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Autore: javaddseyes    25/01/2014    0 recensioni
"Ma poi, chi è che se n’è andato davvero? Chi è che ha deposto le armi e, con loro, anche le carezze? Chi ha iniziato per primo a fare del comune e banale sesso invece che l’amore?
Ma te la ricordi, la prima volta che abbiamo fatto l’amore?"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I'm going back to 505, 
If it's a 7 hour flight or a 45 minute drive, 
In my imagination you're waiting lying on your side, 
With your hands between your thighs


Prima che la spegnessi, la radio stava trasmettendo una di quelle canzoni che parlano d’amore e di cotte adolescenziali, ma che in realtà non c’entrano davvero un cazzo con l’amore. E non so perché, mi ha fatto pensare a te. A te che sei come una di quelle canzoni, un po’ sciocca e infantile, fastidiosa anche, ma già al primo ascolto impossibile da togliere dalla testa.
In realtà, tutto mi sta facendo pensare a te in questo momento. Per esempio, i finestrini appannati della macchina mi ricordano di quando tu ci scrivevi scritte oscene sopra con le dita, poi ti voltavi verso di me e scoppiavi a ridere, con i tuoi occhi da gatto blu socchiusi e le labbra rosse aperte in un sorriso.
Il sedile del passeggero di fianco al mio mi ricorda quella volta che avevamo litigato e io, spegnendo la macchina, mi ero acceso una sigaretta per smorzare la tensione. Tu, come al solito, avevi capito che era stata colpa tua e così mi avevi preso per un braccio e avevi premuto le tue labbra sulle mie, mentre la sigaretta cadeva sul tappetino di plastica e ci faceva un buco grande quanto una moneta. Era un po’ il tuo modo di chiedermi scusa. Ci facemmo l’amore, su quel sedile, i finestrini appannati pieni dei tuoi disegnini e il mozzicone di sigaretta che rotolava da una parte all’altra dell’auto. Non ho mai più buttato quel tappetino.
Ancora, la pioggia che sbatte copiosa sul parabrezza. L’autostrada. Persino il modo in cui tengo il volante mi fa pensare a te, perché una volta mi avevi detto che lo stringevo talmente tanto che sembrava che io mi stessi aggrappando a una scialuppa di salvataggio. Non capivi che mi aggrappavo a quello perché in quel momento non potevo stringere te.
Continuo a sentire i clacson che mi intimano di andare più veloce, ma a me non importa. Mi piace andare piano, con le mie canzoni malinconiche e la sigaretta alla menta di cui ti piaceva tanto l’odore. Da quando te ne sei andata, sono le uniche che compro.
Ma poi, chi è che se n’è andato davvero? Chi è che ha deposto le armi e, con loro, anche le carezze? Chi ha iniziato per primo a fare del comune e banale sesso invece che l’amore?
Ma te la ricordi, la prima volta che abbiamo fatto l’amore?
Hai deciso tutto tu. Mi ricordo che mi avevi messo perfino una benda intorno agli occhi e avevi preso la tua macchina nuova, quella vecchia Chevrolet rossa che avevi comprato usata dalla tua vicina di casa mezza pazza. Nonostante fosse piuttosto scassata e non aveva neanche la ruota di scorta nel bagagliaio, ti piaceva da impazzire. E potevo mai odiare qualcosa che tu, invece, adoravi? Mi ricordo soprattutto la sorpresa quando mi avevi tolto la benda e mi ero ritrovato in una camera di albergo, con un semplice letto ad una piazza e mezza al centro e le pareti bianche annerite dallo sporco e dalla polvere. Anzi, non era neanche un albergo. Era un motel, uno di quelli abbandonati in mezzo a strade di campagna sfasciate e frequentati di solito per  relazioni da una sola notte. Non ti nascondo che mi sarei aspettato qualcosa di più romantico da una donna; forse un prato pieno di fiori e noi sdraiati su una coperta morbida, di notte, in mezzo agli alberi e come sottofondo i Coldplay. D’altronde, non avevo considerato che tu non eri una donna qualunque ma Eliza Brown. Ed Eliza Brown è stata e sarà  sempre l’unica donna in grado di stupirmi in ogni tipo di occasione.
In quel letto ci siamo stati stretti, ma non è stato poi un grosso problema. Mi piaceva sentire nelle narici l’odore del tuo shampo al miele, e adoravo quando ti stringevi a me, le tue mani intorno al mio collo, i tuoi seni che premevano sul mio petto, le tue ginocchia che mi sfioravano le cosce. Avevamo appena fatto l’amore, e io l’avrei rifatto uno, due, trecento volte. Cinquecentocinque. Come quella stanza puzzolente di motel. Come i baci che ti ho dato quella sera. Come le volte in cui ti ho pensato negli ultimi cinque minuti.
Ci sto tornando. Tu non sarai lì, lo so. So che ti sei fidanzata, una cosa seria stavolta. So che non tornerai indietro. Ma ho voglia di ributtarmi in quelle lenzuola, di immaginarmi il tuo sudore sulla mia pelle, i tuoi gemiti nelle mie orecchie. Ho voglia di ripensare a quella notte, e alla prima e ultima volta in cui abbiamo fatto davvero l’amore. Continuo a vederti stesa sul letto, nuda, le tue mani strette in mezzo a quelle gambe calde e sode. So che non ci sarai, ma ci sarà il tuo ricordo; e quello mi basta. Magari un giorno verrà anche a te nostalgia di quella notte d’amore e ci ritornerai anche tu alla 505, e mi ritroverai lì, alla finestra, a fumare le sigarette alla menta che ti piacciono tanto mentre penso ai tuoi occhi da gatto blu. Magari torneremo a darci cinquecentocinque baci ogni sera e a guardare cinquecentocinque serie tv sul divano di cui non ce ne frega un cazzo. Torneremo a fare l’amore e a lanciarci carezze invece che accuse.
Piove ancora. I clacson continuano a suonare rabbiosi. Sul finestrino ci sono ancora i cinquecentocinque disegnini che ci hai lasciato l’ultima volta che sei entrata in questa macchina. E nel mio cuore resta inciso come fuoco quel minuscolo e sussurrato ti amo che hai pronunciato per la prima e ultima volta nella stanza numero 505 di uno sperduto motel di campagna mentre ci scambiavamo anima e sudore.
  
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