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Autore: Mania    24/01/2014    1 recensioni
{ Hook/Emma ● AU!Futuro nella Foresta Incantata }
«Non credo che sembrerai di più un principe, per quanto cerchi di distendere le pieghe sugli abiti» ironizzò Emma, voltandosi nella sua direzione alzando un sopracciglio con fare sarcastico.
«E voi una principessa?» domandò di rimando Killian, sogghignando con la sua solita aria strafottente, avvicinandosi a lei di un paio di passi mentre si avvitava l’uncino. «Se vi consola, sareste una fantastica pirata, Swan. Tuttavia, lasciatemi provare a impressionarvi, potrei riuscirci più di quanto crediate.»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

C A P I T O L O   U N I C O ▬
Non ricordo più che sapore ha la felicità



Correva, come sempre aveva fatto nella vita d’altronde. Era una costante, una delle poche, che caratterizzavano il suo essere, anche se in modo differente e difforme a seconda dei momenti in cui si era ritrovata. Aveva corso per scappare dopo un furto, aveva corso per sfuggire ai propri dubbi e insicurezze, aveva corso per salvare le persone che amava, ma mai aveva corso per un uomo – per trattenerlo, per quel sentimento che faticava a pronunciare anche solo mentalmente, e a cui stentava ad arrivare alla seconda sillaba prima di disfare l’intera parola.
Eppure, per un succedersi di eventi di cui aveva perduto il controllo, si ritrovava ad attraversare la Foresta Incantata pur di arrivare in tempo al porto, senza dar troppa importanza a quello scorrere incessante di pensieri, a infilarsi come spilli nella sua mente. Ci aveva provato davvero, a sfuggirgli, a sottrarsi a qualcosa che aveva già provato e che l’aveva lasciata unicamente con i resti sanguinanti di un cuore spezzato – e li aveva rimessi assieme, unicamente per suo figlio, per Henry, per nessun altro. Anche quando aveva scoperto perché Neal l’aveva abbandonata, facendola addirittura finire in carcere per essere certo di aver reso polvere i suoi sentimenti, quel dolore non era sparito, si era intensificato trasformandosi in una rabbia di cui non poteva sbarazzarsi facilmente.
Non c’era nessuna scelta da fare tra il ragazzo con cui aveva avuto un figlio e un pirata, perché il primo era una persona esistita un decennio prima che poteva essere stata l’anima gemella della Emma di diciassette anni, non della donna che si ritrovava a correre disperatamente per la persona probabilmente più sbagliata che vi fosse – e che proprio per questo era l’unica che potesse sostenere la sfida che lei rappresentava per chiunque.
«Se sono poco desiderato, basta dirlo, cara, ho una nave in porto e posso andarmene», l’aveva provocata con quelle parole Hook, mentre entrambi osservavano gli allestimenti della sala principale del castello venir montati per il ballo del giorno seguente. Emma non solo non aveva capito quale fosse la ragione per la quale lui si trovasse a corte, per la quale si ostinasse a restare nonostante fossero addirittura due settimane che nessuno provava a uccidere qualcuno della sua famiglia, ma lei stessa non comprendeva per quale scherzo del destino stesse prendendo parte a tutto quello. Era talmente lontana dal mondo al quale era appartenuta fino ad allora – senza davvero essere una sua parte -, da sentirsi più sperduta di quanto non lo fosse stata in passato. Una famiglia, un mondo delle favole con più pericoli di quanti se ne raccontassero ai bambini nella realtà senza magia, e quel peso sul cuore di cui non riusciva a trovare una sistemazione definitiva.
Probabilmente era stato il suo silenzio e lo sguardo sfuggente a far continuare Hook a sproloquiare, o almeno lei lo definiva tale, talmente irritata com’era dalla faccenda del ballo e dello scegliere un vestito troppo fiabesco per i suoi gusti e abitudini; non aveva tempo – ma soprattutto l’intenzione – di pensare a lui e a ciò che provava per lei – ma anche a quello che lei si ostinava a non voler ammettere di sentire. «Vi renderò la faccenda molto più semplice. Se continuate a non rispondermi, me ne ritornerò alla Jolly Roger e, lo giuro, il vostro ballo non sarà rovinato da me e dal mio straordinario fascino così imbarazzante per essere vero.»
