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Autore: viktoria    23/01/2014    4 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Jonathan e Laura sono finalmente riusciti a capirsi. Sembra che non parlino più una lingua diversa ma che siano arrivati effettivamente al loro Happy Ending. Eppure conosciamo tutti il caratteraccio di Laura, il passato di Jonathan e le cicatrici che ha lasciato in lui. Sarà Laura abbastanza “adulta” da guarirle o almeno da impedire che sanguinino? E Jonathan saprà capire che lei, infondo, è solo una ragazzina?
“L'amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
[STORIA IN RISCRITTURA E REVISIONE]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Fermo di fronte alla grande specchiera di casa mia vedevo riflessa la mia immagine allo specchio. Indossavo un tailleur nero che un buon sarto londinese aveva confezionato su misura per me. Quando eravamo andati a provarlo Laura ne era stata così entusiasta che per un attimo avevo avuto l'istinto di portarla dentro uno dei camerini e di fare l'amore con lei lì, troppo vicino a occhi e orecchie indiscrete. Ero rimasto immobile a guardarla mentre mi passa le mani sulle spalle con gli occhi che le brillavano. Quando il suo sguardo si era alzato verso il mio ci intendemmo alla perfezione. Anche lei aveva pensato la stessa cosa, anche lei voleva la stessa cosa. Le mie labbra si sollevarono appena in un sorriso mentre il suo viso si arrossava leggermente di un bellissimo color rubino che mi fece sollevare la mano per farle una carezza.

-Jonathan, sei pronto?- mi domandò la voce di Ettore alle mie spalle, affiancato da mio fratello Paul. Entrambi mi guardavano ansiosi. So che sicuramente mia sorella aveva riservato per loro la funzione di un'eventuale placcaggio se fossi scappato. Ma sul serio, io ero molto più preoccupato che fosse lei a scappare rendendosi conto dell'enormità di ciò che stava per fare. Non era una scelta facile da prendere per una ragazzina che solo una settimana prima aveva compiuto diciotto anni.

-E' abbastanza tardi.- mi fece prendente mio fratello guardando l'orologio che aveva al polso. Entrambi erano elegantissimi nei loro abiti neri che mia sorella aveva scelto appositamente per loro. Alla fine io e Lorie avevamo scelto ben poco di quelle nozze. Laura avrebbe voluto sposarsi in Italia, nella chiesa in cui aveva ricevuto tutti i sacramenti, però Marie le aveva fatto notare che sarebbe stato difficoltoso un matrimonio nella sua città quindi alla fine lei aveva semplicemente accantonato l'idea. Io avrei voluto che i fiori al matrimonio fossero le buganvillee che tanto piacevano a Laura, il primo fiore che le avessi mai regalato. Marie mi aveva guardato alzando un sopracciglio quando lo avevo proposto e mi aveva fulminato con lo sguardo. -i fiori ai matrimoni sono le peonie, rosa!- aveva decretato lei senza ammettere repliche. La cosa più divertente di quella scelta era stata la faccia di Laura quando le avevo comunicato la notizia quella sera a cena. La sua faccia di disgusto all'idea di doversi preparare ad una chiesa piena di fiori rosa l'aveva scioccata profondamente.

-Sono pronto.- li tranquillizzai entrambi con aria seria avvicinandomi alla porta. Ettore aveva in mano il fiore che avrebbe dovuto appuntare nel mio occhiello ma io fermai le sue mani prima che potessero avvicinarsi troppo. -Lascia stare, ho già un fiore.- gli risposi con molta calma mentre guardavo l'orologio che portavo al polso. Il fioraio che io avevo chiamato era in ritardo. -basta che aspettiamo cinque minuti.- lo rassicurai con calma.

