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Autore: Water_wolf    25/01/2014    11 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Tre pirati ci accolgono sul vomito di un unicorno

♦Astrid♦
Era palese che, se avessimo attaccato, avremmo firmato la nostra condanna a morte. Probabilmente, Annabeth stava invocando mentalmente sua madre, pregandola di far ragionare dei certi energumeni nordici. Alex scelse di parlamentare.
«Hermdor, se hai ricevuto le informazioni dagli dèi, dovresti sapere che sono prove troppo precarie per condannare Astrid.»
Il capo del Campo non lanciò neanche uno sguardo alle armi che gli ricoprivano il corpo. Questo poteva significare solo due cose: o era disposto a parlare, o non ci riteneva abbastanza capaci da poterlo sconfiggere disarmato. Sperai vivamente si trattasse della prima opzione.
«È anche per questo che è stata chiamata ad Asgard, per decidere se è colpevole o meno» replicò.
«Sappiamo bene entrambi che non è così» lo corresse Alex, giocando nervosamente con l’elsa della sua spada. «Serve un capro espiatorio e Astrid è, al momento, la candidata perfetta.»
Hermdor inarcò un sopracciglio. «E con questo? È il volere degli dèi, non ci si può opporre.»
«Ma è sbagliato!» sbottò. «Dovresti conoscerla, non farebbe mai qualcosa del genere!»
«Non so come puoi esserne tanto convinto» sospirò l’altro. «Nessuno la conosce veramente se non lei stessa. E, per quanto mi riguarda, nella vita si fanno tante cazzate, questa potrebbe essere la più grande della sua vita.» Scrutò profondamente Alex, facendolo tentennare sul posto. «Forza, abbassate le armi, non voglio che vi facciate male.»
Mi chiesi se in quel “voi” fossero compresi anche Percy e Annabeth che, di fatto, per Hermdor erano solo un peso inutile e sacrificabile.
«Puoi scordartelo» ringhiò Alex. Come un’orchestra che ha provato per giorni e giorni, gli elfi avanzarono al minimo gesto del loro capo.
Il cerchio si strinse attorno a me, e mi ritrovai pressata tra il corpo di Einar dietro e quello di Alex davanti. Volevano davvero combattere? Farsi uccidere, sventrare, spappolare, tagliuzzare, affettare, trafiggere, impalare, sminuzzare, schiacciare, pestare? Percy si sottrasse a una stoccata, colpendo un elfo e disarmandolo. Be’, per quanto mi riguardava, non avrei permesso che questo accadesse per colpa mia. Era finito il momento di piangersi addosso e nascondersi, era arrivato il tempo di affrontare a testa alta i problemi senza procurare altri danni.
«Fermi!» gridai. «Stop!»
Tutti abbassarono le armi, guardandomi allibiti. Avanzai verso Hermdor, decisa. Con lui valeva la stessa regola che coi cani: se non vuoi farli arrabbiare, non guardarli negli occhi. La ignorai completamente, sfidandolo a sbranarmi, se ne aveva voglia.
A pochi passi da lui, mi fermai e sentenziai: «Sono pronta ad andare ad Asgard di mia spontanea volontà. Loro non c’entrano nulla, né voglio che si facciano ammazzare per me, che non merito le loro vite.»
Alex mi afferrò il braccio da dietro, dandomi uno strattone.
«Non essere stupida» sibilò. «Sarai condannata a morte.»
Gli sorrisi, sforzandomi di rassicurarlo. «Tutti devono morire, prima o poi.»
Gli lessi negli occhi la volontà di legarmi, imbavagliarmi e nascondermi in uno sgabuzzino, lasciandolo a combattere per ciò in cui credeva.
«Fa’ come dice» intimò Hermdor, ruvido.
Mi liberai dalla presa di Alex. Stavo per consegnarmi nelle mani del capo, quando avvertii uno strattone e l’ambiente attorno a me si dissolse. Vorticai in un bianco sfolgorante, come se mi avessero messo in un contenitore di intonaco e l’avessero spedito sulla Luna.