L’occhiataccia che aveva rifilato a Uncino doveva essere stata molto esplicativa visto che ne conseguì una risata sommessa, cosparsa della sua abitudinaria spocchia rude con la quale credeva di potersi accaparrare qualsiasi cosa guardasse con sguardo tanto concupiscente.
E poi era stato questione di secondi. Il suono della ceramica che si infrange, qualche urla di spavento e la concitazione di un frammento di tempo in cui l’attenzione generale si calamita sull’epicentro, anche quella di Emma. Fu solo un fremito, quello che provò, nel timore che qualcosa fosse arrivato a rovinare quel lieto fine che sapeva non poter essere davvero il termine di disavventure – perché lo aveva imparato, alla fine, che doveva assaporare gli attimi buoni separandoli da quelli nefasti; in fondo la vita non poteva, da un momento preciso, cominciare a filare liscia, soprattutto per chi come lei aveva sempre percorso strade più che accidentate. Quando sospirò di sollievo nel comprendere che nulla stava minacciando – per il momento – la sua tranquillità, rimase con le labbra dischiuse con parole morte a giacere su di esse nel non ritrovare più Killian Jones al suo fianco.
La sorpresa - piuttosto angosciante - della mancanza della sua figura fu talmente stordente da lasciarla immobile per un tempo incalcolabile, e anche se potevano essere secondi, da lei vennero percepite come eoni a susseguirsi con lentezza lacerante. Fu solo quando qualcuno le chiese di spostarsi, per liberare l’ingresso alla sala in modo da far passare l’enorme tavolata che avrebbe ospitato il banchetto, che si ritrovò nuovamente conscia della propria persona. E non le piacque, non quanto aveva desiderato – perché le sarebbe stato così semplice, così dannatamente facile, se davvero avesse desiderato che Hook svanisse dalla sua vita.
Avrebbe potuto chiedere consiglio a Snow o Charming, avrebbe potuto perdere tempo cercando in altri una risposta che già conosceva, ma non ne aveva da sprecare più di quanto non ne avesse già bruciato. E aveva preso a correre, con talmente tanta forza impressa in ogni falcata, consumando tanto ossigeno, da renderle più semplice condensare tutte quelle sensazioni e sentimenti che aveva barricato dietro difese naturali, per paura di rimanere ancora con nient’altro che pezzi di un cuore bistrattato. Erano un fiume in piena, un’onda anomala che aveva cercato di rifuggire, ma che ora le dava la spinta necessaria a procedere con quanta più velocità fosse in grado di adoperare.
Quando giunse al porto, quando finalmente si trovò davanti alle vele ancora chiuse della Jolly Roger e al silenzio che la avvolgeva, avrebbe voluto già avere in mano frasi pronte da sciorinare con una sicurezza che non possedeva più quando si trattava di amore. Ma rimandò tale dilemma perché sul ponte non scorgeva nessuno, e non sapeva se esserne contenta o meno di non trovarlo lì; e non le rimase altra scelta che salire a bordo per assicurarsi che fosse effettivamente deserta come appariva a un’occhiata esterna.
Con la bocca secca, la lingua a incollarsi al palato per assenza di saliva e il fiato ancora corto dopo aver tanto a lungo – e freneticamente – percorso la strada che la divideva alla sua meta, appoggiò il primo piede sulle assi della nave con una circospezione che solitamente era solita usare quando entrava nella tana di qualche pericoloso mostro – e in fondo poteva considerare Killian Jones come tale, come il più infimo dei nemici affrontati, perché era l’unico che aveva mirato a conquistare ciò che lei desiderava rimanesse escluso da qualsiasi scontro.
Se lo ritrovò a qualche metro quando scese sottocoperta, dirigendosi verso la camera del capitano, intento a rovistare tra cassetti lasciati aperti in cerca di un imprecisato oggetto. Fu Hook ad accorgersi di lei prima che Emma si facesse avanti, rimasta ferma a studiarne gli spostamenti senza prendere l’iniziativa – perché le parole di cui necessitava ancora non le trovava e dubitava fortemente che sarebbe riuscita a pronunciarle come meritavano di esserlo -, quando alzando appena il capo si accorse di non essere più solo.
