello, eh, Sherlock?»
Questi roteò gli occhi e andò da William che intanto aveva finito il suo piatto di biscotti e adesso chiedeva di scendere dal seggiolone. Sherlock lo accontentò.
«Vorrei non avessimo lo stesso cognome»
Mycroft capiva benissimo quello che Sherlock voleva dirgli con quella frase. Le aspettative della gente nei loro confronti e la voglia di non appartenere a quel mondo così complicato, invisibile agli occhi di qualunque uomo “ordinario”.
«Il cognome è una convenzione sociale, caro fratello» disse il maggiore «Anche se tu avessi preso il cognome di mamma, non sarebbe cambiato nulla. Saremo sempre noi, con le solite responsabilità sulle spalle»
«Per favore, Mycroft. Evita di fare certe frasi fatte» disse Sherlock guardando prima il fratello e poi il piccolo William che arrampicandosi sulla sedia, cercava di raggiungere il portatile di Sherlock. Questi si avvicinò «No, little-John. Questo non lo puoi toccare» disse prendendogli di mano il computer. Il bambino deluso iniziò a piagnucolare.
«Beh, allora ti lascio» disse Mycroft «Mi sembra, infatti, che tu sia occupato al momento.»
Sherlock fece una smorfia e non si disturbò neanche a salutarlo. William intanto piangeva come un matto, era arrabbiato perché voleva giocare con qualcosa di diverso del solito cuscino colorato.
Sherlock se possibile era più arrabbiato di lui. Era convinto che fosse tutta colpa di Mycroft, doveva aver turbato il bambino in qualche modo. Fatto sta che adesso Sherlock non sapeva cosa fare per farlo smettere. Il pianto del piccolo che cresceva sempre più aveva attutito il suono che fece il suo cellulare. Un messaggio. L’uomo lo lesse e gli s’illuminarono gli occhi.
Si affrettò a prendere il suo cappotto e infilarselo per poi prendere il giubbottino di William e metterglielo addosso.
«Forza little-John! Nuovi sviluppi sul caso!» disse, mentre con eccessivo entusiasmo cercava di infilare le braccia del piccolo all’interno delle maniche.
Il bambino si tranquillizzò un pochino, ma aveva ancora gli occhi lucidi: non gli piaceva essere ballonzolato come un pupazzo.
Sherlock prese William in braccio e come una furia si precipitò in strada chiamando un taxi.
 
*
 
«Ho fatto ciò che mi aveva chiesto signor Holmes» disse il senzatetto al quale Sherlock aveva parlato il giorno prima. Ora si trovavano a Lauriston Gardens in una stradina laterale, senza occhi indiscreti puntati addosso. «Ho fatto vedere in giro la foto della donna che mi aveva dato e alcune voci mi hanno riferito che è in fuga.»
«Sai dove si trova adesso?» chiese Sherlock con William in braccio, il quale guardava il senzatetto in modo sospetto.
«No, signor Holmes. Gliel’ho detto, scappa da un posto all’altro. Vuole diventare invisibile.»
«E’ a corto di soldi, deve essere ancora qui a Londra.» disse Sherlock cercando di riflettere sulle nuove informazioni ottenute.
«Dov’è stata tutto questo tempo?» chiese il consulente investigativo.
«Oh, un po’ di qua un po’ di là.» rispose il senzatetto facendo un gesto evasivo con la mano «Per lo più centri d’accoglienza per persone che hanno problemi di soldi … Non può girovagare in queste zone con un bambino a carico –»
«Un bambino?» Sherlock lo interruppe «La donna ha un figlio?» Il caso si faceva sempre più interessante e il consulente investigativo era convinto che sarebbe arrivato alla risoluzione del caso più in fretta di quanto credeva. Aveva parecchi elementi a disposizione, bastava solo collegarli nel modo giusto.
«Oh sì! Ed è anche molto protettiva nei suoi confronti.» disse lui «Non vuole che nessuno si avvicini a lui.»
«Hai altro da dovermi riferire?» chiese Sherlock.
«No, questo è tutto ciò che ho scoperto. Spero che sia bastato per la ricompensa.» rispose l’uomo avido di ricevere il denaro promesso.
«Ma certo» disse Sherlock porgendo all’uomo la banconota «Da adesso in poi, ci penso io.»
Il senzatetto guardò incredulo la banconota da cinquanta sterline.
«E’ sempre un piacere fare affari con lei!» urlò.
Ma Sherlock era già sparito.
 
