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Autore: Alex Wolf    23/01/2014    4 recensioni
Ultima parte della storia di LegolasxElxSauron. Ispirata al film "Il ritorno del re".
Dal 13° capitolo:
"Mi sono sempre chiesto perché amore e sangue avessero lo stesso colore: adesso lo so.
- Alessandro D'Avenia"
« Stai lontano! Stai lontano da me! » Gli ordinai, facendo un passo indietro. I suoi occhi celesti mi guardarono stupiti dal mio comportamento e le sue labbra si socchiusero un poco. « Non voglio farti del male, ti prego. » Lo implorai, e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii fragile, distrutta e vuota dentro, con le lacrime che minacciavano di scendere. Ma non volevo piangere, perché non volevo mostrarmi debole, non volevo essere debole.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 




“Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio. Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo per levarsene la voglia.”
 
-W.Shakespeare-

 


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C’era tanta luce attorno a lei, sebbene fosse notte. La luna brillava in cielo e le stelle le facevano da corona, e un fievole vento ondeggiava fra le foglie di Bosco Atro. Fanie sorrise per l’ultima volta ad uno dei molti invitati alla “festa delle stelle”, erano tutti così tremendamente noiosi, e poi si diresse nel grande terrazzo che si affacciava sulla foresta. Varcò l’arco che sorreggeva la costruzione, un’immensa entrata di marmo ricamata da splendide decorazioni intrise di gemme preziose, e i tacchi dei suoi stivali toccarono il pavimento ticchettando. L’angolo delle sue labbra si alzò a quel rumore; era sempre stata rincuorata dal suono familiare di quei tacchi bassi e piatti che aveva indossato sotto il vestito, al contrario di tutte le altre elfe che preferivano dei sandali comodi. Lei, invece, quelle trappole infernali non le sopportava: non riusciva a camminarci, era come se indossarli non fosse nel suo DNA. Girando la testa a destra e sinistra, si poggiò alla ringhiera e alzò una gamba di soppiatto palpando la stoffa azzurra dell’abito, il cuoio dello stivale sotto essa e trovando infine l’elsa del pugnale bianco che si portava sempre dietro. Chiuse gli occhi, felice di sapere di non averlo perso, e diede le spalle alla festa. Da dentro la sala del trono provenivano risate e musica dolce che si diffondeva nell’aria e scacciava dalle ossa della giovane il freddo trasportato dal vento, che le scuoteva dolcemente gli ondulati capelli d’oro.
« Dunque, cosa ci fa una giovane e bella ragazza tutta sola, qui fuori, la notte delle stelle? » Una voce calda le rimbombò nelle orecchie, mentre si accingeva a voltarsi velocemente. Due occhi azzurri le sorrisero felicemente, splendendo nel buio della notte movimentata. Elendil ammiccò nella direzione di Fanie, mentre questa si accingeva a sorridere e andargli incontro, incurante del fatto che il vestito azzurro che indossava la faceva inciampare. Quando, finalmente lo raggiunse e lo strinse a se, non poté evitare di ridere di felicità. Erano mesi che non lo vedeva e stringerlo era l’unica cosa possibile da fare per colmare quel vuoto che era nato nel suo cuore alla sua partenza. Poggiò le mani sulle guance dell’elfo e esaminò ogni singolo tratto in cerca di qualche cambiamento: nulla era fuori posto. G             li occhi da felino erano sempre i soliti limpidi specchi d’acqua, i lineamenti della mascella erano regolari e marcati nel modo giusto e i lunghi capelli scuri gli scendevano oltra le spalle, disponendosi ordinatamente sulla schiena coperta dalla tunica verde smeraldo.
« Ma guardati! » Esclamò ad un tratto una terza voce, e una mano si poggiò sulla spalla dell’elfo. Elendil si voltò e fece un cenno di saluto al fratello, che era avanzato verso Fanie stringendola per un fianco dolcemente. « Ti lascio solo tre minuti, per andare a cercare la mia compagna, e quando torno vi trovo qui da soli. Non è che ci stavi provando? » La giovane ragazza sorrise, poggiando una mano sul petto del suo compagno, e i loro occhi – verdi di lui e azzurri di lei- si scontrarono e sorrisero. Quei due non se ne accorgevano ma quando si osservavano si stavano già baciando, o facendo l’amore. Si amavano così tanto che non si sarebbero accorti di nulla, eccetto loro stessi, se Elendil non li avesse risvegliati con un piccolo starnuto calcolato. L’allevatrice dei draghi alzò il capo in direzione del cognato e piegò la testa verso sinistra, sfiorando così la spalla di Rìnon.
« Sua maestà vi osserva. » Le spiegò, indicando con un cenno del capo l’entrata del balcone. Le iridi di Fanie corsero per tutto il tragitto e alla fine vennero incatenate in quelle del suo sovrano. Gli occhi di Thranduil,  quella sera, erano più freddi e scuri del solito. Persi nei meandri della sua anima, se mai ne avesse avuta una, ed erano simili a quelli di un predatore. I lunghi capelli biondi gli scendevano sulle spalle coprendo la lunga tunica bianca che indossava, la spada che correva sotto essa, appesa ai pantaloni di pelle, e la sua elsa era ben visibile a causa di tutti i diamanti che l’adornavano. Fanie smise di respirare  per qualche istante, e strinse la casacca di Rìnon con la mano che gli cingeva il fianco. Il giovane capitano delle guardie abbassò il capo verso di lei e poi lo rialzò nella direzione del sovrano; i suoi occhi verdi lo studiarono attentamente finché non scomparve.
« Quell’uomo mi da i brividi. » Ammise il fratello, voltandosi a guardare i due.
« Già, anche a me. » Sussurrò Fanie, lo sguardo perso nel vuoto e la voce assente che si disperse nell’aria della sera. « I-io devo andare. » Balbettò poi successivamente, lasciando andare Rìnon e saltando Elendil. Uno strano sentimento le calcava il petto, spingendola verso il basso come se non potesse respirare, non ci riuscisse. Gli occhi di Thranduil l’avevano graffiata dentro, e la sua voce le rimbombava ancora nella testa. Quelle parole sussurrate con tanta intensità e freddezza l’avevano segnata come le cicatrici che aveva sulla pelle.
Un ballo. Ti chiedo solo un ballo. Le aveva detto, ma la sua voce era stata piatta e costante come una  lastra di vetro.
 