Non vi era davvero sorpresa sul volto di Killian, solo un sorriso sghembo intriso della solita sfacciata sicurezza, come se avesse da sempre saputo che lei sarebbe corsa fino a lì, per impedirgli di fare qualsiasi cosa lei avesse pensato che stesse per compiere. Si raddrizzò, avvicinandosi di un paio di passi, scrutandola con un divertimento latente delineato nell’azzurro limpido delle iridi, che non avevano altro interesse che quello di continuare a dissetarsi rimanendo fissi sulla figura di Emma.
«Swan, come mai siete qui? Volete arruolarvi?» l’ironia maliziosa con cui pronunciò la seconda domanda, per un attimo, fece pentire Emma della strada percorsa tanto rapidamente unicamente per fermarlo e pronunciare frasi sui cui ancora non aveva riflettuto – che cosa avrebbe dovuto dire? cosa senza pronunciare quella fastidiosa parola che martellava la sua mente e che ancora si rifiutava di abbinare a se stessa e Hook?
Titubò, come nemmeno davanti al più infernale degli avversati affrontati per guadagnarsi quel lieto fine, che però proprio non ne voleva sapere di essere completo, perfetto come nelle fiabe. Si era costretta ad ammettere che molta della responsabilità se fino ad ora ne era rimasta priva, era principalmente imputabile a se stessa – a quei dubbi che l’assillavano, a quel futuro incerto che le gettava addosso fangosi dubbi difficili da lavare via. Aveva pensato che metà felicità potesse bastarle, che non le occorreva avere anche qualcosa in più – qualcosa di cui sapeva di aver bisogno e che avrebbe potuto afferrare quando voleva, ma che avrebbe potuto significare anche nuovi tortuosi percorsi in cui il dolore si annidava nelle buche. «Ti volevo in una vita che non era tua[1], ma nemmeno mia. E l’ho fatto per allontanarti, perché così era più facile, potevo dare la colpa a qualcos’altro e non a me e alla paura che provavo.»
Il ballo. Quel maledettissimo ballo e quella vita da principessa che le andavano così strette, così poco sue – anche se, doveva ammetterlo, nel mezzo di pericoli a minacciare continuamente le loro vite, erano anfratti così minuscoli, che avrebbe anche potuto trovarli piacevoli. Il problema era che aveva difficoltà ad abituarsi a quel mondo più di quanto non ne avesse avuta con qualsiasi luogo nel quale era vissuta in precedenza, e farlo insieme non solo alla sua famiglia, ma anche a Killian Jones significava mettere delle radici che non aveva mai posseduto – ancora più radicate di quanto già non lo fossero senza che arrivasse lui a complicarle la vita. 
«Paura, Swan?», e nel leggere tra le righe, in mezzo a sorpresa e sfacciataggine, vi era una domanda sottointesa, posta con arrogante ghigno – «Voi, paura, cara? Non l’avrei mai immaginato dopo tutti i nemici che avete affrontato», le sembrava quasi di sentirle quelle parole per quanto erano tanto chiaramente ricamate nella sua espressione. Emma dovette imprimere forza alle falangi ripiegate, in modo che le unghie affondassero nella carne e il sentore del dolore alle mani le facesse passare il desiderio di tirare un pugno al volto – troppo affascinante – del pirata, o qualsiasi cosa ora lui volesse essere per lei.
Lo sforzo per pronunciare la dichiarazione di colpevolezza – o almeno ciò che Emma riteneva essere tale – le costò un quantitativo di energie, che non aveva impiegato nemmeno per sconfiggere tutti i nemici nei quali era incappata negli ultimi anni – e non erano certo pochi e da quattro soldi. Ed era certa che se avesse parlato con Snow e Charming, loro le avrebbero spiegato una volta in più quanto meritasse un lieto fine – o almeno l’inizio di qualcosa a cui ci si avvicinava – e che se Hook era l’uomo che sentiva essere l’unico con cui realizzarlo, non doveva negarselo. Probabilmente era stata contagiata con qualche specie di microbo di ottimismo fiabesco, perché un pensiero tanto romantico e poco razionale come quello non era ciò che si aspettava da se stessa – ma era ciò che si doveva. «Non ricordo più che sapore ha la felicità[2], anzi, non lo ricordavo. Non prima- Bhè, insomma, semplicemente non prima di tutto questo
Era un prima con letture svariate, a non era difficile comprendere quale fosse l’unico significato da attribuirgli.
