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Autore: Clockwise    23/01/2014    1 recensioni
Teneva gli occhi chiusi quando cantava, ma se li avesse aperti, se avesse potuto vedere quel momento, allora l’avrebbe vista con i suoi occhi, oltre a sentirla, l’alchimia che li legava. Era proprio lì, in loro, nei piedi che battevano lo stesso tempo, nelle vibrazioni sugli strumenti, nel riverbero che echeggiava dentro ciascuno di loro alla stessa frequenza, nelle note che ciascuno di loro creava e che si intrecciavano in armonie meravigliose e così, insieme, solo insieme, erano qualcosa.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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With a Little Help From My Friends

La luce entrava a fiotti nell’appartamento, ma Guy sembrava non curarsene e dormiva della grossa stravaccato sul divano del soggiorno. Neanche Jonny sembrava disturbato dalla luce che si infiltrava dai buchi della persiana tirata della sua camera, e continuava a dormire placidamente. E nemmeno lo squillo del telefono sembrò recare loro alcun disturbo, sebbene Guy si trovasse a nemmeno due metri dall’apparecchio e la porta della stanza di Jonny fosse aperta.
Chris, nel buio della sua stanza, grugnì, rivoltandosi. Gli squilli sembravano trapanargli la testa. Chi diamine chiamava a quell’ora? Scese brontolando dal letto e si trascinò fino alla porta. Riuscì a sconfiggere la serratura nel momento in cui entrava la segreteria.
«Chris, Jonny, sono Julia. Si può sapere perché non rispondete? Siete già usciti a camminare nel parco con i nonnetti? O state ancora dormendo sotto i postumi della sbronza del venerdì?»
Chris incrociò le braccia, sbuffando divertito. Poteva sentire il ghigno della sorella dall’altra parte della cornetta. Guy borbottò qualcosa su Joanna e dei ragni.
«In ogni caso, Chris, mamma ha detto che verremo tutti quanti fra tre settimane perché papà ha del lavoro da fare a Londra, quindi ci imbuchiamo anche noi, cioè io, mamma, papà e Al; Davie e Richard hanno dei test a scuola e non possono. Quindi ti romperemo le scatole per ben tre giorni, richiama quando hai tempo. E cambia quel messaggio di segreteria, è terribile. Salutami Jonny e compagnia cantante, ci vediamo, sfigatello. No, aspetta, aspetta, com’è andata con Delilah? L’hai baciata? Avete…»
Chris si irrigidì e stava per staccare quell’apparecchio, quando la voce di Julia si interruppe e la sentì bisticciare con qualcuno dall’altro capo del filo. Si avvicinò curioso.
«Lascia… Chris, tesoro? È la mamma.» Chris sorrise, immaginando la faccia contrariata di Julia e le sue braccia conserte.
«Julia ti ha già detto tutto, ma io volevo sentire la tua voce, non chiami mai… Cosa?»
Chris immaginò che Julia dovesse averle detto che quello era solo un messaggio vocale – fra i più lunghi della storia, per altro – perché sembrò alquanto spaesata.
«Quindi lui non c’è… Ah, ho capito. Va bene, allora ci vediamo il mese prossimo, tesoro, stammi bene. Riguardati, eh, che fa freddo e te stai sempre con la testa fra le nuvole. Ciao, amore, ciao, ti saluta anche papà. Ciao.»
