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Autore: Lantheros    22/01/2014    0 recensioni
Ho detto molte volte che non avrei scritto un sequel a "L'Ultimo Volo". Beh... eccolo qui.
Terza parte di una saga che iniziai molto tempo fa, che parla di tematiche difficili come la disabilità e l'andare oltre le apparenze. Inutile ribadire come sia necessario aver letto i due predecessori (li trovate proprio qui su EFP e sul mio account).
A questo punto non troverete più semplici slice of life o approfondimenti del rapporto tra i due pegasi. Qui i Campioni potranno mettere in gioco se stessi per vedere di che pasta sono effettivamente fatti. Per vedere cos'hanno imparato.
Per giungere lassù nel cielo, oltre le nubi più basse.
Dove soltanto i cirri osano volare. Imperturbabili.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rainbow Dash, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Equestria, tredici anni prima; alle porte di un inverno che sarebbe presto sopraggiunto.

 

    Il pony rosa saltellò allegramente all’interno della carrozza, per quanto liberamente si potesse saltellare lungo il vagone di un treno in corsa. Il suo volto ad occhi chiusi sprizzava gioia e allegria. Stava trasportando qualcosa di non meglio definito, attraverso una doppia borsa a tracolla.

Pinkie dovette però fermarsi: il corridoio era affollatissimo e così si fece strada con un po’ di insistenza.

“Permesso! Mi scusi!”, iniziò a blaterare, introducendosi a forza tra gli occupanti, che non gradirono. “Può farsi da parte? Trattenga il respiro che ci passiamo anche in due! Oplà! Ehy, lei invece dovrebbe proprio mettersi a dieta!”.

La puledra riuscì a raggiungere la porticina dello snodo, sommersa dagli insulti e dagli improperi di coloro che aveva appena superato. Aprì l’uscio e dovette affrontare il breve tratto esterno, lambita dal vento e frastornata dal rumore metallico delle rotaie.

Constatò anche come il paesaggio scorresse veloce, attorno a lei, con il castello di Canterlot ormai un puntino lontano all’orizzonte.

Entrò nella carrozza successiva, chiudendo la seconda porta e lasciandosi alle spalle il baccano delle lamentele e dei rumori esterni.

Le amiche si voltarono ad osservarla.

 

    “Uff!”, sbuffò, improvvisamente esasperata. “Non capisco cosa ci provi di bello la gente nel viaggiare ammassata tutta assieme!”.

Applejack, comodamente sdraiata sul lettino, diede un colpetto al cappello sul volto e disse: “Pinkie… Non è che vogliono viaggiare ammassati. È che la nostra carrozza è privata”.

“Uhh… e perché?”.

Twilight distolse lo sguardo dal finestrino e lo portò sull’amica rosa, sorridendole: “Perché il caramello è fragile, Pinkie”. Spike era seduto accanto a lei.

“Ah già! Che stupida che sono!”, ammise, colpendosi la fronte con uno zoccolo.

Rarity era invece impegnata a tessere qualcosa con ago e rocchetto, sollevati tramite la magia, nonostante le difficoltà del viaggio in treno. Il suo sguardo era assorto nell’impresa: indossava gli occhialini per i lavori di precisione e un pezzetto di lingua le ciondolava all’angolo della bocca.

“Sono d’accordo con te, mia cara”, commentò, senza distogliere lo sguardo dall’indumento ancora incompleto.

“CHE BELLO COS’È???”, strillò improvvisamente la puledra dalla chioma riccioluta, facendo sobbalzare l’unicorno e mandandole all’aria tutto quanto.

Rarity strinse i denti, li sfregò rumorosamente tra loro, cercando di contenere la rabbia. Si tolse quindi gli occhiali e la osservò negli occhi, con voce calma e sbattendo amabilmente le palpebre.

“…è un… sono dei pigiami, mia cara. O meglio… vorrei che lo fossero prima del nostro arrivo…”, rispose con garbo.

“Ohh! Che idea carina!! Anche io voglio preparare qualcosa!!”.

Una timida voce si intromise nella discussione: “Uh… li hai… ritrovati?”, chiese cortesemente Fluttershy.

“Sìì!!”, dichiarò festosamente l’amica pasticcera, compiendo un balzello. “Li avevo dimenticati sull’altra carrozza! Meno male che il controllore mi ha avvisata per tempo e non li ha gonfiati!”.

Applejack risollevò la punta del cappello: “…uh… e perché avrebbe dovuto?”.

Pinkie slacciò la cinghia e ne rivelò il contenuto: due scatole ricolme di palloncini.

“Che domanda sciocca!”, le disse con leggerezza. “Avrebbe potuto gonfiarli e attaccarli alla locomotiva! Chi non vorrebbe un treno volante, scusa??”.

La puledra arancione si rituffò nel sonnellino: “…ed io che mi metto pure a chiederti spiegazioni…”.

“Palloncini?”, chiese Fluttershy.

“Certo!! Voglio che abbia il migliorerrimo benvenuto di sempre! Il più semprerrimo di meglio!”.

Il pegaso osservò meglio i contenitori: “Ma… uh… sono di due colori diversi. Come fai a sapere quali…”.

“Oh, anche tu fai domande sciocchine, allora!”, ribadì, mettendosi le zampe sui fianchi e ruotando gli occhi al soffitto. “Posso sempre gonfiarli tutti e poi scoppiare la metà che non serve!”.

Rarity, intanto, si era rimessa pazientemente a lavorare sul pigiama.

“Certo che”, riprese la stilista, infilando la fibra nella cruna dopo un paio di tentativi, “potevano anche avvertirci un po’ prima, eh… Non è propriamente una cosa da poco…”.

Sparkle si immerse nella discussione: “Hai ragione… ma sai… abbiamo saputo della notizia giusto un mese fa. Stanno facendo gli straordinari per mantenersi a galla. Probabilmente avranno avuto pochissimo tempo per prepararsi e ancor meno per avvertirci”.

L’amica unicorno smise per un istante il lavoro a maglia ed iniziò a parlare, compiendo la consueta pantomima a mezz’aria: “Mia cara… non saprei. Se non è un evento importante questo… allora quale lo sarebbe?”.

“Ma infatti siamo partiti appena possibile”, concluse la puledra viola.

“Sì ma, per Celestia! A saperlo un po’ prima uno si organizzava! Ora ho solo poche ore per preparare questi indumenti e dovrò farli in entrambe le versioni visto che non sapp…”.

    Un altro urlo, questa volta più energico e arrogante, proruppe alle spalle della stilista. Rainbow Dash sbucò dal sedile accanto, eccitata come non mai. Il cuore di Rarity le finì in gola e il lavoro a maglia sfumò per la seconda volta.