Quell'orologio me l'aveva regalato lei quella sera. Come eravamo arrivati ad intenderci così bene con quella ragazza che neanche sei mesi prima ero convinto di odiare a morte? E adesso mi stavo sposando. Era un enorme cambiamento anche per me. Soprattutto per me. Non avevo mai creduto al matrimonio. Avevo sempre avuto solo l'esempio dei miei genitori e il loro matrimonio era finito in modo pessimo. Lui che abbandona la sua famiglia, un bambino che soffre. Infondo io non ero forse così per causa sua? Ma con Laura sapevo che sarebbe stato diverso, me lo sentivo. Era impossibile che mio padre provasse un amore tanto forte per mia madre. Io non amavo semplicemente la ragazza che stavo per sposare, provavo per lei un sentimento tanto intenso che avrei anche potuto dare la mia vita per lei. Non lo dicevo in modo superficiale. Quando io e Reena avevamo rotto avevo tentato il suicidio, avevo creduto che tutto stesse capitolando nella mia vita, mi ero sentito perso nel nulla, in un mondo in cui solo Reena poteva indicarmi la strada. Ma quella notte di Giugno in quell'hotel di Londra avrei messo fine alla mia vita per puro egoismo. Speravo che lei soffrisse e pensavo che la mia vita fosse finita senza di lei. Non avrei mai fatto una cosa simile con Laura. Lei mi aveva salvato da tutto quello, aveva cercato di insegnarmi il senso della vita nelle piccole cose. Poco importava se io l'avessi trovato solo in lei il senso della vita. Improvvisamente la mia prospettiva nella vita era cambiata. Avrei dato la mia vita affinché lei vivesse e non avrei mai fatto nulla che potesse renderla infelice o che potesse nuocerle. Sapevo, in un modo strano e doloroso, che in quel momento le nostre vite erano legate a doppio filo. Se io avessi fatto del male a me stesso ne avrei fatto anche a lei. E quello non potevo proprio perdonarmelo.

L'avevo realizzato quella sera. La sera dell'orologio, la sera dei chiarimenti, la sera di Reena.

 


Ero in piedi contro la vetrata del salotto con il Tamigi che correva veloce sotto di me lasciandomi riflettere sulla settimana appena passata. Avevo in mano un contratto di lavoro che avrei dovuto leggere ma che mi avrebbe portato mille miglia lontano da lì dove stavo, stavamo, cercando di costruire la nostra nuova vita. Non ero certo di volere questo. Il signor Hennington mi aveva fatto ben capire che quello era un gran contratto, che mi avrebbe permesso di arrivare di nuovo al livello che avevo raggiunto con Woody Allen. Mi morsi il labbro e mi lasciai cadere sul divano. Forse era arrivato il momento per parlare di quello anche a lei, discuterne insieme e trovare una soluzione accettabile ad entrambi. Anche se probabilmente lei mi avrebbe detto semplicemente di partire. Avevo avuto un incontro con il mio manager appena tornati dall'Italia. Il viaggio onestamente più orribile che io avessi mai fatto. Lorie non era ancora riuscita a superare bene la rottura con la sua famiglia e alla fine aveva deciso che voleva che si sapesse del nostro matrimonio. Erano già passare diverse settimane e lei non aveva più risollevato l'argomento. Continuava a lavorare, ad andare in facoltà e a studiare. Non parlavamo mai di ciò che era successo. Anzi, ultimamente parlavamo davvero poco. Sapevo che aveva mille cose in mente adesso e che dovevo lasciarle i suoi spazi però mi sentivo molto solo. Mi passai una mano tra i capelli e sentii suonare alla porta. Davvero? Aveva dimenticato le chiavi? Sorrisi tra me, ero felice che fosse di nuovo a casa, quel giorno non avevo lavorato e le avevo chiesto di rimanere a casa anche se aveva lezione. Mi aveva risposto che non si poteva fare, che doveva dimostrare di potersela cavare da sola e che se avesse cominciato a marinare le lezioni non avrebbe mai dimostrato tutto il suo valore. Come se lo dimostrasse solo con quello e non con tutta se stessa, sempre. Mi alzai e andai ad aprire trovandomi davanti quella che non era assolutamente una bella visione come la ragazza che avevo immaginato fino ad un attimo prima.

- Ciao.- mi salutò con quel suo odioso fare civettuolo il mio peggior incubo ricorrente.

Strinsi la mano intorno alla maniglia per non prenderla violentemente a schiaffi e le sbattei la porta in viso senza aggiungere neanche un saluto, che tra l'altro non meritava. Tornava adesso dopo anni e...cosa pretendeva? Che l'accogliessi a braccia aperte come un cucciolo sperduto? Il campanello riprese a suonare insistentemente e benché cercassi in ogni modo di ignorarla alla fine fu troppo anche per me. E non solo per il fastidioso campanello. Volevo sapere con tutta onesta cosa volesse adesso quella stronza da me. Andai ad aprire con un sorriso velato sulle labbra, mi poggiai allo stipite della porta e rimasi a guardarla. Era bella, lo era sempre stata, bassina, scura di pelle, con gli occhi quasi neri che avevo sempre pensato fossero grandi. Non lo erano. E non era affatto naturale come pensavo. I capelli perfettamente acconciati, un abito che sembrava, e probabilmente lo era, fatto proprio per mettere in evidenza ciò che di buono aveva. Un aggettivo che mi venne subito in mente fu “borghese”. Laura lo usava con me ogni volta che mettevo qualcosa di particolarmente ricercato e non era assolutamente un complimento.

