3) La visione di Alice
In
genere camminare sotto la pioggia è una cosa che mi rilassa,
così
come stare in mezzo alle persone. In questo momento, invece, pagherei
oro per avere un ombrello con me e quando prima il reverendo Weber mi
ha salutata gli ho praticamente abbaiato contro.
Cosa
avevo detto? Sto bene nella mia solitudine?
Balle.
Perché
diavolo non ha scritto “sì”
accanto al mio numero? Va bene che è il ragazzo
più bello
del mondo e probabilmente potrebbe trovarsi donne altrettanto belle
quanto lui, ma io non sono proprio da buttare! E l'alchimia tra noi
c'era, questo è sicuro.
Giuro,
non vedo l'ora di entrare nella tavola calda, sedermi al mio solito
posto e ingurgitare le mille calorie del mio cheeseburger e patatine.
E se qualcuno osa interrompere il mio pranzo lo uccido! E se dovesse
essere un uomo lo eviro.
Raggiungo
il locale e dalle vetrate noto con gioia che il mio tavolino
è
libero. Apro la porta e la campanella sopra di essa comincia a
suonare. Abbasso il cappuccio e non faccio in tempo a salutare
Jessica che questa mi sta guardando e indicando.
«Ecco,
è lei!» esclama ad un tizio di fronte a lei.
Lo
sconosciuto in questione si volta e mi scontro con due occhi verdi
brillanti. Occhi che ho visto una volta sola, ma che riconoscerei
dovunque. Ma che diamine…?
«Edward?»
lo chiamo estremamente sorpresa e lui mi sorride.
Per
un po' nessuno dei due dice più niente, ci limitiamo a
fissarci come
due cretini al centro della tavola calda. La risata di Jessica mi
riporta alla realtà e la saluto.
«Ciao,
Jess, come va? Quando vedi i tuoi genitori puoi dire loro di venire a
prendere le foto» le dico cercando di risultare il
più normale
possibile.
«Certo.
Solito tavolo?» domanda e annuisco prima di tornare a
guardare
Edward, che non ha fatto altro che tenere lo sguardo puntato su di
me.
«Ti
va di farmi compagnia per pranzo?» gli chiedo speranzosa.
Che
fine ha fatto la Bella incazzosa di pochi secondi fa?
«Molto
volentieri» risponde e andiamo a sederci.
Jessica
ci porge il menù e prima di andare via mi lancia uno sguardo
della
serie “prima di andare via mi devi raccontare
tutto”. Che persona
impicciona.
Siamo
soli, ma nessuno dei due è intenzionato a parlare per primo:
io ho
un sacco di cose da chiedergli, ma sono così sorpresa di
averlo qui
davanti ai miei occhi da essere quasi certa di star sognando. Mi do
un pizzicotto, ma doso male la forza e mi faccio più male
del
previsto. Faccio una piccola smorfia di dolore.
«Va
tutto bene?» mi chiede aggrottando le sopracciglia.
«S-sì,
tutto benissimo» rispondo fingendomi calma.
Fantastico,
ora penserà che sono pazza.
Il
silenzio scende di nuovo su di noi. È decisamente
imbarazzante.
Mi
schiarisco la gola e mi umetto le labbra.
«Allora…»
parliamo contemporaneamente.
«Prima
tu» lo incito e lui sorride.
«Questa
città è piccola, ma ho temuto di non riuscire a
trovarti» ammette
imbarazzato.
«Tu…
volevi rivedermi?» gli chiedo sbigottita.
«Sì,
certo. Ho passato giusto tre minuti con te che mi hanno decisamente
risollevato la serata e anche se ci eravamo salutati con l'intento di
non vederci più, ho pensato che magari se ti avessi
incontrata per
caso un caffè me lo avresti concesso. Sai come si dice: il
primo
incontro è per caso, il secondo è
destino…»
Sto
sorridendo come una scema, me ne rendo conto da sola e sono certa che
l'abbia notato sia Edward che Jessica, che è tornata per
chiedere le
nostre ordinazioni e mi sta lanciando degli sguardi divertiti.
