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Autore: Lys3    23/01/2014    1 recensioni
Tutti a Capitol City amano gli Hunger Games. Tutti tranne Leo.
Lui è diverso, lo è sempre stato fin da piccolo, ma nessuno comprende le sue ragioni. E in un mondo così grande, così forte, lotterà nel suo piccolo per far valere le sue idee in una società travagliata da questi Giochi mortali.
Martia era una ragazza come tante altre. Questo prima di vincere gli Hunger Games. Ora lotta per non perdersi nei suoi incubi, per mantenere la sua famiglia che sta cadendo verso l'oblio e per dare a sé stessa una speranza di una vita migliore.
Dal testo:
“Siamo diversi. Apparteniamo a due mondi diversi. E questa cosa non cambierà mai. [...] Vuoi un ragazzo che ti salvi dagli Hunger Games, non uno il cui padre ha progettato la tua morte.” [...]
“Ti sbagli. Tu mi salvi dagli Hunger Games. Mi salvi dagli Hunger Games ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi stringi la mano, ogni volta che mi sorridi. Ogni singola volta in cui tu sei con me, mi sento libera di nuovo, come se nulla fosse mai accaduto. [...]”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 16 – Ansia e timori
 
Leo scattò in piedi, allarmato.
Non gli erano sfuggiti il volto pallido, le mani tremanti, lo sguardo vacuo e la fronte imperlata di sudore. Fino all’ultimo, però, credeva che la ragazza ce l’avrebbe fatta.
Invece crollò a terra, con un tonfo sordo e battendo la testa contro il pavimento accuratamente lucidato. Il pubblico, dapprima impegnato in un fragoroso applauso, si ammutolì per un istante, iniziando poi a urlare e ad accalcarsi contro il palco e le uscite.
Leo provò ad avvicinarsi a Martia, ma la folla veniva respinta continuamente in malo modo da un gruppo di Pacificatori.
“Pensa, Leo… Pensa…” doveva trovare un modo per raggiungerla. Doveva controllarla, accertarsi che si sarebbero presi cura di lei, che stesse bene.
Si ricordò dell’uscita di emergenza dello studio, dalla quale avrebbero sicuramente portato via Martia e corse fuori, pronto ad assediare la porta.
Rimase a lungo lì davanti, a camminare avanti e indietro, passandosi le mani tra i capelli o incrociandole dietro la testa, ma non c’era nessuna traccia di qualcun altro oltre a lui.
Dopo quasi un’ora di attesa capì che doveva esserci un’altra uscita, ancora più nascosta, che era stata utilizzata.
Maledicendosi, si incamminò verso casa. Sentiva l’ansia crescere dentro di lui, il timore che le potesse accadere qualcosa gli attanagliava lo stomaco. Voleva vederla, anche solo per accertarsi che non era in pericolo, ma aveva bisogno di vederla.
Camminando, i tanti maxi-schermo installati lungo le strade stavano riproponendo l’intervista e il momento dell’incidente. Lui cercò di evitare di guardare il tutto, ma quando il conduttore aggiunse che vi erano importanti novità, il suo sguardo si focalizzò sullo schermo.
“I medici si stanno occupando di lei. E’ ancora priva di sensi e si sta indagando per cercare di scoprire l’origine del suo malore” disse il presentatore con aria addolorata.
Leo non sapeva se crederci.
Poteva benissimo essere una scusa, per attirare ancora di più l’attenzione sul programma televisivo, per fare in modo che anche dai Distretti rimanessero con naso incollato allo schermo in attesa di sapere il finale di quella triste avventura. Martia era ancora un ricordo fresco, tutti erano ancora affezionati a lei.
D’altra parte poteva anche essere la verità. Ma questo solo i medici potevano saperlo.
Quando tornò a casa era molto tardi. In circostanze normali avrebbe fatto molta attenzione a non fare rumore, ma quella sera non gliene importava più di tanto e finì irrimediabilmente per svegliare i suoi genitori.
“Torni così tardi?” disse il padre guardandolo in malo modo.
Era la prima volta che parlavano dopo lo schiaffo. Sul suo viso era ancora presente il livido e nella sua mente era ancora vivo il dolore fisico e morale di quel gesto.
“Quante volte mentono, quelli di Capitol City?” domandò Leo guardandosi le scarpe.
Avrebbe preferito non parlargli affatto, ma in quelle circostanze non c’era molto da fare per ottenere qualche notizia.
“Solo quando è necessario” rispose il padre. “Ma che diavolo di discorsi fai?”
Leo alzò lo sguardo e lo fissò. “Secondo te un po’ di pubblicità è necessaria? Secondo te vogliono che più gente segua i loro programmi?”
“Leo, cosa ti succede?” disse sua madre avvicinandosi e accarezzandogli il viso.
“Niente, è solo andato fuori di testa come al solito. Adesso potete fare silenzio?” fece Lana affacciandosi dalla sua stanza con aria infuriata. “Vorrei dormire.”
“Lana, stiamo parlando di cose serie” protestò la donna.
“Ma quali cose serie. Avrà litigato con la ragazza che lo avrà mollato e gli è venuta una crisi nervosa. Sta meglio di me quello lì. Ce ne andiamo a letto, ora?” e dicendo così chiuse con forza la porta.
“Credo che lei non sappia cosa vuol dire stare male se dice questo” mormorò Leo. E mentre sua madre gli sussurrava frasi consolatorie, cercando di indagare sull’accaduto, suo padre lo fissava con aria seria e minacciosa. “No, mamma” rispose Leo all’ennesima domanda. “Stai tranquilla, non è niente di che.”
“E’ colpa di quella ragazza? Il primo amore fa sempre male quando finisce, ma…”
“Mamma non ci siamo lasciati” sbottò Leo.
“Però è lei” disse la donna.
“Sì… Ma…” Leo esitò. “Non è come credi tu. Buonanotte.”
Stava quasi per chiudere la porta della sua stanza quando suo padre la bloccò. “Tu domani mattina verrai con me. Nessuna obiezione. Nessuna domanda.”
 
