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Autore: hiromi_chan    23/01/2014    5 recensioni
Un drago decaduto propone una sfida a Merlin e Morgana: il primo dei due che riuscirà a portargli il cuore umano di un Principe dei Draghi si vedrà esaudito un desiderio come ricompensa. In occasione del duello si aprono nuovamente le porte che collegano il regno della magia con la Terra. Merlin si lancia nella sfida per poter mettere piede nel mondo delle misteriose creature umane e dare una svolta alla sua vita, mentre Morgana ha in serbo dei piani più oscuri.
L'ignaro Arthur, erede al trono inglese, viene coinvolto nella gara come bersaglio diretto. Ma come possono gli stregoni, che per natura non conoscono l'amore, riuscire a catturare un cuore umano che palpita e prova emozioni? E se poi Morgana decide di fare le cose in modo letterale e di riportare a casa quel cuore su un piatto d'argento, cosa farà Merlin?
Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.
[Merthur]
ATTUALMENTE IN REVISIONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Capitolo nove: Da altri punti di vista

 

 

 

Era davvero patetico il modo in cui le creature riflesse si lasciavano trascinare dal sentimento.

Sebbene Morgana l'avesse sempre saputo, non passava giorno in cui questa convinzione non si rinforzasse.

La debolezza degli umani indeboliva tutto il Mondo Riflesso; erano poco diverse dalle ombre stesse, queste creature non degne della magia. Dopotutto, cos'erano se non semplicemente le ombre degli stregoni? Erano fantasmi della magia.

 

L'ombra della magia non è che lo scarto di ciò che resta; le cose mondane, sorella mia, le cose senza valore.”

 

Morgana sorrise; l'aveva capito subito non appena aveva messo piede sulla Terra. La purezza delle creature magiche non avrebbe mai potuto prosperare, lì. Il contatto con il reale, la connessione con la magia del mondo, ciò era reso impossibile dalla rabbia accecante, dalla diffidenza, dal disgusto, dalle invidie e dalle gelosie.

Non si poteva provare pietà per queste cose – questi uomini, che erano nati ignari dei misteri dell'Antica Religione, e altrettanto ignari sarebbero morti. Non avrebbe mai potuto esserci pena, perché Morgana aveva subito intuito il peggio di loro, di tutti loro, percependoglielo dietro agli occhi.

 

Guardali. Guardali, Morgana, sperduti e tronfi come sono, pieni di loro stessi, spaventati da ciò che non conoscono e che è diverso da loro. Talmente spaventati, sorella mia, che solo l'assaggio di un dubbio, della diversità, li rende cattivi.”

Morgana aveva scosso la testa. “Non sanno. Non capiscono. Povere formiche.”

Povere no, sorella. Povere mai. Non dispongono della magia poiché non l'hanno mai meritata dal principio.”

Non meritano.”

Mai. C'è una sola cosa che meritano. Ed è quella che hanno.”

Morgana aveva alzato il mento, un formicolio sotto la pelle. L'orgoglio di sapere che il problema non l'avrebbe mai toccata. L'orgoglio di essere diversa. “Il sentimento.”

 

Il sentimento che cancellava la ragione. Il sentimento che accecava il buon senso e faceva sprofondare nei cicloni dell'umore.

Morgana rabbrividì al solo pensiero.

Una volta arrivata nel Mondo Riflesso, era stato semplice mantenere il distacco dagli esseri umani e concentrarsi sul raggiungimento del suo obiettivo.

E nonostante avesse deciso subito di scartare l'approccio con loro come una parentesi noiosa e potenzialmente pericolosa (un cuore umano si sarebbe potuto catturare senza farsi coinvolgere!), le carte in tavola si erano di punto in bianco rovesciate, facendo sì che Morgana si sentisse, a intervalli regolari, presa da quella strana nausea – nausea da vicinanza.

I consigli a primo impatto più improbabili erano arrivati a scompigliare il suo piano d'azione.

I consigli di Morgause.

Morgana aveva incontrato il suo mentore qualche tempo dopo l'inizio del Duello; una figura incappucciata, nascosta nella rientranza di una casa, fradicia di pioggia, il trucco sciolto in due ferite nere sbavate sul volto ovale – la prima volta che l'aveva vista: Morgause.

Da quando Morgause aveva preso Morgana con sé, be', i risvolti erano stati quanto meno... imprevisti. Morgana, la strega più brillante della sua generazione, si era ritrovata sotto consiglio di Morgause a diventare una lady ben inserita nel panorama umano. Amata, perfino venerata. Che fosse sulla base di motivi reali o indotti dalla magia, che importava?

Questa lady era la nipote del re, la cugina del principe – il Principe dei Draghi! Cielo! La cosa era da un verso assai ridicola, tanto che Morgana doveva spesso sforzarsi di non scoppiare a ridere davanti a quella faccia onesta, a quegli occhi chiari pieni di promesse. Non ne aveva la minima idea, vero, quel povero diavolo viziato?

(No, povero no. Povero mai.)

La strega doveva ammettere, comunque, che molti aspetti di questa esperienza la gratificavano in modo sorprendente: primo fra tutti c'era il piacere della collaborazione con Morgause, che aveva tanto da insegnarle, e tanto dolcemente insegnava. Poi, l'eccitazione della gara stessa, la voglia di far valere la sua forza contro il suo rivale, un suo pari; la voglia di emergere, di salire su, su, sempre più su.

Morgana la migliore, la più in gamba. Scaltra, oltre che come strega, pure nelle vesti di “umana”. Una lady servita e riverita e ammirata e rispettata da uno stuolo di umani – umani! Ecco l'assurdità. A diretto contatto con loro, si ritrovava adesso Morgana. Ad usarli, si ritrovava adesso.

Non che servirsi di qualcuno fosse anche minimamente un problema – il più forte vince. Un mezzo non è che un mezzo.

Il problema stava nel servirsi proprio degli umani, perché ciò costringeva Morgana ad avere contatti con essi. A cercare di capire i meccanismi dei loro pensieri, i desideri più nascosti, i sussulti del cuore... e che nausea, il cuore, che nausea al solo pensarci.

Al solo pensare del pericolo che rappresentava, dello stato in cui lei rischiava costantemente di ridursi... l'umanità. La debolezza. Niente magia.

No.

Morgana non l'avrebbe mai persa, non avrebbe mai perso se stessa. Non avrebbe mai perduto. Non avrebbe mai perduto altro.

Al contrario, avrebbe trovato. Niente e nessuno l'avrebbe ostacolata – niente e nessuno, sorella mia, niente e nessuno – né un ingenuo rivale che, sorprendentemente, manifesta la sua forza nascosta, né il veleno primigenio. E se per arrivare al successo si doveva rischiare, lei avrebbe rischiato. Avrebbe accolto il pericolo tra le sue braccia. L'avrebbe manipolato fino a farlo diventare qualcosa di familiare, un suo alleato, sì. Tutto, per poter vincere il duello.

 

Sopporta la vicinanza scomoda delle creature inferiori, sorella. Così mischiata tra loro ti sarà anche più facile la tua ricerca.”

 

Niente e nessuno, sorella mia.”

 

Non sono degni di conoscere i segreti del mondo, sorella. Ma, se usate bene, le creature riflesse possono risultare di qualche utilità. Loro il diverso lo eliminano; noi ne traiamo il meglio. Non lo torturiamo, non lo calpestiamo. Quando abbiamo finito con lui, non ce ne curiamo più. E a nessuno resta neanche la preoccupazione del ricordo.”

 

Niente e nessuno.”

 

So che è difficile, Morgana, ma io ti sono accanto, finalmente. Stringi i denti e pensa solo al desiderio che vedrai realizzato dal Grande Drago una volta raggiunta la vittoria...”

 

Non voglio più stare da sola.

 

Il desiderio del Drago, sorella...”

 

Non voglio nessuno...

 

Niente e nessuno.

 

 

“Cosa avete detto di volere?” chiese Gwen, scrutandola con quei suoi enormi occhioni scuri che Morgana trovava irritanti.

“Nulla, Gwen cara. Mi ero soltanto persa un poco nei miei pensieri” le sorrise, piegando la testa di lato.

Puah. Spalanca un po' di meno le palpebre, Gwen, o è la volta buona che ti rimarranno bloccate in quel modo a vita.

La cameriera arricciò il naso ma sostenne il suo sguardo – dèi, era proprio per questo che spesso, in sua presenza, Morgana si sentiva pizzicare la pelle per il fastidio.

Gwen non era poi tanto male; sapeva fare la manicure come nessuno nel Regno, amava spettegolare e aveva delle reazioni imbarazzanti che era una delizia stare a guardare. Ma sosteneva il suo sguardo. Lo sosteneva sempre. E aveva gli occhi grandi e troppo curiosi. Questo, più ovviamente il fatto che fosse un essere umano che le stava accanto per buona parte della giornata.

“Vi sentite poco bene?” si preoccupò Gwen, abbandonando sul tavolino limetta e forbicine per andare a toccarle la spalla. “Di nuovo i vostri problemi di nausea?”

Non ancora, ma se continui a starmi tanto appiccicata ci arriviamo.

Morgana sorrise allargando appena le narici e appoggiò la mano su quella della servetta umana che si era ritrovata per confidente. “Sai cosa mi farebbe sentire meglio, Gwen? Che tu riprendessi con la manicure. Non vorrai mica che me ne vada in giro con tre sole dita della mano destra smaltate di nero?”

Dèi del cielo, se non aveva appena detto a Gwen la verità; Morgana odiava fare le cose a metà. Al contrario, amava la perfezione e il bello. Sempre in ordine, la strega Morgana. Sempre tutto sotto controllo e impeccabile, per lei.

Era stata così fin dalla più tenera età, quando non giocava coi suoi coetanei se non era lei il capo del gruppetto della giornata e se non poteva decidere lei la formazione delle squadre (nessun altro avrebbe saputo distribuire bene le forze! Nessun altro bambino era intelligente come lei).

Solo in seguito, quando aveva iniziato a frequentare l'Accademia, tutti avevano riconosciuto il suo valore. Gli studenti facevano la fila per controllare i loro compiti con i suoi, i professori lodavano il talento naturale di Morgana, l'unica che sapeva crearsi incantesimi da sola, dal nulla.

C'era anche Merlin lì in mezzo a loro, se lo ricordava. Aveva catturato la sua attenzione perché era uno dei pochi che non facevano la fila davanti a lei, preferendo invece starsene in un angolo in compagnia di quel suo amico della campagna.

Anche Merlin l'ammirava, sì, Morgana lo leggeva sul suo volto luminoso ogni volta che, per caso, incrociavano i loro sguardi. Ma di tanto in tanto, quando nessuno lo notava, questo ragazzino magro e sorridente guardava lontano, oltre la finestra della classe, oltre le colline, oltre ogni cosa.

Morgana se n'era accorta – lei si accorgeva di tutto. In quelle occasioni alzava le sopracciglia e gli dedicava alcuni secondi della sua attenzione perché, in qualche modo, Merlin era diverso dal resto.

Diverso come lei.

Dopo pochi istanti, comunque, Morgana girava il collo e tornava al suo lavoro o al suo bagno di attenzioni. Così aveva trascorso il periodo della sua formazione. Poi, appena dopo il diploma, quella lettera e le Terre Desolate. Oh, sì, Morgana aveva continuato a essere la migliore anche lontano dalla capitale, era vero. Era rimasta sempre fedele a se stessa anche nel periodo di ritiro ai confini del Regno. Perfino mentre continuava a studiare per conto suo sopra i libri dell'Antica Religione... i libri delle sacerdotesse.

Non c'era stato nessuno accanto a lei, a quel tempo. Nessuno a lodare i suoi sforzi o a meravigliarsi delle sue doti fuori dal comune. Eppure, Morgana sapeva che prima o poi i suoi sacrifici sarebbero stati ricompensati.

Ma se qualcuno allora le avesse detto che la strategia da portare avanti per raggiungere il suo scopo avesse implicato farsi passare lo smalto da un'umana, spettegolando su altri umani...

“Perché sorridete, lady Morgana?” chiese Gwen, alzando la testa curiosa.

“Stavo pensando che il tempo è passato molto in fretta. Tutto qui.”