- Non sei stato carino a chiudermi la porta in faccia.- mi rimproverò con un bel sorriso avvicinandosi di un passo. Non mi mossi un un centimetro e la porta rimase socchiusa. - non mi fai entrare?- domandò leggermente a disagio.

- No!- risposi semplicemente incrociando le braccia al petto. - sei qui per un motivo?- domandai riuscendo benissimo a farle capire che non me ne importava assolutamente nulla.

- Ho visto le tue foto, sul giornale. Stai bene.- costatò facendomi arrabbiare anche di più di quanto non lo fossi già.

- Sì, sto benissimo. Certamente non grazie a te.- le risposi tagliente.

- Grazie a questa Laura?- chiese di nuovo diventando acida e fastidiosa.

- Sì, grazie a Laura.- ammisi senza riuscire a reprimere un sorriso spontaneo che nacque sulle mie labbra pronunciando il suo nome.

- È la tua ragazza?- aveva aggrottato la fronte truccatissima e mi venne quasi la voglia di porgerle una delle salviettine struccanti di cui invece una persona di mia conoscenza non aveva decisamente bisogno.

- Sì.- non c'era stata nessuna esitazione nella mia voce nel pronunciare quel semplice monosillabo. Anzi. Avrei voluto dire che non era la mia ragazza, era la mia fidanzata, la mia futura moglie. Avrei voluto che lo sapesse tutto il mondo. Semplicemente non volevo metterla nell'odiosa situazione di dover lottare con la stampa appena la notizia di fosse diffusa. Non senza il suo permesso tra l'altro. Avrei dovuto subire la sua ira e, benché la trovassi incredibilmente sexy quando era arrabbiata, in quel momento era troppo triste perché dovesse pensare anche a questo. Sorrisi tra me guardando involontariamente l'orologio che avevo al polso. Stavo perdendo il mio tempo con quella piccola snob rompi scatole.

- La stai aspettando? È per questo che non posso entrare?- chiese lei mordendosi il labbro con fare, inutile negarlo, seducente. Probabilmente se l'avesse fatto solo qualche mese prima, prima di pasqua, le avrei perdonato tutto. Ma adesso avrei voluto altre labbra da baciare. Perchè sapevo che faceva così per il desiderio di essere baciata.

- Noi due viviamo insieme.- precisai passandomi una mano tra i capelli e sulla guancia come per togliere via il torpore che quella conversazione mi provocava. Mi sentivo effettivamente stanco e annoiato.

- Cosa?- domandò lei sgranando gli occhi. La fronte ancora ricoperta di rughe ma coperta dal ciuffo perfettamente messo in piega. Mi venne da ridere perchè quella battuta era diventata per me ormai famosa.

- Vuoi che ripeta?- le chiesi gentilmente fingendo cortesia.

- Vivi con lei ma non volevi farlo con me?- incalzò dandomi un colpo sul petto. Era arrabbiata e non riusciva a nasconderlo. Lei che di solito era così posata adesso stava perdendo il controllo. Le guardai la mano parecchio infastidito e la scostai dal mio petto come se fossi rimasto disgustato da quel contatto indesiderato. Lo ero in realtà. Nessuna recita.

- Lei non è te. Tutto qui.- ammisi facendo spallucce e mettendomi dritto. La porta si aprì ed io, al pensiero di ciò che volevo dire, sentii montare dentro la rabbia. -Non mi sento a disagio con lei, non mi sento inferiore, non sento il suo continuo giudizio e vuoi sapere una cosa?- ero avanzato di un passo ad ogni inciso e adesso incombevo su di lei che aveva fatto solo un passo indietro spaventata quando mi aveva visto troppo vicino e troppo arrabbiato. Eppure sorrideva. Avrei voluto sfregiarle il viso per impedirle di sorridere un'altra volta. Ma per adesso avrei dovuto accontentarmi di un metodo meno rozzo. La verità. - Io sono innamorato di questa ragazza.- dirlo ad alta voce di fronte a Reena Hammer mi fece davvero capire che quella era la cosa giusta, non avevo mai creduto che sarebbe stato tanto evidente che per una volta avevo fatto la cosa giusta. Eppure fui travolto dalla realtà travolgente di quelle parole. -La amo più di quanto non abbia amato te in tanti anni.- conclusi sapendo che, anche se non l'avessi voluto dire, sarebbe uscito spontaneamente.

La vidi sgranare gli occhi in preda a quello che giudicai una ferita al suo orgoglio. Fece un ulteriore passo indietro e gli occhi le divennero lucidi. Rimase in silenzio per quelle che mi sembravano ore. Perchè non mi ero girato e non l'avevo mandata a quel paese? Perché non stavo facendo la cosa giusta? Perché provavo dispiacere nel vederla così?