“AH! Ma ci pensate??”, sbottò con foga l’ex pegaso, stritolandosi le guance tra i suoi stessi zoccoli. “Ancora non posso crederci!!”.

Rarity sospirò rassegnata.

Spike si grattò il capo: “Ma sappiamo… cioè… uh… dove e quando?”.

“In effetti”, riprese Twilight dubbiosa, “abbiamo solo una manciata di lettere e l’avviso che sarebbe potuto succedere a breve. Poi non ci sono più arrivate notizie”.

“Magari”, buttò lì Fluttershy, “potrebbe già essere successo. O… oppure succederà a breve. Io, con i miei animali, ho imparato che non si può mai dire con sicurezza…”.

“Appunto!”, ribadì Dash, battendo uno zoccolo sul poggiaschiena (che era gemellato con quello della stilista, la quale non gradì l’ennesima interruzione). “L’unica cosa che sappiamo è che dovrebbe accadere a breve e tanto ci basta! Saremo là, prima o dopo non ha importanza!”.

Spike continuò ad esternare i propri dubbi: “Ma almeno sappiamo dove andare?”.

“No Spike”, rispose l’allieva della Principessa. “Sappiamo solo che lavorano dai parenti al Rusty’s: l’unico modo che hanno attualmente per coprirsi dai debiti”.

Pinkie riprese a saltellare per la carrozza: “Non ha importanza dove si trovino!! Andremo nella città che puzza e li cercheremo!”.

“Già!”, rafforzò Rainbow, colpendo di nuovo il sedile (Rarity, capendo l’antifona, aveva cambiato di posto). “Potremo trovarli al Rusty’s! In caso contrario ci diranno dove sono!”.

Twilight sorrise: “Sono sicura che andrà così. Con tutti i grattacapi che hanno avuto ultimamente, di sicuro non avranno fatto in tempo a prepararsi a dovere. Magari li troveremo nella clinica più vicina”.

La puledra dalla chioma arcobaleno balzò a terra, scrutando i presenti con sguardo fiero e deciso: “Questo è parlare! Non abbiamo nulla di cui preoccuparci! E poi stiamo parlando dei genitori di Icarus! Questi sono pegasi tosti tosti!”.

La puledra si voltò verso un angolo della cabina: “Non è vero, Icarus??”.

 

    Il pegaso dal manto grigio era seduto pacatamente ad uno dei sedili, rivolto verso il paesaggio che scorreva veloce. Aveva il mento poggiato ad uno zoccolo, a sua volta puntellato sul davanzale del finestrino. Gli occhi erano vagamente tristi e parzialmente riflessi dal vetro che aveva d’innanzi.

 

Era passato quasi un anno da allora.

 

Da quella notte. Dal suo primo, ultimo volo.

Da allora le cose, per lui, erano cambiate in modo radicale.

Si era lasciato alle spalle un passato fatto di solitudine e sofferenze.

Di lotte estenuanti e delusioni.

La sua vita (e quella di una puledra per lui molto speciale) non erano più state le stesse.

Tutto sembrava essersi ribaltato. In meglio, stranamente.

Purtroppo, però, gli acciacchi della malattia non tardarono a tornare. A ricordare che, con o senza ali, lui rimaneva pur sempre il pegaso con le ali di caramello. Un caramello speciale ma anche molto fragile. Un caramello che, col tempo, sarebbe divenuto sempre più sottile e delicato.

La compagnia delle sue amiche, tuttavia, riusciva a distrarlo, a mantenerlo concentrato sulla vita e su ciò che il mondo poteva offrirgli di bello.

 

Nonostante certe notti, tuttavia…

 

Ma anche le cose più brutte vacillavano, di fronte a lei. Di fronte all’isola di stabilità in cui pensava di essere approdato.

Un luogo sicuro, dove trascorrere con un po’ di serenità il proprio tempo.

 

E poi…

Quella notizia.

Così drastica, imprevista.

L’ennesimo fulmine a ciel sereno.

L’ennesimo terremoto, forse? No… non era qualcosa di così brutto.

Ma rimaneva comunque drastica.

Imprevedibile.


    “Ehy, Casanova?”.

La voce di Rainbow lo riportò al presente. L’ex pegaso era accanto a lui e lo osservava con aria interrogativa. Anche la amiche erano ammutolite ad osservarlo.

Il puledro si sentì l’attenzione di tutti addosso e farfugliò impreparato: “Uhhh… c-che succede? Ho… ho qualcosa di strano in faccia?”.

Dash lo squadrò con aria di sufficienza: “Sì… hai in faccia la tua tipica espressione da ho qualcosa che mi preoccupa ma tanto non è vero”.

“Ma non è vero!”, protestò.

“Visto?”.

“Ehy, zuccherino”, intervenne Applejack, avvicinandosi a lui. “Tranquillo, nessuna insinuazione. Devi ammettere, però, che sei taciturno da quando siamo partiti”.

“Sei zitto zitto!”, dichiarò Pinkie dispiaciuta.

“Già”, commentò Spike. “Di solito ci ammazzi di noia con i tuoi bla bla scientifici, peggio di Twilight”. L’unicorno viola gli diede uno spintone.

Icarus abbassò lo sguardo e cercò di inventarsi qualcosa: “Ecco… ecco io…”.

Rarity, dal suo angolino di stoffe e tessuti, intervenne spazientita: “Oh insomma! Quanto siete insistenti! È un evento importantissimo e sarà sicuramente stressato, tutto qui!”.

Icarus colse la palla al balzo: “Uh… e-esatto! Sono solo… un po’ nervoso…”.

“Beh è normale”, lo tranquillizzò dolcemente Fluttershy. “Sono cose che accadono poche volte nella vita. Beh… tranne quando hai a che fare con i coniglietti. A primavera scopro che, con i coniglietti, accade veramente tante… uh… certe volte troppe volte nella vita…”. Per un istante, uno scenario di devastazione da roditori, fatto di vegetazione divorata e distese di conigli, si palesò nella mente del pegaso giallo. Cercò di non pensarci.

    Dash ed Icarus si osservarono negli occhi. L’amico inarcò le sopracciglia, sperando con ogni cellula del proprio corpo che Rainbow credesse alla sua versione. L’altra, tuttavia, lo conosceva bene e sapeva leggerlo come un libro aperto. Qualcosa lo rodeva da dentro. Decise però di non insistere. Con lui non funzionava. Se voleva parlare, lo avrebbe fatto spontaneamente.

I due, dopo quasi un anno di convivenza, avevano sostanzialmente imparato a comunicare con il semplice sguardo.