«Non sembra una brutta cosa» osservò Hook avvicinandosi di qualche passo, alzando appena le spalle mentre le labbra assumevano un sogghigno di soddisfazione urticante. Si fermò appoggiandosi allo stipite della porta, con l’aria di vittoria a renderlo maggiormente sicuro in ogni suo gesto, e forse proprio la consapevolezza di essere ora lui in vantaggio, in un gioco in cui in realtà nessuno conquistava il traguardo finale da solo, lo rendeva stranamente più cauto e pacato nei propri spostamenti, quasi stesse pregustandosi ogni affondo che le avrebbe inflitto.
«No, eh?» urlò quasi, esasperata, Emma sgranando gli occhi davanti a un tale tripudio di tracotanza e incapacità di comprensione. «Tu non hai avuto il cuore spezzato, il tuo amore ti è stato tolto, non ti ha frantumato tutte le certezze che avevi. Per quanto dolore tu abbia provato, questo non lo puoi capire, ma io sì e so una cosa: non voglio più provarlo
«Cosa vi ha fatto cambiare idea?» domandò sinceramente interessato, inclinando appena il volto mentre l’espressione assumeva una sfumatura – lievemente, ma non troppo – venata di serietà. Era vero che non poteva arrivare a comprendere pienamente come ci si potesse sentire quando la persona che si ama è la stessa a provocarti sofferenza, non ne aveva nemmeno la pretesa e non aveva intenzione di essere annoverato in tale categoria – ma nonostante lui potesse avere tante buone intenzioni, la diffidenza di Emma Swan era legittima. E proprio perché era tale, aveva agito come uomo d’onore, forse con qualche piccolo trucco, ma niente di così deprecabile come ci si sarebbe potuti aspettare da un pirata; ed era per questo che non stava ribattendo alle sue ragioni, ma si limitava ad ascoltarle per cogliere ogni cosa taciuta che si annidava in quelle pronunciate.
Erano più simili di quanto Emma avrebbe mai ammesso e non tanto quanto Hook provocatoriamente affermava, ma la testardaggine e lo spirito da combattente erano affini, era la loro sostanza, era ciò che li rendeva una squadra eccezionale – ciò che li aveva avvicinati. Lui adorava divertirsi seminando frasi ambigue su quella realtà incontestabile ma contestata allo sfinimento da Emma, e quest’ultima si ritrovava ogni volta preda di un’irritazione pungente mista a un divertimento che non si sarebbe dovuta lasciata sfuggire.
Le stava chiedendo di chiarire il suo ripensamento e Emma non poteva dargli torto, anche se avrebbe preferito che si accontentasse che fosse lì, senza dover aggiungere spiegazioni che sapeva di dover dare prima di tutto a sé – e a voce alta, per renderle vere, per non farle più sfuggire. Sbuffò appena, roteando gli occhi facendo più attenzione ai dettagli della cabina di quanto fosse necessario, solo per distrarsi senza riuscirci, prima di tornare a ricambiare lo sguardo pericolosamente calamitico dell’uomo – lo stesso che avrebbe compiuto qualsiasi azione, soprattutto se incredibilmente stupida e folle, se poteva essergli d’aiuto e ormai Emma lo aveva compreso. «Voglio il mio lieto fine, Killian Jones, e se c’è una cosa che ho imparato è che non capita semplicemente, ma bisogna costruirlo, afferrarlo, guadagnarselo. E poi-» si interruppe, più per cercare di mettere in fila i concetti da rendere concreti, tremendamente semplici da essere spaventosi, privi di increspature da poter provocarle ulteriori indecisioni. Aveva già commesso l’errore di essere scettica e aveva rischiato più di quanto potesse permettersi, lei e il suo maledetto senso della razionalità, della logica pura, la sua assenza di desiderio di gettarsi in qualcosa seguendo l’istinto, avendo fede, avevano messo a rischio le sue possibilità di un lieto fine troppe volte. «E poi l’ultima volta che ho rinnegato qualcosa in cui avrei dovuto credere, ho quasi perso mio figlio. Non voglio commettere lo stesso errore. Voglio crederci
Osservava l’espressione cruciata della donna in silenzio, Killian, rispettando quel momento con più attenzione di quanto si poteva aspettare da chi aveva un uncino al posto della mano. Le sopracciglia le si infossavano tanto da creare moltitudini di rughe a calcare sullo sguardo, afflitto, disperato quasi se non fosse stata per quella scintilla di speranza con cui lo scrutava. Se fosse stata la persona di un tempo, ne avrebbe approfittato – oh, se ne avrebbe approfittato di quel momento di debolezza -, ma lo aveva promesso, l’avrebbe conquistata in modo onorevole, perché era lei a doverlo volere e senza imbrogliare – non troppo almeno. E poi c’era anche la fastidiosa questione che se avesse torto un solo capello alla bella Emma si sarebbe ritrovato semplicemente le persone più pericolose del Regno contro, quindi non intendeva assolutamente mettersi in una situazione controproducente sotto tutti i punti di vista possibili.