- Questo non è molto carino da dire Jhonny.- ruppe il silenzio con quelle poche parole pronunciate con voce tremante. Non provai assolutamente nulla. Un mezzo sorriso sollevò l'angolo delle mie labbra.

- Dici?- le domandai sforzandomi di non scoppiare a ridere di gioia.

Evidentemente le cose non stavano andando secondo i piani della ragazza stronza e calcolatrice che avevo davanti. La fronte le si rilassò e gli occhi si ridussero ad una fessura.

- A me non sembra come dici.- sussurrò con quella che voleva essere un'espressione feroce e... - A me tu sembri molto ferito.- tirò ad indovinare avvicinandosi. Mi posò le mani sulle spalle e mi guardò negli occhi. - Mi dispiace di averti ferito. Io...- aveva addolcito la voce come se avesse mangiato un cucchiaio di miele, aveva abbassato il tono e si stava avvicinando al mio viso. A quel punto non riuscii più a trattenermi e scoppiai a ridere.

Lei si allontanò di un passò e incrociò le braccia al petto.

- Stai ridendo?- domandò con una nota di incredulità nella voce che fece aumentare la mia ilarità.

- Sì, rido.- confessai cercando di calmarmi. - Sei tu che mi fai ridere.- mi voltai pronto a rientrare in casa, ma prima che potessi chiudere la porta lei si era già intrufolata dentro.

- Perchè?- gridò in preda al nervosismo guardandomi con rabbia.

Avevo cercato di rilassarmi, di non gridare, di prendere quella visita per ciò che era, una perdita di tempo. Ma odiavo che mi gridasse contro.

- Io ho fatto questo, io ho fatto quello, io, io, io, io... smettila di dire io! Non stiamo più parlando di te stupida stronza viziata.- le gridai contro afferrandola per le spalle e scuotendola forse un po' troppo forte. - Stiamo parlando di me e di Laura e del fatto che stiamo bene e che, se te lo stai chiedendo, sì, ho intenzione di sposarla.-

- Come? La conosci appena!- sbottò con decisione senza fare nulla per cercare di liberarsi dalla mia presa.

- La conosco abbastanza.- conclusi lasciandola andare. Mi diressi in cucina e presi un bicchiere di vino dal frigo sorseggiandolo con calma, lei si era avvicinata ma non era entrata. -Comunque devo aspettare che faccia diciotto anni.- cercai di recuperare la situazioni, di non farle capire che era già un dato di fatto che ci saremmo sposati se lei mi avesse voluto ancora.

Non riuscivo a capire perchè l'avevo detto. Sapevo perfettamente che sarebbe stato solo un gesto per dare a quella stronzetta qualcosa da dire. Eppure avevo sentito la necessità di precisare quel particolare.

- Cosa?- era la terza volta che utilizzava quella parola e adesso cominciava a darmi sui nervi.

- E' la sola parola che conosci, tesoro?- sputai quel tesoro con ribrezzo e la superai uscendo dalla cucina e sedendomi sul divano guardando fuori dall'ampia vetrata.

- Ti sto odiando Jhonny!- gridò lei di nuovo in preda ad una crisi isterica.

- Io ti ho già odiato, poi ti assicuro che passa.- la rassicurai tranquillamente sorseggiando il mio vino.

- Lei è minorenne?- continuò a gridare avvicinandosi e piazzandosi proprio davanti a me provocandomi un eccesso di bile in bocca che avrei voluto sputarle dritto in viso.

- Ancora per qualche mese sì.-

- Potresti finire in prigione.-mi fece notare lei come chiunque altro avesse avuto il piacere di conoscere la nostra enorme differenza d'età e si fosse sentito in dovere di farci sapere la propria inutile quanto indesiderata opinione.

- Non mi importa.- conclusi con lei come avevo risposto a tutti gli altri e sperando che finalmente avesse afferrato il messaggio e se ne fosse andata.

- Jhonny!-invece, evidentemente, non era abbastanza intelligente. Aveva ripreso a gridare più di prima come una bambina capricciosa e dispettosa a cui era stato portato via il giocattolino che aveva lei stessa messo da parte perchè non lo voleva più.

Scattai in piedi parecchio irritata, sapevo di aver sgranato gli occhi e di sembrare un terribile invasato. Lo capivo anche perchè aveva fatto un passo indietro spaventata alzando le mani come per difendersi da un passibile attacco che avrebbe potuto rovinarle quel visino da troia che si ritrovava.