Non me la conti giusta, disse un’occhiataccia di Dash.

Ti assicuro che va tutto bene, rispose lo sguardo di Icarus.

Una contrazione degli zigomi blu ribadì: come vuoi ma tanto non mi freghi e lo sai.

Un’ultima scrollata della chioma viola concluse: mai una volta che ti fidi di me.

 

    “Va bene, va bene”, dichiarò l’ex pegaso, voltandosi verso le amiche e preparandosi a distogliere l’attenzione dal compagno. “Facciamoci gli affari nostri e prepariamoci. Tra meno di due ore saremo a Steamdale”.

“SOLTANTO DUE ORE??”, sbraitò Rarity, questa volta mandando lei stessa in frantumi l’ennesimo tentativo di cucito.

“Chi mi aiuta a gonfiare i palloncini??”, trillò Pinkie Pie, spargendoli per tutta la stanza. “Se ce ne infiliamo uno per narice ci mettiamo la metà del tempo!”.

Icarus tirò un sospiro di sollievo ma incrociò inavvertitamente lo sguardo di Dash, poco prima che decidesse anche lei di allontanarsi.

L’amica gli sussurrò qualcosa, in modo che solo lui potesse sentire: “…lo sai che… che se vuoi parlare… io ci sono”.

L’altro le sorrise e le rispose con sincerità: “…lo so… chioma stramba. Non ti preoccupare”.

Un oggetto saettò improvvisamente tra i due, sgonfiandosi poi poco lontano e producendo un rumore imbarazzante. I due si voltarono perplessi.

“Ops”, ammise Pinkie, grattandosi la chioma e con un palloncino infilato nel naso. “Colpa mia…”.

 

*** ***** ***

 

    I freni del treno fischiarono rumorosamente, una volta raggiunta la destinazione.

Pinkie cercò più volte di pulire il vetro del finestrino, solo per accorgersi che la patina grigiastra non era sporco, bensì la cappa di smog all’esterno del mezzo.

Le porte si spalancarono e i controllori esortarono gli occupanti ad abbandonare le carrozze.

Le amiche si incamminarono e altrettanto fece Icarus, non prima di aver inspirato profondamente, come se stesse per affrontare qualcosa di estremamente importante.

Uscirono e gli zoccoli impattarono col freddo pavimento metallico della stazione.

Il vociare e il camminare dell’andirivieni di pony era tutto ciò che si poteva udire. Il sole filtrava a fatica, attraverso la densa nube che ovattava quasi ogni cosa.

Poi, forse per una folata di vento improvvisa, forse per una semplice coincidenza, la cappa iniziò pian piano a diradarsi. I visitatori ammutolirono, spalancando le bocche e alzando progressivamente il muso verso l’alto.

Steamdale, a quasi un anno di distanza, si era ingigantita oltremisura.

I palazzi rugginosi svettavano alti come non mai, ammassati l’uno sull’altro senza un ordine preciso. Il fumo delle ciminiere sostituiva l’azzurro del cielo, creando i canonici giochi di luce con il sole, dalle tonalità terrose e vermiglie. E gli zeppelin… erano ovunque, ancor più grossi e variegati di quanto si ricordassero dalla loro ultima visita. Le parti non ancora corrose degli edifici riflettevano il tenue bagliore di un sole che sembrava sul procinto di spegnersi.

I velivoli solcavano i vapori dei comignoli, quasi fossero imbarcazioni lambite da un mare denso e fumoso. Si muovevano grazie ai sistemi di propulsione più curiosi e disparati mai visti: eliche, getti di vapore o grosse ali di tela mosse meccanicamente.

Una raffica di piccole esplosioni raso terra fece sobbalzare gli osservatori, riportando l’attenzione sulla strada: vigeva un intricato traffico di mezzi su ruote, sospinti da caldaie e altri curiosi alambicchi. I guidatori erano agghindati come aviatori e anneriti dalle mefitiche esalazioni dei loro stessi veicoli.

Anche i semplici pedoni riportavano su di sé i segni della costante esposizione all’inquinamento: vestiti d’altri tempi anneriti, sgualciti, dai risvolti intrisi d’olio e adorni da strani marchingegni meccanici.

Il progresso, a Steamdale (se così si poteva definire), aveva compiuto falcate da giganti, causando un boom demografico della città a dir poco strabiliante. Ma un’espansione così rapida era accompagnata altresì dai segni del capitalismo sconsiderato, come edifici popolari mascherati dalla facciata di grattacieli all’avanguardia. Gli ingranaggi rumorosi sbucavano ovunque, tra pareti e viottoli, così come le tubature, gli sbuffi di vapore e mucchi di ciarpame metallico sparsi per i budelli.

    Rarity, a quella visione, ebbe un mancamento. Si sorresse a Fluttershy e sentenziò: “…Celestia… dammi la forza…”.

Uno dei numerosi veicoli a carbone passò accanto al gruppetto e riversò un’esalazione di combusto in faccia ad Icarus, annerendolo completamente. Il pegaso riaprì le palpebre, con non poche difficoltà, quindi commentò con sincerità: “…fantastico…”.

Spike lo osservò basito: “Fantasticamente degradante, vorrai dire…”.

L’altro si perse ad osservare i curiosi marchingegni che gli passavano d’innanzi: “…no… fantastico…un perfetto uso dell’energia termica convertita in potenziale cinetico”.

Twilight si illuminò: “Hai ragione! Mi chiedo se operino a regime isotermico o per gradiente puntuale!”.

Decine di pony agghindati orribilmente, odori terrificanti e caos tutt’altro che lindo spinsero l’unicorno bianco ad assumere il controllo della situazione. La stilista si portò in testa alla formazione, spintonando Sparkle con un colpo di sedere.

“Sentite, voglio rimanere in questo cimitero del buongusto il minor tempo possibile! Per cui vediamo di darci una mossa e in fretta!”.

Con quelle parole, Rarity attraversò la strada, solo per udire uno stridio metallico e una strombazzata. Uno dei veicoli aveva frenato bruscamente, rischiando di investirla.

“Aò!”, urlò il guidatore, togliendosi gli occhialoni e rivelando il naturale colorito del pelo. “Vedi dove cammini, principessa??”.

L’altra lo osservò con tutto l’odio che riuscì a trovare. Il corno bianco si illuminò e così fecero i comandi del curioso mezzo su ruote, che prese poi a sgasare e sparare valvole e bulloni in ogni direzione, emettendo infine un piccolo botto dalla ciminiera, assieme ad un funghetto fumoso. L’autista si coprì la testa con le zampe.