 


°   °
 
 



Fanie aprì gli occhi all’improvviso e si ritrovò distesa sul terreno, Armë stava accanto a lei; le grandi ali dorate aperte come vele preziose. La giovane elfa si accarezzò la testa dolorante e tentò di ricordare cosa fosse successo prima: tutto ciò che gli veniva in mente era l’arrivo dei nove, la brutale virata della dragonessa e la sua rovinosa caduta dopo essere riuscita a uccidere uno degli stregoni. Nient’altro gli affiorava fra i ricordi, niente di niente se non quella sera in cui aveva ballato con Thranduil e aveva sentito il suo cuore millenario battere talmente forte da oscurare i sentimenti per Rìnon; ma poi ci aveva pensato e tutto quel trambusto in se stessa era cessato, e il suo capitano era tornato ad occupare un punto fisso nella sua mente –anche perché era letteralmente scappata via dalle braccia del re, appena la musica aveva taciuto-.
E’ l’alba. Annunciò Armë e in quel momento i raggi del sole presero a inondare di luce la vallata su cui le due erano stese. Il corpo del drago si imperlò di colori vivaci, e brillò come una cascata d’oro colato. I suoi occhi neri scrutarono il cielo, mentre un ruggito invadeva l’aria sopra di loro. Allora, la guerriera alzò il volto e poco più in basso delle nubi scorse un puntino nero, che si muoveva velocemente. Sorrise, lasciò uscire un sospiro dalle labbra e s’issò in piedi pulendosi i pantaloni con delle pacche. Un sottile strato di fumo si alzò fino ai suoi occhi per poi scomparire nella brezza mattutina.
« Amici o nemici? » Chiese Fanie, portando la mano all’elsa del pugnale bianco che teneva nello stivale.
Amici. La rassicurò il drago, voltandosi per gettarle un’occhiata sorridente.
 