«Potrebbe essere più semplice di quello che vi aspettate, intendo crederci» osservò alzando una spalla per accompagnare il movimento delle braccia ad aprirsi in un gesto di ovvietà condito da un sorriso sghembo, stranamente scevro da pagliuzze di malizia – ma solo per poco, giusto il tempo di accarezzarle appena una guancia con fin troppa pacatezza, prima di ritirarsi e rimischiare nei suoi lineamenti un’arroganza incancellabile. «Ma ti verrò incontro, cara, concedendovi l’onore di ballare con me ai festeggiamenti di domani.»
«Concedermi?», e improvvisamente l’aria mesta scomparì dal volto di Emma, riportandola a uno stato di irritazione in ebollizione, sferrandogli solo l’ultima di una lunghissima lista di occhiate truci, con le quali avrebbe voluto fargli almeno un po’ di male per compensare la confusione che le provocava aver a che fare con lui. Ma le sfuggì un lieve sorriso che non seppe trattenere, nato da quell’impensabile potere di Killian di essere inevitabilmente capace di farla divertire nonostante la sua sfacciataggine – forse proprio per quella.
«State al gioco, è più divertente» la pregò Hook chinando lievemente il capo in avanti, ampliando il sorriso. E mentre la osservava mettere da parte un po’ dell’ira che le provocava con tale facilità, costringendola a far fuoriuscire quella felicità di cui aveva parlato, gli venne in mente che doveva chiarire un piccolo dettaglio che era certo avrebbe potuto costargli la vita – ma scherzare con lei era una tentazione troppo irresistibile per un pirata. «E comunque non stavo per partire, cara, stavo solo recuperando una cosa che mi sarà più comoda per le danze.»
«Ma tu-?»
Si tirò indietro per prevenire qualsiasi colpo che sembrava potersi abbattere da un momento all’altro, raddrizzando la schiena e portandosi lontano da lei di mezzo passo, quel tanto che poteva servirgli per schivare un calcio o un pugno diretto al suo troppo affascinante viso per poter essere deturpato dalla rabbia, estremamente palpabile, scaturente da Emma nel puntargli addosso l’indice. E quel dito sembrava più l’inizio di una serie di ingiurie velenose, le serviva solo riprendersi dallo shock per poter condensare la serie di appellativi che Hook riusciva quasi a leggerle in volto; e invece di trovare un modo per calmarla, rincarò la dose sbilanciandosi lievemente all’indietro per poter aprire un cassetto ed estrarre una protesi di una mano di legno da scambiare al posto dell’uncino. Gliela sventolò sotto il naso, con un serafico sorriso con dall’angolo sinistro più alzato, nell’attesa che comprendesse che gli serviva per poterle fare da cavaliere senza rischiare di strapparle il vestito – da principessa, come nelle fiabe di cui lei leggeva da bambina e in cui già allora non credeva, e che forse era proprio per ciò che tanto la indisponevano al solo sentirne parlare.
«Ho detto che tornavo alla Jolly Roger, non ho specificato altro, mia cara. Se voi avete inteso altro, non potete farmene una colpa.»
«Tu! Brutto bastardo! Mi hai imbrogliato!», scandì ogni singola parola come un martello incideva sull’incudine, tuonando furente mentre il braccio teso lungo il fianco fremeva da quanta collera si stava accumulando nei suoi nervi. L’aveva giocata, manipolata come ci si aspetterebbe da un infido pirata – o da un uomo innamorato che desiderava rendere chiaro alla donna desiderata quanto stava sbagliando, ma questa seconda ipotesi non la volava considerare in quel frangente. Lei si era costretta a pronunciare tutte quelle parole che le ribollivano nel cuore da tempo, si era esposta per lui, per poter ottenere qualcosa, e ora sapendo di averlo fatta spinta inconsapevolmente da Hook stesso, le rendeva desiderabile avere con sé la sua vecchia pistola e usarla finalmente su qualcuno – su di lui.