Gwen puntellò i gomiti sul tavolo, roteando il pennellino dello smalto tra le dita. “Anche voi avete questa sensazione? Gli ultimi due mesi sono davvero volati. Da quando siete tornata a palazzo... anzi, da quando è arrivato Merlin, mi pare che le giornate di tutti siano diventate più piene e frenetiche. Non che – non che ci diate più da fare di prima, ehm, intendevo...”

“Di certo Merlin occupa le giornate degli altri in modo curioso” disse Morgana, tagliando il blaterare dell'altra. Era snervante questo suo girare intorno ai concetti. “So che combina un guaio dopo l'altro e la servitù ha più da fare di prima per mettere pezze sui suoi errori.”

Gwen corrucciò le sopracciglia.

Aveva spolverato di troppa acredine la voce? Bene, nessun problema, si poteva rimediare. “Oh, Gwen, non è certo la mia opinione, questa. Sai che io trovo Merlin...” Pausa enfatica. Morgana alzò una mano, affondando le unghie nel proprio palmo. “... Sai che lo trovo adorabile. Ma sentendo le chiacchiere che circolano a palazzo... pare che in molti non capiscano come mai il principe non l'abbia ancora licenziato.”

Davvero, perché diavolo Merlin non era stato ancora licenziato? La strega se lo chiedeva spesso. Il suo rivale faceva davvero pietà come valletto. E non era che disponesse neanche di tali altre qualità da spingere il Principe dei Draghi a tenerlo ancora con sé.

Che Merlin avesse stregato Arthur per costringerlo a rimanergli accanto?

No, no. Non sembrava affatto una mossa nel suo stile. Morgana conosceva Merlin – lei poteva capire facilmente il carattere di tutti, ma Merlin, ah, era un vero libro aperto. Un piccolo libricino coraggioso e battagliero e onesto e scontato.

Il suo era seriamente un rivale prevedibile, e la strega era sicura che Merlin avrebbe considerato incantare il principe come “giocare sporco”.

Per questo non riusciva a spiegarsi la sua presenza costante affianco al loro bersaglio.

“In questo modo però è molto più divertente” disse Gwen, nascondendo il sorriso in un pungo. “Non si può negare che Merlin ci dia un bel da fare – la lavanderia lavora sul doppio delle lenzuola, con tutte le volte in cui lui ci rovescia qualcosa sopra... ma non si può volergli male, giusto?”

“Oh, sì” gorgheggiò la strega. “È una persona adorabile, davvero.”

Gwen non colse il sarcasmo. “Ha un faccino... adorabile. Ah, ma l'avete già detto voi” balbettò. “In fondo è simpatico a tutti anche perché dà sempre una mano quando può, ed è gioviale e divertente e... insomma, in cucina e negli altri ritrovi della servitù non dicono sul serio, quando si chiedono come mai il principe se lo tenga intorno. Non lo dicono con cattiveria, almeno, sapete.” Con una pennellata precisa ed elegante, Gwen terminò la prima passata della mano destra. “Merlin piace molto a tutti quanti. Credo che anche al principe piaccia molto.”

“Tu dici che al principe piace Merlin?” chiese Morgana, non riuscendo, stavolta, a nascondere la sorpresa nel tono guardingo della domanda.

Lei sapeva capire le persone al primo sguardo, sì. Ma i sentimenti umani...

Gwen la fissò con ovvietà. “Voi non credete? Voglio dire, quei due stanno sempre insieme. Sono diventati, direi, inseparabili.”

E non lo sapeva, questo, Morgana? Merlin era sempre tra i piedi. Dovunque andasse Arthur, c'era Merlin. Sarebbe stata quasi una barzelletta, se la strega non fosse stata consapevole che ciò implicava l'essere costantemente monitorata dal suo rivale.

Merlin doveva aspettarsi una sua mossa da un momento all'altro, dato che non aveva davvero la minima idea di cosa lei stesse architettando. Per questo lasciava scoperto il fianco del principe il meno possibile.

Il lato positivo? Era incredibilmente soddisfacente vederlo sempre più nervoso a mano a mano che il tempo passava e che lei, almeno in apparenza, non faceva la sua mossa.

Così, per tenere Merlin un po' occupato, per depistalo, ma anche per combattere la noia, Morgana aveva preso a lasciare, di tanto in tanto, tracce della sua magia in giro per il palazzo. In questo modo Merlin avrebbe di sicuro pensato che lei stesse scagliando incantesimi a destra e a sinistra... quando in realtà il suo piano procedeva tra una chiacchiera e l'altra.

La consapevolezza di star prendendo Merlin per il naso era una delle cose che permetteva a Morgana di affrontare col sorriso i suoi attacchi di nausea da vicinanza. Dèi, se non era divertente vederlo scoccare i suoi sguardi di sfida mentre le versava il tè delle cinque e lei allungava la mano verso il braccio del principe.

Merlin era diventato protettivo in modo singolare nei confronti di quel bamboccio; Morgana ancora faticava a capire i suoi motivi, ad accettare che uno stregone forte (forte come lei!) si stesse avvicinando tanto a un'ombra della magia. Ma la determinazione con la quale Merlin si preoccupava di alzare costantemente le difese intorno al suo protetto non poteva venire fraintesa. Ogni tanto il gattino sembrava trasformarsi in una tigre.

Questo motivava ancora di più Morgana. La competizione era migliore se era più accesa. La voglia di prendere per i fondelli un avversario agguerrito e dimostrare la sua superiorità era ancora più pressante. Morgana si sentiva stimolata a inventarsi metodi nuovi per punzecchiare e tenere sulla corda il suo sfidante.

Un'indimenticabile volta era riuscita a trovare, con un colpo di fortuna, una breccia nelle magie difensive di Merlin, e gli aveva portato via la voce con un incantesimo. Il che era davvero il massimo, considerando che la propensione per le chiacchiere a vuoto di Merlin era allo stesso livello di quella di Gwen. La rabbia e la leggera vena di panico sul viso di Merlin, dato dalla preoccupazione di cosa avrebbe fatto Morgana se lui non fosse stato in grado di comunicare col principe, erano stati senza prezzo. Morgana avrebbe ricordato a lungo le chiazze rosse che avevano colorato quel volto pallido e ossuto, mentre lui cercava di urlarle contro, riuscendo solo a tirare fuori una sottospecie di lamento raspato.

Poi, il risultato inaspettato: alla sera Merlin le si era avvicinato chiedendole candidamente se desiderasse della camomilla, quando, secondo i conti che si era fatta, non avrebbe dovuto essere in grado di pronunciare nemmeno una sillaba fino al giorno dopo.

“Arthur mi ha ridato le parole” aveva sussurrato lui a un'attonita Morgana prima di darle la buona notte. E di augurarle di non prendersi il virus influenzale che sembrava stesse girando a palazzo.

La mattina dopo, Morgana aveva scoperto di non avere più la voce. L'incantesimo su di lei aveva fatto tutto il suo corso, non svanendo prima di due giornate piene. Morgana si era sentita furiosa. Come aveva fatto Merlin a dimezzarne l'effetto? Arthur gli aveva ridato le parole... che significava mai?

Lei era sicura che lo stregone l'avesse detto soltanto per metterle una pulce nell'orecchio. Diventava vendicativo, se veniva tartassato a dovere. Questo non le dispiaceva affatto e l'aiutava a fomentare la rabbia, trasformandola in qualcosa di più produttivo – lo stimolo per la ripicca successiva.

Merlin si stava dimostrando un avversario all'altezza; era sveglio per certe cose, e Morgana apprezzava l'acume e il talento e sapeva riconoscerli (anche se all'inizio non era stato facile ammettere a se stessa la sua forza, abituata com'era a vederlo ingenuo e innocuo).

Qualche giorno prima l'aveva messo alla prova per l'ennesima volta, decisa a vedere quanto mancasse per far raggiungere allo stregone il punto di rottura. Quindi, per dare tempo a Gwen di girare indisturbata intorno al suo pollo reale, Morgana aveva chiuso Merlin dentro il bagno di servizio al piano terra, assicurandosi di sigillare bene la porta con un incantesimo tra i più resistenti.

Dieci minuti dopo Merlin aveva fatto capolino nelle sue stanze, roteando tra le dita la serratura del bagno. “Mi stai prendendo in giro?” le aveva detto, un sorriso a metà tra l'irritato e lo sconcertato. “Perché a me non è sembrato affatto divertente.”

Che Merlin rispondesse con sempre maggior decisione alle sue magie era una cosa che stuzzicava da impazzire Morgana, anziché impensierirla.

Tanto lei sapeva di doverlo temere come rivale solo fino a un certo punto; lo vedeva, quant'era... tenero. Lo vedeva quanto poco gli mancasse per perdere la testa, la ragione e il cuore. Su di lui la strega avrebbe sempre avuto un vantaggio naturale.

Ciò che l'annoiava a morte, in realtà, era un altro fatto: Merlin era talmente impegnato a proteggere che sembrava si fosse dimenticato di agire. Ma stava almeno tentando di mettere le mani su quel cuore umano o temeva Morgana talmente tanto da preoccuparsi solo che lei non lo battesse sul tempo?

In qualunque caso, era un bene; però rendeva la competizione meno accesa.

“Hai detto che al principe piace Merlin” disse a Gwen, modulando attentamente il tono di voce perché suonasse interessata in modo blando. “Pensi che anche a Merlin piaccia il principe?”

La risposta la conosceva già. Si trattava solo di vedere fino a che punto si estendesse quel “piacersi”. Era una delle pochissime cose delle quali Morgana non poteva sentirsi pienamente sicura. Non era la sua materia e non lo sarebbe mai stata.

Gwen ci pensò su per qualche attimo. “Merlin si lamenta sempre con me. Dice che il principe è incapace di provvedere a sé stesso e che lo chiama per qualunque sciocchezza” mormorò sorridendo, come se stesse parlando da sola (cosa che, di tanto in tanto, Morgana la sorprendeva a fare). “Dice che Arthur non è nemmeno in grado di nutrirsi da solo e che morirebbe di fame se non gli portasse lui i pasti. Pensate che mi ha pure chiesto di insegnargli come annodare le cravatte...”

Morgana sentì le proprie sopracciglia arcuarsi. “Arthur si fa addirittura annodare le cravatte da Merlin?”

“Merlin dice che è perché il principe ci tiene a rendergli la vita un inferno” fece l'altra, sventolando una mano per far asciugare lo smalto della strega. “Ma secondo me si divertono un mondo entrambi a stuzzicarsi a vicenda, sapete. Voglio dire, almeno Merlin...” A quel punto bloccò il gesto a mezz'aria, gli occhi che si stringevano confusamente. “Forse... non vorrei dire una sciocchezza... però ogni tanto ho come l'impressione che Merlin sia... molto, molto... molto affez-”

“Dovresti essere tu ad annodare le cravatte ad Arthur, Gwen” la interruppe Morgana, che aveva capito bene dove stesse arrivando la cameriera.

Ora non aveva bisogno di ulteriori conferme – Merlin si era affezionato senza alcun ritegno al loro bersaglio.

La cosa le fece sentire il bisogno di leccarsi le labbra, improvvisamente aride.

Morgana lo trovava assurdo, innaturale, incomprensibile. Tuttavia, alla fine questo si sarebbe risolto in suo favore, quindi perché rimuginarci sopra ulteriormente?

L'ultima cosa che le serviva adesso era una delle solite crisi di confusione di Gwen, che non mancavano mai di sfociare in un pietoso complesso di insicurezze. Quella ragazza aveva un'orribile necessità di ricevere incoraggiamenti e, per quanto la strega odiasse fare la parte della consigliera, era proprio questo il compito che le toccava. “Potresti dire a Merlin di fare cambio per questa mansione. Non intendo solo annodare le cravatte. Parlo di occuparsi del guardaroba di Arthur in generale” ammiccò la strega. “Ci guadagnereste entrambi. Lui avrebbe meno di che lamentarsi, e tu, be'... è ovvio.”

Gwen arrossì con furia, concentrando tutta la sua attenzione sullo strato di glitter da applicare sopra la base di smalto nero.

“Gwen, Gwen... ci guadagnereste tutti e tre” insisté Morgana. “Arthur sarebbe più che felice di farsi vestire, e magari anche svestire, da una ragazza fantastica come te, invece che da uno spaventapasseri di valletto.”