Poi, sbattei contro qualcosa di duro con tutto il corpo. Chiusi gli occhi, cercando di scacciare il capogiro. La mia guancia premeva contro quello che sembrava un mattone.
Sbattei le palpebre, vagando attorno con lo sguardo. La mia faccia era effettivamente schiacciata contro un pavimento color melanzana che, più si spaziava con gli occhi, più assumeva tinte, sfumature e toni differenti. Mi tirai su, mettendomi a gambe incrociate, studiandomi attorno.
Con me, erano atterrati anche tutti i miei compagni di viaggio. Annabeth si alzò, barcollando sulle gambe. Osservando in torno, la sua espressione divenne ancora più crucciata.
«È… è un arcobaleno.»
Non potei non darle ragione. Se guardavi in là, riuscivi a scorgere tutti i setti colori, in milioni di differenti toni, riprodotti su mattoni. Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?»
Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.»
«Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Arrossii violentemente. Come avevo potuto non riconoscere il ponte arcobaleno che collegava Asgard a tutti gli altri regni? Mi diedi della stupida.
«Esatto!»
La voce sconosciuta ci fece sobbalzare tutti. Un omaccione biondo, con le spalle larghe e un sorriso a trentadue denti, di cui uno dorato, batté le mani e ci sorrise. Indossava un completo da pirata, con tanto di camicia a fronzoli, brache di cuoio e stivali al ginocchio. Gli mancava solo il pappagallo e la benda sull’occhio.
Rimasi impietrita a quella vista, indecisa se ridere perché un pirata era spuntato dal nulla o non dire nulla, dato che avevo riconosciuto quel dio.
«Divino Heimdallr… che piacere» si affrettò a dire Alex, farfugliando.
Heimdallr si diede un’occhiata ai vestiti. «Oh, non preoccuparti per questi, figlio di Odino. Ero a una festa, sai, per via della copertura
Strizzò l’occhio, sottolineando “copertura” come se fosse un gran segreto tra amici di vecchia data.
«Ragazzi!» esclamò una donna, comparendo dal nulla.
Anche lei, portava abiti da piratessa, che le davano un’aria mortalmente sexy. Gli stivali alti e il pantaloni scuri slanciavano la figura, il cinturone puntava l’attenzione sul seno, facendo scomparire dalla mente l’idea che potesse avere anche un solo rotolo di ciccia; i boccoli rosso fuoco le ricadevano sulla schiena e sul petto, intrecciati a conchiglie e perline di vari colori. Portava una bandana scarlatta, cui erano cucite delle paillettes, che le copriva la fronte fin quasi agli occhi, contornati da un ombretto scuro e tanta matita nera.
Al suo fianco, un uomo stava decisamente più scomodo ne sui panni alla Jack Sparrow, e continuava sistemarsi un pappagallo finto sulla spalla, che non la voleva sapere di stare dritto; con la benda sull’occhio destro, era decisamente ridicolo. Aveva un’aria tesa, nevrotica, come se non riuscisse mai a stare fermo.
«Io so Freyja, e lui è Foreseti. Insieme siamo i vostri…»
«Fantagenitori» fece Nico, beccandosi cinque paia di occhiatacce.
Heimdallr rise, tenendosi la pancia, e anche Freyja proruppe in un risolino.
«Vi prego» supplicò Foreseti, il dio degli accordi. I suoi occhi erano febbricitanti. «Non abbiamo tutto il giorno e non possiamo perdere tempo con tali scherzi. La nostra copertura potrebbe saltare.»
Alla parola “copertura”, gli altri due si fecero attenti. Freyja annuì, convintissima.
Heimdallr confermò: «Già, verissimo, chiarissimo. È per questo che dovete il collegamento lampo.» Sorrise. «Oh, la festa in tema Pirati dei Caraibi era perfetta, il nostro magnifico alibi che ci permetterà di aiutarvi a continuare la ricerca di Mjiolnir.»