«Io
prendo il solito, Jess» le dico dopo essermi schiarita la
voce e la
guardo senza voltarmi verso il mio accompagnatore.
«Cheeseburger
con patatine e una cola» replica lui consegnandole i
menù.
«Due
soliti, strano» commenta lei sghignazzando prima di lasciarci
soli.
Perché
deve prendermi in giro in questo modo? Prima o poi la
ucciderò.
Tra
di noi scende di nuovo il silenzio. È incredibile come
entrambi
vogliamo dire qualcosa, ma nessuno dei due ha le palle per farlo. Mi
sembra di essere tornata indietro nel tempo, all'adolescente
imbranata che ero. Ci portano l'acqua e ringrazio con un sorriso.
Edward me ne versa un po' nel bicchiere e poi fa lo stesso con il
suo.
«Perché
volevi rivedermi?» gli domando ad un certo punto.
«Perché
con te sono stato davvero bene, sei una persona simpatica e anche
molto carina»
«E
allora perché hai messo “no” accanto al
mio numero?»
«Perché
sei stata chiara fin da subito,» replica,
«perché hai detto che
non avresti mai scritto un “sì”,
perché tu stessa hai detto che
lo speed dating è una cosa stupida,» arriccia le
labbra e
assottiglia lo sguardo, «ma tu come fai a sapere che ho messo
“no”?»
mi chiede.
«Perché
io accanto al tuo numero ho scritto
“sì”»
«Che
cosa?» sussurro.
«L'altra
sera, accanto al tuo numero sulla scheda… io avevo scritto
“sì”»
ripeto alzando un po' più la voce.
Sgrana
gli occhi e serra le labbra.
Dio,
mi sento così cretina!
«Sono
un imbecille,» dice passandosi una mano tra i capelli,
«un completo
imbecille! Mi bastava solamente seguire l'istinto anziché
cercare di
ragionare e cercare di entrare nella mente di una donna come spesso
mia sorella Rosalie mi ha consigliato di fare. Mi bastava solamente
scrivere un dannato “sì” e mi sarei
risparmiato tutto questo
tempo di ricerca… sono stato uno stupido!» esclama
e sorrido
intenerita, «Di te sapevo solo il nome e che eri di Forks.
Sono
stato per tre giorni a cercarti su google, ma senza
risultato…»
«Mi
hai googlata?» lo interrompo divertita.
«Sì.
Ho aspettato di avere la giornata libera al lavoro per venirti a
cercare. Poi mi sono fermato qui per mangiare e chiedere direttamente
di te e… ti ho trovata»
«Sono
felice che tu l'abbia fatto» rispondo senza pensare e
arrossisco non
appena mi rendo conto di cosa ho detto.
Il
suo sorriso si amplia e tra un boccone e l'altro sciogliamo
completamente il ghiaccio e approfondiamo la nostra conoscenza:
è
più grande di me di tre anni, ne ha 28, e dopo essersi
laureato col
massimo dei voti alla facoltà di medicina di Yale ha
cominciato a
lavorare nello stesso ospedale dove suo padre è il primario.
È un
pediatra, condivide l'appartamento col suo migliore amico e quasi
cognato Emmett ed è allergico al pelo dei gatti. Restiamo a
chiacchierare fino alle tre del pomeriggio, orario in cui sono
costretta a tornare a lavorare.
«Edward,
devi tornare a Seattle ora?» gli domando una volta fuori
dalla
tavola calda, dopo averlo ringraziato per avermi offerto il pranzo.
«A
dire il vero speravo di restare e offrirti anche la cena»
risponde
sorridendo e lo imito.
«Non
ho impegni per questa sera, mi piacerebbe molto,» replico e
mi mordo
il labbro inferiore, «solo che io ora devo tornare a
lavorare… se
non hai niente da fare ti va di venire a farmi compagnia?»