“Milady!” soffiò l'altra. La mano le tremò così tanto che arrivò ad applicarle i glitter fino alla pelle dell'indice. “Oh mio dio, scusate.”

La strega represse una fitta di fastidio (ah, odiava gli errori di distrazione) con un sorriso docile che poco le apparteneva. “Andiamo, potresti avere uno come Arthur ai tuoi piedi, se solo ci provassi sul serio.”

A onor del vero, non stava mentendo. Gwen era una ragazza troppo insicura per certe cose, anche dove non ce n'era bisogno. Era carina e pratica, sapeva prendere in mano le redini delle situazioni ed era premurosa. Un'esemplare di femmina umana che avrebbe fatto gola a molti, quindi. Sul serio, sulla carta era perfino troppo per qualcuno borioso e pieno di sé come il suo “cuginetto”.

“Non si tratta solo di questo... cioè, ovviamente io non potrei mai aspirare a tanto...”

“Gwen!”

“... Ma, a parte che lui è il futuro re e io una cameriera, una cameriera senza doti particolari...”

“Gwen...” Morgana si toccò il ponte del naso.

“... Senza doti particolari oltre il saper fare la manicure, e dubito che ciò possa interessare ad Arthur, dicevo, oltre questo... oh, lo sapete, lo sapete quant'è imbarazzante la situazione tra noi.” Gwen scoppiò in un singhiozzo sconfitto che fece tremare Morgana (Per tutti i draghi, se si mette a piangere giuro che esplodo). “Se lui non ha fatto proprio un bel niente finora, perché io dovrei... ?”

“Gwen! Questa è solo una scusa” la riprese severamente la strega. E non provare a dirmi che pensi ancora a quel folle che in questo momento se ne sta a spasso per l'Africa a sospirare per te mandandoti ancora di più in confusione, voleva aggiungere. Invece disse: “Non dirmi che pensi ancora a Lance.”

Lo sguardo addolorato e umido che l'altra le rivolse parlò chiaro.

Morgana non poté trattenersi dallo schiacciare la guancia contro il tavolinetto di marmo.

Ah, gli esseri umani e il loro maledetto, insicuro, imprevedibile cuore. Se non avesse potuto parlare con Morgause entro breve, Morgana avrebbe esaurito la sua già scarsa dose di pazienza prima del previsto.

 

 

ʘ

 

 

Dormi?

 

 

Da: Idiota

Dormivo... prima di ricevere questo messaggio. Che volete, sire?

 

 

Hai lasciato in camera mia quella specie di straccio che ti ostini a indossare come una sciarpa. Vienilo a riprendere.

 

 

Da: Idiota

Domani. Adesso è tardi.

 

 

Adesso! Non sopporto di vederlo neanche con la coda dell'occhio. È troppo rosso e stropicciato, mangiato ai lati e patetico. Rovina l'atmosfera.

 

 

Da: Idiota

Chiudete la sciarpa in un cassetto e non la vedrete! E poi, non dovrebbe darvi fastidio che sia troppo rossa, considerando che il rosso è il colore dello stemma reale dei Pendragon e a palazzo sta un po' ovunque. Ah, e poi come fa una cosa a essere troppo rossa? Non esiste che qualcosa sia “troppo un colore”.

 

 

MERLIN! QUANDO IL TUO CAPO TI DICE DI FARE UNA COSA DOVRESTI FARLA! Sei il mio valletto o no?

 

 

Da: Idiota

Preferirei non esserlo. E comunque non erano esattamente questi i termini del contratto quando sono stato assunto.

 

 

I termini li decido io.

 

 

Da: Idiota

Sentite, anche se non avete sonno dovete proprio tenere sveglio pure me? Mi pare che torniamo sempre su questo argomento ma non ne usciamo mai.

 

 

Arthur si morse il labbro, il pollice che scorreva a lato del cellulare, su e giù, su e giù. Era proprio vero che il modo migliore per occupare il tempo (quando non aveva sonno, o quando non sapeva cosa fare, o quando si sentiva agitato o quando gli andava) era stuzzicare Merlin.

Sarebbe potuto andare avanti per ore in quel modo, un via vai di lamenti senza fine per sms. Le risposte di Merlin sarebbero comunque arrivate in ogni caso. Merlin gli avrebbe sempre risposto, e questo Arthur lo sapeva.

Grattandosi la nuca, il principe si avvicinò d'istinto al finestrone che dava sui giardini. Da lì si poteva vedere proprio il lato della dependance in cui si trovava la stanza di Merlin.

Era solo un caso che il suo sguardo vagasse tanto spesso verso il piccolo edificio bianco dal tetto verde. In fondo, la sua camera da letto non era poi così grande e facendo due passi o tre in più era normale che l'occhio gli finisse... oh. Eccolo lì, Merlin.

Arthur riusciva a vederlo piuttosto bene; stava seduto nella rientranza della sua finestra, dietro il vetro sbarrato e le tendine bianche tirate di lato, come a fare da cornice a un quadretto.

O meglio, se quello fosse stato sul serio un quadretto, sarebbe stato il più patetico tentativo di quadretto che Arthur avesse mai visto; Merlin non era molto adatto per fare da soggetto.

Innanzitutto, non con quell'aspetto di chi è appena sceso dal letto – zazzera nera sugli occhi, pigiama grigio topo troppo corto che gli scopriva le caviglie, ridicoli calzini fucsia.

Nessun riquadro avrebbe mai potuto fissare il movimento nervoso del piede che batteva il tempo, o l'eccessivo entusiasmo con il quale Merlin premeva sullo schermo del cellulare.

Arthur si era sentito spesso tentato di fargli una foto mentre non guardava – per prenderlo in giro più tardi delle sue stranezze, chiaramente. Ogni volta, però, si era ritrovato a mettere da parte il proposito, perché... non sarebbe stato strano provare a bloccare Merlin in un'immagine?

Sarebbe stato assurdo, no? Nessuna foto, nessun ritratto avrebbe potuto cogliere quel qualcosa che quello stupido aveva – quel qualcosa di... vivo.

Arthur trovava curioso come questa figurina di un ragazzo magro con il mento appoggiato sulle ginocchia potesse sembrare talmente viva da dare l'impressione che fosse impossibile farla rientrare in una cornice.

Era proprio da Merlin, la sensazione che ci fosse sempre un più rispetto a ciò che si vedeva.

Certo, ammirarlo nell'atto di asciugarsi il naso su una manica del pigiama fece sentire Arthur particolarmente idiota per aver pensato tanto di lui.

Il suo valletto era infatti intento a squadrare lo schermo del cellulare, passandosi una mano sul braccio per scaldarsi, intervallando ogni tanto il gesto con una bella, salutare pulita del naso sulla manica.

Arthur rise forte, sentendo quella stretta allo stomaco che accompagnava, negli ultimi tempi, le sue risate liberatorie.

Era un po' come se qualcuno facesse pressione in quel punto – ma non una pressione di quelle cattive, che gli toglievano il respiro quando doveva parlare a un evento pubblico e d'improvviso dimenticava le parole. Solo... un piccolo peso.

Gli ricordava vagamente della cocker che Gwaine aveva avuto anni prima, Barbie. Barbie era solita posizionarsi con determinazione in grembo ad Arthur per addormentarsi lì, intenzionata a non scendere tanto presto.

Un peso di quel genere, il principe sentiva quando rideva per le sciocchezze di Merlin: caldo, costante, niente affatto spiacevole.

In quel momento, Merlin si rimise in piedi con un salto poco coordinato e si allontanò dalla finestra, sparendo dal campo visivo del principe.

Lui appoggiò una mano sul vetro, lasciandoci il fantasma delle sue impronte sopra. Fece appena in tempo ad allungare inutilmente il collo che Merlin tornò ad accovacciarsi contro la tenda, avvolto ora in un plaid a quadri come uno strano bruco. Si grattò il naso, poi fece emergere dal bozzolo il cellulare e tornò a fissarlo con qualcosa che, se Arthur avesse potuto vedergli meglio il viso, avrebbe probabilmente definito irritazione.

Merlin doveva star aspettando la sua risposta via sms.

Era così?

Le labbra del principe si piegarono in un ghigno, l'accenno di una risata gli scappò di nuovo dalla bocca. Be', chi era lui per far aspettare invano il suo valletto infreddolito? Il principe di Galles, gli rispose la voce nella sua testa, quella che somigliava spaventosamente alla voce di suo padre.

Arthur la ignorò – gli riusciva così bene di ignorarla, da qualche tempo.

Pensare che non ce l'aveva fatta per tutta la sua vita.

Non ce l'aveva fatta quando la voce gli aveva detto per la prima volta, durante la cerimonia pubblica per l'anniversario della morte di sua madre, “su la testa, non mostrarti debole o nessuno ti darà mai fiducia, sempre su la testa, Arthur” (lui aveva avuto sette anni, allora).

Aveva ascoltato la voce, quando quella gli aveva caldamente suggerito che la duchessina Sophia sarebbe stata una candidata ottimale come fidanzata ufficiale, sebbene ad Arthur Sophia non piacesse neanche un po'. Era stata la voce a scegliere per lui i corsi da frequentare all'università, e anche allora Arthur l'aveva ascoltata, ubbidiente. Perché era nel giusto, no?

La voce di suo padre era quella dell'autorità.

Spesso non andavano d'accordo, loro due, e Arthur riconosceva che Uther aveva commesso i suoi errori, come fanno tutti, del resto. Però Uther era un buon re, era un brav'uomo.

Un buon padre, forse... non del tutto. Ma era suo padre e Arthur l'amava e lo rispettava, ed era normale che un figlio volesse compiacere il proprio padre. Che volesse renderlo fiero.

Arthur, per quanto molti avrebbero avuto a che dire, non era uno stupido; sapeva benissimo che suo padre era il suo tallone d'Achille, e che lo sarebbe sempre stato. Il peso del suo giudizio incombeva sopra il collo di Arthur anche per le minime decisioni. Le aspettative da raggiungere costantemente, la soglia del limite da alzare... e la soddisfazione quando riusciva. Quando riusciva, tutto da solo.

Quella soddisfazione faceva a pugni col suo ego, ogni volta in cui Arthur aveva un faccia a faccia con Uther. Se c'era una cosa che il principe odiava sul serio era l'umiliazione, il dover abbassare la testa contro quell'autorità tanto amaramente irraggiungibile. Eppure l'odio si scontrava con il rispetto, e Arthur non era mai stato molto sicuro di sapere chi avesse la meglio nel corso di quelle lotte interiori e silenziose.

Fino a che, un giorno...

 

Voi siete un Pendragon, siete un reale. Ma siete anche Arthur. Le capacità per essere un grande sovrano, e prima ancora un grande uomo, ce le avete voi. E allo stesso tempo, il titolo vi appartiene e fa parte di voi proprio come il vostro nome...

 

Stupido Merlin. Stupido Merlin che aveva la misteriosa capacità di saper dire un sacco di cavolate, ma anche, sorprendetemene, la cosa più giusta nel momento più giusto.

“Bei... calzini... comunque” si ritrovò a digitare veloce Arthur, aprendo intanto il finestrone con la spalla.

L'aria più che frizzante della serata lo accolse non appena mise piede in terrazza. Il principe si tirò il cappuccio rosso sopra la testa, appoggiando pigramente i gomiti sul marmo.

Vide il suo valletto drizzare la schiena, portandosi il cellulare davanti al naso. Rimase così per qualche secondo e ad Arthur venne di nuovo da sghignazzare – era proprio impossibile.

Quando Merlin si voltò confusamente dalla sua parte, il principe sventolò la mano tracciando un'ampia semi circonferenza in aria, una parodia del gesto che ripeteva spesso per salutare la folla.

Merlin prese a lavorare con foga sul telefono.

Arthur rimase a guardare, facendo il broncio. Insomma, ma che razza di maleducato. Non era ovvio che avrebbe dovuto fare come lui e aprire la finestra per parlargli faccia a faccia? Ogni persona con un briciolo di buone maniere non avrebbe lasciato il principe di Galles al freddo senza compagnia.

La vibrazione gli annunciò l'arrivo di un nuovo messaggio, che lui aprì subito solo perché, se non si fosse tenuto impegnato, gli sarebbero cadute le dita a causa intorpidimento.

 

 

Da: Idiota

Mi spiate pure, adesso?

 

 

Ah.