Di fronte alle parole minacciose della sera precedente, Leo si aspettava che come minino lo attendesse un’arena apposta per lui piena di ibridi o dei lavori forzati al servizio di tutta la comunità.
Fortunatamente, ciò che suo padre aveva in mente, non prevedeva la sua morte o il suo sfinimento. Ma forse, sotto un certo punto di vista, era anche peggio.
Leo se ne stava seduto comodamente, fissando i quadri appesi alle pareti, il tappeto soffice sotto i suoi piedi e le unghie laccate del signor Minos, il suo psichiatra.
“Era da un po’ che non ci vedevamo” disse l’uomo con un sorriso maligno.
Leo alzò le spalle, ostentando indifferenza. “Era stato lei a dirmi di venire di meno nel caso in cui avessi iniziato a partecipare alle attività della città.”
Il sorriso si trasformò in un ghigno. “E cosa è andato storto?”
Leo rise, ironico. “Non le ho mai detto niente della mia vita, perché dovrei iniziare ora?”
“Altrimenti non ti leverai mai di dosso quel cartellino” rispose il Dottor Minos.
Leo guardo la sua etichetta di benvenuto che lo collocava tra i mentalmente instabili. Era odiosa. Troppo. Ma non poteva stare al gioco di quell’uomo. “Non è poi un peso così grande.”
L’uomo non rispose. Si guardarono per un po’, poi disse: “So che hai una ragazza. Vuoi dirmi chi è?”
“No. Posso andare a casa?”
“No.”
“Allora prepariamoci insieme a lunghe ore di silenzio” rispose con odio.
Il dottor Minos lo fulminò con lo sguardo. “Cosa ti costa collaborare?”
“Sto già collaborando!” sbraitò Leo. “Sto andando a quelle feste che voi amate tanto, ho fatto amicizia con delle persone, mi sono trovato una ragazza, sto seguendo gli Hunger Games e ho sponsorizzato dei Tributi. Più di così che devo fare?!”
Il dottor Minos esitò. “Stai guardando gli Hunger Games?”
Leo riprese fiato dopo la sua scenata. “Sì.”
“Quanto lo hai guardato?” domandò il dottore.
Leo alzò le spalle. “Praticamente quasi sempre. Ho visto la Mietitura, la sfilata, le interviste. Ho visto l’inizio dei Giochi e da lì ho seguito abbastanza tutte le vicende.” Vide lo psichiatra appuntare qualcosa sui fogli davanti a lui. “Cosa sta scrivendo?”
“E dimmi, ieri sera hai avuto dei problemi con la tua ragazza?”
“Sì, ma stavamo parlando degli Hunger Games, cosa c’entra?”
“E’ finita tra di voi? O avete litigato?” continuò lui.
“Dannazione, no. Smettetela di chiedermelo. Non abbiamo litigato né niente. Soltanto ci sono stati problemi dovuti a causa di forza maggiore. E quindi?” Leo iniziò a temere che stessero iniziando a comprendere che qualcosa non andava. Forse credevano sospettoso il suo avvicinamento improvviso ai Giochi. Forse si era sbilanciato troppo nel parlare.
Il dottor Minos si alzò con un sorriso. “Puoi andare per oggi.”
“Cosa ha scritto su quel foglio?” domandò Leo cercando di sbirciare.
“Nulla, appunti personali. Ora va’.”
“No. Voglio saperlo!” insistette alterandosi.
Il dottore fece un grande respiro. “Il paziente mostra dei piccoli miglioramenti. Ha finalmente trovato la strada giusta per rimettersi in sesto ma le continue pressioni lo rendono ansioso e agitato.” Leo lo guardò senza dire una parola. “Leo, posso chiamarti per nome, vero? Stai iniziando a riprenderti, ma stai cercando di fare tutto troppo in fretta. Stare tutto il giorno fuori casa mentre prima non uscivi mai, parlare con persone con le quali non sei abituato, vedere gli Hunger Games che odiavi… Tutto questo ti rende nervoso. Per questo stai avendo questa ricaduta.”
Leo rimase in silenzio. Pensò a molte risposte da poter dare, ma non ne trovò una sensata che non avrebbe peggiorato la situazione così si limitò ad annuire. “Quindi posso andare?”
 