Sorride
entusiasta e accetto il passaggio, seppur per pochi metri, fino al
mio studio.
«È
tuo quello?» domanda indicando il mio pick-up con una smorfia.
«Bada
a quello che dici!» esclamo assottigliando lo sguardo,
«Quello
lo guido da quando ho sedici anni e non mi ha mai abbandonato»
Edward
alza le mani e si mette a ridere.
«Ehi,
non volevo mica offenderlo! Sono solo preoccupato del fatto che non
sia… sicuro»
«Beh,
lo è,» replico leggermente indispettita,
«e non ho intenzione di
separarmene finché non esalerà il suo ultimo
respiro»
Apro
la porta dello studio e lo invito ad entrare.
«È
molto accogliente qui, mi piace» mi dice sorridendo.
«Grazie,»
rispondo, «volevo evitare che avesse lo stesso stampo degli
altri
studi dei fotografi, volevo che fosse più…
mio» spiego
imbarazzata.
Gli
faccio appoggiare il suo giubbotto – cosa che, molto
galantemente,
fa anche col mio – sull'appendiabiti e nota il mio muro di
fotografie.
«Questi
due non sono i ragazzi del ristorante?» domanda indicando la
foto
dove abbraccio Seth e quella dove sono accanto a Jacob.
«Sì,
sono loro,» spiego, «ci conosciamo da quando siamo
bambini e Seth,
questo qui», dico indicandolo, «è quasi
il mio fratellastro»
«Che
vuol dire?»
«I
nostri genitori si frequentano»
«Per
questo te ne sei andata via da Forks?»
«Te
ne ricordi ancora?» domando sbigottita e lui annuisce.
«Quella
sera, prima che Jacob ci interrompesse, volevo chiederti dove eri
stata prima di tornare qui»
«Oh.
A Jacksonville, in Arizona. Mia madre si è risposata con un
giocatore di baseball, Phil»
«Te
ne sei andata perché non ti trovavi bene con lui?»
«No,
affatto. Phil è un tipo okay. Sono tornata qui
perché lui era
spesso in trasferta con la squadra e anche se Renée non lo
dava a
vedere quando restava a casa con me stava male per la lontananza,
così ho deciso di tornare qui a Forks da mio padre»
«Charlie
Swan, giusto?»
«Come
lo sai?» chiedo curiosa, dopotutto io non gliene ho parlato,
«ti
prego, non dirmi che è su Google!» esclamo e lui
ride.
«A
dire il vero l'ho incontrato prima. Un tipo molto simpatico»
«Che
vuol dire che l'hai incontrato?»
«Sì,
beh… non sapevo fosse tuo padre. È stata la
signora anziana dietro
al bancone della tavola calda a dirmelo. E poi Jessica ti ha
indicata,» si passa una mano tra i capelli e si umetta le
labbra,
«ero da poco entrato a Forks e tuo padre mi ha fermato
perché stavo
avevo superato i limiti di velocità. Ma davvero qui non
è possibile
andare oltre ai trenta?»
Sgrano
gli occhi. Mannaggia a te, papà!
«Evidentemente
deve essere andata male la pesca»
«Scusami?
Non ti seguo»
«Mio
padre è un assiduo pescatore,» gli spiego,
«e quando la pesca gli
va male… beh, lui tende ad essere molto
più… come dire…»
«Incarognito
col mondo?» risponde lui interrompendomi.
«Esattamente»
«Ne
conosco un altro così: mio padre. Andrebbero
d'accordo»
Lo
squillo del telefono ci interrompe e mi affretto a rispondere.
«Studio
di fotografia, buon pomeriggio»
«Isabella,
sono Siobhan»
«Signora
Grey, salve»
«Cara,
i miei suoceri saranno qui questa sera per cena. Posso passare oggi a
ritirare le foto di mio figlio?»