 

 

Non posso più nemmeno affacciarmi alla mia finestra?

 

 

Da: Idiota

Vi rendete conto che è da pazzi starsene lì a quest'ora senza giacca, spero.

 

 

Vieni su, allora, o la colpa di aver fatto raffreddare il tuo principe ricadrà interamente su di te. Sarebbe alto tradimento. Sai che nel seminterrato del palazzo sono ancora conservate delle belle prigioni medievali? Altro che la Torre di Londra...

 

 

Carina, questa delle prigioni. Perché non ci aveva pensato prima? Erano un posto particolarmente adatto per spaventare qualcuno.

Arthur ricordava quando, da piccolo, aveva sfidato Gwaine e Lance a sgattaiolarci dentro per una prova di coraggio. Per entrarci avevano usato il passaggio nascosto del labirinto, e avevano finito col perdersi prima lì e poi nei sotterranei. Era stato Leon a ritrovarli, stretti l'un l'altro, Lance con un ginocchio sbucciato, Gwaine che tratteneva stoicamente i lacrimoni e Arthur che brandiva la spada di plastica. Tutti e tre terrorizzati ma decisi a non darlo a vedere, Arthur un po' per non spaventare gli amichetti, un po' per orgoglio e un po' (tanto) per la famosa voce che gli ricordava “su la testa, è così che fa un leader”.

Comunque, non sarebbe stato troppo difficile procurarsi la chiave per le vecchie prigioni. Di sicuro Merlin ci sarebbe cascato in pieno, se Arthur ce l'avesse portato e avesse minacciato di lasciarlo lì al prossimo errore.

In quella il telefono prese a suonare quasi in protesta, come se Merlin avesse percepito ciò che Arthur stava architettando e l'avesse chiamato subito per lamentarsi.

La sua voce offesa perforò l'orecchio del principe. “Siete completamente pazzo” esordì. “Non ho mai conosciuto nessuno più pazzo di voi. Lasciamo perdere i ricatti indegnissimi di un principe, quelli li attribuisco al vostro ego da perenne adolescente.”

La sua insolenza non aveva limiti, Arthur davvero ne rimaneva meravigliato ogni volta. Prese fiato per ribattere e rimetterlo al suo posto, ma Merlin parlava serratamente, senza dargli neanche un secondo di tregua.

“Il problema qui è un altro, e cioè, avete visto che ore sono, santo cielo? Ma non ce l'avete un minimo di coscienza? Chiedere a un valletto di precipitarsi da voi, ben oltre l'orario di lavoro-”

“Non abbiamo mai stabilito un orario di lavoro preciso. Per quanto ne sai tu, potrebbe benissimo essere una cosa del tipo ventiquattro ore su ventiquattro.”

“Al limite scendete giù voi” lo ignorò Merlin. “Non ci penso neanche a spostarmi di qui, fa freddo e voglio restare in pigiama e sì, i calzini sono molto belli, grazie tante. In ogni caso rientrate, testa di fagiolo. Se restate alla finestra posso vedervi comunque, anche da dentro.”

“Perché quest'ultima tua affermazione mi puzza tanto di ordine?” disse Arthur, facendo retro-front.

Una volta tornato al coperto, un afflusso di calore gli fece sentire il bisogno di togliersi il cappuccio da sopra la testa – gli sbalzi improvvisi di temperatura gli facevano cose terribili. “Comunque grazie, Merlin. Se non fosse stato per il tuo saggio consiglio, non mi sarebbe mai venuto in mente di rientrare. Non so che farei senza di te” disse, appoggiando la schiena al vetro.

“Divertente. Siete proprio divertente, ve l'hanno mai detto?”

“Ah! Sì, più volte di quante tu possa immaginare.”

Merlin buttò fuori una risata appena accennata nel respiro. Arthur l'ascoltò, non aggiunse nulla, e ne seguì una manciata di secondi silenziosi. Il principe sentì la propria spina dorsale accomodarsi placidamente contro il finestrone. Non gli dispiaceva il silenzio. Non gli era mai dispiaciuto. I silenzi migliori erano quelli che non ti dovevi preoccupare di colmare.

Con Merlin non ti dovevi preoccupare di colmare il silenzio. In genere ci pensava lui. “Ditemi cos'è che vi tiene sveglio e che, di conseguenza, non fa dormire nemmeno me.”

Arthur sorrise ai lacci delle scarpe. Come volevasi dimostrare.

Sentì freddarsi i polpastrelli della mano sinistra che aveva appoggiato inconsciamente contro il vetro. Continuò a dare la faccia al proprio letto, immaginandosi Merlin sempre accoccolato su se stesso nella sua tana. Magari, quando si fosse voltato di nuovo, l'avrebbe visto coperto pure con i lembi della tenda bianca. “Prima sono andato un po' su internet a leggere cosa dicono di me” buttò lì con casualità. Senza curarsi di specificare che la sessione di ricerca era durata qualcosa come un'ora e mezza.

Merlin ruggì, spazientito. “Lo sapete che è meglio non farlo, perché vi ostinate a insistere? Mi fate impazzire, siete così... testardo!” Arthur riuscì praticamente a vederlo digrignare i denti. “Che vi ha detto Leon, eh? E che vi dico sempre pure io? È meglio ignorare tutto senza curarsi delle cattiverie che-”

“No, Merlin, ascolta” si affrettò a interromperlo e, quasi l'avesse avuto davanti, alzò la mano libera a mezz'aria. “Non ci sono articoli diffamatori. Sì, be', qualche cavolata c'è sempre, ma non è lì che mi sono soffermato. In realtà è da un pezzo che non vedo circolare qualcosa di veramente pesante sul mio conto.”

“Uhm, allora... bene?” tentennò Merlin.

“Hai capito? Voglio dire, non parlano male di me. Non ci sono nuovi pettegolezzi, né voci fasulle di fidanzamenti, né foto imbarazzanti.”

“Sì? Sì, insomma, bene!” Una luminosità improvvisa colorò la voce del suo valletto, come se Merlin avesse realizzato solo a quel punto cosa Arthur gli stesse in effetti dicendo, una luminosità che, dio... perché gli veniva da chiudere gli occhi? Doveva essere la stanchezza.

Andava bene se li teneva chiusi ancora per un po'. Tanto nessuno l'avrebbe visto. “Parlano molto bene di me” aggiunse allora, e sì, chiudendo gli occhi con decisione. Perché se una cosa si poteva fare con decisione, allora valeva la pena farla così, e non in modo banale. “Parlano di come non siano scoppiati più scandali da un po' di tempo a questa parte... 'Il principe di Galles ha messo la testa a posto'.”

Era lo spettro di quel titolo, letto sulla rivista on line Camelot, che continuava a non volerne sapere di uscire dalla sua testa. In realtà, prima di vederlo, Arthur nemmeno aveva realizzato quanto il significato nascosto dietro quei caratteri cubitali fosse vero.

Ultimamente non era successo proprio nulla – niente frasi sconvenienti vere o presunte rilasciate da lui, niente foto compromettenti, niente.

La situazione era cambiata rispetto alla routine alla quale era abituato fino ad alcuni mesi prima; di norma, quando Uther lo faceva particolarmente infuriare e ad Arthur non bastava dare qualche pugno al sacco per scaricare la tensione, il principe se ne andava per club. La serata si concludeva con un fiasco tremendo, la notte si scioglieva indistintamente nella mattina e, quando Arthur si risvegliava nel suo letto, si ritrovava con tre cose: un mal di testa desolante, un vago ricordo di qualche bionda alla quale avrebbe dovuto mandare dei fiori in segno di scuse, una sensazione di misero vuoto allo stomaco che faticava ad andare via. O che forse non andava via mai.

Poi, Uther lo convocava nel suo studio, dove lo attendeva una doccia gelata di sdegno paterno, pronta a svegliarlo per bene. Portare avanti una conversazione che non fosse a senso unico era impossibile e il principe si ritrovava più irritato di prima – sconfitto, era quella la parola esatta.

La sera dopo, usciva di nuovo.

Ora sembrava che, da qualche parte nell'ultimo lasso di tempo, il circolo vizioso fosse stato interrotto.

Arthur aveva interiorizzato la cosa solo quella sera, ritrovandosi la frase della verità sotto il suo naso, “Il principe di Galles ha messo la testa a posto”. Era stato come se qualcuno avesse accesso una lampadina nella sua testa. Arthur si era buttato in una ricerca meticolosa tra le pagine web, cercando nemmeno lui sapeva bene cosa, e trovando... nulla.

Nemmeno della volta davanti al Rising Sun con quella barista se n'era poi saputo nulla.

Realizzarlo di botto era stato spiazzante. Arthur si era ritrovato a chiudere il portatile con furia per dedicarsi a una sana dose di sport serale – giri a vuoto intorno alla stanza nel tentativo di capire che cosa mai fosse cambiato. Quale fosse stata la variante che aveva dato una svolta all'andamento della sua vita.

Il motivo per il quale poteva permettersi il lusso, dopo tanto tempo, di prendere tutto con una certa calma... senza troppa insicurezza. Senza pressione. Il motivo per il quale riusciva di nuovo a respirare a pieni polmoni.

“Avrete un angelo custode che sistema i vostri pasticci” disse Merlin, mescolando le parole a uno sbadiglio.

Arthur respirò. “Nah... i miei risultati li devo a me stesso, così come è sempre stato” rispose, in modalità automatica.

Merlin rimase muto per qualche attimo. “Certo, certo” recuperò poi, velocemente, “comunque, bene. Angelo o no, le cose vanno meglio e io sono contento per voi.” Arthur sentì la sua voce modellarsi in una parabola ascendente, quello stadio che in genere era accompagnato dai sorrisoni più stupidi e genuini di Merlin, che arrivavano fino alle orecchie e occupavano tutta la sua faccia.

Arthur non aveva mai visto nessun altro sorridere così. Era talmente strano che non si poteva fare a meno di fissarlo. E, fissando, il principe aveva finito per memorizzare ogni singola piega nella quale si increspava il suo viso quando sorrideva, le fossette, le rughe intorno agli occhi.

“Sei contento e basta?” lo stuzzicò, perché si divertiva molto a mettere Merlin in difficoltà – la cosa più deliziosa era arrivare a farlo blaterare insensatamente; Arthur si era ritrovato spesso a giocare a “vediamo quanto ci metto stavolta a farlo balbettare”. I risultati erano stati spesso impressionanti.

“Certo, sono contento e basta” disse in fretta il suo valletto. “Ci dovrebbe essere qualcos'altro?”

“Non so, qualcosa tipo, uhm, fiero? Sei stato tu a dirmelo. Che eri fiero di me.”

Sono fiero di voi, aveva detto Merlin bloccandolo all'uscita da Hatchards, un sussurro appena accennato, tiepido sulla sua pelle. Ripensandoci, Arthur sentì quel piccolo peso sullo stomaco – Barbie.

“Ah. Da-davvero l'ho detto? Non me lo ricordo proprio” incespicò Merlin e, ah! Era troppo facile vincere così.

“Certo che sì. L'hai detto in libreria, l'ultima volta” insistette.

“Continuo a non ricordare.”

“Memoria corta.”

“Forse.”

“Ma se te lo dico io ci devi credere” disse Arthur, accomodandosi meglio contro il finestrone. Infilò un piede sotto l'altro e ancorò la mano libera nel fondo della tasca della tuta. Se Merlin l'avesse visto, gli avrebbe soffiato dietro qualcosa come 'che razza di strafottente'. Lo faceva spesso. “L'hai detto tu che se ti dico una cosa, ci credi. Me l'hai detto in camera mia, ti ricordi?”

Oh sì, il discorso del “io mi fido di voi”. Arthur allungò un po' il collo per liberarsi dal calore che il cappuccio tratteneva tutto lì intorno.

“Quello potrei anche averlo detto...” brontolò il valletto.

“Me l'ha detto pure mio padre. Che è fiero di me.”

“Oh!” Merlin squittì quasi. “Ci avete parlato? Ce l'avete la ruga delle grandi occasioni che spunta fuori quando ci parlate?”

“Prima mi ha convocato nel suo studio, dopo cena” spiegò Arthur. Probabilmente era da là che era partita, poi, tutta la ricerca su internet. Forse. “Ha detto che mi vede più sereno, che gli sembra io abbia trovato la mia via e che questo lo rende contento.”