*
 
Sherlock scese dal taxi che lo portò davanti alla sede di Scotland Yard e si affrettò a raggiungere l’ufficio dove lavorava Lestrade. Con passo svelto superò tutti quegli sguardi che osservavano prima Sherlock e poi il bambino che teneva in braccio.
Sherlock spalancò la porta dell’ufficio di Lestrade ed entrò. Questi sobbalzò dallo spavento «Sherlock! Sei impazzito a entrare così – »
«Ho risolto il caso.» disse Sherlock facendo sedere William su una delle due sedie libere all’interno dell’ufficio, mentre lui restò in piedi.
Lestrade al suono di quelle parole cambiò completamente atteggiamento.
«Davvero? E allora?» chiese.
«Non c’è tempo per spiegare adesso.» ripose Sherlock «Dobbiamo muoverci in fretta. Chiama a raccolta le pattuglie.»
Lestrade era sorpreso, quindi in modo un po’ goffo fece un paio di telefonate, prese il giubbotto e si diresse verso l’uscita. «Dove andiamo di preciso?»
«In giro per Londra.»
 
*
 
Londra era una delle città più popolose d’Europa e cercare una persona in mezzo a otto milioni di abitanti era come letteralmente, cercare un ago in un pagliaio, il consulente investigativo e Lestrade ne erano al corrente. Ma grazie alle informazioni ottenute dagli “amici” senzatetto di Sherlock e grazie alle abilità dello stesso, riuscirono a impiegarci giusto due ore prima di trovare quel centro d’accoglienza che aveva ospitato la donna per ultimo.
L’uomo che si occupava della struttura disse alla polizia che si ricordava bene di quella donna, aveva trascorso poco tempo all’interno di quel centro e solo pochi minuti fa ne era uscita.
Partì quindi una corsa contro il tempo, e fu solo dopo pochi minuti che Sherlock insieme ad una pattuglia della polizia riuscì a rintracciare la donna in un vicolo poco trafficato dai pedoni, e metterla alle strette.
Sherlock con William in braccio uscì dall’auto della polizia insieme a Lestrade e altri due uomini, che insieme puntavano le loro pistole contro la donna.
«Signorina Green, si fermi! Polizia!» urlò Lestrade.
La donna era a pochi metri dalla polizia e Sherlock solo in quel momento riuscì a osservarla meglio. Erano stati due giorni molto difficili dallo stato in cui si presentava: una donna minuta e magra, con il viso sottile stanco e stressato, i capelli bruni acconciati in una disordinata coda di cavallo. Di fianco a lei, invece, in una piccola carrozzina giaceva un bambino piccolo, suo figlio, evidentemente spaventato da tutto quel trambusto.
«Signorina Green» disse Lestrade avvicinandosi lentamente alla donna «Lei è accusata – »
La donna sentendo quelle parole, tirò fuori dallo zaino che aveva con sé, un coltello da cucina e se lo puntò contro.
Gli uomini presenti sobbalzarono alla vista di quella mossa inaspettata.
Sherlock guardò la donna e poi il coltello che teneva in mano. Era quella l’arma che aveva ucciso il signor Wilson?
«Fate un altro passo e giuro che mi uccido!» urlò la donna puntandosi il coltello contro il petto.
«Signorina Green, non faccia mosse avventate! Lasci quel coltello!» disse Lestrade.
«Stia zitto, non voglio parlare con la polizia!»
William, stretto tra le braccia di Sherlock, assistendo a tutto quel trambusto iniziò a piangere e contorcersi. Tutti i presenti rimasero a fissarlo e sicuramente stavano pensando la stessa cosa: cosa ci faceva Sherlock ancora in giro con un bambino in un momento delicato come quello?
Come succedeva tutte le volte in cui era sotto pressione, a Sherlock venne in mente un’idea per cercare di salvare la pelle a tutti. Cercò di tranquillizzare il piccolo e avvicinandosi a Lestrade glielo porse.
«Sherlock, ma che diavolo stai facendo?» chiese questi sconcertato.
«Tieni William. Fidati.» disse Sherlock con ancora il piccolo in mano.
Lestrade sospettoso mise la pistola all’interno della sua custodia e prese William in braccio senza mai staccare gli occhi dalla signorina Green la quale guardava la scena basita.
Sherlock, quindi, si allontanò dall’ispettore e iniziò a camminare in direzione della donna.
«Cosa stai facendo?» chiese questa a Sherlock.
«Stia tranquilla, non faccio parte della polizia» disse Sherlock «Ma a loro piacerebbe eccome.» disse facendo un cenno con la testa a Lestrade.
«E allora chi sei? Cosa ci fai qui con loro?»
«Sono quello che ti ha scoperta, signorina Green. O forse dovrei dire, signorina Turner
La donna guardò Sherlock con tanto d’occhi. Il consulente investigativo fece un sorriso. Gotcha (1).
«Cosa – » boccheggiò la donna.
«Ammetto con enorme rammarico, che mi ci è voluto un po’ prima di capirlo. C’erano parecchie cose che non mi tornavano, quindi adesso vorrei sapere la sua versione.»