«Suona molto male, messa in questo modo. Vi ho solo aiutato a tirare fuori quello che non riuscivate ad ammettere, ovvero che il vostro cuore è mio, come vi avevo detto.»
Fu probabilmente la fatidica goccia a far strabordare dal vaso, cancellando gli ultimi residui di pazienza di Emma e portandola a tirargli un pugno che Hook schivò facilmente, se non fosse stato che nel farlo, spostando all’indietro una gamba, prese dentro sartie lasciate lì a giacere senza un posto, perdendo l’equilibrio. E nel cadere trascinò, ovviamente, la donna con sé, con il risultato di farle venire solo più voglia di sentire le proprie nocche scontrarsi con il corpo del pirata, cosa che continuò a provare a fare. Perseverò nel tentativo di picchiare sul torace i propri pugni, anche quando ebbe un solo polso libero e l’altro braccio di Hook la stava stringendo invece di allontanarla, come sarebbe stato naturale fare – come forse un po’, Emma, desiderava che facesse e insieme no, perché forse era solo una scusa per avvicinarsi.
Alla fine era davvero tutto un gioco, quello tra loro, tutto uno stupidissimo interpretare un ruolo e vedere chi tra i due poteva spuntarla, ma probabilmente non vi era niente da conquistare, perché lo avevano già ottenuto entrambi. Ed Emma lo comprese quando sentì le labbra di Killian sulle proprie, sciogliendole il nodo di furia per l’essere stata imbrogliata e ricordandole la ragione per cui era corsa tanto freneticamente fino alla Jolly Roger.
Per terra ci rimasero più tempo del dovuto, per quanto scomodo e ingombro da una confusione di oggetti, e non ebbe alcuna importanza, e non l’ebbe perché nessuno dei due ebbe la cognizione di dove fosse mentre continuavano, finalmente, a rimanere a combattere una nuova battaglia – se si voleva metterla in un modo che entrambi potevano digerire, d’altronde Hook non era il solo ad amare le sfide. E mentre sentiva le dita di Killian tirarle indietro i capelli così da poterla baciare con maggior foga, mentre avvertiva i brividi di freddo provocati dal metallo dell’uncino alzarle la maglietta, non si tirò indietro come avrebbe pensato fino a quella mattina – lo lasciò fare, ed assaporò ogni anfratto di attimo in cui rimanevano a contatto.
Lo avrebbe dovuto ammettere, poi, con suo padre Charming che aveva avuto ragione sul fatto di dover imparare a godersi i momenti buoni, perché proprio la loro scarsità li rendeva tanto preziosi e ancora più adatti ad essere esaltati nella loro cristallina costruzione. E lì, mentre continuava ad affondare nel profumo della pelle di Killian e ad avvampare ad ogni nuovo bacio, mentre sentiva il proprio nome pronunciato dalla voce roca del pirata, ogni dubbio evaporò via – ed fu per questo che non prestò attenzione al legno cigolante e polveroso, agli oggetti privi di un posto, al lieve sciabordino della nave accompagnarli, quasi cullarli.
Si sistemò le bionde ciocche di capelli in modo che le scivolassero sul petto, così da nascondere i segni rossi sul collo che i denti di Hook gli aveva lasciato a ricordo di qualsiasi cosa fosse stata quella appena trascorsa – un inizio, probabilmente, di qualcosa a cui un nome lo avrebbero prima o poi trovato. Rassettarsi fu la cosa più complicata, perché in qualsiasi modo si mettesse le pareva che il marchio di Killian Jones le fosse impresso in maniera più che palese – eccessivamente, se doveva essere sincera –; e anche se lo sapeva che era tutto un suo condizionamento mentale, un non riuscire a liberarsi delle sensazioni elevate nella loro forza che il lasciarsi andare a lui le aveva provocato, continuò in quel vano tentativo di nascondere qualcosa che non vi era se non nel proprio sguardo.
