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Autore: LilithTheBlackSwan    25/11/2004    3 recensioni
Alcuni versi di Baudelaire ad adornare questa mia oscura storia...
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Slave of Darkness

Slave of Darkness.

 

 

                          °*° Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve

                                scaccia l’anima che geme nel suo tedio infinito,

                                e in un unico cerchio stringendo l’orizzonte

                               fa del giorno una tristezza più nera della notte… °*°

 

D’improvviso, quel sonnolento giorno di sole si tramutò in fitta oscurità.

Tra le tenebre le apparve indistinta una figura vagamente familiare, rabbrividì chiedendosi se dovesse averne timore, chi poteva essere?

Forse poteva aiutarla ad andarsene da quel luogo desolato, ma era troppo lontana perché potesse capire anche solo se fosse uomo o donna, figurarsi per riconoscerla.

Man a mano che la fitta cortina di nebbia si diradava lo riconobbe.

“Harry…” tentò di chiamarlo, ma la sua flebile voce si perse nei meandri del nulla che li avvolgeva, e lui, come era venuto, si allontanava sempre di più, inghiottito nel fitto di un buio fosco e irreale.

Tentò di rincorrerlo, di fermarlo “ti prego Harry non lasciarmi sola in questo posto! Rimani…ho paura…” , non servì a nulla, come se le sue suppliche non fossero state udite da anima mortale, ma trascinate altrove dall’impetuoso e molestante vento che si era alzato prepotente sul suo disperato affanno.

Notò lo sguardo del giovane uomo, era mesto e rassegnato, con l’espressione di chi sa di non poter opporsi a ciò che è più grande di lui, il triste sorriso di chi è venuto a dir addio per sempre ad una vita immemore.

 “ Mi spiace Ginny, non è colpa mia…” mormorò dileguandosi in quel posto dannato dal suo rimpianto perenne, dalle lacrime che sgorgavano copiose sul bel volto d’angelo di lei che lo implorava per l’ultima volta.

Rimase sola e si abbandonò allo sconforto, l’ angoscia si impossessò del suo animo confuso, il silenzio era un fragore infernale che le impediva di scappare da quel limbo maledetto, in un turbine di forme, spettri e reminiscenze confuse.

Rivide ogni cosa, come in un vecchio film in bianco e nero, come se ciò che ricordava fosse frutto di un esperienza lontana, distante, troppo, perché potesse avere alcuna importanza in quello sconfortante momento…

 

La scuola era già finita per entrambi, quando lui si era dichiarato a lei con poca convinzione, spinto dalla compassione e dall’altruismo - quelle che erano sempre state le sue doti migliori - verso la sorella del suo migliore amico di sempre.

Una ragazza docile e simpatica, che era perdutamente innamorata di lui da una vita ormai, e che, si era reso conto, era divenuta davvero una bellissima donna ambita da molti pretendenti, era forse stato questo ciò che lo aveva spinto ad esporsi, e successivamente a farla sua sposa in una sfarzosa cerimonia.

Lei ovviamente aveva capito tutto ciò, ma l’allettante prospettiva di realizzare il suo sogno d’amore, l’aveva convinta che dopotutto, poteva accontentarsi semplicemente di ciò che aveva fortunatamente ottenuto, non era mai stato un tipo pretenzioso.

 

E ora se ne era andato, svanito nel niente.

Pian piano una fredda pioggia iniziò a cadere indolente, sussultò di terrore quando vide le stille vermiglie tingergli la veste; ne cadde una sul bordo delle sue labbra piene, la assaggiò, per scongiurare l’idea atroce che l’aveva assalita.

La colpì l’amaro sapore del sangue fresco.

Scoppiò in un pianto dirotto, gridando frustrazione e impotenza alla volta del cielo grigio che la sovrastava, quasi fosse lui il colpevole della sua perdizione.

Il diluvio nefasto l’ inzuppò completamente, mescolandosi alle sue lacrime amare, morendo nei suo capelli fulvi.