La donna continuò a fissare il consulente investigativo, senza riuscire ad emettere nessun suono. Il suo sguardo vagava dall’uomo che aveva davanti, all’ispettore che teneva in braccio un bambino e i due poliziotti che tenevano ancora puntate le loro pistole contro la sospettata.
Sherlock si accorse di quegli sguardi e si girò «Voi due, potete abbassare le pistole ora.»
Gli interpellati guardarono Sherlock ma non fecero come gli era stato detto.
«Fate come dice.» decretò l’ispettore Lestrade «Sherlock, spero che tu sappia quello che stai facendo»
«Non si preoccupi, ispettore» disse dando le spalle ai tre uomini della polizia «Adesso, signorina Turner, dall’altra parte hanno ritirato le armi, ora tocca a lei. Mi dia quel coltello.»
La donna rimase ancora con quell’arma puntata contro il petto, non avendo la minima intenzione di lasciarla andare.
«Non lo faccia. Pensi a suo figlio.» disse Sherlock. Sapeva che toccare la famiglia era un punto sensibile per molte persone, tanto da diventare così vulnerabili.
La signorina Turner guardò suo figlio all’interno del passeggino che per tutto quel tempo non aveva fiatato. Quindi, con la mano che le tremava, allungò il coltello verso Sherlock il quale mettendosi i suoi guanti di pelle (per non lasciare impronte sopra) lo prese e allungando il braccio invitò uno degli uomini presenti a prenderlo.
«Non volevo che tutto questo accadesse.» disse la donna dopo che uno dei due poliziotti prese il coltello dalle mani di Sherlock «Non avevo altra scelta.»
Sherlock rimase in silenzio. Voleva ascoltare quella storia per vedere se combaciava con le sue deduzioni fatte fino a quel momento.
«Io e Wilson abbiamo avuto una storia tanto tempo fa» iniziò a raccontare la donna a Sherlock «Eravamo felici sa, avevamo comprato una casa, certo, non era la casa dei nostri sogni ma – »
«Ci risparmi i particolari.» la interruppe Sherlock «Passi direttamente alle cose più importanti»
«Fatto sta che la nostra relazione stava andando in frantumi.» ricominciò la signorina Turner acquistando un po’ di tono nella voce «Wilson aveva cominciato a prendere una brutta strada: iniziò con il gioco d’azzardo, le scommesse, a bere e io non sapevo cosa fare. Provai a parlargli, a farlo ragionare, ma niente. E come se non bastasse, iniziò a picchiarmi.»
Sherlock e gli uomini presenti ascoltarono senza emettere alcun suono.
«Quando scoprii di essere incinta mi cadde il mondo addosso.» disse la Turner «Come potevo crescere un figlio in quelle condizioni? Non avrei mai permesso che accadesse una cosa simile. Così, una sera decisi di andarmene – Wilson era fuori come suo solito – presi tutti i risparmi che ci erano rimasti e scappai.»
«La mia fuga durò un anno. All’inizio mi rifugiai da vecchi amici, ma sapevo che erano i primi posti in cui Wilson mi avrebbe cercata. Quindi, iniziai a spostarmi da una parte all’altra di Londra credendo che i miei continui spostamenti avrebbero messo Wilson in confusione il quale ero certa mi stava cercando. Intanto mio figlio George era nato e ce la stavamo cavando bene, finchè … »
«Finchè non ha trovato lavoro dal signor Drebber.» completò la frase Sherlock «Le si è presentata un’occasione unica, aveva un posto sicuro per lei e suo figlio, non doveva far altro che fare un po’ di pulizie, ma questo era niente in confronto a tutto ciò che aveva subito. Bastava procurare a un vecchio signore un curriculum con un cognome falso, in modo che nessuno potesse risalire alla sua vera identità. Dico bene?»
La Turner annuì «Esatto.»
«Quindi quando pochi giorni fa si ritrovò faccia a faccia con il suo ex fidanzato, non ha visto altra via d’uscita e l’ha ucciso.»
«No! Non è andata così!» esclamò la donna. Lestrade e i poliziotti sobbalzarono.
«Beh, signorina Turner, c’è un corpo all’obitorio che non la pensa proprio così.» disse Sherlock.
«Intendevo dire … non l’ho ucciso subito. Abbiamo parlato, prima» disse Alicia Turner «Sembrava fosse cambiato ma la verità è che voleva portarmi via mio figlio, in modo che non avessi più una ragione per vivere!»
Alicia Turner iniziò a tremare convulsamente e accasciarsi accanto al corpo del figlio che aveva assistito a tutta la scena a occhi spalancati.
«Decisi quindi, di licenziarmi dall’attività, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla. Wilson non avrebbe mai smesso di cercarmi e Dio solo sa se non mi avrebbe uccisa prima lui.» disse la donna «Così, dopo l’ennesimo litigio decisi di porre fine a tutta quella storia e l’ho ucciso. Ho dovuto farlo! Non avevo altra scelta!» esclamò Alicia piangendo disperatamente abbracciando il figlio.
Sherlock la guardò dall’alto in basso «Sa cosa le dico signorina Turner? Lei non ha ucciso Wilson per suo figlio. L’ha fatto per se stessa.»
