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Autore: Slyth    22/01/2014    2 recensioni
-Possiamo spingerci oltre. Marciare sulle altre capitali persiane: Susa, Persepoli, Pasargade, Ecbàtana. E poi ancora oltre, Efestione, finché Dario non sarà morto, e il suo impero non sarà mio di fatto. E dopo di nuovo più in là, fin dove possiamo spingerci, fin dove sentiremo di essere così lontani da casa da non poter tornare più indietro. Pensaci. Tutte le popolazioni sotto il dominio di un unico re-.
Terminò il discorso puntando gli occhi in quelli del compagno. Brillavano di quella luce affascinante e allo stesso tempo insana. Guardare negli occhi Alessandro significava credere davvero di poter fare qualunque cosa, significava salire su una nave che sapevi non avrebbe più gettato l'ancora, e avrebbe solcato in eterno i mari del sogno, per giungere alla gloria.
-Io ti seguirei ovunque- si limitò semplicemente a rispondere Efestione, prendendogli delicatamente una mano.
-Fino alla morte?-
-Fino alla morte-
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Una volta Alessandro mi disse: 'si resta soli, quando si diventa mito' >

                              ________________________________________________________________________________________

            
331 a.C

Entravano in Babilonia. 
Varie battaglie ed assedi avevano preceduto questo traguardo, innumerevole sangue macedone era stato versato. 
Lungo le sponde del fiume Granico, ad Isso, a Tiro, combattendo sotto le mura della città, ed infine, decisivamente, a Gaugamela, il suo esercito si era valorosamente battuto. Molte vite di uomini coraggiosi si erano spente, ostacoli che sembravano insormontabili erano stati superati con fatica.
Ma erano a Babilonia.
E Alessandro d'un tratto, chiudendo gli occhi, e assaporando le grida la folla che lo acclamava come un liberatore, si concesse per un istante il lusso di non darsi pensiero delle perdite subite, o degli sforzi immani compiuti. 
Erano a Babilonia. Stava sfilando in groppa a Bucefalo, la testa cinta d'alloro, lo scettro in mano, un gruppo di musici a precederlo a piedi, intonando dolci melodie.
Voltò il capo alla sua destra, e vi trovò Efestione. Gli sorrideva, sulla guancia la cicatrice dell'ultima ferita di guerra, non ancora rimarginata. Si fissarono per quello che fu un attimo infinito, mentre petali di rose venivano lanciati dall'alto, dai balconi delle case, volteggiando nell'aria e posandosi a terra e sulle loro vesti. Alessandro gli sorrise di rimando, annuendo impercettibilmente, smuovendo appena una ciocca bionda di capelli, sfuggita dalla corona d'alloro. 
Ce l'aveva fatta. 
Gli occhi del Re macedone brillarono di emozione, il suo sguardo vagò tra i presenti, tra la gente cuoriosa accalcata sulle mura, e tra i suoi generali, che lo seguivano poco più indietro. I suoi compagni di spada, i suoi amici di una vita. Coloro che lo avevano visto crescere, e che erano cresciuti con lui: Leonnato, Lisimaco, Tolomeo, Seleuco, Perdicca, Cratero, Parmenione, Filota, Nearco, e Clito, fedele a suo padre prima di lui.
Portò istintivamente una mano alla catenina che gli pendeva sul petto arrossato: il ciondolo con 
incastonato il dentino di Efestione era lì, quasi all'altezza del cuore, a sancire una promessa che aveva intenzione di mantenere a costo della vita.
''Fino alla morte?''
''Fino alla morte''.
Lo sfiorò, e portò di nuovo la sua attenzione sull'amico che tanto amava. 
-Efestione- mormorò, abbastanza chiaramente perché lo potesse udire.
-Alessandro-. Gli rispose, sollevando un angolo della bocca.
Ormai erano prossimi alla reggia che prima era stata la dimora di Re Dario.
-Guardati intorno, Efestione, ci acclamano. Questa gente ci accoglie come dèi-
-Acclamano te, Alessandro- 
Il Re scosse leggermente la testa, un petalo di rosa gli scivolò lungo la spalla, finendo sotto gli zoccoli di Bucefalo.
-Acclamano i loro liberatori, acclamano la fine dell'impero di Dario, e l'inizio di un nuovo regno-
Efestione si sporse appena in avanti, accarezzando distrattamente la criniera del proprio destriero.
Erano giunti alle porte della reggia di Babilonia. 
E, per tutti gli dèi, ad Alessandro parve di non aver mai visto la vera bellezza prima di allora. 
Smontò agilmente da cavallo, facendo cenno ad Efestione di imitarlo. Quando entrambi furono in piedi davanti alle porte del magnifico palazzo, Alessandro posò una mano sulla spalla dell'amico. 
-Mio padre non sarebbe mai arrivato sin qui, Efestione-, sussurrò, la voce rotta dall'emozione. 
-Sarebbe fiero di te, Aléxandre-
-E questo, mio amato Efestione, è solo una delle meraviglie che ci aspettano. Questo è l'inizio. Molto presto il regno di Alessandro conterà territori ben più ampi-. 
Efestione lo scrutò attentamente, cercando di catturare il suo sguardo. Quando infine ci riuscì, capì di aver avuto ragione: i suoi occhi. I suoi occhi brillavano di quella luce che non si sarebbe mai spenta, e che avrebbe segnato la sua grandezza, così come la sua fine.