Mentre cercava invano un riparo che non c’era, intrisa del sangue di chissà quali disumani vittime innocenti, si accasciò impotente al suolo stringendosi la testa fra la mani, scacciando quella voragine oscura che la stava ingoiando, quando la colpì un rumore improvviso…

 

 

Virginia Weasley si alzò di scatto madida di sudore, disorientata e spaventata.

Era stato solo un incubo, che sciocca a spaventarsi così!

Solo un incubo, eppure…

Non riusciva a calmarsi, il ricordo era impresso vivido nella sua mente, tutto incredibilmente nitido e reale.

Si era addormentata sulla vecchia sedia a dondolo della terrazza senza accorgersene, come poté constatare vedendo la volta stellata del cielo di fronte a lei.

Ripensò a quello strano sogno: Harry, Harry se n’era andato, l’aveva lasciata sola, ma non di proposito, per stupido che fosse ne era sicura, qualcosa l’aveva trascinato via da lei, contro la sua volontà, e lei sapeva, senza alcun motivo che non l’avrebbe rivisto mai più.

All’improvviso ricordò.

Si era destata all’improvviso, un rumore, era stato un rumore a svegliarla e quello l’aveva sentito davvero, ne era sicura.

Subito il pensiero corse alla piccola, sola nella sua stanza, si alzò di scatto e attraversò di soppiatto la casa immersa nel buio.

Sicuramente non era niente di cui preoccuparsi, ma di quei tempi, per ovvi motivi, la prudenza era di prim’ordine, soprattutto nella residenza di Harry Potter.

Raggiunse la cameretta della sua bambina, fù sollevata nel verificare che tutto fosse apparentemente tranquillo e si avvicinò in silenzio alla bella culla di raso.

Si sentì mancare e si aggrappo alla porta per non cadere, sbarrò gli occhi a quell’agghiacciante visione: un lago di sangue, la copertina imbrattata , e sotto di essa un corpicino inerte con gli occhi vuoti e spenti, dilaniato da profonde ferite.

Fu assalita da un conato di vomito, la sua mente si rifiutava di accettare il macabro spettacolo che le si proponeva davanti agli occhi increduli.

Non era vero, no, stava ancora sognando, non doveva essere vero…

“Adriel… Adriel! Perché…” urlò disperata stringendo a sé ciò che restava di sua figlia.

 

                                          °*° …Furiose a un tratto esplodono le campane

                                           e un urlo tremendo lanciano verso il cielo

                                           così simile al gemere ostinato

                                           d’ anime senza pace né dimora… °*°

 

Sentì dei passi dietro di lei, e con la vista offuscata dalle lacrime e la veste tinta di carminio, si voltò prostrata tra i singhiozzi che le impedivano di respirare.

“Ma guarda, è un po’ che non ci si vede Weasley” disse un uomo incappucciato dal nero manto e la voce melliflua, familiare.

Si scoprì il volto, e nei tratti di quel volto di marmo dai capelli d’argento, lei riconobbe colui che un tempo era stato Draco Malfoy.

“Tu…maledetto… lurido, che cosa hai fatto?! Perché… perché? Lei non aveva colpa!”

La ragazza accecata dal dolore piangeva convulsamente stringendo a se quel fagotto esanime, tentando a tutti i costi di non perdere la ragione.

“sì, in effetti, sarebbe stato molto più piacevole farlo davanti a Potter, ma per evitare inutili perdite di tempo, il mio Signore mi ha dato ordini precisi” confessò annoiato.

Lei si sentì pervadere da un odio profondo, lancinante, benché non avesse la bacchetta, con l’unico scopo di far più male possibile a quel disgustoso sicario, si scagliò addosso al Death Eater tremante di rabbia e frustrazione, ma lui le afferrò i polsi e la getto a terra con estrema facilità.

Malfoy scoppiò in una risata divertita.

“Cosa credi di fare, insulsa ragazzina? Non hai mai avuto un briciolo di carattere o forza di spirito, figurarsi per affrontare me, ora il più elevato tra i Death Eaters” ghignò osservandola compiaciuto.