“Tutto qui?”

“Già” fece lui, stringendosi nelle spalle.

Be', in realtà non c'era molto altro da raccontare. Le cose erano andate proprio in quel modo: Arthur era entrato nello studio privato del re, dove aveva trovato quest'ultimo con la testa piegata sopra un mare di scartoffie. La scena era consueta; non molto consueto era stato vedere Uther sollevarsi di botto dal proprio lavoro, commentare casualmente che gli faceva piacere vedere suo figlio sereno, e poi tornare alle sue questioni, come se nulla fosse accaduto.

Arthur se n'era rimasto in piedi davanti alla scrivania, ondeggiando quasi impercettibilmente col busto – non era stato molto sicuro di sapere cosa stesse succedendo. O se gli fosse stato permesso di dire qualcosa, o di battere in ritirata.

Vedere suo padre in quello stato relativamente innocuo lo disorientava più di qualunque altra cosa.

Arthur aveva aspettato per un minuto buono, durante il quale aveva incassato il colpo, e, sotto sotto, aveva sperato nell'arrivo di altro, tipo, magari, un parere un po' più sostanziale. Alla fine aveva alzato le sopracciglia, raccogliendo ciò che aveva ottenuto. “Grazie papà”, aveva detto, ed era uscito.

“Insomma, è comunque un passo avanti” disse, sentendo le labbra che si arricciavano all'infuori.

Merlin non disse nulla riguardo suo padre, ma il suo silenzio era carico di sottintesi.

Arthur, anche se il suo valletto non si era mai espresso direttamente in proposito, aveva intuito che a Merlin non piaceva il comportamento che Uther teneva nei confronti del proprio figlio. Be', un grosso indizio l'aveva avuto quando, una memorabile volta, Merlin si era dovuto occupare del servizio a tavola nel corso di una cena che aveva riunito la famiglia Pendragon (tre componenti in tutto; non era poi così difficile riunire la famiglia, eppure accadeva di rado).

Merlin, ovviamente, aveva fatto rovesciare una metà del minestrone sulla tavola mentre serviva le porzioni. Morgana aveva riso con passione, ma il re se l'era presa con Arthur, rimproverandogli di non saper scegliere nemmeno chi avrebbe potuto servirlo bene. Il principe aveva intercettato il labiale di Merlin, che era somigliato pericolosamente a qualcosa come “che vecchio bastardo”.

Da una parte gli aveva fatto drizzare i capelli in aria per il fastidio, perché Merlin, se non altro, doveva del rispetto a Uther; era sempre il suo re, oltre che l'uomo che gli stava dando da lavorare, l'uomo che suo zio Gaius rispettava e che Arthur stesso rispettava.

Dall'altra parte...

Merlin se ne fregava dei titoli e della scala sociale, se ne fregava al punto da superare la maleducazione e raggiungere l'oltraggio. In questo modo, però, si poteva essere sicuri che tutto ciò che diceva fosse sempre sincero, che non ci fossero filtri a schermare i suoi pensieri. Se Merlin diceva di essere fiero di Arthur, allora era vero, e nel senso più totale della cosa, perché a Merlin non avrebbe potuto interessare di meno se Arthur fosse stato un principe o uno sguattero. Lui lo rispettava in quanto uomo.

Questo... questo faceva cose strane ad Arthur. Cose molto strane. Cose che gli restringevano lo spazio nella cassa toracica, ogni volta che Merlin gli faceva capire cosa pensasse di lui, cose che avevano a che fare con tutto il discorso di Barbie.

Succedeva di frequente.

Merlin era un chiacchierone – non stava mai zitto, a dire il vero. In mezzo ai fiumi di sciocchezze, parlando, non si risparmiava dal ricordare ad Arthur quanto, cervello minuscolo a parte, lo considerasse una persona assolutamente degna di valore.

Ah...

Merlin gliel'aveva fatto capire chiaramente molte volte e, se non con le parole, nel modo in cui lo guardava, talmente limpido, talmente aperto.

In tutta onestà, Arthur non ce l'avrebbe fatta ad arrabbiarsi sul serio con lui anche se Merlin avesse dato del babbeo a suo padre in pubblico, perché, il principe ne era certo, l'avrebbe fatto solo ed esclusivamente in difesa di Arthur.

Un cosino magro e scoordinato come Merlin.

In sua difesa.

Il solo pensarlo sembrava ad Arthur... destabilizzante. Se lo diceva a mezza voce, quando era solo in camera sua (non che l'avesse mai fatto, comunque), anche allora suonava alieno tra le sue labbra.

Era Arthur quello che proteggeva, insomma. Era lui quello con la spada di plastica.

Eppure... eppure, se sentiva il battito accelerato, dal polso, al collo, alle orecchie, a tutto, se sentiva il battito accelerato realizzando che qualcuno restava al suo fianco senza vergogna, senza celare nulla, sempre, a fare da scudo alla sua spada, sempre...

“Arthur” lo richiamò Merlin, e il principe si schiarì la voce, tornando dentro alla conversazione. “Indipendentemente da ciò che dice vostro padre, voi l'avete trovata per davvero, la vostra via?”

Arthur ci pensò un attimo, colto alla sprovvista. Non era una domanda alla quale sentiva di poter trovare una risposta appropriata, per lo meno non ancora. Forse era troppo presto, forse aveva appena cominciato a capire ciò che gli piaceva e ciò che non gli piaceva, ciò che gli si adattava e ciò che sapeva fare.

Forse era passato troppo poco tempo da che si era scoperto anche lui bravo e competente in qualcosa di pratico, che per una volta non c'entrava nulla con i risultati accademici: il contatto aperto con la gente.

Avere a che fare con le persone durante le parate o le interviste era sempre stato uno degli aspetti che alleviava Arthur dal peso della responsabilità. Ma, da dopo il successo della lettura da Hatchards, il suo amore per eventi simili era moltiplicato. Era possibile raggiungere il cuore della gente, se ne era reso conto. E in realtà, per la prima volta, aveva pensato che non gli dispiacesse affatto farlo.

I sorrisi, gli sguardi d'incoraggiamento che aveva ricevuto in cambio da madri, bambini, persino giornalisti, tutto questo aveva parlato chiaro, e gli aveva dato una marcia in più.

Il sorriso di Merlin, in piedi in fondo alla sala... Il suo scudo.

“Non so cosa dire...” fece il principe. Ed era la verità. Non avrebbe mai saputo come esprimere quello che sentiva in quel momento, o che aveva sentito allora, o che sentiva spesso, sempre più spesso. Quindi optò per una cosa che gli riusciva bene, perché i suoi insegnanti privati, se non altro, gli avevano sempre detto che possedeva il dono della sintesi. “Comunque, in qualche modo, va meglio di prima.” Perfetto.

“Siete ritornati sull'argomento dell'esercito, con vostro padre?”

L'esercito, già. Non che Arthur avesse accantonato del tutto la cosa.

Ancora riusciva a immaginarsi piuttosto bene nei panni del militare, e credeva fortemente che se la sarebbe cavata, nel campo. Solo che...

Ecco, non era più l'unica possibilità che sentiva gli fosse rimasta, per fare qualcosa. Per rendersi utile.

“Lui non ne ha più parlato... ma non l'ho fatto nemmeno io” disse allora con lentezza, sincero. “Suppongo di... aver sempre pensato di entrare in esercito perché non sapevo cos'altro fare di me stesso. Non era la giusta motivazione.”

“Oh, su, scommetto che ci sono un sacco di... 'cose da principe' che potete fare” convenne Merlin, molto probabilmente sventolando una mano in aria. “Non siete poi così tanto inutile qui dove state, sapete. ”

“Ma grazie, Merlin, grazie mille” scherzò.

“Di niente, figuratevi, sono qui per questo.”

“Non ne dubitavo.”

“Non dubitatene.”

“Non lo faccio.”

“Continuate a non farlo.”

Arthur inspirò, allontanando un po' il telefono dall'orecchio – quand'era che ce l'aveva appiccicato così? Non se n'era accorto.

Merlin buttò fuori un sospiro gemello del suo respiro. “Dovrebbe dirvelo sempre” disse alla fine, il tono basso, ma fermo. “Dovrebbe ricordarvelo sempre, vostro padre, che è fiero di voi.” Di nuovo, a metà tra la difesa di Arthur e l'offesa niente affatto celata ai modi di suo padre. Così tipico di lui. “Se non altro, perché quando vi fanno i complimenti rendete meglio. Come l'aria calda che gonfia una mongolfiera per farla volare, avete presente?”

Ecco, adesso aveva virato pure verso l'offesa nei confronti di Arthur. Proprio tipico. “Mi stai dando del pallone gonfiato.”

“Nah... Dico solo che rendete meglio quando venite motivato.”

“Ed è quello che fai tu? Motivarmi, tipo preparatore atletico?” si scaldò il principe. Questa era proprio curioso di saperla. Si leccò le labbra, spostando il cellulare dall'altra parte in un gesto assolutamente non nervoso. “È questa la ragione per la quale mi hai detto che eri fiero?”

“No!” esclamò Merlin. Poi ne seguì un “ooof” soffocato e un inconfondibile suono di qualcosa che cadeva. “Ahi...”

Il principe allora si voltò di botto, per la prima volta da quando era rientrato dalla terrazza. Il posto occupato dal suo valletto era vuoto. “Merlin?”

Fu soltanto per un secondo... ma, per quel secondo, i polmoni di Arthur si svuotarono pericolosamente.

Subito dopo, una mano pallida emerse dal basso.

Respiro.

Davvero, Arthur si sarebbe messo a ridere solo per quanto la scena gli ricordava quel film con gli zombie che sbucano da sotto terra. Fu il vedere Merlin che si tirava su tenendosi il sedere, però, che lo fece scoppiare in una risata, con tanto di testa buttata all'indietro. “Merlin, ma che diavolo?!” riuscì a dire a stento.

“Sono caduto. Non ridete, cavolo” disse guardandolo in faccia, per mostrargli il broncio. “Ahi, che botta...”

“Potevi riuscirci solo tu” disse, assicurandosi che il suo scuotere la testa fosse ben visibile. “Ci credo che ti sei fatto male al sedere, ossuto com'è. Non c'è un filo di grasso a fare da protezione. E non!” tirò su l'indice, sentendo che l'altro prendeva fiato per rispondergli, “Non osare neanche fare il mimo commento sulla questione del grasso.”

Merlin chiuse la bocca come un pesce. “Arthur...” ricominciò poi.

Meeerlin” belò lui, roteando gli occhi.

“Arthur, quella volta l'ho pensato sul serio, che ero fiero di voi” disse, a sorpresa.

Dannazione. Arthur avrebbe dovuto esserci abituato, ai suoi sprazzi di sincerità improvvisa. Ma era più facile dirlo che farlo, quando sentiva la gola attorcigliarsi in un nodo sotto il comando della voce limpida di Merlin.

“Per la storia di vostra madre, io – io vi capisco” continuò quest'ultimo, ignaro di tutto, semplicemente, dio, semplicemente sincero. “Non so se al posto vostro sarei riuscito a fare lo stesso, parlarne davanti a tutti come avete fatto voi, intendo, parlarne in quel modo, così diretto, dire quanto vi mancava – umh...” Un sospiro tremolante, quasi addolorato, bloccò il torrente delle sue parole.

Arthur sentì l'urgenza di tornare a dargli le spalle, e così fece.

“Mi è piaciuto molto, quello che avete detto quella volta. Mi è piaciuto molto, Arthur.”

“Oh.” Il principe allungò il piede per sollevare appena il tappeto. “Be'.”

“Non ho mai conosciuto mio padre, sapete.”

Cosa? Quindi anche Merlin, come lui...

Le cose che aveva vissuto lui... anche Merlin le aveva provate?

“Non me l'avevi mai detto” gli rispose. Il proposito di dargli la schiena svanì immediatamente quando il suo collo tornò a voltarsi verso la dependance. La testa nera del suo valletto era appoggiata mollemente sulle ginocchia; le dita lunghe, troppo bianche nel buio, giocavano col bordo del plaid intorno al quale era arrotolato.

Solo allora Arthur si disse che Merlin, in realtà, parlava pochissimo di lui. Se fosse stato un tipo più misterioso, il principe avrebbe potuto pensare che Merlin gli parlasse solo del se stesso che viveva lì a palazzo. Del ragazzo che era stato prima di mettersi alle sue dipendenze, Arthur sapeva ben poco.