- Smettila! Smettila di chiamarmi Jhonny!- stavo gridando di nuovo anche io, sapevo che non era un buon metodo quello ma non riuscivo a non farlo. Provavo un terribile sentimento d'odio per quella donna davanti a me. -Io non sono il tuo Johnny, io sono Jonathan ok? Non voglio avere nulla a che fare con te!- l'avvisai afferrandola per il braccio e accompagnandola poco gentilmente verso la porta. - adesso vattene e se tieni al tuo faccino non tornare!- aprii la porta e la spinsi fuori ma prima che potessi sbatterle di nuovo la porta in faccia ebbe lei l'ultima parola.

- No, non è vero. Io sarò sempre la tua Reena e tu sarai sempre il mio Jonathan.- mormorò con le lacrime agli occhi sistemandosi il vestito e il giacchino scombinato.

Mi diede le spalle e scese le scale di corsa.


 

-Dove siete?- gridò mia sorella ad Ettore dall'altro capo del telefono. Sapevo che quello era un rimprovero al suo lavoro di placcatore. Probabilmente pensava che fossi già fuggito in Nuova Guinea.

-Se ti rilassi ti spiego.- le suggerì Ettore con la solita voce calmissima di chi cerca in ogni modo di far rilassare la controparte prima di dare una notizia atroce. Era pessimo in quel lavoro. Aveva sempre quel suo fare da medico che deve dare una brutta notizia.

-No, non mi rilasso! Dovevate essere in chiesa invece Alan mi ha chiamato e dice che non ci siete!- continuò a gridare in preda ad una collera isterica che in brevissimo tempo l'avrebbe portata alle lacrime. Alzai gli occhi al cielo e tesi la mano verso il telefono di Ettore facendogli capire che avrei spiegato io tutto a mia sorella. Lui mi guardò per un attimo, aggrottò la fronte e poi mi passò il telefono mentre ancora Marie, dall'altro capo, gridava frasi sconclusionate.

-Ehilà, fanciulla mia.- scherzai con un sorriso tranquillo nella voce.

Piombò il silenzio. Probabilmente non si sarebbe mai aspettata di sentire la mia voce. Ero convinto che si fosse già prefigurata il peggio, che stesse già pensando a dove venirmi a cercare o come dare la notizia a Laura.

-Jo...Jonathan?- balbettò tenendo a freno la sua collera che poco prima aveva investito il suo fidanzato.

-Già, sono io.- la tranquillizzai mentre finalmente un camioncino bianco delle consegne di un fioraio si fermava davanti al vialetto di casa mia.

-Non sei scappato?- mi domandò di nuovo lei come farebbe una bambina al telefono con il suo papà lontano da molto tempo e che si ha paura di perdere o non rivedere più. Io mi avvicinai al ragazzo delle consegne e firmai i moduli che mi porgeva. Avevo pagato in anticipo proprio prevedendo di non poter avere contanti a disposizione. Lui mi lanciò un'occhiataccia perché lo lasciai andare via senza mancia. Ci mancava poco che mi dicesse: “Tirchio di un attore.” Persi il bouquet che mi porgeva e mi voltai verso Ettore che alzò gli occhi al cielo. -Jonathan rispondimi cazzo!- mi sgridò Marie. Effettivamente avevo dimenticato quasi della sua presenza al telefono impegnato com'ero a sistemare il fiore nell'occhiello della giacca nera.

-Sì, scusami...senti, siamo in macchina, stiamo arrivando.- la rassicurai mettendo giù.

Sapevo che si sarebbe arrabbiata abbastanza per quello che stavo facendo contravvenendo alle sue scelte, però era il nostro matrimonio, non il suo, lei avrebbe avuto il suo momento senza dubbio, non adesso però.

-Si arrabbierà con me lo sai?- mi domandò lui mentre porgeva a Paul le chiavi della macchina e lui prendeva quelli dell'auto che avevo gentilmente concesso di prestargli.

-Sì, lo so, ma è il prezzo da pagare per la mia Lamborghini.- lo presi in giro dandogli un colpetto affettuoso sulla spalla.

-Jonathan, per te questo e altro.- scherzò lui a sua volta ridendo divertito mentre si avvicinava all'auto ed io salivo su quella di Paul.

Il telefono di Paul squillò non appena entrambi chiudemmo le portiere. Quel giorno non avremmo avuto tregua, ne ero più che consapevole.

-Pronto?- rispose lui mettendo in moto con il viva-voce attivo.

-C'è Jonathan lì?- domandò la voce di mio fratello Jamie con una nota di ansia nella voce. Quel giorno erano tutti ansiosi e cominciavano a far salire l'ansia anche a me che fino ad un attimo fa ero del tutto tranquillo.

-Sì, sono qui, quale altra sventura è capitata?- domandai sbuffando e alzando gli occhi al cielo.