“Buongiorno anche a lei!”, concluse infine la stilista, riprendendo a trottare a muso alto.

Le amiche gli sorrisero imbarazzate e si apprestarono a seguirla.

“…turisti”, farfugliò lo sventurato.

    Twilight si portò a fianco dell’amica, seguendola con passo spedito.

“Ehm, Rarity?”.

L’altra manco la guardò in faccia: “Senti non voglio sentire niente. Voglio solo abbandonare queste strade fetenti e trovare ‘sto benedetto Rusty’s!!”.

Dash diede una gomitata accennata alla spalla di Icarus: “Ah! Lei pensa che quel trogolo sia meglio di quello che c’è qui!”. Si accorse quindi di come il compagno avesse appena sorriso alla sua osservazione, come se un profondo senso di tristezza e preoccupazione gli impedisse di esprimersi al meglio.

La compagna se ne accorse immediatamente ma sapeva che quello non era il momento, né il luogo. Decise di non pensarci.

 

    Il gruppetto continuò la propria marcia, spostandosi lungo le vie secondarie, in mezzo al caos tipico di una metropoli. Fluttershy tentò persino di svolazzare un po’ ma il repentino fischio di un vigile la fece svanire in mezzo alla folla, dalla paura. Steamdale rimaneva una zona a volo proibito, per i pegasi. Le motivazioni non vennero mai chiarite, nonostante molti pensassero fosse la semplice rivalsa di una popolazione costituita prevalentemente da inventori e unicorni, tutti indaffarati a rendere il volo una “esclusiva” non solo per chi nasceva con le piume ai fianchi.

Rainbow aiutò la combriccola a districarsi nei budelli.

Molte cose erano cambiate anche per lei, dall’ultima volta, e non le fu facile riconoscere il percorso per il Rusty’s. L’odore, il rumore, l’ambiente… tutto le riportò addosso una valanga di ricordi. Per un istante, si fermò addirittura ad osservare i grattacieli, sperando di riconoscerne uno… particolare.

Il luogo in cui, in un modo o nell’altro, qualcosa era scattato dentro di lei.

Il luogo in cui perse la volontà di lottare solo per se stessa, decidendo che certe cose avrebbero assunto valore solo se condivise… Ma non lo vide o forse non lo riconobbe, probabilmente ingoiato dalla moltitudine dei nuovi palazzi, ancor più alti. Sperò addirittura di ritrovare il locale in cui bevvero il famigerato SnowCherry, ma quello sarebbe stato davvero impossibile in una città così grande e così mutevole.

 

    Dopo parecchi minuti (e mantenendo una faccia da poker pensando di essersi smarrita), l’ex pegaso individuò il vicoletto del Rusty’s e indirizzò i pony verso la giusta direzione.

Rarity si fermò un istante, con volto estremamente preoccupato. Osservò le pozze sul ciglio stradale, si tenne alla larga dai vapori dei tombini, scrutò con sospetto alcune ronzanti insegne al neon e, infine, si ritrasse da un tizio che le sorrise con pochi denti in bocca, emerso da un ammasso di bidoni a bordo strada.

“Rainbow Dash!”, le sussurrò rapidamente all’orecchio, continuando a scrutare i dintorni con nervosismo.  “Dove cavolo ci stai portando?? Credevo saremmo andati dai parenti di Icarus!”.

“Ma questa È la via dove stanno i parenti di Icarus”, le rispose beffardamente.

“Cos…”.

Applejack la superò, con aria di superiorità: “Ahh! Niente male, qui! Certo, non è come l’aperta campagna, ma è un ambiente grezzo e due volte meno puzzolente del recinto dei polli!”.

Pinkie e Fluttershy, invece, si stavano intristendo a vicenda.

    I pony giunsero di fronte al locale. Non era cambiato per nulla. La scritta “Rusty’s” torreggiava sull’ingresso ed era un po’ più sbiadita. Le vetrate presentavano un grazioso effetto fumé, dovuto in realtà alla scarsa igiene del posto.

L’unicorno bianco si preparò a sentire urla agghiaccianti provenire dall’interno, da un momento all’altro. Oppure spari d’arma da fuoco e altri fenomeni poco rassicuranti.

Il pegaso grigio giunse lentamente, zoppicando molto più di un tempo e con molta più fatica. A nulla erano serviti i tentativi per convincerlo: di usare una sedia a rotelle manco se ne parlava. Diceva che avrebbe preferito trascinarsi col mento, piuttosto che risalirci sopra. Troppi brutti ricordi.

Icarus si fermò d’innanzi alla facciata principale, avvertendo una strana sensazione al petto. Un’emozione simile a quella provata da Rainbow, quando era andata a cercarlo all’Emerald Lake, più di un anno prima. Ma lui non poteva saperlo.

Fu l’ex pegaso a prendere l’iniziativa: spalancò la porta e un campanello appeso ad un filo ne annunciò l’ingresso.

 

    L’interno si presentò quasi identico al suo primo arrivo.

Era in penombra, sudicio e con qualche tavolino sporco. La clientela poco raccomandabile, tuttavia, non c’era più… per il semplice fatto che non vi erano avventori.

Oltre il bancone in fondo alla stanza, Brutus presidiava imperioso il proprio posto. Stava riordinando alcuni bicchieri sulle mensole, dando le spalle all’ingresso.

Lo stallone indossava probabilmente lo stesso grembiule dell’ultima volta (Dash pensò che non se lo fosse letteralmente tolto di dosso).

Il suo vocione saturò l’ambiente: “Siamo chiusi. Non hai letto il cartello?”.

La puledra corrugò lo sguardo e controllò i dintorni. Noto quindi un foglio di carta stropicciato, per terra.

“Non sapevo sapessi scrivere…”, rispose ironicamente.

Le orecchie dell’altro si drizzarono e si voltò lentamente.

“…quella voce… Zia Ermengilda!!”, tuonò con gioia. Si accorse quindi che non era sua zia e il volto barbuto tramutò in un’ulteriore espressione di incredulità. “…m-ma… ma tu… sei…”.

Dash sorrise.

“AH!”, urlò il proprietario con foga, battendo un pugno sul tavolo e facendo tremare la vetreria su di esso. “Riconoscerei quella chioma ridicola tra mille!!”.

“Anche io sono scontenta di rivederti, puzzone”, lo schernì entrando.

Le amiche, con un po’ di titubanza, iniziarono ad occupare il locale.

“E vedo che hai portato il circo con te!”, concluse con ilarità.

“Circo? Dove??”, domandò Pinkie entusiasta, guardando ovunque, persino sotto i tavoli.