Lei era a terra, umiliata, lorda di lacrime, sangue e sofferenza, con i capelli rossi sparsi sul volto distrutto, impotente e succube di un dolore tanto disumano che le stava corrodendo l’anima, ma tentò ugualmente di tenergli testa.

“E ciò che è peggio, ne vai pure fiero, lurido assassino…meglio essere così, che come te!” gridò disgustata con voce tremante e gli occhi ancora traboccanti di lacrime disperate.

“Lo pensi davvero? Ti sei mai chiesta quale fosse lo scopo della tua misera vita? Sposare Harry Potter! Credevo non potessi cadere più in basso di quello che era il tuo stato di auto reclusione, la tua esistenza era già abbastanza patetica in tenera età, lo è sempre stata”  ingiunse con gli occhi gelidi e derisori puntati su di lei.

Malfoy agitò la bacchetta e la giovane fù imprigionata con pesanti catene al collo e agli esili polsi, al pari di una bestia da esibire.

Quasi contemporaneamente udì delle esplosioni, delle urla, Harry.

L’avevano preso, non avrebbe potuto aiutarla, come nel suo maledetto incubo, era sporca di sangue, impotente, alla mercé del male, dell’oscurità; che fosse stato un avviso, una premonizione? E se lo era davvero, sarebbe finita sola, inerte ed esanime, stretta nel violento abbraccio del male.

Ciò che tutti temevano si era fatto realtà, eppure, non gli avevano assicurato che lì, l’Oscuro Signore non li avrebbe mai trovati? Che quello era un luogo sicuro?

E ora, ora che avevano annientato la sua unica ragione di vita, la sola speranza che possedeva andò morendo con il suo sguardo, che si fece spento, vuoto, privo di una qualsiasi luce.

 

                                        °*° …dei lunghi funerali

                                        sfilano lentamente nel mio cuore: Speranza

                                        piange disfatta e Angoscia, dispotica e sinistra…°*°

 

Fu condotta in salotto dove trovò il suo sposo succube dei Death Eaters, privo della dignità; lui si accorse stremato del suo disadorno ingresso.

La sua Ginny, la sua piccola Ginny era prigioniera, in mano a quel maledetto!
La vide così bella ed eterea, con la pelle di seta rigata di luce, i capelli purpurei mossi dalla brezza della finestra aperta, il volto impassibile, rassegnato, come nelle antiche rappresentazioni di giovani vergini, designate al sacrificio.

“Ginny! Che cosa le hai fatto lurido Malfoy?! Vi siete già presi mia figlia! Lasciatela andare, almeno lei, è me che Lui vuole!” urlò tra i denti, come avesse perso il senno, vedendola in quello stato, con lo sguardo fisso e opaco, incatenata, e i capi di quelle fredde catene stretti in una mano elegante, guantata di pelle di drago.

“Frena la tua lingua Potter, il mio Signore ha espressamente proferito di volerla viva” disse con gusto, all’espressione sgomentata e terrorizzata del suo rivale di un tempo.

“Perché…” balbettò Harry spaventato,

“Oh, ha interessanti progetti che ti illustrerà Lui stesso” disse con diletto, “ma ora basta perderci in chiacchiere, siamo attesi altrove”.

 

Stavano camminando in una vecchia abbazia sconsacrata dall’aria funebre e sinistra, scortati da una decina di Death Eaters, furono trascinati per gli androni oscuri dell’ edificio in rovina.

 

                                       °*° Un dì gli antichi chiostri

                                       mostravan sulle mura,

                                        fra i mistici dipinti, la santa

                                        verità:

                                        scaldando le pie viscere quella

                                        dolce figura

                                        ne temperava un poco la fredda

                                        austerità… °*°

 

Virginia sfilava adagio senza alcun segno di resistenza, incatenata da Malfoy, piangendo lacrime tacite nella sua opalescente bellezza.

Era intrappolata nel suo smarrimento, stava affogando nella pozza di sangue che era il suo cuore, come nella più completa rassegnazione, vagava in stato di abbandono, per i foschi corridoi, al seguito di un esercito di nere ombre.