Lo osservò di sottecchi, nel riflesso dello specchio mentre anche lui cercava di ridarsi un aspetto meno trasandato – ma nemmeno troppo, perché d’altronde quella era una sfumatura del suo stile. Sorrise pensando a quanto diverso fosse il suo aspetto da quello di suo padre – da quello di un principe -, ma era pur sempre opinabile che lei stessa potesse essere adatta a un ruolo simile. Lei era solo la Salvatrice, e non avrebbe dovuto implicare anche partecipare a balli – le sembrava già abbastanza dover combattere contro magia, streghe, draghi e quant’altro, ma a quanto pareva sfortunatamente essi rientravano tra i momenti da godersi.
«Non credo che sembrerai di più un principe, per quanto cerchi di distendere le pieghe sugli abiti» ironizzò Emma, voltandosi nella sua direzione alzando un sopracciglio con fare sarcastico.
«E voi una principessa?» domandò di rimando Killian, sogghignando con la sua solita aria strafottente, avvicinandosi a lei di un paio di passi mentre si avvitava l’uncino. «Se vi consola, sareste una fantastica pirata, Swan. Tuttavia, lasciatemi provare a impressionarvi, potrei riuscirci più di quanto crediate.»
«A un ballo?» chiese scettica Emma, sorridendo in cerca di quale fosse il punto a cui voleva arrivare l’uomo – e fino a quel momento era solo lei il momento di approdo del pirata. La guardava a qualche centimetro di distanza, tenendo il mento fin troppo sollevato con aria da sfida, appiccicandole addosso le iridi azzurre scrutandola da un’altezza esagerata volutamente, per ironizzare la situazione. Si chinò per baciarla nuovamente, soltanto sfiorando le labbra con un’accortezza che non aveva avuto fino a quel momento, recuperando un controllo che gli era sfuggito – senza rimpianti.
Allungò la mano verso il tavolo, sollevando la fiasca e scuotendola appena per sottolineare l’importanza della stessa, strizzandole l’occhio. «Un ballo da favola, cara, e con un po’ di rhum.»



M A N I A’ s  W O R D S
Ok, questo è il primissimo tentativo in questo fandom e come ogni primo tentativo ho un po’ di ansia mista ad agitazione, mista a OMMIODIOCHISSASEPUòPIACERE. Lasciando perdere i miei poco interessanti scleri, bisogna dire che tutta questa one-shot si basa prima di tutto su un ipotetico AU in cui stranamente nessun pericolo minaccia il lieto fine di qualcuno, almeno per il momento (?), e in cui sono tutti allegramente nella Foresta Incantata – questo perché mi diverto molto a pensare a quanto esasperante per Emma possa essere vivere nel mondo dal quale proviene, quindi è perché amo bistrattare i personaggi.
Altra nota da aggiungere è che la storia mi è venuta in mente ascoltando una canzone, ovvero «La felicità» di Simona Molinari e Peter Cincotti, dalla quale ho anche preso due citazioni – le ho segnate con i numeri, e la seconda da anche il titolo alla storia . Vi lascio qui il link nel caso vogliate ascoltarla: QUI. Che poi però la canzone non c’entra molto con la shot, ma questo è un discorso a parte.
Penso si sia notato che mi piace la coppia Captain Swan (otp ♥), però rimarco la cosa giusto per piacere personale. E a tal propisito sono tipo terrorizzata dall'idea di non essere stata IC - sono stata IC? Essendo la prima prova su questo fandom ho veramente una valanga di dubbi su quanto bene abbia reso i personaggi, anche perché la serie me la sono divorata in meno di una settimana e, diciamo, non l'ho ancora digerita e metabolizzata (?) - intendo dire che ho solo veramente tanta paura di essere andare OOC, per quanto abbia riflettuto su ogni singola parola e azione fatta compiere a Emma e Killian. Ditemi, ve ne prego.
Ah, sto che è lunghissima questa shot, ed è anche per questo che ho riletto unicamente due volte - devo andare a studiare, gli esami universitari incombono. Quindi, nel caso, le sviste che trovate sono sviste, ecco - se me le segnalate mi fate un favore, così le sistemo.
E niente, non ho altro da aggiungere potrei aggiungere solo cose spoiler! che si sanno dal set della seconda metà della terza stagione, ma mi sono già dilungata a sufficienza e non voglio lanciarmi in ulteriori sproloqui, se non che ringrazio in anticipo chi leggerà e chiunque voglia lasciarmi un proprio parere, che mi fa sempre enormemente felice, soprattutto quando si tratta di un primo esperimento.
Quindi grazie e alla prossima,

Mania■

  
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