Quando Icarus fece la sua comparsa, Brutus si illuminò di gioia. Scavalcò il bancone e si fiondò con prepotenza su di lui. Il gracile pegaso strinse i denti dal terrore, immaginandosi spezzato in due come un fuscello. Dash lo bloccò in tempo.

“Uoh, uoh… frena palafreno! Così me lo rompi tutto!”.

“Ah… uh… giusto…”, balbettò improvvisamente mite e mansueto, stropicciandosi il camice tra gli zoccoli.

Il puledro dalla chioma viola sorrise imbarazzato: “Oh… ehm… c-ciao… Brutus…”.

“Ah! Icarus bello!!”, esultò, cercando di trattenersi. “È… è da così tanto tempo che non ti vedo!”.

“Già…”, rispose. “Un… sacco di tempo”.

    Raggi di luce celestiali e un improvviso rallentamento temporale introdussero invece l’ultimo dei visitatori: una puledra bianca dalle lunghe ciglia, che aprì la porta d’ingresso con la magia e si presentò con faccia schifata dalla sporcizia. Per Brutus fu un colpo al cuore e il suo volto nerboruto si paralizzò ad osservarla.

L’unicorno richiuse l’uscio dietro di sé e si osservò uno zoccolo, con volto disgustato: “…non voglio manco sapere cosa posso aver calpestato venendo qui…”.

Lo stallone fulvo continuò ad osservarla e ad annodare il grembiule tra le zampe, fino a renderlo un contorto ammasso di fibre.

Un colpetto di Dash lo fece rinsavire.
“Ehm, coso? Ci sei?”.

“Ah. Uh. Sì. Azzurri”, balbettò Brutus, continuando ad osservare le pupille della stilista, che manco ci fece caso.

L’ex pegaso controllò il locale, vagamente dispiaciuta.

“Vedo… vedo che non hai molti clienti…”.

L’altro riuscì a distaccarsi momentaneamente dallo sguardo della puledra bianca e Spike, dietro a tutte, iniziò a guardarlo in cagnesco.

“Oh, il locale? Sì… sì, io… l’ho chiuso momentaneamente…”.

Icarus corrugò la fronte: “Chiuso? E… perché mai?”.

“Ah beh, ecco…”, cercò di spiegare, puntando il muso verso il pavimento unto. “Prima… riuscivamo a tenere in funzione il servizio. Avevamo qualche zampa in più ad aiutarci ma… ma ora…”.

“Aspetta”, lo interruppe il parente. “Avevamo? Cosa… Dove sono mamma e papà?”.

Il bestione parve ravvedersi in una frazione di secondo e berciò: “Per tutti i sidro, Icarus, è vero!! Tu non sai niente!”.

“Non so cosa??”, domandò innervosendosi.

“Sunshine e… e il damerino…”.

“…papà”.

“Sì! Cucciola e mister doppiopetto! Sono dovuti andar via da poco!”.

“Ma… dove… perché…”.

Brutus cercò di spiegarsi al meglio: “Sono… sono andati in una clinica locale non molto tempo fa, per dei controlli! Quando sono tornati, mi hanno riferito che il medico aveva diagnosticato possibili complicazioni…”.

Icarus avvertì un fulmine folgorargli il cuore, come se si fosse fermato per un istante. Anche le amiche rimasero zitte ad ascoltare, decisamente preoccupate.

“C… complicazioni…? M-ma… Stanno… sta bene?”.

“Io… io non ne capisco di queste cose”, continuò l’altro. “So solo che il medico conosceva i… insomma…”. Lo stallone puntò gli occhi nocciola verso quelli viola, con un’improvvisa difficoltà nel parlare. “…i-insomma… conosceva i precedenti… cioè…”.

Icarus sembrò spazientirsi: “Ho capito! Sapeva di me e del mio fisico sgangherato. Ora puoi arrivare al punto??”.

“S-sì, scusa. Dicevo… sapeva dei precedenti e… e quindi, per evitare problemi, ha consigliato di mandare tua madre in una clinica specializzata, dove potessero tenerla sotto osservazione fino… fino al…”.

“Osservazione? Dove?”.

“…all’Emerald Lake…”.

Il puledro trasalì e si mise le zampe tra i crini: “COSA?? Avete mandato mamma in quel posto??”.

“Vedi Icarus… devi capire che non… che non navighiamo nell’oro… anzi… e… e l’Emerald Lake ti ha tenuto sotto cure per un sacco di tempo e…”.

“Lo so bene, per Celestia!!”, sbottò furioso. “Ecco perché non voglio che mia madre sia in un posto simile!”.

“Ma lì sono pronti ad ogni evenienza! Possono partire già preparati!”.

“Preparati? PREPARATI?? Hai visto cosa sono riusciti a fare quei pagliacci in camice, con me?? Cos’hanno risolto??”.

Rainbow gli mise le zampe attorno alle spalle: “Calmati, Icarus…”.

“Non è solo questo”, precisò Brutus. “La clinica, proprio per… insomma… per il tuo fallimento… ha offerto assistenza gratuita a cucciola…”.

“Cosa?”, chiese retoricamente. “L’Emerald Lake? Impossibile! Almeno che non abbiano silurato quel pallone gonfiato del primario!”.

“Beh”, disse Dash sorridendo. “Tecnicamente io l’ho fatto…”.

“Non so che dirti, Icarus bello!”, rispose il proprietario del Rusty’s, alzando le zampe a mezz’aria. “Questo è tutto quello che so!”.

“Quando sono partiti?”, domandò il pegaso.

“Uhh… tre giorni fa”.

“Quando si dice il tempismo…”, sussurrò Applejack.

 

    Icarus abbassò il muso e si fece pensieroso, scuotendo il capo: “… all’Emerald Lake… non posso crederci”.

“Beh…”, cercò di intromettersi Twilight. “Forse… forse è davvero la soluzione migliore per…”.

L’amico le lanciò un’occhiataccia e l’unicorno si tappò la bocca da sola.

“Devi insegnarmelo…”, gli disse Spike.

“Ascolta, Icarus”, riprese Brutus, mettendogli la grossa zampa sulla schiena. “Cosa pensavi che potesse accadere se… se fosse rimasta qui? I dottori in città non se la sono sentita di darci certezze. Se nemmeno loro erano sicuri… cos’altro… cos’altro avremmo potuto fare?”.

Il puledro non rispose e si limitò a mostrare un volto decisamente adirato.

    “Va bene. Ormai la frittata e fatta”, disse infine Icarus. “Torniamo in quel tugurio di matti e vediamo se…”.

“…ora?”, domandò Rainbow.

“Sì, ora. Perché?”.