-Quale delle due vuoi sapere prima?- domandò lui a sua volta beffeggiando il mio tono. - quella brutta solo per te o quella brutta anche per Laura?- quando sentii le sue parole mi sistemai meglio sul sedile ed ebbi l'istinto di prendere il telefono e togliere il viva-voce.

-Che è successo a Laura?- chiesi in apprensione.

-Reena Hammer.- quelle due parole bastarono a farmi salire un tale attacco di rabbia che per poco non sferrai un pugno al finestrino. Se avessi danneggiato la macchina di Paul mi avrebbe ucciso.

-Jamie, vaffanculo!- gridò infatti lui guardandomi di sottecchi mentre cercavo di contenere la rabbia stringendo semplicemente i pugni.

-Ne ho ancora un'altra..- ci fece presente lui con tranquillità questa volta. Era felice di avere tutta la nostra attenzione.

-Hitler?- chiese Paul indignato dal comportamento da demente di Jamie. Ma si sapeva che lui era così, non potevamo farci niente.

-Vi prendete beffe di me?- domandò Jamie arrabbiato. Sapevo che avrebbe incrociato le braccia al petto se fosse stato di fronte a noi.

-Gaspard Ulliel che le fa da accompagnatore.- concluse lui. Paul si rilassò. Probabilmente lui pensava che quello fosse un bene. Era un modo per liberarci di due seccature. Dopo le foto del mio compleanno e le varie premier di Dracula tutti si erano accorti di quanto l'attore francese avesse un debole per la mia fidanzata. Paul poteva pensare che in questo modo ci fossimo liberati di due pesi.

Eppure una cosa del genere io dovevo aspettarmela. Non ero stato abbastanza lungimirante evidentemente. Laura lo era stata molto più di me.

-Vaffanculo.- sbottai semplicemente mettendo giù la chiamata.


 

-Sono a casa.- mi avvertì una voce a me fin troppo famigliare con una dolcezza che mi riempì il cuore.

Si era già fatto tardi, solitamente Laura era solita tornare molto prima a casa. E quel giorno ne avrei davvero avuto bisogno. Non riuscivo a non pensare al viso di Reena, alle sue parole. Non riuscivo a non pensare alla vita di quella ragazzina neanche maggiorenne che presto sarebbe stata mia moglie. Ero rimasto in salotto, seduto sul divano, il copione dell'episodio in mano. Lo leggevo senza davvero capire cosa ci fosse scritto. Mi alzai lentamente avvicinandomi all'ingresso con le mani in tasca, un mezzo sorriso sul viso che però non coinvolgeva gli occhi. Il suo viso era stanco, provato, da quella lunghissima giornata che era finalmente finita anche per lei.

-ciao- la salutai con dolcezza mentre poggiava le chiavi all'ingresso e lo zaino che aveva in spalla per terra. A nulla era valso il tentativo di spiegarle che poteva avere una stanza tutta per lei e per le sue cose evitando i lasciarle in giro per casa. A lei piaceva così. E dopo tutto a me piaceva ciò che piaceva a lei.

-ciao...- mi rispose sollevando finalmente lo sguardo verso di me e aprendosi in un sorriso stanco ma assolutamente sincero che le illuminò il suo bellissimo viso. Si avvicinò a me e mi strinse in un abbraccio che avrebbe avuto un che di fanciullesco se le sue labbra non avessero subito cercato le mie con una tenerezza che non aveva nulla di lussurioso o malizioso. Solo tanto affetto.

-Come è stata la tua giornata?- mi domandò sulle mie labbra accarezzandomi le guance e il viso.

-lunga.- ammisi facendo semplicemente spallucce senza aggiungere altro. Non volevo parlare con lei di quell'incontro che avevo appena avuto con Reena Hammer. Non volevo rovinare quel momento di dolcezza che era più unico che raro.

-Anche la mia...- ammise sospirando e nascondendo il viso sul mio petto. - oltre alle lezioni ho avuto anche il lavoro!- si lamentò piano come una bambina. Le posai un bacio sulla testa e mi allontanai appena diretto in cucina trascinandola letteralmente dietro di me. Se non l'avessi costretta a mangiare probabilmente sarebbe andata a letto digiuna.

-Non lamentarti, quando dovrai cominciare a pensare alle nozze sarà anche peggio.- la presi in giro dandole un buffetto sulla guancia. Aprì il frigo mentre io recuperai una pentola e la misi sul fuoco.

-Può anche darsi...ma di sicuro sarà qualcosa che faremo insieme.- costatò lei con aria seria assolutamente convinta delle sue parole.

-Piuttosto, Marie ti ha mandato un fax...è lì su, dagli un'occhiata.- la invitai indicando l'isola in cucina. Sul centrotavola avevo lasciato un foglio piegato in tre a fisarmonica che era arrivato quel pomeriggio. Marie cominciava ad indisporsi per il nostro ritardo nei preparativi.