«Sì, perché non tutti noi siamo d’accordo con Odino e la sua idea di convocare la figlia di Hell ad Asgard» precisò la dea dell’amore.
«Nessuno mi dà mai ascolto» brontolò Foreseti, strappandosi il pappagallo dalla spalla. «Un dio della ragione tra un centinaio di orsi da battaglia. Per fortuna, questa volta c’è qualcun altro dalla mia parte.»
Freyja guardò il peluche del pennuto a terra, accigliata, nonostante rimanesse bellissima anche così. Lo raccolse e gli lisciò le piume di stoffa. Si schiarì la voce.
«Comunque, vi accompagneremo fino alle porte dell’Hellheim. Da lì, non potremo più aiutarvi.»
«…ehm… perché?» domandò Percy. «Ormai siete arrivati qui, ci avete salvato, e poi avete la copertura
Lo disse come se stesse parlando della Scuola di Magia e Stregoneria di Howgarts, facendo sorridere Heimdallr.
«Perché vedi, semidio, più entriamo nelle profondità del regno di Hell, più i nostri poteri si affievoliscono. Non possiamo rischiare» spiegò Freyja, dolcemente.
Percy arrossì, e Annabeth gli tirò un calcio negli stinchi.
«Abbiamo anche qualcos’altro per voi» aggiunse Foreseti. Schioccò le dita, e sul palmo della mano gli comparvero delle fasce d’oro massiccio.
«Questi braccialetti vi permetteranno di sollevare il martello di Thor che, altrimenti, vi schiaccerebbe con il loro peso e morireste. Potete reggerlo per mezza giornata, poi il potere svanirà, e di voi resterà cenere.»
Ebbi l’impressione che volesse sottolineare il fatto che saremmo morti, se non avessi eseguito quelle regole. Heimdallr batté le mani, e le fascette ci comparvero ai polsi. Freyja storse il naso.
«Sono così fuorimoda» commentò, prima di schioccare a sua volta le dita.
Mi ritrovai dei polsini di gomma colorati, che riportavano la scritta: “GUARDA ALLA TUA DESTRA E SORRIDI.” Seguiva a tutto una faccina felice. Normalmente, non avrei seguito le indicazioni di un braccialetto di plastica morbida, ma quello era il braccialetto di plastica morbida di una dea, e non potevo ignorarlo.
Mi voltai e sorrisi, incrociando Alex, che faceva la stessa cosa. Ci scambiammo uno sguardo confuso, prima che arrossissi fino alla punta delle orecchie e abbassassi gli occhi. Stupido polsino.
«Adesso capisco perché la dea dell’amore è d’accordo» borbottò Annabeth.
Freyja liquidò quella faccenda con un movimento aggraziato del polso, facendo tintinnare una fila di bracciali finissimi. Si diede una sistemata agli orecchini a cerchio, così grandi che avrebbero potuto essere usati come anelli da infilare nel naso di un bovino.
«Allora, ci seguite o no?» incalzò Foreseti, guardando in direzione di Asgard con preoccupazione.
«Certo!» rispondemmo all’unisono, riprendendoci da quello strano incontro.
Ci incamminammo dietro di loro, che facevano strada, chiacchierando e rivolgendoci qualche battuta, anche se ogni tentativo di conversazione si spegneva dopo la riposta a monosillabo. Insomma, quella situazione non era normale. Se pensavi agli dèi, ti venivano in mente quei quadri di pittori famosi con scene di morte, guerra o amore. Come la Venere di Botticelli, ad esempio.
Non ti figuravi quella scampagnata in stile Disney, con tre divinità vestite da pirata che cercavano di intavolare conversazione. Mancava solo che si materializzasse le Perla Nera o il tappeto volante di Aladino, un agguanto di Sandoncan o qualcosa di simile, per completare la visione. Senza contare il ponte arcobaleno.