Notò lo stato di decadenza della sinistra dimora, per qualche bizzarra ironia, molto simile al suo stato d’anima: la pietra era corrosa e scavata dalla voracità degli anni, in alcuni luoghi i muri di roccia cinerea erano guarniti da verdastro muschio selvatico, l’umidità gocciolava dalle alte volte sopra di loro, penetrando fin nelle ossa; di sicuro la costruzione doveva essere molto antica.

Si stupì che Lord Voldemort vivesse in quel tumulo di rocce muschiate, si era immaginata palazzi lussureggianti, arazzi costosi, dato il modo in cui si era arricchito seminando disperazione in quei bui anni.

Quanti conoscenti perduti ad opera del lato oscuro, aveva ormai perso il numero delle vittime di quel massacro.

Mentre lei vagava chissà dove nella sua mente turbata, Harry continuava a dimenarsi, provando inutilmente a liberarsi, facendo leva sulle sue restanti energie tentava una fuga impossibile.

Era conscio che ad ogni passo la morte, o meglio, la sofferenza era sempre più vicina, sia per lui che per la sua Ginny, perciò puntava i piedi, sbraitava, supplicava i Death Eaters di lasciar andare almeno lei.

“…l-lasciatemi ho detto!”

“Conserva un briciolo di dignità Potter, fra poco ne verrai privato del tutto” disse Malfoy dilettato.

Giunsero ad una piccola porta di ciliegio finemente intagliata, dai batacchi argentei raffiguranti serpi attorcigliate.

Uno dei seguaci si fece avanti ed entrò ad annunciarli, dall’ uscio socchiuso si udirono appena le sue parole, dopodiché spalancò la porta, e lasciò che entrassero.

All’interno l’arredamento era estremamente lussuoso: Si trovavano in un ampia sala dall’alto soffitto ad archi, gli immensi muri erano di ruvida pietra riccamente scolpita, il pavimento mostrava un prezioso intarsio di splendidi lapislazzuli oltremare e costosi smeraldi di un verde ipnotizzante, delle candele nere dalla funesta luce erano disposte tutt’attorno, immensi tappeti ed arazzi eleganti si stendevano qua e là, mostrando arabeschi elaborati, intrecciati in fili argentati, foschi e smeraldini, i mobili in legno di mogano erano portatori di innata raffinatezza, il resto del pregiato e distinto arredamento denotava il lusso sfrenato che finora era stato abilmente celato ai loro occhi.

Mentre lo sguardo dei prigionieri vagava febbrilmente da una parte all’altra, alla ricerca di una qualsiasi via di fuga, nell’ombra, due occhi amaranti risplendevano di nefasta luce, ricordando l’ardere violento di maligne fiamme infernali.

Harry Potter si piego a terra colto da spasmi di dolore lancinante, con gli occhi accecati dall’insopportabile, familiare, dolore alla cicatrice.

“Avanti, cammina!” uno dei Death Eaters lo aveva rimesso in piedi e sospinto insieme agli altri in fondo all’ampio salone, giunsero di fronte ad un trono di pietra grigia sbalzata con trecce e spirali, dove Lord Voldemort sedeva solenne e crudele.

Tutti i seguaci si inchinarono con sottomissione al loro sire, Harry Potter fu gettato a terra come un ricco bottino di caccia di fronte a loro, con il volto premuto con forza sul freddo pavimento.

“Porta rispetto al tuo padrone!” gli intimò Malfoy cercando di compiacere il suo signore.

“Il mio padrone…” sputò a terra “ecco cosa ne penso di quel maledetto bastardo assassino!”

“Tu, come osi…” disse Malfoy estraendo la bacchetta.

“Calma giovane Malfoy, non c’è bisogno di scaldarsi tanto…” proruppe Voldemort che aveva assistito divertito alla scena.