-Devo preoccuparmi vero?- domandò lei allontanandosi da me per andare a prendere quel foglietto.

-Devi sempre farlo quando si tratta di Marie.- le risposi cospargendo la padella di sale. Avevo imparato a cucinare da pochissimo e dovevo ammettere che mi piaceva farlo. Non per una ragione in particolare, però mi piaceva sperimentare, per quel poco che riuscissi a fare, e mi piaceva che Lorie mangiasse ciò che preparavo per lei.

-Ok, leggo ad alta voce?- domandò lei sedendosi su uno dei sgabelli con aria assorta mentre dava un'occhiata a quella lunga lista che spiccava nero su bianco su quel foglietto.

-Ti ascolto.- scherzai anche se quel foglio lo avevo già letto. Dovevo suggerire a mia sorella di farsi un po' di fatti suoi quando l'avrei rivista.

-Allora...- cominciò lei schiarendosi la voce. - Salve ragazzi, sono qui per darvi alcuni suggerimenti pratici e per farvi capire che un anello non fa matrimonio. Dovete decidere una data, dopo il compleanno di Laura non è una data è un'indicazione temporale che va dal sei di Dicembre all'infinito, più o meno. Dovete stilare una lista degli invitati. O almeno, Laura deve farlo. A Jonathan ci penserò io visto che mio fratello sembra inebetito. Dovete prenotare la chiesa, sapete quanto tempo prima bisognerebbe prenotare per la chiesa che volete? Beh, sbrigatevi! Dovete prenotare il locale, pensare ai vostri vestiti e a quelli dei testimoni, i fiori, i paggetti, la lista nozze, il viaggio di nozze, estetista, parrucchiere e autista. Quando avete intenzione di fare tutto questo? Per sicurezza comunque vi aiuterò per le cose più importanti visto che voi siete del tutto inefficienti!- Lorie aveva letto tutto d'un fiato imitando perfettamente il tono di mia sorella quando ci rimproverava da piccoli. Evidentemente doveva averlo fatto anche con lei qualche volta. Sollevò il viso da quei foglio e mi guardò con un'aria da maestrina. -p.s. Ringraziate che esisto stupidi idioti.- concluse lei. Sapevo che non c'era nel fax ma effettivamente si inseriva benissimo all'interno di quella breve lista di cose da fare. Scoppiai a ridere mettendo la carne sul fuoco e Laura ridacchiò richiudendo in tre il foglio.

-Sembra una cosa fattibile...- fece notare lei con aria pensierosa. -tu che giorno vuoi sposarti Jonathan?- mi domandò lei ad un tratto con gli occhi che vagavano per la cucina senza guardare effettivamente nulla. -Io avevo sempre sperato nel ventinove maggio ma...adesso mi sembra decisamente troppo lontano.- continuò lei ancora immersa nei suoi pensieri passandosi una mano sulla guancia.

-Che ne dici di Dicembre?- proposi io senza avere davvero l'intenzione di metterle così tanta fretta. Mancava meno di un mese a Dicembre e non volevo che sentisse la pressione di una cosa fatta con troppa fretta.

-che ne dici del dodici dicembre?- mi domandò lei a sua volta guardandomi attentamente in viso. Fino ad un attimo prima sembrava quasi che stessimo scherzando su tutto, che fosse solo un gioco per stuzzicarci a vicenda e adesso stavamo parlando seriamente della data del nostro matrimonio.

-Mi sta benissimo.- concordai io. E quella sera, dopo la litigata con Reena, avevamo scelto la data del nostro matrimonio.

-Bene!- esclamò lei soddisfatta. -ho anche un regalino per te!- era così entusiasta e vivace che per un attimo mi girò quasi la testa per l'improvviso cambiamento. Scese dallo sgabello e corse in salotto tornando poco dopo con un pacchetto di una gioielleria.

-cos'è?- domandai io togliendo la carne dal fuoco e mettendola in un piatto.

-Aprilo, è per te, io penso alla cena.- mi invitò lei raggiungendomi e mettendomi il pacchetto tra le mani prendendo il mio posto ai fornelli. Guardai quella scatolina dalla forma quadrata, la scartai piano e la rigirai tra le mani con fare incerto. -Non è una bomba.- mi prese in giro lei ridacchiando.

-Con te non si sa mai.- la presi in giro meritandomi una linguaccia.