Da sempre, quel particolare mi era sembrato fuori posto: un pantheon enorme dedito alla guerra, che riceveva i propri nemici facendoli camminare su mattoni colorati?
Era di certo più adatto a Dorothy, il suo sentiero dorato e la sua sfilza di amici strambi – il leone pauroso, l’uomo di latta, lo spaventapasseri e il mago di Oz. Almeno, era molto più carino di quello che ci aspettava nell’Hellheim. Dalla festa per bambine delle elementari a una riunione gotica di ragazzi strafatti.
All’improvviso, Annabeth intervenne: «Scusate, avrei una domanda.»
«Quale sarebbe?» la invitò Foreseti, senza smettere di camminare.
«Perché ci state aiutando? Non vorrei mancarvi di rispetto, ma non penso sia solo per unire una dolce coppietta, no?»
«Io non mi devo unire a nessuno» ringhiai.
«Sì, e io amo ballare nuda avvolta in una tenda su un tavolo» replicò lei.
«Perché, non ti piace?» la provocai.
«Non tutti hanno i tuoi stessi gusti» si schermì.
«Già, per te: niente tenda, direttamente nuda» ribattei.
«Tacete!» sbottò Foreseti.
Sentii la mia bocca chiudersi a forza.
Si massaggiò le tempie. «Dèi e semidei… con loro, è impossibile avere un po’ di silenzio.»
«Vediamo di rispondere alla tua domanda, figlia di Atena» riprese la fila del discorso Heimdallr. «Sono il dio dei collegamenti, governo il Bifrost, ma ho anche l’udito più sviluppato di tutti di gli dèi. Posso sentire il frusciare di ciuffi d’erba, il loro crescere il primavera. Se la tua amica avesse fatto un viaggio d’ombra per raggiungere gli orchi, stai certa che l’avrei sentita.»
«Ma non l’ha fatto» intuì Alex, un’espressione raggiante che si stava schiudendo sul suo viso.
Annabeth non sembrava dello stesso parere. In quanto a me, desiderai ardentemente andare abbracciare Heimdallr e scoccargli un bacio sulla guancia. Peccato che fosse un dio.
«Ah-ah» confermò. «La maggior parte, però, non mi ascolta. Gli altri dèi non ascoltano chi ha deciso di fare il bastian contrario, rovinandogli i piani e sconvolgendo le carte in tavola. Preferiscono qualcuno a cui staccare la testa.»
«Normalmente, anch’io non avrei preso sul serio questo fatto» ammise Freyja, improvvisamente seria.
L’aria di festa l’aveva abbandonata, sostituita da un cipiglio serio.
«Ma, quanto una dose di sentimenti spezza la noia, mi interesso alle faccende. La signorina, qui, ha decisamente stabilito di diventare soprano, negli ultimi giorni. Per Asgard, se fossi tua madre ti avrei uccisa!»
Desiderai che il ponte arcobaleno mi risucchiasse nella tavolozza di colori, o che il genio blu della lampada comparisse, esaudendo la mia volontà di diventare invisibile. Probabilmente, se mi fossi accostata a dei mattoni rosso vermiglio, sarei scomparsa come un camaleonte.
Freyja si batté un indice sul mento.
«In verità, se fossi veramente tua madre, prima di ucciderti ti avrei torturata. But who cares?*» Alzò le spalle.
«Ma se Astrid è scagionata, perché gli altri dèi si ostinano a non ascoltarvi? Non potete essere così duri d’orecchi» obiettò Percy. Ero sicura che avesse in mente parole meno gentili, per l’ultima frase.
«Bah, forse ci piace veder affannarsi voi eroi» rispose Foreseti. «Non ne vediamo molti, in questi anni. Una famiglia divina dovrà pure avere qualche tipo di divertimento.»
«Così, fa ridere osservare noi semidei morire» replicò Percy a denti stretti.