“È un po’ che non ci si vede Harry, ma vedo che non sei cambiato molto, direi piuttosto tu abbia acquisito un’ eccessiva, sfrontata eloquenza che non ti sarà certo d’aiuto...” disse con gli occhi scintillanti osservando il ragazzo ai suoi piedi, “E dimmi, ti sei nascosto per tutto questo tempo sperando di salvarti? Sei più sciocco di quanto pensassi, nessuno sfugge all’ira del Signore Oscuro, ormai dovresti saperlo”.

Si alzò chinandosi sul ragazzo, passando un dito gelido lungo la cicatrice, Harry Potter proruppe in grido disumano e atroce dimenandosi invano contro le corde che lo stringevano.

“Fa male?” chiese Voldemort dolcemente.

“Sai Harry, mi sono davvero stancato di inseguirti in lungo e in largo per l’Inghilterra, vedi, ho altro a cui pensare come saprai sono molto indaffarato ultimamente, è una faccenda questa che avrei dovuto risolvere molto tempo fa”

“Ma ditemi amici miei, dov’è la ragazza?” disse rivolgendosi ai suoi adepti.

Malfoy trascinò avanti Virginia, imbrigliata nelle sue gelide catene.

 

                               °*° Bianca fanciulla dai capelli rossi…°*°

 

“È come ricordavo” disse il mago osservando ardentemente la giovane disorientata.

Virginia non capiva le parole dell’uomo, tanto era persa nel suo limbo, rosso di sangue e nero di morte, con la mente disperata e deturpata per la perdita della sua piccola Adriel.

Il volto di Harry invece era sfigurato dal terrore e lo sgomento,

“Il vecchio Dumbledore non te l’ ha detto prima che lo mandassi all’altro mondo? Lui sapeva, e credeva di essere furbo. Povero ragazzo, privato della verità per tutto questo tempo… devi sapere che ho riacquisito i piacevoli ricordi” osservo famelico la ragazza, “… e i poteri del vecchio diario, e devo ringraziare te a quanto pare per avermelo reso…” disse lasciando intendere ciò che voleva venisse inteso.

“No… Non può essere… e di quali piacevoli ricordi stai parlando?”

“Diglielo tu mia cara…”

“Tu menti! Cosa stai dicendo, che… che… no! Lei non poteva…”

“…non voleva” disse Lord Voldemort sorridendo amabilmente, e questo bastò a capire tutto, ora ogni cosa era chiara, nella sua mente si andavano delineando pensieri orribili, mentre lo stomaco gli si torceva al pensiero disgustoso di ciò che poteva averle fatto, nell’anima e nel corpo; e lui non lo aveva mai saputo, era per questo che Dumbledore non glielo aveva mai detto?

Non lo riteneva in grado di sopportare tale, cruda realtà sulla terribile esperienza subita da Ginny nella camera dei segreti?

Voldemort proseguì “Io, non perdo certo tempo con ragazzette di così basso rango, tuttavia il divertimento… e una mia piccola rivincita su di te Harry, un bel giocattolo dopotutto…”

“No…” proruppe il ragazzo con un filo di voce capendo le intenzioni del Signore Oscuro,

“no…” ripete più a se stesso che ad altri, di tutte le colpe che aveva sopportato in vita questa sarebbe stata la peggiore.

“Tu… non puoi… ti scongiuro, farò qualunque cosa…”

“Posso e lo farò, per puro sfizio! Poi potrò anche liberarmene, e non mi servono le tue patetiche suppliche, sei già in mano mia” lo corresse infastidito il Signore Oscuro.

Voldemort si avvicinò con passo indolente alla ragazza che ora aveva gli occhi dilaniati dall’ orrore.

“E tu ricordi, dolce Virginia?” chiese sfiorandogli il volto con la mano glaciale.