«Assolutamente,
per le sette sarà tutto pronto. A più
tardi»
Sono
nei guai fino al collo.
«Bella,
va tutto bene?» mi domanda. Credo abbia notato il mio
nervosismo.
«No,
affatto!» esclamo e mi passo una mano tra i capelli,
«alle sette
verrà Siobhan a prendere i CD, l'album fotografico e il
poster della
comunione del figlio ed io mi ritrovo solo il poster e un CD pronto!
Tutto questo perché Tanya Denali ha preteso di avere tutto
subito
per mandare le sue foto in una agenzia di modelle! Inoltre devo
andare a casa di Angela per consegnarle il calendario che ieri mi
sono dimenticata di darle quando è venuta a prendere il
resto, e…»
Edward
mi afferra per le spalle e mi scrolla leggermente. Un innocente tocco
da sopra il mio maglione, ma io sto rabbrividendo e andando a fuoco
contemporaneamente.
«Bella,
fa' dei respiri profondi,» mi dice inspirando ed espirando e
lo
imito, «se mi dici dove abita Angela posso fare io la
consegna»
«Lo
faresti sul serio?» gli chiedo con gli occhi a palla e lui
annuisce,
«No che non puoi farlo! Non posso sfruttarti
così»
«Non
è sfruttamento, sono io a propormi»
«Ma
tu sei venuto fin qui da Seattle, non posso chiedertelo»
«Infatti
non lo stai facendo. Sul serio, se posso aiutarti lo faccio con
piacere»
Mi
mordo il labbro inferiore e inizio a pensare seriamente di accettare
la sua offerta. Mi lascio convincere e gli scrivo su un foglietto
l'indirizzo della mia amica.
«Questa
sera il minimo è offrirti la cena» dico prima che
cada via.
«Non
ci sperare,» ribatte, «sarebbe da maleducati far
pagare una donna e
mia madre mi ha sempre insegnato ad essere un cavaliere»
Le
mie guance sono sicuramente diventate bordeaux. Lo ringrazio e lo
guardo andare via… oh cielo, ha un sedere da urlo! Sembra
stia
stato scolpito nel marmo da quanto è perfettamente fasciato
bene da
quei jeans.
Mi
alzo di scatto dalla sedia e mi scolo una bottiglietta d'acqua. Devo
calmarmi, non riuscirò mai a portare a termine i miei
compiti se non
smetto di pensare al suo posteriore. Faccio un respiro profondo,
chiudo gli occhi e quando li riapro torno davanti al computer e mi
rimetto al lavoro. Sono talmente concentrata in quello che sto
facendo che mi accorgo a malapena del suo ritorno. Prende una sedia e
la posiziona accanto alla mia, si siede e non dice una parola. Lo
vedo prendere un book dove ho messo vari scatti di prova per i
servizi fotografici e ogni tanto gli scappa un
“wow”. Non mi
rivolge la parola finché non ho finito.
Mi
stiracchio, mi appoggio allo schienale e volto lo sguardo per
guardarlo. È bellissimo.
«Ti
ringrazio per l'aiuto e mi dispiace di non essere stata di compagnia
oggi pomeriggio» gli dico dispiaciuta.
«Non
c'è problema,» risponde scuotendo la testa,
«sei… wow, i tuoi
scatti sono strepitosi. Sei davvero brava, complimenti»
Arrossisco
e lo ringrazio.
Siobhan
Grey arriva dopo neanche dieci minuti e dopo averle consegnato
ciò
che mi aveva ordinato chiudo il negozio.
«Edward…
ecco, avrei bisogno di farmi una doccia prima di uscire questa
sera…»
«Oh,
vai pure, non preoccuparti» risponde lui sorridendo.
«Stavo
pensando che se ti va potresti venire da me ed aspettare. Mio padre
non dovrebbe essere ancora tornato»
Annuisce
e gli faccio strada fino a casa mia, lo faccio accomodare sul divano,
gli offro una birra e sparisco per mezz'ora per prepararmi.