 



°   °
 
 




« Non ricordi proprio nulla? Niente di niente? Almeno la strada per Gondor… » Mi strinsi le braccia al petto per riscaldarmi, perché, sebbene ci fosse il sole, quella mattina si gelava. Gli occhi azzurri di Fanie si oscurarono per un minuto, poi tornarono i due soliti pozzi chiari che conoscevo. Per un attimo la voglia di intrufolarmi nella sua mente mi sfiorò il cervello, ma l’accartocciai quando mi ricordai i momenti in cui Legolas lo faceva con me: mi ero sentita violata e non avrei fatto una cosa del genere a Fanie – non un’altra volta almeno. – « Dimmi di si… per favooore.  » Lei scosse il capo con forza e si gettò indietro i capelli, raccogliendoli in una lunga treccia che le arrivava ai fianchi. Chiusi gli occhi e mi accarezzai le tempie con le mani, sospirando frustrata. Dannazione, ma perché doveva capitare tutto a me, a noi? Fanie era la nostra mappa, la nostra guida verso Gondor e la battaglia, conosceva la Terra di Mezzo meglio di chiunque altro e ora non ricordava più nulla. Ringhiai frustrata e tirai un calcio alla sabbia, che divenne una nube e successivamente scomparve sotto i raggi del sole. Un dolore improvviso al ventre mi fece aprire le palpebre e gemere silenziosamente. Le mie mani si mossero verso il basso e  strinsero la stoffa della mia casacca; gli occhi di Fanie si posarono su di esse, e la sua bocca si piegò verso il basso. Con poche falcate mi raggiunse e scostò le braccia dal mio ventre, alzando con velocità la stoffa della blusa.
« Che diamine ti ha colpita? » Praticamente gridò, ma non mi diede il tempo di rispondere perché si volse verso Turon e strillò ancora più forte: « Che diamine l’ha colpita?  Sangue di quell’affare? Cazzo. »
« Cosa c’è? Che mi succede? » L’agitazione nella voce di Fanie mise paura persino a me. Sentivo le sue mani muoversi sulla mia pelle, che bruciava. Ad un certo punto, si strappò con forza la manica del braccio sinistro e l’aprì in due, in modo da allargarla, prima di premerla sul mio ventre. Strane parole, veloci e sinuose presero ad uscire dalle sue labbra candide, mentre ogni tanto i suoi occhi incrociavano i miei. Le nostre armature brillavano sotto il sole; chissà da quanto era iniziata la battaglia. Mi immaginai Legolas correre ovunque, scoccando frecce e gridando numeri per tenere il conto dei soldati uccisi, mentre Gimli borbottava. Immaginai Aragorn spronare i soldati e, beh, le truppe di Sauron attaccare. Fanie intanto continuava a parlare sottovoce; la sua pressione sul mio ventre e lo stress che stavo accumulando sfociarono nello stesso istante: mi sentii come se un fiume in piena mi stesse travolgendo e io non volessi fermarlo. Come se quella fosse stata una cosa che avevo rimandato per troppo tempo. Il guardiano era tornato. « Mi fai male, dannazione! » Rugii all’improvviso, aprendo un palmo verso l’alto e lanciando una fiammata involontariamente; per un attimo la vista mi si appannò di rosso e tutto si fece confuso, quasi come se fossi stata drogata. Sentii il fuoco bruciarmi nelle vene, era una sensazione così familiare e al tempo stesso lontana che mi faceva stare bene: come se si fosse stabilizzato una specie di equilibrio che dopo la luna di sangue era divenuto precario. Ma questa volta sentivo di poterlo controllare con più facilità del precedente. Fanie saltò indietro impaurita e dalle sue dita si riversò fuori il ghiaccio. Una vampata di gelo si fuse con il calore delle fiamme e una strana scintilla scaturì come risultato. Dopo qualche tempo sentii il palmo bruciare e così ritrassi immediatamente il braccio e abbassai la casacca, indietreggiando finché non scontrai una delle ali di Turon. Voltai il capo verso il mio dragone, che mi osservava già da un po’, e gli sorrisi.