Chris sorrise, cancellando il messaggio. Fece per tornarsene in camera a dormire, quando il telefono squillò di nuovo. Fece dietro front e rispose.
«Pronto?»
«Chris? Sono Delilah. Hai un momento?»
Raddrizzò la schiena e strinse le dita intorno alla cornetta.
«No, stavo uscendo» rispose atono. «è una cosa lunga?»
«Avrei bisogno di parlarti…»
«Ora non posso, mi dispiace. Ci sentiamo, ciao» disse bruscamente, attaccando senza aspettare la sua risposta. Tirò un gran respiro, osservando la figura di Guy beatamente addormentato sul divano. Aveva una sola scarpa e la bocca aperta.
«Ragni!» bofonchiò nel sonno, rigirandosi. Chris scosse la testa e si voltò, diretto in cucina, dove trovò Jonny in piedi davanti ai fornelli, con aria persa.
«’Giorno.»
«Oh, ciao Chris» mormorò Jonny, girandosi. Teneva un uovo in una mano e una padella nell’altra. «Come si fa a cuocere un uovo?»
«Penso che dovresti romperlo.»
«E poi cosa mi mangio?» sgranò gli occhi.
Chris lo guardò perplesso.
«Hai bevuto anche nel sonno?»
Jonny rise debolmente e consegnò uovo e padella nelle mani di Chris, che prese il suo posto e iniziò a friggere l’uovo – uno dei pochi pasti che sapesse cucinare senza dover chiamare i pompieri.
«Cos’è successo ieri sera? Non ricordo niente» disse Jonny, sedendosi al tavolo e passandosi una mano sugli occhi.
«Tu e Guy avete bevuto come cammelli.»
«Mh, grandioso.»
Si alzò e aprì sportelli e credenze alla ricerca di un’aspirina e un bicchiere d’acqua. Aveva la testa che martellava peggio di Will sulla sua batteria nei suoi momenti peggiori.
«Eravamo soli?»
«Sì, Will ha avuto da fare e non è potuto venire. Dovrebbe venire più tardi, però, me l’ha detto ieri sera.»
Jonny annuì. Si risedette e prese l’aspirina.
«Chi era prima al telefono?»
Chris si voltò e lasciò cadere un uovo in un piatto che gli mise davanti, poi ne prese un altro.
«Julia. Vengono fra tre settimane, lei, mamma, papà e Al. Non hai mai conosciuto mio fratello, vero?»
Jonny scosse la testa e mugugnò qualcosa con la bocca piena. Chris si volse.
«Eh?»
Deglutì rumorosamente.
«Dopo. Chi era dopo.»
«Ah.» Tornò a fronteggiare l’uovo. «Delilah.»
Qualcosa nel suo tono e nelle sue spalle tese gli suggerì che non era stato esattamente l’appuntamento dei sogni, quello della sera prima. Voleva dirgli qualcosa, ma non riusciva a pensare a nulla che non fosse banale o insignificante. Si alzò e gli andò vicino. Gli strinse una spalla. Chris sciolse le spalle e allentò la presa sul manico della padella. La mano di Jonny gli impedì di crollare del tutto.
«Cibo!» esclamò Guy con voce impastata entrando in cucina, sedendosi al posto di Jonny e iniziando a mangiare il suo uovo. Gli altri due lo guardarono perplessi e sorpresi, la mano di Jonny ancora sulla spalla dell’altro.
«Questo coso fa schifo» mugugnò con la bocca piena, senza smettere di abbuffarsi. Chris rise e tornò a cuocere il suo uovo.
«Per questo ne avrai anche un altro» disse con un sorriso sghembo. Guy alzò un pollice, vittorioso. Jonny tornò a sedersi. Le spalle di Chris erano più rilassate adesso.
 