Ma non poteva esserci niente di troppo diverso, vero? Merlin era... Merlin. Così come lo vedevi inciampare e versare la zuppa. Come lo ascoltavi blaterare a vuoto. Come lo sentivi, il dorso freddo della mano che sfiorava per caso la tua, mentre camminava al tuo fianco.

“Non ci penso spesso, in realtà, a mio padre” disse il valletto. Arthur ascoltò bene, perché Merlin era Merlin, anche se parlava raramente di certe cose. Quindi, se lo faceva, meritava di essere ascoltato.

“Credevo... ho sempre pensato che non si potesse sentire la mancanza di ciò che non si ha mai avuto. Ultimamente, invece...” E sorrise in quel suo consueto gesto dello strofinarsi la fronte con una mano.

Ultimamente cosa? Merlin ha sentito la mancanza di cose che non ha mai avuto? Che cosa non ha mai avuto? Potrei aiutarlo ad avere queste cose?

“Stiamo entrando in un ambito un po' complicato” disse Arthur. “Sicuro di avere le capacità intellettive per sostenere l'argomento?”

“E io che, per un attimo, sentendovi parlare di vostra madre, avevo pensato che avessimo qualcosa in comune.”

Risero insieme, note basse che si diffondevano nella notte. La risata di Merlin era come una musica. Si prolungò più della sua, sembrava non volersi spegnere mai. Alla fine si trasformò, invece, in uno sbadiglio sonoro.

Il principe prese fiato, alzando gli occhi. Era una serata un po' fosca; nuvole scure nascondevano le stelle, accomodandosi intorno alla luna come per fare da cuscini. Arthur amava le serate così. Gli davano un senso di pienezza. “Merlin... vai a dormire. È molto tardi” disse, tirando le tende rosse sul finestrone.

“Mi state dando il permesso per ritirarmi, finalmente?”

“Più che altro sto tentando di liberarmi di te. Ho proprio sonno.” Si sentiva sazio e stanco come non succedeva da almeno dieci anni, ai tempi in cui non riusciva a dormire se non aveva mangiato la sua tazza di latte e cereali della mezzanotte.

“Bastava dirlo. Ma come faccio a credere che non mi ributterete giù dal let-”

“Sta' sicuro, Merlin. Adesso puoi dormire. Buonanotte.”

“Buonanotte. Se non ce la fate a prendere sonno, fatevi le parole crociate o andate a risolvere un problema di fisica o quello che vi pare, ma niente internet.”

Cavolo. “Merlin.”

“Sì, sì. Arthur...buona notte.”

“'Notte.” Il principe chiuse la chiamata. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, contò. Poi sollevò la tenda appena appena, con l'indice, per sbirciare. Zazzera nera, sorriso bianco a mezza luna, Merlin lo salutò agitando il braccio, e Arthur – tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Lasciò che la tenda ondeggiasse tornando al suo posto e appoggiò la schiena al muro. Respirando a pieni polmoni, liberamente.

 

 

ʘ

 

 

Gwaine si rigirò la cannuccia in bocca, facendo oscillare il ghiaccio nel suo drink.

“Come siamo virili, stasera” ammiccò Merlin.

Lui gli dedicò uno dei suoi ghigni più accecanti in risposta, uno di quelli che, lo sapeva, facevano impazzire tutte le ragazze (e, occasionalmente, anche qualche ragazzo). Gwaine adorava Merlin, cazzo. Aveva quel modo così merlinoso di dire le cose. Anche se la cannuccia tra i denti di Gwaine era rosa e il drink un bicchiere di cola (agitata, non mescolata), Merlin riusciva a far passare la sua battuta per un complimento sincero – oppure era Gwaine stesso a reputarsi costantemente virile e a prendere la battuta per un complimento. Entrambe le cose andavano bene.

In ogni caso, Gwaine adorava quel ragazzo.

“Grande serata” disse ancora Merlin, indicando col mento il resto della compagnia presente nello studio piccolo: un principe in tuta e una ragazza mezza appisolata sulla poltrona.

Gwaine rise. Cazzo, l'adorava sul serio.

E dire che aveva temuto di continuare a portare l'abito nero ancora per molto tempo. Da quando Lance se n'era andato in Africa, prolungando sempre e sempre di più la sua permanenza, una parte del loro gruppo era andata perduta. Lance era l'anima pacificatrice, la dannatissima spalla sulla quale potersi appoggiare in ogni occasione, il fratello di sangue suo e di Arthur, la fantasia non tanto segreta di Gwen.

I primi giorni successivi alla sua partenza, Gwaine si faceva vedere in giro soltanto se era vestito di nero. Il lutto simbolico si era trascinato per qualche tempo, mentre la faccia di Gwen si faceva sempre più lunga e i bisticci all'interno del loro circolo sempre più cattivelli (ok, erano solo lui e la Principessa a bisticciare, ma lo facevano con una tale forza da trasmettere il clima teso a tutti gli altri; la cosa lo rendeva un po' fiero).

Gwaine voleva molto bene a Lance e sentiva molto la sua mancanza. Quella barbetta e quei capelli fluenti che, segretamente, facevano invidia persino a lui, erano veramente insostituibili.

Però l'unica persona che aveva il diritto di piagnucolare per la sua assenza era, semmai, Gwen (e magari l'esperienza le sarebbe stata d'aiuto per far chiarezza nel suo cuoricino). In ogni caso, non era adatto a un gruppo di giovanotti restarsene a lungo mogi mogi per la lontananza di un amico, no?

Insomma, si poteva piangere al pub una sera durante la quale quell'amico ti mancava particolarmente, una bottiglia in mano e una copertina di ragazze morbide e consolatorie ai tuoi lati. Le ragazze andavano pazze per la lacrimuccia solitaria che scappava all'uomo virile, grazie tante, Lance, amico mio.

E invece ora eccoli qua, il lutto messo un attimo da parte da tutti (o quasi; ma a Cioccolatina, in ogni caso, era permesso). C'era qualcosa di diverso negli ultimi tempi, quando si riunivano nello studio, qualcosa che faceva sorridere di più l'intera banda. Quel qualcosa Gwaine lo chiamava il “fattore Merlin”.

Tutti avevano sviluppato una specie di cotta per Merlin che raggiungeva vari livelli d'intensità.

Leon, tanto per cominciare, l'aveva preso sotto la sua ala; ogni volta che Merlin rispondeva ad Arthur con una frecciatina particolarmente brillante, Leon gli dava qualche colpetto sulla testa come fosse stato il suo cucciolo di labrador ben addestrato. Ed è un vero onore, se il capo non ufficiale delle guardie del corpo del principe ti prende sotto la sua ala, sia chiaro.

Elyan aveva trovato in Merlin uno spirito affine sotto molti punti di vista. I due condividevano il gusto per le battute un po' datate e, si era scoperto con grande orrore di Arthur, la passione per Dungeons and Dargons.

Perfino Percy, che in genere ci metteva più degli altri ad entrare in confidenza con gli sconosciuti, sembrava totalmente a suo agio in presenza di Merlin. Insieme si scambiavano occhiate significative e gomitatine (Percy si curava sempre di moderare la forza, o avrebbe finito col bucare le costole dell'altro, e questo nessuno lo voleva).

Gwen aveva trovato in Merlin la cavia preferita per mettere alla prova le sue aspirazioni latenti da estetista e parrucchiera. Si era auto nominata sua parrucchiera ufficiale, in effetti, e gli aggiustava il taglio ogni dieci giorni. Dire che i risultati ogni tanto lasciavano a desiderare non era proprio esatto... Gwaine comunque credeva che la cara Cioccolatina avrebbe fatto meglio a limitarsi alla manicure. Merlin era fortunato a ritrovarsi quella meraviglia di profilo e quegli zigomi assurdi e ad avere, in generale, quel viso fottutamente affascinante che gli permetteva di star bene con tutto, perché Gwen aveva preso a tagliargli i capelli molto corti sulla fronte (Arthur diceva che lo facevano sembrare un chierichetto, ma nossignore, con quel viso che si ritrovava, Merlin era di certo un gran pezzo di ragazzo). Gwen, dal canto suo, diceva che nel tagliargli la frangetta non le era affatto scappata la mano, ma che faceva tutto parte di un piano per mettere in risalto i lineamenti particolari del viso di Merlin. Benedetta Cioccolatina.

Morgana era quella che, fra tutti, manteneva un approccio più ostile nei confronti di Merlin. Cioè, ostile un cavolo. Ogni tanto pareva proprio volerselo mangiare vivo, e non in senso sessuale e niente affatto in nessun senso positivo in generale. Del resto, Gwaine non l'aveva mai capita bene, lady Morgana. Dubitava che ci fosse qualcuno al mondo in grado di capirla sul serio.

Per quanto riguardava Arthur...

Gwaine lo pescò lanciare, per l'ennesima volta, una di quelle occhiate laterali dirette a loro. Per tutta la serata non aveva fatto che voltarsi, con studiata casualità, verso la scrivania, dove lui e Merlin si erano accomodati. Come se fosse un normale movimento, storcere il collo in quel modo, e non una specie di esercizio ginnico degno di medaglia d'oro.

Gesù, Arthur era proprio trasparente. Faceva tenerezza. Gwaine sorrise. Era da tanto tempo che lo non vedeva così. Forse non ce l'aveva visto mai.

Arthur aveva la tendenza a presentarsi come il galletto del pollaio, ma in realtà era una specie di pulcino spelacchiato, davvero. Era bravissimo a cazzeggiare con le conquiste occasionali – non un campione come lui, ovviamente, ma se la cavava. Quando si trattava di questioni serie, però, era un vero disastro. Quando Arthur aveva buttato all'aria anche la minima possibilità di far nascere qualcosa con Gwen, Gwaine era rimasto a guardare.

Dubitava che la situazione si sarebbe ripetuta, stavolta; qualunque cosa ci fosse in ballo con Merlin, era senza dubbio qualcosa di forte e, se conosceva il principe almeno un po', sapeva che non se lo sarebbe lasciato scivolare tra le dita.

Comunque, non si poteva mai sapere. Una mano poteva anche darla, che Arthur e Merlin lo volessero o meno. Quei due erano a metà tra il disgustoso e il tenero e, se non si decidevano loro a darsi una mossa, ci avrebbe pensato lui a dare una spintarella. Era a questo che servivano gli amici, dopotutto.

Gwaine si voltò, fissando il bel valletto della Principessa (occhi luminosi puntati sulla testa bionda, come di consueto), e ghignò. Merlin era una meraviglia; era seriamente materiale da relazione.

Un sospiro traditore gli scappò dalle labbra, mentre si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Arthur doveva ritenersi ben fortunato, ad avere un amico come Gwaine: gli voleva così bene da considerare Merlin assolutamente off limits. “Sono proprio un grande amico, già” disse ad alta voce, passando un braccio attorno spalle di Merlin. “Non ti pare?”

L'altro gli rispose con un dolce sorriso interrogativo che sembrò portargli gli zigomi ancora più in alto.

“Ah, Merlin, quanto ti voglio bene” si lamentò, poggiando la testa sulla sua spalla. “Ti voglio così bene” disse. Ed era vero, diamine. Gli si era talmente affezionato. Gwaine si attaccava con passione a quelli che considerava suoi amici e non vedeva perché non dovesse ricordarlo loro ad ogni occasione.

“Sicuro che ci fosse della cola, in quel bicchiere?” rise Merlin.

“Così mi ferisci, però” biascicò, strofinandogli il naso contro il collo. Merlin scoppiò a ridere e un'ondata di vibrazioni e calore colpì teneramente Gwaine.

“Volete qualcosa?” La voce brusca e asciutta di Arthur fece sollevare appena la testa di Gwaine dal suo confortante Merlin-giaciglio. “Vado a prendere da bere, volete altro? Magari, se dici anche a me cosa hai messo di preciso in quel bicchiere, Gwaine...” disse Arthur, un altezzoso cavaliere che lancia il guanto di sfida allo straniero venuto per portargli via la donzella.

Al pensiero di Merlin che sventolava un fazzoletto in aria, Gwaine scoppiò in una risatona che gli graffiò la gola. “Pfffffffff... No, grazie, Principessa, mi basta quello che ho” disse, ammiccando verso Merlin che ancora teneva allacciato a sé.