“No, cioè…”, ammise. “Siamo appena arrivate dopo un viaggio di quasi dieci ore… Per andare all’Emerald Lake dobbiamo tornare dalla stazione degli zeppelin e farci un altro viaggio… Noi siamo stanche e tu ti reggi a malapena sulle zampe e…”.

“Preoccupati delle tue, che alle mie ossa ci penso io”, rispose stizzito.

Rainbow provò l’irrefrenabile voglia di rispondergli per le rime. Ma comprese il turbamento che lo aveva letteralmente aggredito dall’interno.

Fluttershy, che fino a quel momento aveva cercato di mimetizzarsi nell’ambiente, decise di farsi avanti: “Uh… p-perdona se… se ti dico che… forse sarebbe meglio se aspettassimo almeno per questa notte. Andare a cercare i tuoi genitori in queste condizioni credo sarebbe più deleterio che altro e…”.

L’amico la osservò intensamente e il pegaso paglierino pensò che sarebbe esploso di rabbia. Ma Icarus rimase spiazzato dalla delicatezza e la dolcezza del pony di fronte a sé e sbuffò: “Uff… va bene, va bene. Dormiamo e poi partiamo per la prigione sul lago. Come volete”. Si mise a zampe conserte e assunse un atteggiamento schivo.

“Potete fermarvi qui!”, propose Brutus.

Un brivido di gelo si diffuse per la colonna vertebrale di Rainbow. Anche Rarity percepì una brutta sensazione, dentro di sé.

“D-dormire qui?”, balbettò l’ex pegaso.

“Certo! Le stanze sono vuote, fatta eccezione per un tizio baffuto nella numero tre! Ma non vi preoccupate, lo sbatto fuori in due secondi!”.

“M-ma… non è il caso”, buttò lì. Quella volta potevano permettersi di alloggiare dove preferivano.

“INSISTO!!”, ruggì Brutus, sfondandole i timpani. “AMANDA!!”.

“Che c’è??”, urlò una giumenta al piano di sopra.

“Porta delle lenzuola extra!”.

“E perché?? Prenditele da solo, lavativo!”.

“Icarus e le sue amiche stramboidi si fermano a dormire qui!!”.

“…ah. Ok. Finisco la maschera di bellezza e arrivo…”.

    Rarity sfoggiò un sorriso ironico: “Ragazze… non penserete mica che io…”.

Brutus si strusciò rapidamente le zampe sul pelo, come se quel gesto potesse renderle meno lerce. Si fece avanti, afferrando uno zoccolo della stilista e sfoggiando uno sguardo da conquistatore (più simile ad un mulo con paresi facciale, in realtà).

“Madàmm”, le disse, improvvisando un terribile francese. “Le assicuro che si troverà benissimo presso la nostra umile stamberga”.

L’altra sfoderò un fintissimo sorriso di circostanza.

“Andiamo, Rarity”, la schernì Applejack, incamminandosi per i corridoi. “Non vorrai mica rifiutare l’ospitalità dei parenti di Icarus, vero?”.

“Ah… m-ma io… non… oserei mai…”, balbettò incerta.

“Non se ne pentirà!”, concluse ammiccando.

La puledra deglutì.

 

*** ***** ***

 

    Il gruppetto seguì Brutus su per le scale, giungendo quindi in un corridoio con alcune porte.

Lo stallone andò d’innanzi alla numero tre e la percosse con violenza.

Dopo qualche minuto si udì uno scattare metallico e un pony si affacciò sull’uscio. Aveva due grossi baffi grigi, monocolo e cilindro sul capo.

“I signori desider…”.

“Fuori di qui, baffolo”, lo esortò lo scimmione, senza tanti complimenti.

“C-come? Ma ho diritto alla stanza fino a…”.

Brutus lo afferrò per la collottola e lo mandò via a calci: “Sì? Beh, i giorni dispari della settimana non serviamo i tizi coi baffi”.

“Ma che modi!”, protestò, ricevendo poi la sua stessa valigia al volo.

“Guarda che non era il caso, Brutus…”, affermò il pegaso grigio.

“Bah. Stava andando avanti a pagherò da almeno tre giorni. Ora ho una buona scusa per levarmelo dalle scatole. Comunque ho tre stanze libere. Dividetevi pure come preferite”.

Applejack non si fece soffiare la ghiotta occasione e abbrancò prontamente Rarity e Pinkie tra le zampe: “Io sto con la bella e la bestia!”.

La puledra bianca inorridì: “COSA?? Starai scherz…”.

“Applejack!”, protestò Pinkie. “Rarity non è poi così brutta, dai!”.

“Oh, allora per lei, mia dolce puledra”, spiegò con cortesia lo stallone, “le riservo la camera migliore”. Le aprì la porta, presentandola ad un monolocale identico agli altri, fatta eccezione per le tendine alle finestre, che erano state lavate da meno di un mese.

Twilight si rivolse quindi al suo aiutante ed a Fluttershy: “Noi staremo insieme, allora”.

I due compagni annuirono.

Brutus tornò da Rainbow ed Icarus: “Ah! Per voi due allora riservo la stessa stanza che diedi a chioma stramba l’ultima volta! Chissà quanti ricordi!”.

Dash ripensò alla bruttissima esperienza: “Già… indimenticabili, proprio”.

“Mi raccomando, Icarus!”, lo riprese l’altro. “Se hai bisogno di qualsiasi cosa, non hai che da chiederlo!”.

“…grazie, Brutus”, gli rispose con sincerità. “Lo apprezzo molto”.

“Io un po’ meno”, farfugliò Rarity a denti stretti.

 

    Il proprietario diede le ultime raccomandazioni e le informò che, senza certezza alcuna, le lenzuola (quasi) pulite sarebbero dovute arrivare entro l’alba.

Le fece anche cenare rapidamente nel locale a pian terreno, fornendo un pasto che Spike non esitò a definire “mostruosamente insolito”.

Calò quindi il sole e, dopo gli ultimi saluti (e qualche protesta), ognuno si avviò verso la propria stanza.

 

    Dash constatò con piacere come la finestra fosse stata riparata.

L’ingranaggio rumoroso all’esterno non emetteva più alcun suono, per il semplice fatto che era stato estirpato malamente dalla sua sede. Qualcuno doveva averne avuto abbastanza.

Il materasso era sozzo uguale e, sulla vasca da bagno, era stato affisso un cartello definitivo “Non usare. Utilizzare al massimo come contenitore”.

E così la puledra si ritrovò nella stessa bettola di allora: piccola, scura e con un’unica lampadina che penzolava dal soffitto. La carta da parati non si vedeva nemmeno più, tanto era logora.

Icarus chiuse la porta e controllò pensieroso l’ambiente.