°°°

Alessandro sedeva comodamente adagiato su lenzuola pregiate, nella propria stanza, all'interno del palazzo un tempo appartenuto a Re Dario. Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli leggermente, lasciando che lo strano -e tuttavia piacevole- aroma che impregnava la camera impregnasse anch'essi.
Ammirò la stoffa preziosa delle coperte e delle tende, il colore degli arazzi alle pareti, la lucentezza dell'oro delle coppe e dei vari soprammobili. Mai, mai aveva potuto ammirare tanta dimostrazione di ricchezza. E se ciò da una parte lo attirava inevitabilmente, dall'altra lo spaventava tremendamente. Perché Alessandro era giovane, vero, ma sapeva che la ricchezza rende da sempre l'uomo avido, ma soprattutto, tende ad affievolire lo spirito di un uomo valoroso, e ad appannargli la mente. 
Si preoccupava, Alessandro, per i suoi soldati, abbandonati al lusso della reggia di Babilonia, tra le braccia di concubini ed enunchi, vestiti di chitoni rifiniti in oro, profumati di oli rari e preziosi. 
Erano arrivati da una settimana, e già Tolomeo parlava di Babilonia come la sua nuova casa, già Filota si aggirava per il palazzo e per i magnifici giardini con incredibile familiarità, già Nearco indossava l'oro di Dario, e nessuno sembrava interessato a ripartire tanto presto.
Si stese sul letto, reclinando il collo su un morbido cuscino, cercando di trovare riposo tra i suoi pensieri tormentati.
-Phai-
La voce di Efestione proveniva ovattata da fuori dalla porta semichiusa.
-Efestione. Vieni, entra-. Ancora semiadagiato sul letto, Alessandro gli fece cenno di avanzare.
Efestione fece il suo ingresso nella stanza, dei pantaloni di stoffa leggera e un mantello riccamente decorato a coprirgli le spalle. Il petto era scoperto, e camminava scalzo. Si sedette accanto ad Alessandro, posandogli una mano tra il collo e lo zigomo. Alessandro socchiuse gli occhi, rilassandosi.
-Qualcosa ti turba, mio Alessandro-
Il Re si rizzò a sedere, e si diresse verso il balcone, scostando la tenda per uscire nell'aria mite della sera.
Efestione lo seguì silenziosamente.
Rimasero per un tempo indefinito a guardare davanti a loro, osservando i tetti della città, le strade, e talvolta gettando un'occhiata al cielo stellato e per niente coperto. Babilonia di notte, vista da lì, era uno spettacolo in grado di lasciare senza parole persino Alessandro il Grande, re dei Macedoni, ed ora anche dei Persiani.
-Siamo così lontani da casa, Efestione- proferì ad un tratto, puntando lo sguardo verso un luogo inesistente all'orizzonte.
-Hai nostalgia della Macedonia, Alessandro?-. Il tono del generale macedone era intenerito. -Torneremo presto. Babilonia è nostra, l'impero di Dario non esiste più. Torneremo a casa-.
Alessandro scosse deciso la testa.
-No, Efestione. Intendevo dire che non siamo ancora abbastanza lontani-.
Efestione sbarrò gli occhi, voltandosi verso l'amico.
-Mio re...-
Lo interruppe con un cenno della mano, e indicò un punto da qualche parte aldilà della linea del cielo.
-Possiamo spingerci oltre. Marciare sulle altre capitali persiane: Susa, Persepoli, Pasargade, Ecbàtana. E poi ancora oltre, Efestione, finché Dario non sarà morto, e il suo impero non sarà mio di fatto. E dopo di nuovo più in là, fin dove possiamo spingerci, fin dove  sentiremo di essere così lontani da casa da non poter tornare più indietro. Pensaci. Tutte le popolazioni sotto il dominio di un unico re-.
Terminò il discorso puntando gli occhi in quelli del compagno. Brillavano di quella luce affascinante e allo stesso tempo insana. Guardare negli occhi Alessandro significava credere davvero di poter fare qualunque cosa, significava salire su una nave che sapevi non avrebbe più gettato l'ancora, e avrebbe solcato in eterno i mari del sogno, per giungere alla gloria.
-Io ti seguirei ovunque- si limitò semplicemente a rispondere Efestione, prendendogli delicatamente una mano.
-Fino alla morte?-
-Fino alla morte-

  
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