 

                                  °*° Mi piaccion, o cara indolente,

                                         le forme tue belle,

                                         ma più come un drappo

                                         splendente, la serica pelle! °*°

 

Non l’amava, non l’aveva mai fatto, il suo giovane se stesso si era divertito nella camera, ma che si trattasse ora della stessa persona, era pura coincidenza, l’importante era uccidere lentamente la speranza nell’animo del giovane, per completare la sua agoniata vendetta; oh, era sublime la tortura fisica, ma più ancora quella interiore…

“Non puoi aver dimenticato…” continuò l’ Oscuro Signore carezzando con piacere i suoi morbidi boccoli vermigli.

 

                                  °*° …Nel mar tenebroso e profondo

                                         Dell’ampia tua chioma,

                                         sul flutto d’un riccio errabondo

                                         intriso d’aroma… °*°

 

E per lei fù come tornare indietro, al suo primo anno ad Hogwarts, al diario, alla camera dei segreti, a Tom .

Tom che la guardava in modo strano, che le sussurrava parole dolci e oscene, con le sue mani gelide, le sue perverse carezze…

Lui sapeva… si sentì mancare a quei ricordi, la paura prese possesso del suo animo, il terrore che tutto potesse ripetersi, e lei non voleva, piuttosto la morte.

Cadde a terra priva di forze, fissando il pavimento con insistenza, la pelle candida imperlata di sudore.

 

                                       °*° …Negli occhi della pallida sua

                                              vittima smarrita

                                              cercava il muto canto che bisbiglia il piacere… °*°

 

Voldemort tornò al suo regale trono deliziato e puntò la bacchetta sul ragazzo, era il momento di far soffrire anche il suo corpo.

“Crucio” sussurrò dolcemente, e la sofferenza più grande ed insostenibile si riversò su quel giovane, che fu scosso da spasmi e dolori oltre il limite della sopportazione, riecheggiando la dimora di disperate grida di morte.

 

                                        °*° …O dolore! O dolore! Mangia il

                                        tempo la vita,

                                        ed il nemico oscuro che ci dilania

                                        il cuore

                                        si rafforza col sangue dell’ aperta

                                        ferità! °*°

                                        

Quando la tortura ebbe termine, dopo essersi ripetuta a lungo, del grande Harry Potter non restavano che membra esanimi, livide e sanguinanti, impotenti di fronte al rinnovato gusto e alle risa glaciali  del Signore del Male.

“Ed ora addio per sempre mio caro ed insulso ragazzo, voglio che tu muoia con l’animo lacerato dalla sconfitta, dalla esasperazione, dal dolore e dalla paura di ciò che accadrà alla tua giovane sposa” sibilò crudelmente.

Virginia lo guardò tristemente, lui non l’amava e lo sapeva, non l’aveva mai fatto, ma si sentiva in colpa per il suo nefasto futuro, di gran lunga peggiore della morte, e questa era forse l’unica magra consolazione.

“Mi dispiace…” le sussurrò come nel suo incubo, prima di scomparire per sempre, poi Voldemort levò la bacchetta con un ghigno malvagio, e la puntò alla tempia del ragazzo.

Accadde tutto in fretta, un lampo di luce verde, un corpo che si affloscia, un vita che svanisce, due occhi spenti; un mondo diverso ormai, senza più ostacoli, senza più intralci all’ascesa del male.

Il dolore divenne rabbia, l’apatia si tramutò in odio, e mentre l’esercito delle tenebre godeva di quella tanto attesa vendetta, Virginia Weasley si divincolo con violenza dalla stretta di Draco Malfoy, approfittando della distrazione e, benché impacciata dalle catene tentò quella che era una fuga disperata.

 

Prese a correre con gli occhi accecati da lacrime d’odio, di rimpianto, di sorda incredulità.

Non voleva, non poteva, non doveva restare lì, essere sacrificata per il crudele sfizio del fato; anche se fosse servito a salvare il mondo, non riusciva ad accettare la sua forzata rinuncia alla vita, la prigionia eterna.

Scappò con ferocia, fingendo di non udire le grida di rabbia di Voldemort dietro di lei, con la sola intenzione di andare più lontano possibile; non vedeva dove andava, ogni cosa intorno a lei aveva i colori e le opacità di un sogno confuso da cui non sarebbe emersa mai più.