“Io vorrei...” iniziò Merlin.

Arthur l'ignorò con maleducazione, decidendo di aver bisogno, all'improvviso, di portare di là un libro che si trovava nello scaffale dietro di loro. Passò in mezzo a Gwaine e Merlin, dividendoli senza tante cerimonie. Gwaine non seppe come fece, ma riuscì a trattenersi dal pisciarsi nei pantaloni mentre Arthur afferrava un volume a caso e faceva retro marcia a testa alta, tutto impettito.

“Aspettatemi, vi aiuto...” intervenne a sorpresa Gwen, ridestatasi dal suo mezzo appisolamento sulla poltrona. Stiracchiò le braccia e subito dopo, ricordandosi al volo che gli altri la stavano guardando, si alzò, lisciandosi la maglia. “Vengo – vi aiuto a portare da bere” disse, seguendo Arthur fuori dallo studio.

Rimasto solo con Merlin, Gwaine lo fissò di sottecchi. Sembrava fosse rimasto offeso dal comportamento di Arthur e appariva così insicuro, con quel suo allungare il collo alla volta dei due che si erano allontanati.

“Qualche volta è un vero coglione, il principino” disse Gwaine, dandogli dei colpetti sulla spalla per tirarlo su. Non gli piaceva vedere Merlin giù di morale. Un Merlin giù di morale sarebbe stato da dichiarare illegale. Ogni volta che Merlin era giù di morale, un gattino moriva.

“Già, è un coglione” convenne l'altro. La sottile nota di tristezza nella sua voce fece saltare un nervo a Gwaine.

“Oh, andiamo, non prendertela. È che non ha modi. Non sa come fare. In fin dei conti, non è colpa sua se è così disperatamente imbranato.”

Merlin lo squadrò. I contorni del suo bel mezzo profilo erano disegnati, nel contrasto di luci e ombre, da dure linee scettiche.

“Vedi, se a una persona di norma va data una possibilità” spiegò Gwaine, gesticolando, “ad Arthur ne vanno date come minimo due o tre. È così. Non è scaltro, con tutta la faccenda dei sentimenti.”

“Sentimenti?” squittì Merlin.

“Oh, oh, oh, non ci provare neanche, a giocare con me la carta del 'non so di che parli'” disse, guidandolo verso il divanetto e incassandolo tra due cuscini. Poi gli si sedette sulle gambe magre, scuotendo teatralmente la chioma. “Che dici, tesoro, vogliamo far ingelosire un po' Arthur?”

Merlin gli rise in faccia, l'adorabile maleducato, e lo buttò di lato con una forza sorprendente. “Invece di fare il cupido per me, dovresti pensare a te stesso” gli disse, paziente. Il suo viso si colorò di una tenue sfumatura luminosa, come se improvvisamente avesse notato un dettaglio che era sempre stato sotto il suo naso. Un dettaglio particolarmente gustoso. “A proposito, Gwaine, voglio farti conoscere una mia amica. Forse l'hai già vista, fa la barista al Rising Sun. Si chiama Elena...”

Le labbra di Gwaine si piegarono in un sorriso sghembo. “... Godwyn?” concluse per Merlin. “Ah, non guardarmi con quella faccia, dovresti saperlo che io conosco chiunque.”

Il viso rotondo e le labbra piene di Elena, schiuse in un'espressione di stupore onesta e buffa, occuparono per qualche glorioso secondo la mente di Gwaine. Dovette mordersi il labbro, prima di tornare a rivolgersi a Merlin. “Non tentare di cambiare discorso, comunque. Non so perché, ma ho la sensazione che anche tu abbia qualche problema sul versante dei sentimenti, signorino.”

Merlin si grattò stancamente la testa. “Quant'è difficile, capire come ragiona un cuore” sospirò.

Gwaine gli scompigliò i capelli con affetto. “Vero?” concordò, accavallando un piede sull'altro. “È forse la cosa più misteriosa dell'universo intero. Ma ti svelo un segreto, Merlin: un cuore non ragiona. Anzi, sragiona. Almeno, è così che la vedo io.”

 

 

ʘ

 

 

Il cuore di Gwen correva all'impazzata, bumbumbumbum contro il suo petto. Era così che ci si sentiva quando si stava per svenire? Non lo sapeva, non era mai svenuta – cioè, una volta era successo, ma quando era molto piccola e quindi non se lo ricordava bene.

Nonostante ultimamente fosse rimasta sola con Arthur in diverse occasioni, non ci si sarebbe abituata mai, a quell'effetto. Oh, ri. Riabituata, insomma.

E pensare che una volta era stato così semplice, per lei – per loro due. Così naturale, passare del tempo insieme, da soli o nello studio o in mezzo a una folla. Anche quando il principe appariva in televisione e lei faceva il tifo per lui da dietro lo schermo, a Gwen sembrava che stessero insieme, in qualche modo.

È buffo, quando si è innamorati. Si ha la sensazione di essere legati anche se si è a mille miglia di distanza.

“Mi chiede sempre di te, sai” disse Arthur, versando il succo nel bicchiere.

Gwen saltò. Bumbumbum. “Ehm, chi?”

Il principe sorrise nel buio. La luna mandava una luce fioca e candida attraverso i finestroni della cucina. A Gwen piaceva la cucina. Era così ariosa, con tutte quelle vetrate che davano sul giardino. Ci aveva passato tanti anni, la sentiva come un'estensione di casa sua.

A Gwen piaceva anche il modo in cui la luce della luna bagnava il sorriso bianco di Arthur. Pure quello sapeva un po' di casa.

Il principe chiuse gli occhi lentamente, una volta, due. Poi la guardò sorridendo e indicò col mento verso di lei. Gwen seguì la traiettoria del suo sguardo. Puntava dritto sulle dita della sua mano, che, chissà come, erano volate in alto, poggiandosi sul lato destro del frigorifero... ad accarezzare quelle tre cartoline che Gwen aveva appeso lì – perché davvero, quello era un pezzo di casa sua.

Leoni placidamente addormentati al sole come enormi gatti, paesaggi bruciati dal calore, colori caldi che si tuffavano nel verde, nel blu più improbabile, nel nero.

Gwen portò la mano dietro la schiena. Anche se le cartoline erano fissate con del nastro adesivo ed era possibile vedere solo il lato dell'immagine, lei sapeva benissimo cosa ci fosse scritto sul retro.

Mi mancate tutti.

Mi manchi.

Lance.

 

 

 

Gli stivaletti affondavano appena nella ghiaia umida, mentre lei e Merlin camminavano verso le residenze della servitù. Era un amore, Merlin, a offrirsi sempre di accompagnarla, anche se poi era costretto a rifare la strada alla rovescia per tornare a casa di Gaius.

In genere non facevano che chiacchierare del più e del meno, e ridevano molto lungo tutto il tragitto. Quella sera, però, lui era stranamente taciturno. “Tutto bene?” gli chiese allora Gwen, una nuvoletta di fiato che le usciva dalla bocca nel freddo della notte.

Merlin annuì, svelto. “Scusami, è che ho un po' di pensieri per la testa.”

Se si fosse trattato di chiunque altro, Gwen avrebbe domandato qualcosa come “ne vuoi parlare?”. Invece non disse nulla, eccetto un “oh” sovrappensiero, perché aveva imparato a conoscere Merlin; sapeva che pressarlo di domande era stupido, nel suo caso. Se voleva dirti una cosa, te la diceva. Ti diceva qualunque cosa. Se invece stava zitto, be', allora insistere non serviva a niente. Ti avrebbe parlato una volta arrivato il momento giusto, se avesse voluto.

“Secondo te mi innamoro troppo facilmente?” disse invece Gwen.

E non sapeva perché l'avesse fatto, per quale motivo avesse scelto, fra tutti i milioni di miliardi di parole del mondo, proprio quelle lì. Forse aveva parlato così per spezzare la tensione, per far sì che Merlin si distraesse dai suoi problemi e pensasse ad altro. Forse la prima cosa che era andata a pescare era stata proprio quella perché Gwen, ultimamente, passava un quantitativo di tempo sconcertante a rimuginare sull'argomento.

“Mio fratello dice che mi basta poco per perdere la testa per un uomo” si affrettò a spiegare, sventolando le mani davanti a un Merlin dall'espressione confusa. Gwen non voleva quell'espressione confusa. Non voleva che lui la fraintendesse. “Secondo-secondo me però, sai, non esistono innamoramenti facili o difficili. Ci si innamora e basta. Tu che ne pensi?”

Merlin si fermò, allora, le sopracciglia corrucciate come se si stesse concentrando su un problema di matematica particolarmente complicato. “Gwen, tu... ami il principe?” tentennò.

Gwen sospirò, sconfitta. Ecco la domanda difficile. “In passato, te lo confesso, avevo tipo, un pochino... persolatestaperlui” disse, tutto d'un fiato. “E lui mi aveva fatto capire... Ma – ma non c'è mai stato niente di che.”

Esattamente. Era andata esattamente così, tra Gwen e Arthur. Intorno a loro, ai tempi, c'era perennemente stata un'aria carica di promesse. Promesse che poi erano state messe da parte, da entrambi. Promesse per le quali nessuno dei due aveva combattuto.

“Abbiamo solo flirtato un po'” disse, spaventandosi per come tutto ciò che aveva provato, tutto ciò che aveva sconvolto il suo mondo, potesse essere riassunto benissimo in quelle cinque parole. “Ci-ci è scappato qualche bacio, sì. Io però non ho insistito, perché era impossibile, no, sarebbe stato un sogno impossibile, vero? E lui, alla fine, non si è mai fatto avanti. Non che ci avessi mai sperato davvero... insomma, lui è l'erede al trono e io una delle sue cameriere.”

Merlin riprese a camminare, annuendo. Sembrava più incerto di prima, sui suoi passi. Prendeva tutti i sassi più grandi senza evitarli, inciampando un po'. “E l'ami ancora?” le disse, dopo qualche secondo di silenzio. “Intendo, adesso?”

No. Sì. Non lo so.

Lance. Lance, Lance, Lance.

Mi manchi, Lance.

“Oh, non lo so, Merlin” farfugliò, sentendosi ardere. “È quello che sto cercando di capire. È tutto talmente complicato...”

“Non dirlo a me” disse Merlin, pianissimo. O forse Gwen se l'era solo immaginato.

“Il fatto è che è rimasto sempre un velo di imbarazzo tra noi. Non ne abbiamo mai parlato, solo... abbiamo lasciato che la cosa svanisse. E io ho bisogno, ho proprio bisogno di chiarire questa faccenda. Perché vedi, non riesco ad andare avanti” non riesco a riaprire il mio cuore, “se non sono sicura e... Nell'ultimo periodo, oh, questa è proprio una sciocchezza, ma lady Morgana ha detto...”

La testa di Merlin scattò verso di lei. “Lady Morgana?”

Gwen annuì, prendendo a tormentarsi un ricciolo che le ricadeva sul viso. “Lei mi ha rimesso la pulce nell'orecchio. Mi ha detto che non era giusto seppellire tutto senza essere sicuri al cento percento, perché, e se fosse stato possibile? E se uno di noi due avesse insistito, avesse combattuto sul serio per l'altro? E io sono d'accordo, insomma, non che speri di poter davvero...”

“Gwen” disse Merlin, poggiandole una mano sulla spalla. La sua presa era sicura, leggermente troppo forte, persino.

Lei prese fiato. “Oh, Merlin, tutto ciò che voglio è capire cosa dice il mio cuore. E cosa dice, o diceva, quello... ehm... di Arthur.”

“È giusto, ti capisco. Lo-lo capisco. Lady Morgana cosa ti ha detto, di preciso?” incalzò lui.

“Che secondo lei dovrei riprovare. Dovremmo riprovare. Che devo fidarmi, perché lei è quella che conosce meglio Arthur e, be', è sua cugina, in fondo, e che io sarei la donna giusta per lui. La donna più compatibile con Arthur, ha detto proprio così. Pensa un po'. Io non ci credo per niente, ma... provare non costa nulla... no?”

Gwen non suonò convinta nemmeno alle sue stesse orecchie. Certo, era difficile mantenere un briciolo di coerenza, se il tuo interlocutore chiaramente non ti stava ascoltando più.