«Sherlock, no – » Lestrade si avvicinò al consulente investigativo per cercare di calmarlo.
Questi lo bloccò con un gesto secco della mano.
«Avrebbe potuto chiedere aiuto a chiunque, invece ha deciso di farsi giustizia da sola. Adesso suo figlio verrà affidato ad un centro sociale. Lo sa questo?»
La donna lo guardò con gli occhi pieni di lacrime.
«Quindi mi sembra che il suo comportamento abbia solo peggiorato le cose.»
«Sherlock, adesso basta» disse Lestrade – William lo aveva affidato ai due poliziotti - «La signorina Turner ha confessato, non c’è bisogno di tutto questo.»
«Quello è suo figlio, no? – chiese indicando William – Lei cosa avrebbe fatto?» esclamò la donna a Sherlock cercando di tener ferma la voce.
Sherlock restò un attimo in silenzio. Cosa avrebbe fatto se William si fosse trovato in pericolo? La risposta la sapeva già, c’era già passato anni fa per proteggere John dalla furia di Moriarty. Lui si sarebbe sacrificato. Ancora, ancora e ancora. L’avrebbe fatto sempre per le persone che amava.
Lestrade, a quel punto, decise di porre fine a quella conversazione, con delicatezza aiutò la signorina Alicia Turner a tirarsi su e voltarla.
«Signorina Turner lei è in arresto per omicidio. Ha il diritto di rimanere in silenzio … »
Così mentre Lestrade dettava alla donna la formula, ammanettandola, Sherlock volse lo sguardo al figlio della donna, aveva iniziato a piangere,  forse aveva capito che non avrebbe visto sua madre da lì a un bel po’ d’anni. Sherlock si voltò verso Lestrade che stava conducendo la signorina Turner verso l’auto. «Ispettore aspetti!»
Entrambi si girarono e Sherlock si avvicinò.
«Le tolga un attimo le manette» disse il consulente investigativo a Lestrade.
Questi era confuso «Come scusa?»
Sherlock lo fulminò con lo sguardo e l’ispettore non poté far altro che accontentarlo.
«Questo appartiene a lei.» disse Sherlock rivolto alla donna.
La Turner allungò il braccio per prendere ciò che Sherlock le stava porgendo. L’uomo le circondò il polso destro con le mani, lasciandole attaccato un braccialetto d’oro. Mentre compiva quel gesto, il consulente investigativo si rese conto di una ferita abbastanza profonda alla mano, come sospettava, la donna durante il litigio con l’ex fidanzato si era tagliata, lasciando macchie di sangue sul cornicione della finestra sul luogo del delitto.
Alla vista di quell’oggetto Alicia Turner iniziò a piangere.
«Sherlock ma quello è – » disse Lestrade osservando il braccialetto. Era una prova e soprattutto come aveva fatto a prenderla? Lestrade stesso l’aveva portata in centrale! Ma con Sherlock Holmes era meglio non farsi troppe domande. Quindi, fece finta che tutto quello che stesse capitando fosse perfettamente normale.
«Chiuda un occhio, ispettore» disse Sherlock «Dopotutto è tutto ciò che le ricorderà suo figlio nei prossimi anni in cui non potrà vederlo»
Lestrade annuì poco convinto e rimise le manette alla donna, facendola sedere sul sedile posteriore dell’auto della polizia, poi chiamò i due agenti – che nel frattempo si erano occupati del figlio della Turner - e ordinò loro di portare entrambi in centrale. Lui avrebbe chiarito un po’ di cose sulla faccenda assieme a Sherlock.
Quest’ultimo andò da William e dopo avergli scompigliato un po’ i capelli, gli diede un bacio sulla fronte. Lestrade era colpito da quel gesto di tenerezza da parte della persona più anti-sentimentale del pianeta.
«Chi l’avrebbe detto, Sherlock Holmes è capace di atti di affetto!» esclamò Lestrade con un sorriso.
Sherlock si voltò verso l’ispettore «Tu non hai visto niente.»
«Oh, stai tranquillo, il tuo segreto è al sicuro con me.» ribattè Lestrade incamminandosi insieme all’amico con in braccio il nipote, fuori da quel quartiere, verso il centro città.
«Allora?» chiese dopo vari minuti di silenzio l’ispettore.
Avevano deciso di prendere un taxi, l’aria fuori si era fatta gelata e Sherlock non voleva che William prendesse il raffreddore. Si stavano dirigendo verso Baker Street, in mezzo al traffico londinese.
«A quanto mi risulta non sono ancora dotato di telepatia.» disse Sherlock impassibile «”Allora”, cosa?»
«Come hai fatto a capire …  insomma, tutto quanto?» chiese Lestrade.
«Vari elementi dalla scena del delitto, il curriculum che mi avevi mostrato, il braccialetto con l’incisione del nome del figlio della Turner e poi … ho avuto un po’ d’aiuto»
«Aiuto di che tipo?» chiese curioso Lestrade.
«Ispettore, non posso mica rivelarle i miei metodi» disse Sherlock scendendo dal taxi, fermatosi davanti a Baker Street. «A quel punto non avreste più bisogno di me!»
 