♪♬
 
Will alzò gli occhi al cielo, sollevando le bacchette in un gesto di stizza.
«Vuoi rispondere a quel maledetto telefono una volta per tutte?»
Chris sospirò e si tolse la chitarra da tracolla, dirigendosi poi verso l’apparecchio. Si chinò e, invece di rispondere, staccò la presa. Il silenzio cadde sull’appartamento.
«Finalmente. Non se ne poteva più, squilla ogni cinque minuti» esclamò Will, esasperato. Guy roteò gli occhi.
«E tu sei qui solo da un’ora. Quel telefono squilla da tutto il giorno» gli fece notare.
«E che sei rimasto a fare se ti dava tanto fastidio? Potevi rompere le scatole a qualcun altro!» disse Chris, rimettendosi al collo la chitarra.
«Perché farmi mezza Londra a piedi in questa gelida mattina se potevo restare qui al calduccio con i fantastici sandwich di Jonny?» sogghignò l’altro, suscitando le risate di Jonny e Will. Chris si finse offeso.
«Jonny, lo senti? Guarda che quei sandwich sono esclusivamente miei, Berryman. Non ho sopportato Jonny e il suo ordine maniacale per due anni inutilmente.»
«Vuoi dire che erano solo sandwich fra noi, Chris?» fece Jonny, fingendosi drammaticamente addolorato.
«Oh, Jon…» iniziò Chris, ma la sua sviolinata venne interrotta dallo squillo di un telefono.
«Qui finisce male» minacciò Will, dardeggiando in direzione di Chris, che alzò le mani.
«Io l’ho staccato!»
Guy si fece piccolo piccolo mentre estraeva un cellulare dalla tasca dei pantaloni.
«Tu?» esclamò Will, stupefatto.
«Hai un cellulare?» domandò Jonny, gli occhi spalancati.
Guy esibì un timido sorrisino di scusa.
«Regalo di Natale.»
«Razza di spilorcio scozzese che non sei altro, a noi hai regalato soltanto plettri!» rise Jonny, fingendosi offeso.
«E non ce lo hai mai fatto vedere? Voglio giocare a Snake!» esclamò Chris, risentito. Guy si passò una mano fra i capelli, a disagio, iniziando a mormorare una scusa.
«Hai intenzione di rispondere, o vuoi farci uscire matti con quella suoneria tremenda?» disse Will, spazientito.
Guy si affrettò a premere il verde.
«Oh, ciao, Phil. Sì. No. Sì, va bene. Ok. Sì, ok. Ciao, Phil. Ti salutano.» Chiuse la telefonata e rimise il telefono in tasca, ignorando gli occhi imploranti di Chris.
«Ha detto che dobbiamo trovare una copertina per il disco. Nessuno che disegni?»
«Io!» alzò la mano Chris, entusiasmato.
«No, Chris, tu scarabocchi» lo liquidò Jonny, con un sorriso. «Però vi ricordate di John? John, da Birmingham. È un fotografo, è bravo. Può aiutarci.»
«John, John, John… Oh, John! Ho capito chi intendi, il tuo amico d’infanzia» fece Chris.
«Lui» sorrise Jonny. «Quando l’abbiamo visto l’ultima volta? Secoli fa… Settembre forse.»
«Era venuto al concerto» ricordò Chris. Jonny annuì sorridente. Guy e Will si scambiarono occhiate perplesse.
«è normale se non me lo ricordo affatto?» domandò Guy.
«Certo, certo. Con quello che hai bevuto ieri sera, poi, non mi stupisco per niente…» scherzò Chris, abbassando gli occhi sulla sua chitarra.
«Simpaticone…» sbuffò l’altro. Will abbassò gli occhi, a disagio. A Chris non sfuggì li gesto.
«Oh, Will… Perché non sei venuto ieri sera, alla fine? Non ce l’hai più detto» chiese, inclinando il capo da un lato. Will scrollò le spalle.
«Niente, a casa. Non vi riguarda, non preoccupatevi» mormorò, non azzardandosi a guardare più in là della sua batteria. Gli altri tre si scambiarono sguardi preoccupati.
«Will, siamo i tuoi migliori amici, sei il nostro batterista» disse Chris, deglutendo un “nonostante tutto”, le sopracciglia corrugate e la voce ferma. «Ci riguarda.»
Will alzò per un momento gli occhi, per poi abbassarli di nuovo. Deglutì, ma non riuscì a parlare.
«è successo qualcosa, Will? State tutti bene?» chiese Jonny, cercando di guardarlo negli occhi.
«è… Mia mamma. Lei ha… è malata, è… Cancro al seno. Guarirà, non preoccupatevi, guarirà» disse infine, schiarendosi la voce, tentando di convincere anche se stesso. Gli altri abbassarono lo sguardo, sentendosi improvvisamente così stupidi, ad aver perso tempo a litigare come galline.
Nella vita c’è di peggio, credimi, gli aveva detto la sera prima Will, con quello strano tono. Ora Chris capiva, e si sentiva un perfetto idiota.
Fece un passo verso di lui, tentennante. Era lì, d’un tratto piccolo dietro la sua batteria, con le spalle curve, stanche di reggere il peso del mondo. Guardò Jonny e Guy. Qualcuno doveva sollevare quel mondo per un po’.
«Ehi, perché non andiamo a mangiare qualcosa?» propose piano Jonny.
«Sì, ottima idea» approvò Guy, sfilandosi il basso da tracolla. «Così mi accompagnate anche al bar, ho il turno di sera oggi.»
«Non dirmi che lavori anche» scherzò Chris, fingendosi stupito.
«Tanto offri tu, bellimbusto» lo rimbrottò Guy, con la sua solita aria indolente.
«Che cosa? Ma perché?»
Un timido sorriso affiorò sul volto di Will, mentre si alzava e tutti quanti si preparavano a uscire. Chris gli si avvicinò e gli strinse le spalle con un braccio, un po’ come aveva fatto Jonny quella mattina con lui. Will abbassò il capo, mentre Guy gli dava una pacca sulle spalle e Jonny gli posava la mano sul braccio. Will si sentì un po’ più leggero, mentre dentro traboccava di gratitudine. Deglutì per scacciare quel groppo in gola e azzardò un sorriso.
«Vogliamo muoverci o no? Su, prima che Will cominci a diventare sentimentale» li esortò Guy, una mano sulla maniglia. Risero, uscendo.
 