La sua vita non sarebbe stata certo felice, questo lo aveva sempre saputo, o perlomeno lo intuiva, ma ora che la cruda realtà le era stata sbattuta in faccia la rifuggiva impotente.

Dopo ciò che parvero ore si fermò, accasciandosi a terra stremata, con il fiato rotto da gemiti rauchi.

Era nel grande parco intorno all’abbazia, stava sorgendo l’alba, e alla luce rosata non poté far a meno di notare i rigogliosi giardini verdi e freschi di lucente rugiada mattutina, benché ancora in preda all’affanno, si stupì della tranquillità invidiabile e della gioia serena che regnava in quel luogo.

Si accorse che l’intero universo intorno a lei, palpitava e viveva, splendendo di luce propria, la luce che dona la vita, quella luce che lei avrebbe assaporato mai più; non riconosceva affatto il paesaggio che la attorniava, niente a che vedere con la terra devastata dalla distruzione in cui aveva vissuto tutti quei anni.

Cos’era accaduto?

Era cambiato tutto?

Ma come?

O forse, capì, era lei che era diversa ormai, sfigurata dal peso di una struggente consapevolezza, vedeva i fiori, il cielo, gli alberi, il mondo con occhi diversi, colmi di tristezza e amaro rancore verso il suo buio avvenire; con sguardo che non era altro che un ultimo addio.

Era struggente la nuova nitidezza, la sua vista di pura bellezza per l’esistenza che aveva disprezzato prima di conoscere il baratro dell’oscurità.

E quando l’avrebbero trovata, perché sapeva che sarebbe accaduto, avrebbe ricordato una mondo in cui solo per un momento aveva creduto valesse la pena di dimorare, mostratosi ai suoi occhi solo quando essi non avrebbero visto altro che l’oscurità per il resto della sua vita.

Se solo avesse avuto degli amici al suo fianco, per aiutarla, incoraggiarla, per amarla.

Ma avevano urlato e non aveva risposto nessuno, aveva chiamato e non aveva ricevuto aiuto, aveva sperato e nulla era accaduto.

Nessuno l’avrebbe rimpianta, i suoi genitori erano morti ormai da tempo grazie al lato oscuro, e quegli amici in cui auspicava, che desiderava la salvassero, non erano altro che pallidi spettri, miraggi confusi nati dai sogni infantili di una ragazzina nella grigia solitudine della sua fanciullezza, amici che non aveva mai avuto, proprio come l’amore del suo ormai defunto sposo.

E che fare ora che niente era più come prima?

Assaporare quei primi, ultimi attimi di serena esistenza, o crogiolarsi nel dolore di un domani dannato?

Non lo sapeva, ma tuttavia capì che la sua sorte era ormai segnata.

Prima di perire atrocemente, sarebbe divenuta schiava delle tenebre, dell’oscurità.

 

                                   °*° Nell’ipogeo della tristezza nera

                                   dove soffro, dannato dal destino;

                                   dove non entra un raggio mattutino… °*° 

 

Ora, stretta nel freddo abbraccio del male, Virginia rimpiange quei tempi passati, tristi ma indolori, solitari ma tranquilli, senza felicità ma privi di disperazione.

 

                                                                        Black Swan,

                                                                     

°*°*°*°*°*°*°*°*°

Bibliografia dei versi delle poesie utilizzate, in ordine cronologico:

 

- Spleen(i primi tre versi).

- Il cattivo frate.

- A una mendicante dai capelli rossi.

- Il serpente che danza(quint’ultimo e quart’ultimo verso).

- Donne dannate.

- Il nemico.

- Un fantasma – I: Le tenebre.

 

Charles Baudelaire è uno dei poeti maledetti del simbolismo e decadentismo francese ottocentesco, lo ho trovato perfetto per esprimere con le sue rime cupe, l’atmosfera drammatica e tragica espressa nel mio racconto.

Tali poesie sono tratte dalla famosa, e in parte censurata, raccolta dello scrittore “Le fleurs du mal”.

 

 

  
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