 
*
 
Il taxi aveva scaricato Sherlock davanti alla porta di casa sua ma quest’ultimo non aveva nessuna intenzione di entrare. Tra una cosa e l’altra si era fatta ora di cena e con la signora Hudson ancora in ospedale – ovvero: non c’era nessuno a cui Sherlock potesse chiedere di preparargli da mangiare e di sicuro lui non si metteva a cucinare – e William che avvertiva i morsi della fame – Sherlock decise che non era il caso che il piccolo continuasse a mangiare biscotti – , il consulente investigativo era già sulla via che lo portava verso il ristorante di Angelo.
Sherlock non doveva aspettarsi nessuna accoglienza e nessun cameriere a indicargli il tavolo, perché Sherlock aveva già il suo tavolo vicino alla grande vetrata.
Quindi, prese posto con William e aspettò che Angelo si facesse vivo. Come se gli avesse letto nel pensiero, il ristoratore uscì dalla porta della cucina diretto verso il suo miglior cliente.
Alla vista di Sherlock gli occhi gli s’illuminarono e accelerò il passo.
«Sherlock!» disse allungando una mano stringendo quella del cliente «E’ davvero un grandissimo piacere vederti! E’  da molto tempo che non mettevi piede nel mio locale.»
«Buonasera Angelo. Sì, sono stato impegnato, in quest’ultimo periodo.»
Angelo ammiccò in direzione di William «Oh sì, vedo …  vedo.» disse prima di afferrare un seggiolone posto all’entrata e posizionarlo accanto al tavolo. Sherlock mise il piccolo dentro.
«E dimmi un po’ » continuò Angelo «John che fine ha fatto?»
Sherlock chiuse un attimo gli occhi. Evidente l’uomo non sapeva del matrimonio del suo migliore amico e lui giustamente, pensava che Sherlock e John ci fosse “ancora” del tenero.
«In questo momento è fuori Londra.» rispose semplicemente Sherlock.
«Capisco» disse Angelo battendo le mani «Per stasera specialità della casa e un qualcosa di caldo anche per questo bel bambino» disse rivolto a William prima di dargli un buffetto sulla guancia e defilandosi in cucina.
William lo seguì con lo sguardo un po’ confuso.
«Lascialo perdere» disse Sherlock nella sua direzione «Angelo è fatto così.»
Sherlock in quei minuti di attesa, non poté fare a meno di pensare al caso appena conclusosi.
Quella volta era stata tutta questione d’istinto, non si era basato sui fatti, ma sulle emozioni che lui stesso provava. Quei pochi giorni con William avevano fatto capire a Sherlock che le persone erano disposte ad atti estremi pur di proteggere le persone amate. William aveva fatto sbloccare qualcosa all’interno del consulente investigativo, era riuscito, involontariamente, a portare alla risoluzione del caso. E parte del contributo doveva essere dato anche a Mycroft che lo aveva aiutato inconsapevolmente. Tutta quella questione del cognome aveva fatto sì che Sherlock capisse la verità sulla donna. Il consulente investigativo decise che avrebbe dovuto scusarsi con il fratello per il suo comportamento sgarbato di quel pomeriggio.
Sherlock, annoiato dall’attesa, decise di ammazzare il tempo scrivendo un messaggio a John.
 