“Quindi tu hai dormito qui, uh?”.

“Scherzi? Ci ho passato notti insonni e basta”, rispose, saggiando la durezza del materasso.

L’amico parve rabbuiarsi un po’: “…sai… se penso che… che mamma e papà sono stati un anno a lavorare qui… in questo stato. Per… per sostenere i debiti che si sono accollati… a causa… a causa mia…”.

Rainbow si girò verso di lui, spazientita: “Senti… non ricominciare con la solita solfa”.

“No, no. Tranquilla. Però… non nego che la cosa mi lasci tutto tranne che indifferente”.

“Ti capisco, Icarus. Ma meglio avere un lavoro modesto, piuttosto che non avercelo affatto”.

“Lo so, lo so. Sono solo stufo di dover sempre pesare sulle spalle di qualc…”.

L’ex pegaso gli lanciò un’occhiataccia terribile e il puledro avvertì un brivido lungo la schiena. Si voltò verso la finestra, cambiando completamente discorso.

“Dicevo… il sole è particolarmente spento, stanotte”, improvvisò, sperando che la cosa finisse lì.

    La coppia cercò quindi di sistemare al meglio i giacigli e si preparò a dormire.

Icarus, volente o nolente, non era assolutamente in grado di sistemare il proprio letto, così lasciò fare alla compagna. Stette ad osservarla alle spalle, intristendosi progressivamente. Quando l’altra ebbe finito, si voltò e lo vide.

“Uh…”, buttò lì il pony dagli occhi viola. “Senti… v-volevo… volevo scusarmi…”.

“Mh. Per quale delle tante cose che avresti detto o fatto?”.

“Per stasera. Per come… per come ti ho risposto”. Abbassò lo sguardo, con evidenti difficoltà nell’essere sincero. “Non avrei dovuto. È che… ero arrabbiato e…”.

Dash gli sfiorò delicatamente il muso con uno zoccolo, come per zittirlo. Gli sorrise.

“Sai… in realtà mi piace quando cerchi di scusarti. Sei così dolce”.

L’altro si ritrasse, arrossendo visibilmente: “M-MA!! MA COSA STAI DIC…”.

“Però ormai ti conosco. Sei una testa calda. Se non fossi in grado di sopportarti, ti avrei già tirato fuori dalla finestra come feci con il dottor Pane&pepe”.

Icarus si grattò la chioma e distolse lo sguardo: “Sì… beh… comunque scusa, ok? Quando mi arrabbio non riesco più a controllarmi… E quella notizia mi ha fatto arrabbiare parecchio”.

La puledra tirò la coperta coi denti e si apprestò a balzare sul materasso.

“Sì… ma… Icarus, capisco il motivo per cui non vuoi avere più niente a che fare con quel posto…”.

“Infatti…”.

“Ma rimane pur sempre un centro medico. Panpipe o meno, ci sono sicuramente dei bravi dottori, lì…”.

“Sì, ci sono…”.

“Ecco”, ammise, sistemandosi nel letto e cercando di entusiasmarlo un po’. “Significa che sono in buone zampe”.

Ma l’amico non si entusiasmò affatto. Anzi. Si avvicinò al proprio materasso e si bloccò d’innanzi ad esso, con sguardo spento.

“…sai cos’è, Dash?”, le domandò infine, ruotando il capo.

“…dimmi”.

“Sapere… il motivo per cui sono stato lì… e… e sapere il motivo per cui c’è andata mia madre… c-cioè…”.

Rainbow sospettava fosse quello il motivo dei suoi turbamenti. Ora ne aveva la conferma e tentò di rassicurarlo, ben sapendo quanto difficile potesse essere.

“Ho capito, Icarus. Ma hai sentito cosa ha detto Brutus, no? È solo per una questione preventiva. Non hanno diagnosticato nulla”.

“Anche a me inizialmente non diagnosticarono nulla”.

“Ma perché non si poteva sapere. Ora… ora, invece…”.

Il pegaso vuotò il sacco. Sollevò le zampe nell’aria ed iniziò a gesticolare con foga.

“Ma cosa gli è saltato in mente??”, sbottò. “C-cioè… cosa… per quale motivo in Equestria si sono presi un rischio simile?? Perché?? Si sono forse bevuti il cervello??”.

“Icarus, certe volte succede e basta… Non credo che i tuoi genitori abbiano deciso di assumersi una tale responsabilità per nulla”.

“Per tutti i cirri, lo spero!!”, commentò impulsivamente.

“Dai. Domani andremo a trovarli e vedrai che… che sarà tutto a posto”.

Icarus avrebbe voluto continuare a parlare e mettere a nudo tutto ciò che percepiva nel petto. Alla fine si trattenne e decise a sua volta di salire a fatica sul giaciglio.

“…va bene, Dashie. Vedremo domani”, disse, sdraiandosi su un fianco e dandole le spalle.

L’amica lo osservò in silenzio, quindi allungò uno zoccolo verso un interruttore a muro.

“…comunque”, aggiunse, prima di spegnere la luce, “ricordati sempre che… che si vola assieme… ok?”.

“…lo so… assieme”.

 

La luce si spense.

 

*** ***** ***

 

    Passarono i minuti. Ai minuti subentrarono le ore.

Il giovane pony non riusciva assolutamente a dormire.

Un caotico ribollire di pensieri ed emozioni lo lambivano dall’interno, impedendogli qualsivoglia tentativo di prender sonno.

Superata una certa ora e con le tende completamente tirate, persino il pernottamento a Steamdale poteva definirsi passabile, nonostante il costante ronzio dei macchinari lontani e delle tubature.

Icarus si girò più volte nel letto, puntando infine gli occhi al soffitto, dopo un lungo sospiro.

    Udì quindi un rumore ovattato provenire dal muro accanto alle proprie orecchie.

Si voltò incuriosito. Qualcuno stava parlando, nella camera limitrofa, e le pareti erano così malridotte da rendere lo spionaggio un atto pressoché involontario.

Sapeva che non avrebbe dovuto impicciarsi ma la notte era ancora lunga e tanto valeva impegnare un po’ il tempo.

Accostò il capo. Dopo qualche istante riconobbe le voci: erano Twilight e Spike che parlavano tra loro, pensando che la voce fosse bassa a sufficienza. Cercò di concentrarsi, per cogliere ogni singola parola.

 

“…no, non è quello che intendevo. Cioè… è davvero una bella notizia”. Era la voce del piccolo drago.

“E allora di cosa ti preoccupi, Spike?”.

“Non è che sono… preoccupato… Sono solo… un po’… perplesso, ecco…”.