Ce
la metto davvero tutta per fare in fretta, ma quando scendo le scale
vedo Charlie sulla soglia di casa e Edward quasi pietrificato sulla
porta della cucina.
«Mh…
papà, che ci fai qui? Non avresti dovuto finire il turno
alle nove
questa sera?»
«Sono
uscito prima perché Sue mi ha invitato a cena a casa sua
nella
riserva» risponde senza smettere di fissare Edward.
«Lui
è Edward, un mio amico. Stava aspettando che finissi di
prepararmi
per andare a mangiare qualcosa assieme»
«Capo
Swan, è un piacere conoscerla in circostanze più
piacevoli. Sono
Edward Cullen» si presenta porgendogli la mano.
Papà
ricambia, ma lo guarda con un sopracciglio inarcato.
«Tu
sei il ragazzo che oggi ha infranto i limiti di velocità. E
vuoi
portare mia figlia in macchina? Puoi anche scordartelo»
«Papà!»
lo riprendo.
«Bells,
potreste fare un incidente! Io ci tengo alla tua vita»
«Capo
Swan, le assicuro che se avessi saputo dei limiti non li avrei mai
infranti. Sono sempre stato un automobilista prudente, mai fatto un
incidente o preso qualche multa… fino ad oggi»
«A
proposito della multa, papà… non ti sembra un po'
troppo
eccessivo? Nemmeno tu fai i trenta, e sei un poliziotto!»
«Tu
pensa al tuo lavoro, che io penso al mio,» borbotta
arrossendo, «e
tu, ragazzo, riportala a casa per le undici e mezza. Anche se non
passerò la notte qui ti assicuro che alle
ventitré e trenta precise
telefonerò per sapere se mia figlia è rincasata.
Sono un
poliziotto, sta' pur sicuro che lo farò»
«Ho
venticinque anni, papà, penso di poter scegliere io quando
rincasare»
«Non
finché sei sotto il mio tetto»
Alzo
gli occhi al cielo, afferro i nostri giubbotti e spingo Edward per
farlo uscire di casa.
«Sì,
papà. Certo, papà. Buona serata e salutami
Sue!»
Mi
chiudo la porta alle spalle e marcio spedita verso la macchina. Da
galantuomo Edward mi apre la portiera e mi fa accomodare. Mentre si
accinge ad entrare anche lui, Charlie apre la porta di casa.
«Undici
e mezza, ragazzo, e tieni le mani a posto! Ho una pistola e non ho
paura di usarla» lo minaccia e mi porto una mano sugli occhi.
Mette
in moto e ci allontaniamo da casa.
«Ti
chiedo scusa per la scenata di mio padre» gli dico dopo aver
emesso
un lungo sospiro.
«Non
c'è problema,» rispondo guardandomi e sorridendo,
«solo… non
credo di essergli molto simpatico»
«No,
per questo non ti preoccupare. Con il mio ex ragazzo del liceo non
appena gliel'ho presentato ha impugnato il fucile,» racconto
e lo
vedo sgranare gli occhi, «non esco molto spesso con i ragazzi
e non
glieli presento perché tende a dare un po' di
matto… e ora ne hai
la prova anche tu»
«Posso
capirlo, probabilmente reagirei anche io così con mia
figlia,»
dice, «specie se esce con il ragazzo a cui ho fatto la multa
poche
ore prima»
Sospiro.
«Mi
dispiace per la multa. Lo convincerò a non fartela
pagare»
«Non
preoccuparti, sono solo pochi dollari. E ha ragione, se c'è
un
limite deve essere rispettato, anche se è tremendamente
esagerato,»
ride e poi si umetta le labbra con la lingua, costringendomi
così a
pensare che vorrei essere io quella lingua, «il tuo ex
ragazzo è
ancora vivo?»