Angelo crede che William sia mio figlio. SH
Inviato 7.26 p.m.
 
La risposta arrivò poco dopo.
 
Che diavolo … ?! Ma se non ti assomiglia neanche! JW
Ricevuto 7.28 p.m.
 
Sherlock roteò gli occhi. Idiota.
 
Scusa, ho sbagliato a formulare la frase. Angelo crede che William sia nostro figlio. SH
Inviato 7.29 p.m.
 
La risposta questa volta arrivò dopo cinque minuti. Di solito John non ci metteva così tanto a rispondere.
 
Ah. JW
Ricevuto 7.34 p.m.
 
Ovviamente, avrà pensato che sia stato tu a donare lo sperma. SH
Inviato 7.35 p.m.
 
Ah. JW
Ricevuto 7.36 p.m.
 
Possibile che John si scandalizzasse per ogni minima cosa? Sherlock trovava il suo comportamento alquanto infantile. Dopotutto era una cosa normale da dire.
 
John, per favore. SH
Inviato 7.37 p.m.
 
Il telefono di Sherlock rimase in silenzio per un paio di minuti. Non arrivò più nessun messaggio. Non da parte di John almeno.
 
Mi piacerebbe molto incontrare questo Angelo! :D Mary.
Ricevuto 7.41 p.m.
 
Mary, stiamo parlando di tuo marito. Contieniti. SH
Inviato 7.42 p.m.
 
 
*
 
I due coniugi tornarono a Londra quella sera sul tardi, così decisero di recarsi subito a Baker Street per prendere William e tornare a casa. John aprì la porta della casa, anche se era quasi l’una di notte, era stranamente silenziosa. A quell’ora Sherlock doveva essere sveglio, suonare il violino o concentrato su uno dei suoi strampalati esperimenti, invece niente, la pace assoluta. John e Mary lasciarono le valigie sul pianerottolo e cercando di non fare rumore, salirono le scale ritrovandosi all’interno dell’appartamento di Sherlock, non credendo alla scena che gli si parò davanti agli occhi.
Sherlock steso sul divano con le braccia attorno al corpo di William, entrambi che dormivano profondamente. I due coniugi si scambiarono uno sguardo d’intesa, positivamente sorpresi dall’umanità di Sherlock in quel momento.
John, in quel momento si maledisse. Come aveva potuto pensare che Sherlock non sarebbe stato in grado di occuparsi di un bambino? Certo, con metodi non proprio “consueti” ma il dottore ammetteva che l’amico se l’era cavata egregiamente per quei pochi giorni.
Quest’ultimo, quindi, facendo il minimo rumore, si avvicinò ai due, cercando di togliere William dall’abbraccio del suo migliore amico.
«John, aspetta!» bisbigliò la moglie tirando fuori dalla borsa il suo cellulare puntandolo contro Sherlock «Con questa, puoi ricattarlo quando vuoi» disse prima di fare una foto.
«Ottima idea!» disse John ridendo, prima di prendere William e insieme a Mary, dirigersi verso casa. Sherlock rimase ancora profondamente addormentato.
 