“Sunshine è assieme a Daedalus in un centro molto facoltoso. È assolutamente fuori pericolo”.

 

Icarus razionalizzò e cercò di rasserenarsi, udendo quelle parole.

Spike riprese il discorso dopo una breve pausa. Dal tono si capiva come avesse qualche difficoltà nel comunicare.

 

“Lo so, Twilight. Cioè… è vero. Ma…”.

“Cosa, Spike?”.

“…ecco. Mi stavo chiedendo… se… se Icarus è nato con quel… problema… allora non credi… Insomma, non pensi che potrebbe avercelo anche lui… o lei?”.

 

Il cuore, nel minuto petto grigio, ebbe un sussulto.

 

“È… è una faccenda molto delicata, Spike. Parliamo di una malattia unica e praticamente sconosciuta. È molto… difficile fare delle previsioni…”.

“…capisco”.

 

La voce dell’unicorno parve riaccendersi.

 

“Secondo me, le probabilità che si verifichi due volte di fila… Cioè, non me ne intendo molto ma… penso sia molto difficile che possa accadere”.

“Mah. Lo spero tanto…”.

“Anche io Spike. Ma ora è inutile farsi mille domande. Domani ne sapremo di più”.

“Sì. Sì, hai ragione”.

“Allora… buonanotte, Spike”.

“…buonanotte”.

 

Calò il silenzio.

 

    Il respiro di Icarus era forte, dannatamente forte.

Il pegaso si rimise sul letto, con gli occhi sbarrati.

Cercò di fare ordine nel turbinio di emozioni ma non vi riuscì. Tentò di calmarsi.

 

Dentro di sé si rese conto di cosa sarebbe potuto accadere.

 

Un pegaso con i suoi stessi problemi.

Qualcuno che sarebbe stato esattamente come lui.

Che avrebbe vissuto i suoi stessi guai. I suoi stessi malesseri.

Isolato, forse, dal resto del mondo.

 

“Perché?”, si domandò nella mente, stringendosi la testa tra le zampe.

“Perché azzardarsi tanto?”. Potevano essere stati… così egoisti?

 

Icarus ebbe poi un pensiero molto particolare, che lo indusse a riporre lentamente le zampe lungo i fianchi.

 

E se…

 

E se fosse stato sano?

 

Un pony… normale.

Un pegaso esattamente come tutti gli altri.

Senza ossa di caramello.

Senza ali di vetro.

Senza zampe storte o altri problemi.

 

Dentro di lui si fece strada una fastidiosa consapevolezza. Qualcosa che lo spinse a provare odio per se stesso.

 

Perché un pegaso sano sarebbe stata l’opportunità che i suoi genitori non avevano mai avuto.

Costantemente impelagati con un pegaso da rottamare… Un padre senza aver mai avuto  l’occasione di insegnare alla propria progenie cosa significhi… volare.

 

Scosse il capo.

 

Era forse quello?

Si erano probabilmente stufati di un figlio in quelle condizioni?

Perché non provare ad averne uno perfettamente sano, dopotutto? Come dar loro torto.

 

Un figlio sano.

Qualcuno a cui dedicarsi e su cui investire al meglio le proprie energie.

“Se fosse stato così”, pensò infine, “allora non c’erano dubbi”.


Sarebbe stato meglio se non avesse potuto volare.


    Icarus si colpì le tempie e scese repentinamente dal letto.

“No, no, no”, si disse. “Ma cosa diavolo sto pensando??”.

Le sue zampe iniziarono a tremare.

“Come posso sperare in una cosa così terribile?”.

Il volto si imperlò di sudore.

E il pegaso grigio si accasciò lentamente a terra, con cuore e respiro a mille.

 

Quello che temeva stava accadendo.

Un attacco acuto. Uno dei tanti che, da qualche mese a quella parte, erano subentrati nella sua vita. E di cui non aveva mai parlato a nessuno.

I muscoli si contrassero dolorosamente, impedendogli qualsiasi movimento. Strizzò gli occhi.

Si era agitato troppo, un po’ come accadde la prima volta con Scootaloo. Ma la cosa era andata via via peggiorando nel tempo.

 

Con calma, con moltissima calma, provò a riassumere il controllo.

Il respiro rallentò. Il cuore divenne più regolare.

E, dopo lunghi, interminabili minuti… i muscoli tornarono a rilassarsi.

 

Emise un sospiro di sollievo e, sudato e tremante, cercò di rimettersi sulle quattro zampe.

Rimase immobile, sperando che il peggio fosse passato.

 

Alzò quindi lo sguardo e la vide.

Rainbow Dash era appisolata nel letto, su un fianco. Aveva il muso infilato tra le zampe anteriori.

 

Non gli importava se l’avrebbe svegliata. Non gli importava cosa avrebbe pensato al mattino.

Era troppo agitato e spaventato per fare qualsiasi altra cosa.

Si avvicinò al giaciglio e prese faticosamente posto accanto a lei, cercando di non svegliarla. L’altra mugugnò appena ma non si destò.

Il pegaso grigio poggiò il capo contro di lei, cercando di rilassarsi e di non pensare ad altro.

 

Il calore del suo corpo.

Il rumore del suo respiro.

L’odore dell’ozono prima dei temporali.

 

Le passò le zampe attorno ai fianchi e si strinse a lei.

Non sapeva perché gli fosse così difficile parlare con qualcuno, persino con lei, quando era in quello stato d’animo. Era fatto così. Quando qualcosa lo turbava dal profondo si chiudeva a riccio. E diventava intrattabile.

Sapeva che non era giusto. Sapeva che era la cosa sbagliata, specialmente con lei, che così tanto aveva fatto per lui. Che così tanto cercava di supportarlo in ogni cosa.

Ma quella notizia lo spaventava. Lo spaventava come mai avrebbe immaginato.

Poteva davvero… provare risentimento oppure odio? Per qualcuno sangue del suo sangue, oltretutto?

La semplice paura di affrontare quei pensieri gli impediva di dare una risposta a se stesso… figuriamoci se avrebbe avuto la faccia per confessarlo anche a lei.

E così… preferì non dire nulla. Non voleva apparire freddo o eccessivamente introverso.

Non ebbe semplicemente il coraggio di affrontare ciò che lo affliggeva.

 

Chiuse gli occhi  e cercò di non pensarci.

Tentò semplicemente di percepire il battito del suo cuore, come se quel tenue rumore ritmato potesse calmarlo un po’.

 

La sua tensione iniziò progressivamente a placarsi.

Il sonno riuscì a far breccia in quel fugace attimo di pace.

 

La calma si diffuse nel suo animo.



E i sogni divennero stelle.
   
 
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