«Oh,
sì. Vivo e vegeto» confermo annuendo.
Edward
emette un sospiro di sollievo e io rido.
Raggiungiamo
Port Angeles e parcheggia di fronte al ristorante La Bella
Italia.
«Spero
ti piaccia la cucina italiana» mi dice mentre mi tiene aperta
la
portiera per farmi scendere.
«Da
morire» affermo sorridendogli.
Entriamo
dentro al ristorante e veniamo accolti da una cameriera di nome Lucy.
Il nostro tavolo è più appartato rispetto agli
altri, chissà se è
una cosa voluta. Il mio accompagnatore mi sposta la sedia e mi fa
accomodare, poi si siede di fronte a me.
La
cameriera ci serve un aperitivo e ci porge i menu.
«Sai,
ho sentito dire che i ravioli ai funghi qui sono ottimi» dice
Edward
mentre guardiamo cosa prendere.
«Io
li adoro!» esclamo, «Li proverò. Tu
invece cosa…?»
«Bella!»
una voce poco distante da me mi chiama e mi volto. È Alice.
«Alice,
ciao! Come mai qui?»
«Sono
uscita con Jasper» risponde lei indicando il suo
accompagnatore.
«Ciao,
di nuovo, Bella,» mi saluta lui sorridendomi, «ehi,
Ed»
«Ciao,
Jazz»
«Alice,
lui è Edward, il cugino di Jasper»
A
questa frase la mia amica mi guarda scioccata per un attimo, poi si
riprende e gli stringe la mano.
«Edward,
sono così contenta di conoscerti!» esclama
entusiasta, poi si volta
a guardarmi e i suoi occhi non promettono nulla di buono,
«Beh,
visto che siamo tutti qui, perché non ceniamo
insieme?»
Sgrano
gli occhi. È per caso impazzita? Edward mi guarda senza dire
nulla,
credo che voglia che sia io a decidere.
«Ali,
non credo sia il caso. Perché non rimandiamo a un'altra
volta?»
«Perché
no? Tanto ci siamo presentati tutti. Sarà
divertente!»
Se
c'è una cosa che ho imparato in questi anni di amicizia con
Alice
Brandon è che non è il tipo di persona che si fa
dire “no”
facilmente. Anzi, non credo nemmeno esista nel suo vocabolario.
«O-okay»
pigolo e lancio uno sguardo carico di scuse a Edward.
Ci
spostiamo in un tavolo più grande e pochi secondi dopo anche
la mia
migliore amica e Jasper ricevono l'aperitivo e i menu.
«Ed,
che ci fai qui a Port Angeles?» gli domanda suo cugino.
«Oggi
avevo la giornata libera, così sono venuto a trovare
Bella»
«Sei
stato a Forks?» si intromette Alice.
«Sì»
«Partendo
da Seattle?»
«Esatto»
«E
perché hai…»
«Oh
mio Dio, dovete assaggiare questo aperitivo! È la fine del
mondo»
la interrompo e mollo un calcio da sotto il tavolo alla mia amica. Fa
un salto sulla sedia e ricambia anche lei il gesto, ma
anziché
colpire me, colpisce Edward.
«Ahia!
Alice, perché mi hai dato un calcio?» le chiede.
«Uhm,
io…» la diretta interessata si guarda intorno in
cerca di una
scusa plausibile.
«Alice
soffre di spasmi muscolari,» cerco di salvarla,
«molto frequenti»
«Spasmi
muscolari?» ripete Edward.
«Sì,
sai… sono come i tic, no?» rispondo,
«Ogni tanto le prendono e fa
davvero fatica a fermarsi. È successo la prima volta da
bambina,
quando eravamo a scuola. Durante l'intervallo ad un certo punto ha
cominciato a straparlare e a fare strani tic nervosi e da quel
momento nessuno l'ha più fermata,» continuo a
propinare la mia
balla solo per salvarla e proprio quando sto finendo la mia arringa
mi molla un calcio e la mia voce esce come uno squittio,
«ahia,
Alice!» esclamo.