Mi rigirai quel pacchetto tra le mani un paio di volte prima di decidermi a svelarne il contenuto. Era un orologio. Il cinturino in pelle, il quadrante in oro. Era un orologio importante eppure era così sobrio da sembrarmi estremamente elegante. Molto alla Kennedy, lo ammettevo. Aggrottai appena la fronte e lo guardai stralunato. Dovevo ammettere che non mi aspettavo nessun regalo. Era rarissimo che ne ricevessi, nessuno me ne faceva da...tantissimo tempo. Eppure quella ragazzina riusciva sempre a stupirmi, a lasciarmi senza fiato.

-Non ti piace?- domandò dopo un attimo con un filo di voce.

Sollevai lo sguardo verso di lei e la vidi terribilmente preoccupata senza nessuna ragione.

-E'...bellissimo.- ammisi dopo un attimo di silenzio. Le mie labbra si piegarono in un sorriso e la presi tra le braccia stringendola a me con fare assolutamente protettivo e molto, forse troppo, possessivo. Lei era mia, volevo che tutti lo sapessero. Volevo che tutti sapessero che sarebbe stata mia moglie per il resto della nostra vita.

-E' il mio regalo di fidanzamento per te, amore mio.-

 


Guardai l'ora per l'ultima volta. Mi trovavo fermo sull'altare e cominciavo davvero ad essere nervoso. La chiesa era gremita di gente. Quando ero entrato e avevo percorso la navata molti mi avevano fermato per salutarmi e avevo visto visi famigliari, colleghi, parenti, amici. I miei fratelli erano lì, sull'altare, tutti e tre. Alan, Jamie e Paul che arrivò con me. Loro tre sarebbero stati i miei testimoni più uno d'eccezione, il mio quasi fratello. Ettore. Non avevo mai apprezzato i fidanzati di mia sorella però quel ragazzo mi piaceva. Non sapevo perché. Forse me l'ero fatto piacere perché piaceva a Laura. Jamie mi guardò non appena i nostri sguardi si incontrarono e poi mi fece segno di guardare alla sua destra. Il mio sguardo seguì il suo e incontrò due paia di occhi. Un paio nocciola, una tonalità più chiari di quelli della mia fidanzata e un paio blu, come la notte. Entrambi erano estremamente seri e composti. In attesa. Io sorrisi a tutti e due come se mi stessi facendo beffa di loro e li salutai con un sorrisetto divertito mentre prendevo posto sull'altare accanto ai miei fratelli.

-Stai bene.- si complimentò Alan dandomi una pacca sulla spalla.

-Grazie.- risposi io molto tranquillamente voltandomi verso l'ingresso. Avevo un mano un bouquet di buganvillee che sarebbero state il mio ultimo regalo alla mia fidanzata. Amore eterno. Quello il loro significato. Quello mi aveva detto un giorno Lorie, passeggiando per i viali sporchi della sua città, fermandosi accanto ad un muro pieno di quei rampicanti.

-Dicono che questi fiori siano come il vischio.- aveva cominciato lei con gli occhi che le luccicavano appena. -dicono che sono una pianta parassita che uccide tutto ciò su cui si innesta.- presi uno di quei fiori tra le mani e lo guardò. - forse è questo il motivo del loro significato. Infondo anche l'amore è così. Uccide tutto ciò su cui cresce e non lascia altro se non quell'amore stesso. E cresce ovunque, proprio come la buganvillea, e spesso nessuno lo vede proprio perché non è raro come tutti dicono ma ha solo bisogno d'attenzione. C'è ovunque ma non lo si apprezza.-

Qualche istante dopo la marcia nuziale cominciò.



Note Autrice:
ok, non vogliateme a male ma "la luna di miele" (con qualche piccolo flash sul matrimonio, vi spoilero ad esempio che vi farò leggere le promesse di Jonathan che tra l'altro sono bellissime e se il mio fidanzato mi dicesse una cosa del genere scoppierei a piangere...xD ma magari è che io sono così perdutamente innamorata di Jonathan che sembra sempre perfetto) voglio tenermelo per San Valentino.
quindi il prossimo aggiornamento sarà, puntualissimo, il 14 Febbraio! (qualsiasi cosa accada! v.v tranne la fine del mondo perché a quel punto non potrei proprio aggiornare)
per il resto...nulla. vi dico fin da subito che il mio periodo dolcezza finirà immediatamente con l'inizio delle lezioni. un piccolo accenno lo potete già leggere in questo capitolo ma vi prennuncio una catastrofe di proporzioni apocalittiche che neanche Sam e Dean Winchester saprebbero come affrontarla! v.v
grazie mille a chi ha recensito fino ad ora, a chi ha iniziato adesso a leggere, grazie mille a tutti. spero che vogliate ancora farmi sapere cosa ne pensate del capitolo e della storia in generale. vi mando un bacio e vi auguro un buon fine settimana ((:

  
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