♪♬
 
La cornetta sbatté rumorosamente contro il ricevitore. Delilah lasciò cadere la testa fra le mani.
Aveva perso il conto ormai delle chiamate e dei messaggi lasciati senza ottenere alcuna risposta. Sospettava che Chris avesse staccato il telefono.
Rialzò la testa e fissò l’apparecchio.
Che devo fare?
Quello se ne rimase immobile al suo posto, perfettamente insensibile, silenzioso. Del resto era un telefono.
Delilah si alzò e attraversò il soggiorno fino all’angolo cucina. Tirò giù dalla mensola un pacco di biscotti e tornò al suo posto sul pavimento, vicino al telefono. Erano ormai quasi le cinque, e lei non era riuscita a mangiare niente più che un uovo e un po’ di insalata a pranzo. Aprì il pacco e tuffò la mano.
Era stata tutto il giorno in questa sorta di limbo, facendo su e giù per li soggiorno, alzando il ricevitore a intervalli regolari, facendo zapping in tv, leggiucchiando qualcosa, senza combinare nulla di concreto. E con i fazzoletti di carta costantemente al naso. Dopo tutta l’acqua che aveva preso la sera precedente, prima del pub e dopo, quando aveva vagato per buoni dieci minuti prima di tornare a casa, non era una sorpresa. Soffiò il naso e prese un altro biscotto.
Limbo. Un momento di terribile nulla, quando tutto può accadere ma ancora non avviene.
E attesa. E in fondo cosa aspettava? Perché si sentiva così insicura, così spaventata? Perché si era allontanata da lui?
Forse, rifletté, appoggiando la testa al muro, ho paura a fidarmi di me stessa. Non riesco ad andare oltre il pensiero che potrei fargli del male, se mi lasciassi andare a lui, che sono troppo impura per lui, troppo pericolosa. Potrei trascurarlo, magari ferirlo senza volerlo. E lui è così sensibile, ci tiene veramente a me. Per lui sono troppo importante, vorrebbe un amore perfetto, ma forse non è con me che deve cercarlo. Se ci tenesse un po’ di meno, se non mi volesse così bene, forse sarebbe più facile lasciarmi andare…
Sul pavimento, poco distante da lei, giaceva Il ritratto di Dorian Gray. L’aveva finito di nuovo solo un’ora prima. Forse doveva essere egoista e lasciarsi andare, i giorni passavano e non sarebbero tornati indietro…
Ok, ecco che devi fare: ora ti alzi, ti vesti, torni a essere presentabile, esci da quella porta e vai dritta da lui, dovessi arrampicarti sulla scala antincendio…
Il telefono squillò. Delilah fissò per qualche secondo l’apparecchio, folgorata e incredula.
È questa la risposta?
Si sollevò sulle ginocchia e alzò la cornetta, il cuore che le batteva furiosamente.
«Pronto?»
Una possente voce baritonale rispose dall’altro capo del filo. E il suo cuore sprofondò.
 
♪♬
 
Si bloccò nel mezzo del corridoio. Era senza fiato, come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco. O lì, in mezzo al petto, sul cuore.
Lei se ne accorse, gli occhi saettarono verso i suoi, colpevoli. Si morse il labbro inferiore e piegò leggermente la testa da un lato. C’era scritto “mi dispiace” nella piega delle sue sopracciglia, ma lui le ignorò. I suoi occhi azzurri l’accusavano, feriti. “Come hai potuto?”
La ragazza allora distolse lo sguardo e abbassò il capo, soggiogata dal braccio che l’altro le aveva posato sulle spalle con fare possessivo.
Sarebbe rimasto lì per chissà ancora quanto tempo, se Jonny non fosse intervenuto, l’avesse preso per il gomito e trascinato nella prima aula alla loro portata. Nella fattispecie, trigonometria. Chris non avrebbe seguito nulla di qualsiasi lezione, ormai, tanto valeva averlo vicino nel suo corso per potergli parlare. O meglio, cercare di tirarlo su con una lunga tiritera contro le ragazze e un elogio finale di una bella bevuta in compagnia e una schitarrata. Sperando che ascoltasse almeno lui…
Delilah rialzò la testa in tempo per vederlo sparire in un’aula, ferito. Di nuovo. Per colpa sua. Tornò ad abbassare il capo mentre Nathan l’accompagnava – o meglio, la trascinava, visto che era completamente insensibile al mondo esterno in quel momento – verso la sua classe. Eppure, era questa la via che aveva scelto, per il suo bene. Sì, avrebbe fatto male per un po’, come poco prima, ma poi sarebbe passato tutto, avrebbe trovato una ragazza migliore con cui essere felice. Lo faceva per il suo bene. La cosa strana era che faceva male anche a lei.
 