«Scusa,
spasmo muscolare involontario» replica facendo una smorfia.
Sia
Edward che Jasper fanno fatica a trattenere le risate. L'arrivo della
cameriera con le nostre ordinazioni ci distoglie dal nostro
battibecco.
La
serata trascorre tranquilla e devo ammettere che mi sto divertendo un
sacco. Alice e Jasper sono davvero carini insieme e mi sembrano
moltissimo in sintonia. Finito di mangiare gli uomini pagano per noi
e quando usciamo dal ristorante le nostre strade si dividono: Alice e
Jasper vanno al cinema, mentre Edward ed io optiamo per una
passeggiata lungo il molo. Ci mangiamo un gelato e parliamo. Sto
davvero bene in sua compagnia e nonostante l'imbarazzo che ho provato
oggi alla tavola calda è così naturale parlare
con lui. Una folata
di vento mi fa rabbrividire e se ne accorge, fa per togliersi la
giacca ma glielo impedisco.
«Ti
ammalerai»
«Ma
hai freddo» puntualizza.
«Sono
comunque più abituata di te a questo clima»
Alza
gli occhi al cielo e appoggia il braccio sulle mie spalle.
«Lascia
almeno che ti scaldi un po'» dice e arrossisco.
Solo
una pazza non glielo lascerebbe fare.
Lo
abbraccio a mia volta e riprendiamo a camminare. È quasi
mezzanotte
e Charlie mi ha riempita di chiamate, che ho appositamente ignorato.
Solo quando Edward si è allontanato per andare in bagno gli
ho
scritto un messaggio molto telegrafico. 'Sto bene, sono
ancora in
giro. Smettila con queste telefonate e salutami Sue. Sono grande
abbastanza per non avere più un coprifuoco…'
All'ennesimo
messaggio di Charlie alzo gli occhi al cielo.
«Va
tutto bene?» mi chiede Edward con premura.
«Sì,
è soltanto mio padre»
«Dovresti
rispondere»
Prendo
il cellulare dalla borsa e alzo gli occhi al cielo.
«Sempre
il solito» borbotto.
«C'è
qualche problema?»
«Mi
ha messo in punizione,» gli dico e scoppia a ridere,
«credo sia
ufficialmente impazzito»
«Vuoi
che ti riaccompagni a casa?»
«NO!»
esclamo con foga, «A meno che tu non sia stanco. Devi tornare
a
Forks solo per riaccompagnarmi e poi metterti in macchina fino a
Seattle»
«Resto
in giro molto volentieri» mi rassicura e sorrido.
«Sì,
anche io»
Rimette
il braccio sulle mie spalle e riprendiamo a camminare. Mi racconta
della sua vita, del suo lavoro e posso constatare che adora stare a
contatto con i bambini, quando parla di loro gli brillano gli occhi.
Ogni minuto che passiamo insieme mi piace sempre di più.
Sono
le due del mattino quando mi riaccompagna a casa.
«Eccoci
qui,» dice, «tuo padre mi
sparerà»
«Non
lo farà, è tutto fumo e niente
arrosto,» lo rassicuro, «mi
dispiace che tu ora debba andare fino a Seattle, è un
viaggio molto
lungo»
«A
me no. Ne è valsa la pena, credimi»
Esce
dalla macchina per aprirmi la portiera e mi accompagna fino alla
porta di casa.