“Gwen, ho... dimenticato una cosa, devo tornare indietro. Ti dispiace finire la strada da sola? Non manca molto, eh? Scusami, ti prego” si mangiò le parole, e prese ad andarsene che ancora non aveva finito di parlare.

“Non fa niente, io... Merlin. Merlin!” gli urlò dietro, riuscendo a farlo voltare di nuovo. Gwen si morse il labbro. “Bisogna farsi coraggio, non è vero? Vale sempre la pena lottare per qualcosa a cui si tiene molto, non è vero?”

Lui le sorrise, allora. Era un sorriso molto ampio, uno di quelli in cui gli si vedevano tutti i denti. Ma, stranamente, mancava quella luce che di solito gli illuminava gli occhi. Merlin stava sorridendo, sì. Allora per quale motivo Gwen lo trovava così triste?

Lo stomaco le si chiuse nella morsa di una brutta sensazione (simile a un brutto presentimento), quando lui agitò una mano alla sua volta. Lei rispose comunque al saluto, portandosi la mano sul petto, a sinistra, nel punto in cui sentiva una pressione che quasi le fece mancare il fiato.

 

 

ʘ

 

 

Tre colpi decisi e insistenti alla porta, uno dietro l'altro senza pausa, toctoctoc, come tre rombi di tuono.

Morgana alzò la testa dal romanzetto harmony che si stava divertendo a distruggere mentalmente. “Sì?” chiese, arcuando un sopracciglio. Nessuno aveva mai bussato in quel modo nelle sue stanze.

“Morgana, apri-” iniziò la voce di Merlin, vibrante, accesa. “Lady. Lady Morgana, aprite, per favore” si corresse, un sussurro di lettere sputate.

La strega lasciò che il libro le scivolasse via dalle dita. Sorrise, la curva rossa delle labbra virò verso un solo lato, il sinistro. Si alzò con calma, lisciandosi le pieghe dei pantaloni scuri, aggiuntandosi addosso il giacchino bianco. “Piano, caro il mio Merlin. Nessuno ti ha insegnato che non è bene irrompere nelle stanze di una signora senza assicurarsi che lei sia presentabile?” disse, prendendosi del tempo per ravvivare la coda di cavallo davanti alla specchiera.

“Morgana – milady” disse solo lui.

Oh, era impaziente. Doveva essere successo qualcosa. Questa Morgana se la sarebbe gustata con calma. Si schiarì la voce assicurandosi di risultare perfettamente udibile, poi fece forza sulla maniglia.

Merlin era livido. Aveva gli occhi acquosi, le sopracciglia aggrottate, la bocca tirata in una linea arida. Lei si spostò di lato per farlo entrare, poi chiuse la porta dietro di sé. “Avrei dovuto sbattertela in faccia, proprio come hai fatto tu con me l'altra volt-”

“So che cosa hai fatto” la interruppe. “So che cosa hai fatto ad Arthur e a Gwen, so qual è il tuo piano.”

Finalmente! Adesso avrebbero giocato a carte scoperte. In tutta onestà stava diventando un po' noioso, prendere in giro Merlin facendogli credere chissà che. Morgana stava giusto iniziando a trovare il giochino monotono.

“Sei vento fin qui per annunciare la grande scoperta? Carino da parte tua.”

“Un incantesimo di compatibilità!” perse la pazienza lo stregone, allargando le braccia. “Morgana, mi avevi convinto che... Ho pensato di tutto: maledizioni, tiri sporchi, incantesimi pericolosi, di tutto!” disse in fretta, passandosi una mano tra i capelli.

Morgana si godette lo spettacolo a braccia incrociate, Merlin che si lisciava la fronte, un lamento stanco che gli faceva tremare la gola. “E invece hai semplicemente fatto un test magico per vedere se Gwen e Arthur sono compatibili come coppia?!”

“Sei soltanto invidioso perché non avresti mai potuto eseguirlo tu” lo prese in giro. E lo credeva bene: le magie di quel tipo si aggiravano pericolosamente verso il territorio dei sentimenti. Non si apprendevano in Accademia. Morgana le aveva studiate da sola, sui libri delle sacerdotesse. “Catturare un cuore umano come farebbe un essere umano... lo saprai anche tu, Merlin, no?”

Lui la guardò stralunato, completamente immobile sul posto.

Sì, era così che le aveva suggerito di fare Morgause. “Dato che non sarebbe mai stato possibile fare come un essere umano, be', perché non farlo fare a un essere umano?”

“Stai facendo pressione perché sia Gwen ad avere il cuore di Arthur” disse Merlin. “Avrei dovuto immaginarlo... Stai sempre in sua compagnia, state sempre lì a...” e mulinò le mani per aria, “parlare, a fissare Arthur, e tutte le volte che hai fatto in modo di lasciarli da soli, con l'ombrello da Hatchards, e portandomi via la voce e... Per tutti i draghi, Morgana, mi avevi chiuso in bagno per questo?” disse, oltraggiato.

Lei rise, una mano davanti alla bocca. “Anche per divertimento personale, l'ammetto.”

Merlin di colpo le si avvicinò, piantandole le dita sulle spalle con una decisione inaspettata.

“Ehi!” protestò la strega, scrollandoselo di dosso. L'ultima cosa che ci voleva era che un gattino arrabbiato le stropicciasse la giacca.

“Non puoi farlo. Morgana, non puoi forzare i sentimenti-”

“Non sto forzando un bel niente. Non è un caso se ho lanciato l'incantesimo di compatibilità su Gwen come prima cosa. Se non ci fosse stata alcuna compatibilità, non avrei potuto far nulla. Ma vuoi sapere qual è stato il risultato?”

Le pupille di Merlin si dilatarono lentamente. Sul suo viso passò l'ombra dell'incertezza e Morgana se la gustò tutta.

“Lo saprai già” continuò piano, “altrimenti non saresti piombato qui a mettere su questo spettacolino. Per quanto mi sia stato d'intrattenimento, Merlin, mi sono stufata di girarci intorno, quindi sarò chiara: Gwen è compatibile con Arthur al cento percento.”

Le braccia di Merlin penzolarono lungo i suoi fianchi. Lo stregone si morse il labbro, senza smettere però di sostenne lo sguardo di sfida di Morgana.

Ah, Merlin e Gwen e Arthur e i loro occhioni brillanti, mai intimiditi, mai sperduti, sempre fieri.

Da una parte, Morgana detestava che queste persone rimanessero a testa dritta davanti a lei in qualunque situazione. Dall'altra, il bello era esattamente tentare di farli capitolare, per tornare a battere nei loro punti deboli, tornarci ogni volta. “Sì, Gwen è la donna migliore per Arthur. La più giusta” rincarò quindi dose, facendo un passo per avvicinarsi ancora all'altro. “Nessun'altra potrebbe uguagliare questo risultato. Non è una coincidenza meravigliosa? Arthur ha l'amore della sua vita proprio qui, accanto a lui. È solo questione di tempo. Gwen è fatta per Arthur e il cuore del principe sarà suo” soffiò alla fine sul naso di Merlin.

E lui, come se avesse capito solo ora quello che gli stava dicendo, d'improvviso si spense tutto quanto. Fu come vedere la sua espressione dura sgretolarsi e cadere fino al pavimento.

La strega allargò le narici.

Che cos'era?

Si era aspettata l'ennesima alzata di cresta e invece Merlin se ne stava solo lì, in piedi, a sembrare triste. Dov'era finito il suo impeto caratteristico?

Morgana registrò la reazione deludente con disappunto; così le stava togliendo metà del gusto. Il tira e molla non funzionava più, se dall'altra parte non c'era nessuno che tirava.

“Quei due sono già sulla strada dell'amore” riprese allora, infilando il dito nella piaga. “Mi assicurerò che la raggiungano, motivando a dovere Gwen, mettendo qualche buona parola con Arthur e trovando delle occasioni perché possano stare insieme.” Mentre parlava ritornò alla specchiera rotonda, rimirando con fare pratico l'immagine che quella le restituiva. “Così io non dovrò fare quasi nulla, oltre, be', sopportare la compagnia umana e tenerti fuori dai piedi” disse, portandosi la coda di cavallo su una spalla e prendendo a pettinarsi con le dita.

Non si voltò, ma poteva vedere bene il riflesso di Merlin, dritto dietro di lei, che faceva compagnia al proprio. Il volto era pallido, i pugni chiusi.

Andiamo, è questo il meglio che sai fare?

“E quando il cuore di Arthur sarà completamente in mano a lei” cantilenò ostentatamente Morgana, “assumerò le sembianze di Gwen e condurrò il principe davanti a Kilgharrah. Il drago farà il resto.”

Fu a quel punto che l'espressione di Merlin si rianimò, contraendosi sotto un'onda di dolorosa rabbia – oh, era quello il pulsante giusto da premere, allora.

“Sei crudele!” alzò la voce, una tigre ferita che ringhia contro la compagna traditrice, ah! “È ingiusto, vuoi – vuoi farlo morire per amore!”

Morgana accolse l'accusa come un complimento. “Bel modo di rovesciare la situazione a mio favore, no?” fece notare a Merlin. Solo nel caso gli fosse sfuggita la brillantezza di una risoluzione del genere.

“Non te lo permetterò, questo” disse concitato, scuotendo la testa.

Morgana fermò l'espressione in una maschera congelata. Decise di essersi divertita abbastanza, per il momento. Era finita l'ora di scherzare. “E come farai? Non puoi fare nulla per impedirlo, perché non dipende da te e nemmeno da me. Il cuore umano vola e si muove per conto suo. E il cuore di Gwen è il cuore perfetto per Arthur. Magari ci vorranno altri incoraggiamenti e del tempo, ma so aspettare.” (Morgause era quella brava ad aspettare. Avrebbe insegnato a Morgana come fare.)

“Così li ucciderai entrambi!” urlò Merlin. I suoi occhi si colorarono d'oro e il vaso in fondo alla stanza andò in mille pezzi. La prese di nuovo per le spalle, poi, abbassandosi per guardarla dritta negli occhi. “Pensa che cosa significherà togliere a Gwen l'uomo che la completa. Pensa che cosa le farai perdere. Come farà a vivere senza la sua metà?” sibilò, gettando dietro ogni parola un'ombra di pericolo.

A Morgana bastò un sorrisetto storto per richiamare a sua volta la magia, con la quale si diede forza per respingere l'altro. Nel movimento, l'occhio le cadde sulle proprie mani – le unghie curate dalla cameriera che avrebbe portato alla rovina un uomo che forse un tempo aveva amato, e che doveva solo essere incoraggiata ad amare di nuovo. Ma un semplice cuore spezzato non avrebbe annientato Gwen. Era una ragazza pratica, e, ancora meglio, s'innamorava tanto facilmente quanto amava appassionatamente.

Morgana non credeva che Gwen avrebbe mai potuto morire per un amore perduto.

Nessuno sarebbe potuto morire affatto, per amore. Merlin si sbagliava di grosso, se pensava sul serio questo.

“Gwen sopravviverà” disse, alzando il mento. “Gli esseri umani hanno la capacità di sopravvivere alle perdite. Perdono quello che si divertono a dichiarare l'amore della loro vita, e poi che fanno? Si rialzano. Rimettono insieme i cocci. Proprio in questo modo” disse, schioccando le dita. Il vaso mandato in frantumi da Merlin tornò al suo aspetto originale. “Visto? È facile.”

“No” disse Merlin, indietreggiando di un passo. “Morgana, no. Se c'è una cosa che ho imparato, è che per gli esseri umani non è tutto bianco o tutto nero-”

“Sottovaluti l'istinto di sopravvivenza della loro razza” lo interruppe, sardonica.

“Con te è impossibile parlare!” sbottò lui, allargando le braccia. Poi qualcosa lampeggiò nel blu delle sue iridi, qualcosa di distante e non ben definito. “Di questo mi dispiace” aggiunse piano. “Mi dispiace, Morgana...”

Le scuse arrivarono inaspettate. La strega, un sopracciglio inarcato, fece appena in tempo a chiedersi di cosa, precisamente, Merlin si stesse scusando.

“... Ma non te lo lascerò fare. Mai. Costi quel che costi.”

Detto questo se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé. Morgana, nella stanza, rimase sola col proprio riflesso che la fissava dalla specchiera rotonda.
 

   
 
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