«È l’ordine naturale delle cose» tentò di calmarlo Heimdallr, con scarsi risultati.
Quella storia assomigliava parecchio alla trama crudele di un libro. Annabeth trattenne Percy, che stringeva i pugni pur di non dire qualcosa di molto sconveniente. Era già molto se ci avevano tolto dai guai con Hermdor, non era saggio stuzzicare il loro lato lunatico. In un certo senso, ammiravo il figlio di Poseidone. Era altruista, generoso, e si sarebbe buttato nel fuoco per salvare le persone che amava.
Annabeth era estremamente fortunata a ritrovarselo così vicino, e avevo la sensazione che se ne rendesse conto. Ma c’erano semidei che non si potevano permettere di essere altruisti, visto che a fatica potevano aiutare se stessi.
Immaginai di riempire il modulo di qualche test della personalità, che chiedeva con quale aggettivi ti saresti definita; di sicuro, avrei scritto egoista. A Percy toccava la parte di leale e figo stratosferico. Camminammo in silenzio, rotto solo dal tintinnare dei braccialetti di Freyja.
Non so quanto andò avanti, ma, a un certo punto, i tre dèi si fermarono e dichiararono che non potevano scortarci più in là.
«Ci sarà qualcuno ad aspettarvi. Spero che, visto chi vi portate dietro, decida di non sbranarvi. Buona fortuna!» salutò Heimdallr, voltandosi.
Continuammo da soli, mentre si poteva avvertire l’ansia crescente e un alone di morte condurci verso le porte dell’Hellheim. Era il regno di mia madre – il mio regno- che ci chiamava, ci sfidava. Era la prima volta che sentivo di avere davvero paura, un panico più reale. Non era un sogno, non potevo svegliarmi sudata prima che accadesse il peggio. Stavamo entrando nell’incubo da svegli.
I colori dell’arcobaleno, sui mattoni, diventavano sempre più sbiaditi e quelli freddi si incupivano. Capii immediatamente quando arrivammo a destinazione. Le porte dell’Hellheim sembravano essere state scardinate da un semplice armadio, fatte passare tra una serie di unghie e denti affilati, ridipinte di nero e poste lì, affiancate da alberi morti e mucchietti di scheletri.
Erano solo decorative, perché, dietro, un’imponente caverna e la sua entrata erano più grandi di loro. Un vecchio cartello riportava una scritta, che voleva simulare la colata del sangue. Era una citazione di Dante: “PERDETE OGNI SPERANZA OH VOI CHE ENTRATE.”
Al posto di “entrate”, però, qualcuno aveva tracciato una linea con delle bombolette spray e aveva scritto “puzzate.” Così, chi stava per aprire quelle porte, leggeva: “PERDETE OGNI SPERANZA OH VOI CHE PUZZATE.”
«Io non puzzo» si tirò indietro Percy.
«Allora sei salvo, amico» lo prese in giro Einar, annusandosi teatralmente la maglietta.
Un ringhio cupo accompagnò quelle parole. Alla base delle porte, un grosso mastino nero faceva la guardia e aveva alzato le labbra, scoprendo i denti. Aveva il ventre di un color ruggine, come sangue incrostato, e la spina dorsale era composta da scaglie di serpenti, che terminavano in una coda con la testa da vipera.
Era il “qualcuno” cui si riferiva Heimdallr: Garmr, il custode delle porte.
«Buono, bello» mormorai, cercando di essere rassicurante.
Mi avvicinai a lui, che emetteva bassi ringhi, le orecchie a triangolo tirate all’indietro. Che altro sapevo sui cani?
Andai a ripescare le mie conoscenze nel fondo della memoria. Il loro istinto era di difendere il branco, o il luogo dove vivevano, e avevano una piramide sociale che si basava sulla fiducia e sugli stretti legami familiari. Di solito, chi si sottometteva all’alfa, il capo, mostrava il ventre o la gola, oppure si schiacciava a terra.