Rientrò a casa con più tranquillità di quanto si aspettasse.
Il dottore, prima di salutarlo, gli aveva detto che si sarebbe preoccupato personalmente di mandare un messaggio ai suoi familiari per non fargli ricevere troppe pressioni.
Nonostante fosse ancora preoccupato per Martia, il fatto di non dover parlare con gli altri di quella seduta era tranquillizzante.
“Ehi, che ha detto il tizio? Sei ancora pazzo?” fece sua sorella quando lo vide entrare.
Evidentemente non aveva pensato a lei, il dottore. “No. E si è ripreso quella stupida targhetta” rispose, orgoglioso.
Sua sorella sollevò lo sguardo dalle sue unghie e lo fissò attentamente, per assicurarsi che non stesse mentendo. “Cavolo, davvero non ce l’hai più” constatò squadrandolo. “Anche Minos deve essere uno svitato per togliertelo.”
Leo fece un gesto di noncuranza con la mano e si diresse in camera sua. L’idea era quella di fingere indifferenza, guardare i vari canali per vedere se parlavano della sua ragazza e poi uscire, o per andare da lei o semplicemente per non stare in quel posto.
Quando vide, però, che sua sorella lo seguiva nel corridoio, capì che c’era qualcosa che non andava. “Cosa vuoi?” sbottò dopo aver tentato inutilmente di chiuderle la porta in faccia.
“Avrei qualche domanda per te” disse Lana.
“Non hai letto il messaggio?” domandò Leo, anche se conosceva già la risposta. “Da parte del dottore.”
“Non ho idea di cosa tu stia parlando” posò finalmente la lima per le unghie e lo fissò attentamente negli occhi. “Dimmi la verità, cosa stai combinando.”
Leo avvertì un brivido percorrergli la schiena. “Cosa intendi? Volevo solo guardare la televisione.”
“Non ora, cretino. In generale.” Di fronte al silenzio del fratello, Lana continuò: “Le cose sono diverse ultimamente, tu sei diverso. Hai l’aria felice, spensierata. E tutto da un giorno all’altro. Solo un cretino come Minos può credere che finalmente tu abbia capito qualcosa di questa vita.”
“Cosa vuoi insinuare?” replicò Leo, brusco.
“Che tu non stai guarendo affatto. Stai solo tramando qualcosa.”
Il ragazzo ripensò al suo piano suicida, ancora archiviato infondo al cassetto della scrivania. Lasciato incompiuto dopo l’arrivo di Martia. “Non sto tramando un bel niente. Sto solo cercando di farvi contenti.”
“Sai, la popolarità può essere una brutta cosa. Ed io sono abbastanza popolare, a differenza tua. Ma sai chi è ancora più popolare di me? La tua amichetta del Distretto 4” disse Lana con un sorriso maligno e scintillante.
Leo strinse i pugni e imprecò nella sua mente. “Smettila con i giri di parole. Che cosa vuoi dirmi?”
“Che so chi è la tua fidanzata.”
In quell’istante tutto perse consistenza attorno a lui. Sentì la testa girargli e temette di stare per svenire. Poi riuscì a rimettere a fuoco il volto di sua sorella e il suo sorriso cattivo.
“Non passa inosservata una Vincitrice degli Hunger Games. Soprattutto quando è in compagnia di un ragazzo e non si comporta esattamente come da amica.”
“Tu stai mentendo! Ti diverti solo a farmi impazzire! Minos ha detto che dovete lasciarmi in pace, perché sto guarendo e tu dovresti farlo! Doveva scriverlo anche a te, nel messaggio!” urlò Leo di rimando, mentendo anche a se stesso.
“So perfettamente di cosa sto parlando. Me lo hanno riferito miei amici, ma dato che non ci credevo mi hanno invitato a constatare con i miei occhi.”
Leo voleva urlare e rompere tutto ciò che gli stava attorno, ma soprattutto ammaccare la faccia a sua sorella. Ma non poteva.
Strinse i pugni e digrignò i denti. “Cosa vuoi che faccia?”
Di certo lei la lettera del dottor Minos non l’aveva letta.





Buonasera a tutti. Eccomi, stavolta abbastanza puntuale.
Ho lavorato su questo capitolo di più degli altri perché ero abbastanza indecisa se far scoprire o no a Lana cosa stava accadendo. Alla fine ho optato di sì, giusto per creare un po' di suspance!
Che ne dite di questo capitolo? Sinceramente a me la storia non coinvolge più tanto. Avevo pensato di continuare a scriverla ma tenerla per me e cancellarla da efp ma poi penso a quelle persone (anche se poche) che continuano a seguire la storia e mi dispiace poi lasciare tutto inconcluso... Avevo pensato anche di riscriverla, ma non se ne parla altrimenti ancora meno persone sarebbero disposte a rileggere la storia da capo solo con piccole modifiche.
Boh, che indecisione. A presto.

 
  
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