♪♬
 
Premette il rosso spazientito, sbuffando. Gli occhi di Chris, alla sua sinistra, si illuminarono.
«Ora che hai finito posso giocarci?» domandò speranzoso. Guy gli allungò il telefonino e l’altro iniziò a smanettarci contento, mentre Will guardava da sopra la sua spalla.
«Tutto bene?» gli chiese Jonny, seduto alla sua destra, notando la sua aria seccata e preoccupata.
«Joanna ha chiamato, ma non l’ho sentita, e ora non risponde. Ed è la ventesima volta che ci riprovo.»
Jonny spostò lo sguardo sulla mappa della metropolitana sulla parete di fronte, in silenzio. Non c’era bisogno di domande, Guy avrebbe parlato da solo se ne avesse avuta voglia.
«è tutta la settimana che non ci vediamo, non capisco perché non risponde» mormorò. Non era un tipo geloso, eppure non riusciva ad ignorare quella serpeggiante inquietudine che si era impadronita di lui da quando aveva visto la chiamata persa di Joanna. Il treno fermò bruscamente e una voce gracchiante annunciò la fermata.
«Vai direttamente da lei» suggerì Jonny, mentre gli sportelli si richiudevano. Guy annuì.
«Farò così» sospirò. Entrambi si voltarono a guardare Chris, proteso in avanti con i gomiti sulle ginocchia e i pollici in azione sui tasti del telefonino, concentrato. Will si sporgeva per guardare da sopra la sua spalle, incitandolo a fior di labbra.
«Ho vinto!» esclamò, alzando un pugno al cielo, mentre Will esultava con lui e il resto dei passeggeri nel vagone si girava a guardarli stupita. Jonny rise.
«Non riavrai mai più questo telefono» disse Chris, iniziando una nuova partita. Guy scosse la testa tentando di reprimere un sorriso. Invano, nonostante tutto.
La voce gracchiante annunciò un’altra fermata e gli sportelli si aprirono.
«La nostra» mormorò Will, senza che ce ne fosse gran bisogno: i ragazzi si erano già alzati e avevano preso in mano le custodie dei loro strumenti. Guy picchiettò sulla spalla di Chris che, contrariato, gli consegnò il telefonino.
Scesero facendosi largo fra la folla, attenti a non sballottare gli strumenti, in silenzio, coperti da una coltre di eccitazione e nervosismo che contorceva lo stomaco di Jonny e aumentava l’iperattività di Chris fino a farlo quasi saltellare.
Gli studi erano semplici, sobri, niente di troppo spettacolare. Anche i produttori, i tecnici del suono e tutti quelli che lavoravano lì erano gente semplice e alla mano. I ragazzi si sentivano perfettamente a loro agio, e le registrazioni procedevano senza intoppi. O quasi.
 
Il problema principale, oltre l’iniziale imbarazzo e disorientamento dovuto al trovarsi in un luogo nuovo, in una giungla di cavi e cuffie e microfoni e strumenti, consapevoli di costituire il lavoro di un sacco di persone, era il costante e continuo afflusso di amici che venivano a – per dirla con le eleganti parole di Chris – “rompere le scatole a quattro poveri musicisti, peggio di un branco di sanguinolenti pulci assatanate”.
«Ma poi, le pulci possono essere sanguinolente? Insomma, non ti pungono e basta? Ti succhiano anche il sangue?» domandò Jonny, perplesso. Chris corrugò le sopracciglia, voltandosi verso di lui.
«Penso che ti mordano… Non mordono le pulci?» chiese, improvvisamente dubbioso.
«Oh, sì» sgranò gli occhi Guy, annuendo enfaticamente. «Ti mordono e ti succhiano tutto il sangue. Sono pulci-vampirooo!» disse, agitando le mani e strabuzzando gli occhi, tentando di far suonare spaventosa la sua voce. Il basso gli scivolò dalle gambe e rischiò di finire a terra. Chris e Jonny risero, ma Will si limitò a guardarlo perplesso.
«Qual è il tuo problema?»
Poi però, la risata di Guy coinvolse anche lui.
 