Mi abbassai, mettendomi a quattro zampe, così da essere più bassa del mastino. Sperai che questo bastasse, perché non morivo dalla voglia di mettere il mio destino tra le sue fauci. Mi avvicinai, strisciando.
Emisi uno sbuffo caldo, come facevano le mamme per calmare i cuccioli iperattivi. Garmr smise di ringhiare, raddrizzò le orecchie, in ascolto. A pochi centimetri dal suo grosso faccione canino, lui mi schiacciò il suo tartufo sulla fronte e inspirò il mio odore.
Dovette riconoscere che ero una figlia di Hell, perché latrò e mi leccò la faccia, sporcandomi con la sua bava. La coda-vipera si muoveva, sibilando gioiosa.
Annabeth stava per fare una battuta di cattivo gusto, ma Percy la bloccò e mi chiese: «Lui sarebbe…?»
Mi rialzai, lanciando un’occhiataccia alla bava che mi ricopriva la maglietta. Che schifo.
«Percy, ecco Garmr, il custode delle porte dell’Hellheim. Garmr, ecco i miei amici.»
Mi rivolse uno sguardo confuso, come a domandarmi: “niente cibo? Ossa da rosicchiare?”
«Gnam? Che nome è Gnam? Non è un invito a mangiarci, vero?» fece Percy, confuso.
«È Garmr, non Gnam» lo corresse Alex.
Percy borbottò qualcosa che suonò come “i nordici hanno solo nomi assurdi, non potevano chiamarlo Fuffi o Pallino?” Nico si fece avanti, porgendo una mano, e Garmr gliela leccò, facendogli il solletico.
«Ehi, bello, lo sai che assomigli a un segugio infernale di mia conoscenza?»
Il mastino lo fissò, attento. “Dov’è?” sembrava chiedere. “Voglio giocare!”
«Sarebbe un ottimo compagno per la Signora O’Leary» considerò Annabeth. «Cerbero sarebbe un tantino troppo grosso.»
I greci si trovarono d’accordo. Be’, Garmr non era certo un bel nome, ma chiamare un segugio infernale “Signora O’Leary” non era neanche il massimo. Almeno, il custode delle porte dell’Hellheim ci avrebbe permesso un passaggio sicuro. Accarezzai la testa del mastino e diedi le spalle all’ingresso, allargai le braccia, come un presentatore della televisione, e mi rivolsi ai miei compagni.
Mento alto, sorriso smagliante.
«Ecco a voi l’Hellheim!» esclamai, gioiosa.
Annabeth inarcò un sopracciglio. Einar mi guardò come se fossi pazza, Percy con lui. Nico era occupato a pulirsi la mano umidiccia di saliva. Alex non capiva i miei piani, dato che quel tono felice non si addice per nulla a quello che dovevamo affrontare.
«Sarà divertente» assicurai, sforzandomi di non risultare sarcastica. «Chi vuole entrare per primo?»

*but who cares? = ma a chi importa?
koala's corner.
Ed ecco il nuovo, atteso (?) capitolo, così come questo angolino-sclero.
Partiamo dalle cose importanti, cioé: Freyja shippa Alrid.
*doppia occhiataccia*
Ceh, ha pure il linguaggio da fangirl, perché solo le può dire "who cares" u.u E' troppo divertente mettere gli dèi in panni assurdi, quindi, perché non pirati? Dire che adoro quando Riordan trasforma le divinità è poco. Poi, scopriamo definitavamente che Astrid è innocente.
Bisogna dimostrarlo, però.
"Il vomito di unicorno" è un'espressione che spero conosciate tutti, perché altrimenti la battuta perde la sua carica. Per chi non la conoscesse, domandate pure^^
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate dircelo con una recensione, un abbraccio a tutti e alla prossima!

 
Soon on Sangue del Nord: POV Alex. Si scende nell'Hellheim, gita preferita da tutti i bambini, e la situazione non migliora di certo.
  
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