Dunque, siamo legati. Gli mormorai segretamente. Lui scosse il capo in segno d’assenso e una nube di fumo nero gli vibrò fuori dalle narici. Una strana sensazione invase il mio petto, come riscaldandolo, e poi scomparve. Solo allora mi ricordai di Fanie e mi voltai a guardarla. La giovane elfa teneva il viso puntato su di me, mentre i miei occhi incrociavano i suoi e le sue mani si chiudevano a pugno interrompendo il flusso del ghiaccio.
 « El, che ti è preso? » La sua voce era bassa e cauta, mentre faceva qualche passo nella mia direzione. Mi passai le mani sul volto e mi soffermai a coprirmi le labbra, colta da un improvviso senso d’imbarazzo.
« Oddio, scusami. Io non volevo fare quello che ho fatto è che… il legame. » Involontariamente sorrisi lanciando uno sguardo a Turon. « Il legame è stato sigillato, è per questo che ho reagito così. Mi dispiace. » Un  guizzo attraversò i suoi occhi, ma non saprei dire se fosse stato di ammirazione, curiosità oppure paura. Ma avrei optato per l’ultimo e così mi affrettai ad aggiungere: « Questo non c’entra con la luna di sangue. Sia chiaro. » Riprese un po’ di colore.
« Perfetto, ora che si fa? » Chiese ad un certo punto, avvicinandosi alla dragonessa che era rimasta sdraiata per tutto il tempo. In pochi minuti già ero sulla groppa di Turon, e stringevo le briglie fra le mani. Avevo un solo pensiero in testa: trovare la battaglia e prendervi parte; e se fosse rimasto tempo uccidere qualche altro Nazgul, tentando di non farmi finire addosso quella roba che passava nelle vene dei loro animali.
« Beh, si cerca Gondor. »
« Non sappiamo da che parte andare, non ricordo la strada te l’ho detto. »
« Ok, allora… da che parte veniva quei due Nazgul? »
« Sud. » Seguii il dito di Fanie  e lo vidi puntarsi in direzione delle montagne. Il sole splendeva su di loro, illuminando ogni cosa del suo tenue bagliore giallastro.
« Allora Sud sia! » Fanie mi rivolse un’occhiataccia in tralice, mentre afferrava le redini della sua cavalcatura. L’osservai per qualche istante sorridendo e poi mi ressi forte alla sella di Turon, pronta a volare. Sapevo che non avremmo trovato gioie all’arrivo nella città dei re, ma solo morte, urla e disperazione ed era proprio per questo che dovevamo trovarla. Tutto quel dolore gratuito inferto agli uomini doveva essere fermato. Mentre solcavamo il cielo con velocità, mi ripromisi una cosa: appena avrei trovato Legolas gli avrei fatto vedere il motivo per cui non l’ascoltavo mai. Gli avrei mostrato che anche io potevo combattere, nonostante la situazione in cui mi trovavo.
« Vinceremo? » Quella domanda mi arrivò dritta alle orecchie, ma fu solo per un secondo perché venne trascinata via dal vento che ci schiaffeggiava. In ogni modo, quell’attimo fu abbastanza per attirare la mia attenzione e voltarmi.
« Io dico di si. » Sorrisi convinta.
« Ah si? E cosa te lo fa credere? » Il vento le scompigliava la lunga treccia, facendola schioccare nell’aria come fosse stata una frusta. La sua armatura di drago brillava di una forte luce azzurra, costringendomi a mettere una mano sulla fronte.
« Beh, perché io sono Isil, la guerriera. » Ammisi, per una volta fiera di quell’appellativo. Non l’avevo più usato da quando l’avevo uccisa ma ora ne avevo bisogno: avevo bisogno di sentire la sua  forza scorrermi dentro le vene, il sangue correre con più intensità, come quando possedevo l’anello di mia sorella, Isil. Per la prima volta, oltre alla potenza del guardiano, avrei voluto avere persino la sua. Ma non sapevo dove fosse, ora, quella sfera di luce bianca e pura che avevo visto quella notte al Fosso di Helm.  « E tu sei Fanie, la ragazza dei draghi. E siamo invincibili. » Aggiunsi. L’elfa sorrise divertita dalla mia positività e diede due pacche sul collo di Armë, i suoi occhi sorrisero spietati e colmi di una determinazione nuova.
 Avremmo combattuto.
Avremmo rischiato le nostre vita pur di riuscire a sconfiggere Sauron.
  
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