«Grazie
per la bella serata, sono stata benissimo»
«Anche
io,» conferma, «spero in un secondo appuntamento,
prima o poi»
«Mi
piacerebbe molto,» rispondo arrossendo, «magari
questa volta potrei
venire io»
«Lo
escludo,» dice. Faccio finta di niente, ma ci resto male per
la sua
risposta. Si vergogna a girare per Seattle con me? Non è che
per
caso ha una fidanzata o una moglie ed io sono una specie di
scappatella dalla routine quotidiana? «Non ti lascerei mai
guidare
fino a Seattle. Temo che il tuo pick-up non possa reggere il
colpo,»
mi prende in giro e gli tiro una pacca sul braccio,
«però potrei
sempre venire a prenderti, portarti a Seattle e poi riportarti a
Forks»
«Sei
pazzo? Faresti un sacco di chilometri inutili»
«Non
sono tanto inutili se ho la possibilità di trascorrerli in
tua
compagnia» replica serio.
Sorrido
e mi perdo nei suoi occhi.
«Ti…
ti va di entrare?» gli propongo.
Appoggia
la mano sul mio fianco e me lo massaggia.
«Solo
se è quello che vuoi davvero»
Io
non sono quel tipo di ragazza che ha voglia di baciare un uomo solo
un minuto e mezzo dopo averlo conosciuto, che pensa a lui costantemente
per tre giorni e che lo invita ad entrare in casa sua.
Ma
è quello che voglio?
Senza
ombra di dubbio.
Afferro
i lembi del suo giubbotto e lo attiro a me. Il bacio che ci scambiamo
è dolce, inizia con un semplice sfioramento di labbra, ma
pian piano
diventa sempre più passionale. Porto le mani dietro al suo
collo per
accarezzargli i capelli e lui mi stringe a sé.
«De-devo
aprire la porta» balbetto dopo esserci separati in cerca di
fiato.
«Devo
chiudere la macchina…?»
Non
ho capito se la sua sia una domanda o un'affermazione, ma questo non
mi impedisce di attaccarmi di nuovo alla sua bocca. Apro la porta di
casa e lo trascino dentro con me. Mi prende in braccio e tra una
strusciata e l'altra e uno scontro tra un muro e l'altro gli do le
direttive per la mia camera, dove passiamo gran parte della nottata
ad amarci. Sono quasi le sei del mattino quando sento Edward alzarsi
dal letto.
«Dove
vai?» gli domando con la voce impastata.
«Ehi,
piccola,» risponde lui sorridendomi, «non volevo
svegliarti. Devo
tornare a Seattle»
«Devi
andare a lavorare?»
«Ho
il turno questa sera»
«E
allora resta»
«Tu
devi riposarti. Non devi lavorare?»
«No,
oggi è il mio giorno libero»
«Ma…»
«Ti
prego,» lo imploro, «resta»
Non
so cosa abbia letto nel mio sguardo, ma si convince e torna a
stendersi accanto a me. Mi abbraccia e da un bacio sul collo.
«Allora
dormiamo un altro po'»
Intrecciamo
le nostre mani e torniamo nel mondo dei sogni. Non so lui, ma per
quanto mi riguarda il protagonista sarà sicuramente il
bellissimo
uomo che mi sta accanto.
Angolo autrice
Buon
sabato a tutte :)
Avete
passato una buona settimana?
Per
prima cosa, voglio spiegare il titolo del capitolo (per chi non
l'avesse capito): nel capitolo precedente Alice parla di una cena a
quattro con la sua migliore amica e i due ragazzi e siccome li ho
fatti incontrare sul serio, da qui il capitolo.
Allora,
che ne pensate del capitolo? Siete contente che Edward sia andato a
Forks per cercarla? Oppure speravate in Alice e Jasper per farli
incontrare di nuovo? E per quanto riguarda Charlie? Personalmente mi
sono divertita un sacco a scrivere di lui e lo stesso vale per la scena
al ristorante.
Comunque,
io sto straparlando quando invece dovrei studiare per l'esame di
martedì… la letteratura inglese non si studia da
sola! Auguratemi
buona fortuna ç_ç
Come
sempre ci tengo a ringraziarvi per le vostre magnifiche recensioni,
siete fantastiche!
A
sabato prossimo!
Giulls
I personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo senza scopo di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è puramente casuale e frutto della mia fantasia.