I summenzionati amici, in ogni caso, sembravano trovare divertente visitare i ragazzi nello studio, causando scompiglio, caos e panico, e finendo, la gran parte delle volte, cacciati via da Phil. Mark comparve per pochi minuti, il tempo di dare il cinque a Guy, impigliarsi nei cavi e rischiare di spezzarli. Tim rimase per qualche tempo, il secondo giorno di registrazioni, versando accidentalmente il caffè sui testi delle canzoni e suonando il pianoforte con i ragazzi. Marianne entrò timidamente “solo per un saluto”, e finì per rimanere metà pomeriggio, ridendo, prendendo in giro Will, inciampando nei pedali di Jonny e rischiando di finire faccia avanti sulla batteria, tempestivamente salvata da Guy. E poi John. John, il fotografo, l’amico di infanzia di Jonny, fu il peggiore. Si aggirava per lo studio armato di macchinetta fotografica, appostandosi nei punti più improbabili per trovare “l’inquadratura giusta”, poi spariva per ore e tornava con un mazzo di foto e qualche schizzo per la copertina del disco, e non smetteva di fare domande e parlare con chiunque. E ancora, compagni di corso dei ragazzi, il compagno di stanza di Will, la mamma di Phil e i suoi biscotti, clienti abituali del bar dove lavorava Guy, un’ondata di gente che entrava e usciva allegramente.
Non sorprende che i ragazzi impiegarono quattro giorni per registrare tre tracce, e Phil finì in overdose da caffè e aspirine contro il mal di testa. Nulla che una buona dose di sonno non potesse curare, alla fine. Purtroppo per lui, il divano di Chris e Jonny non era mai stato famoso per essere un divano comodo.
 
«Cosa… perché sto così male?» domandò con la voce impastata a nessuno in particolare, tentando di alzarsi, strizzando gli occhi alle acute fitte di dolore alla schiena e al collo.
«Buongiorno anche a te, il sole splende, siamo tutti felici, abbiamo finito di registrare e sto tendendo in mano il nostro disco!»
La voce allegra di Chris fu troppo per la sua debole testa, e tutto quello che riuscì a rispondere fu un grugnito. Lentamente, mise a fuoco il faccione sorridente del ragazzo e un oggetto piatto e argentato che teneva in mano.
«Che, che roba è? Oh, è… Disco. Mh. Ok.»
Disco… perché Chris teneva in mano un disco? Strizzando ancora di più gli occhi mise a fuoco la scritta scarabocchiata sopra: “Brothers&Sisters – Coldplay”. Ah, già.
 
♪♬
 
«Quindi io inizio da solo per una battuta, poi entrate tutti» ricapitolò Chris. Will annuì.
«Sicuri che l’assolo non dura troppo? A me sembra così lungo…»
«Perché lo stai suonando, Jon. Va benissimo, è il tuo momento, sfruttalo, brilla» lo incoraggiò Chris.
«Shiiine oon, you craaazy diamond… Tururutututu…»
«Guy, per favore. Non rubarmi il lavoro.»
«Scusa.»
Will scosse la testa sorridendo.
«Andiamo, allora, questa è quella buona» disse Phil, sorridendo e sparendo dietro la porta.
I ragazzi si diressero ciascuno ai propri strumenti e si posizionarono, sistemandosi cuffie, cavi e microfoni. La voce di Phil arrivò da un altoparlante all’angolo.
«Pronti, allora, quando volete.»
I ragazzi si scambiarono un’occhiata, Will annuì. Chris strinse il plettro e iniziò.
E Phil, nella stanza del mixaggio, chiuse gli occhi e sorrise. La loro musica gli riempiva le orecchie, sulla retina aveva ancora impresse le immagini di quegli ultimi giorni, immagini di sorrisi, risate, complicità, aiuto, lavoro di squadra.
La loro musica. Sorrise.
Sembrava che tutto andasse bene.
 
♪♬
 
Chris rise.
«Dai, alzati, sono le dieci e mezza, gli altri stanno già facendo colazione.»
«Altri?»
«Will, Jonny e Guy. Guy è appena arrivato, ha portato i cupcake.»
«Will ha dormito qui?»
«Sì, beh, diciamo che non poteva guidare né camminare nelle condizioni di ieri sera…» ridacchiò Chris, aiutando l’amico ad alzarsi.
«Quindi va tutto bene?»
Chris lo guardò e attese un secondo prima di rispondere.
«Certo, va tutto bene. Più o meno. Più più che meno. Mangiamo adesso!»
E forse – forse - aveva ragione. Forse.





***
'Sera. Ritardo più grande di quanto immaginassi, pardon.
The Beatles, ladies and gentlemen.
E.

 
  
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