*
 
Sherlock si svegliò di buon’ora quella mattina, accecato dal sole appena sorto che filtrava dalle finestre della sala. Evidentemente si era addormentato sul divano la sera prima. Il consulente investigativo si mise a sedere e ci vollero meno di due secondi per rendersi conto che qualcosa non andava. Dov’era William? Sherlock si fece prendere dal panico, cercò per tutta la casa, ma niente. Cos’era successo al piccolo mentre l’uomo dormiva? E dire che l’aveva tenuto stretto per tutto il tempo, si sarebbe svegliato se qualcuno l’avesse preso! Sherlock si maledisse: ecco perché non dormiva mai. Doveva essere vigile ventiquattro ore su ventiquattro.
Come una furia prese il cellulare sopra il tavolo, ma non fece in tempo a digitare niente perché lo schermo segnalava due messaggi ricevuti. Erano da parte di John, Sherlock aprì il primo e lo lesse.
 
Mary ed io siamo passati da Baker Street ieri sera e abbiamo preso William. Non abbiamo voluto svegliarti. JW
Ricevuto 01:12 a.m.
 
Comunque, grazie per tutto quello che hai fatto. Davvero. JW
Ricevuto 01:13 a.m.
 
William stava bene, meno male. Sherlock si concesse un sospiro di sollievo e si diede dello stupido: si era preoccupato per nulla.
 
La prossima volta che tu e Mary volete partire, non pensateci neanche ad affidare William alla signora Hudson. Per lui ci sarà sempre suo zio Sherlock. SH
Inviato 06:45 a.m.
 
 
 
*
 
 
 
 
Note dell’autrice: eccoci alla fine di questa mini-storia! Se siete arrivati fino a qui (dopo 10 pagine di Word) vi ringrazio davvero!
Spero che la storia vi sia piaciuta almeno un po’, come detto all’inizio, mi frullava un po’ in testa e ho voluto sperimentare pubblicandola. So che la spiegazione del caso e la risoluzione non sono l’eccellenza, ma fidatevi, è davvero molto difficile ricostruire una scena del crimine, capirne gli sviluppi e dargli una conclusione che non sia banale. Tutto ciò mentre Sherlock si occupa del nipote ed è proprio grazie a lui che comprende l’amore di una madre – o un qualsiasi parente – nei confronti di un bambino piccolo, sempre bisognoso di cure e attenzioni.
Comunque, nel complesso mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo e le battute dei vari personaggi (personalmente sono una frana nel descrivere, preferisco di gran lunga i dialoghi!) e a questo proposito volevo omaggiare due grandissimi shipper di Sherlock e John. Sto parlando ovviamente di Mary e Angelo! E’ stato esilarante poter pensare alla possibile reazione del primo shipper Johnlock – stupita ma contenuta –, alla vista di Sherlock con un bambino in braccio!
Per quanto riguarda gli ultimi messaggi tra Sherlock e John mi è piaciuto riprendere la conversazione del precedente capitolo e osservare come il consulente investigativo abbia cambiato idea sul bambino. Se prima occuparsi di William veniva visto come un “dovere” lentamente si è trasformato in un piacere che sarebbe disposto a ripetere più e più volte.  
(1): Gotcha. Ovvero “Beccato/a”, traducibile anche con “Ti ho scoperto/a”. Mi piace davvero questa parola in inglese e ho voluto lasciarla tale.
Quindi, arrivati alla fine, non posso non ringraziare tutte quelle persone che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e tutte quelle persone che hanno letto la storia – che ha ricevuto molte visite –  e a questo proposito, non è che vi si paralizza la mano se accennate a scrivere un minimo di recensione, anche per farmi capire se la storia vi è piaciuta o semplicemente per dirmi che l’idea non vi entusiasma e che avrei dovuto cambiare /fare dell’altro XD
Ringrazio, inoltre, la gentilissima Judith Kylem Sparrow per la bella recensione! :)
Sperando ancora una volta, che questa storia vi abbia regalato almeno un piccolo sorriso, vi saluto!
Alla prossima!
Fede
  
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