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Autore: MinaEcho    26/01/2014    4 recensioni
[Post-Neverland. SwanQueen. EVENTUALI SPOILER per chi non segue la messa in onda americana! Rating variabile.]
Regina, donna forte, tenace, autoritaria, complessa. Sola, distrutta dall'ingente peso delle conseguenze di azioni passate. Emma, determinata, testarda, instancabile. Orfana, ferita. Complementari, inconsapevolmente... o almeno, prima del viaggio sull'Isola per salvare loro figlio. Quando la consapevolezza ti colpisce allo stomaco come un pugno, ed accettare ciò che provi ti atterrisce e ti riempie, al contempo, con quel calore che credevi smarrito da anni.
(Gli avvenimenti della fine della 3x09, della 3x10 e della 3x11 non sono tenuti in considerazione)
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV.
Emma





 
Organizzare quella cena era stata un’idea di sua madre.
 
“Perché non trascorrere la Vigilia di Natale tutti insieme? Henry ha il diritto di stare con la sua famiglia… per quanto ampia e poco ortodossa possa essere!”
 
David era stato immediatamente d’accordo (come di consueto). In pochi giorni, la nuova casa nella quale Emma si era trasferita dopo il ritorno da Neverland – certamente più spaziosa di quella di Mary Margaret - era stata attraversata da una specie di uragano. Il suo telefono era stato trafugato, perennemente (o quasi) nelle mani della sua genitrice, la quale, ovviamente, non aveva accettato obiezioni.
“Ti farà bene avere gente tra i piedi, vedrai!” aveva detto sbrigativa, quando Emma aveva provato a opporsi, invano. Essere la figlia di una ex-sovrana aveva molto spesso i suoi svantaggi.
Dunque era stata contattata praticamente mezza Storybrooke: Neal, Gold e Belle, il ramo paterno dei geni del ragazzino; Granny, Ruby, i nani, amici intimi di Snow e David, ciò che per i due si avvicinava più a una famiglia, prima della maledizione; Geppetto e Pinocchio, il quale ormai era all’incirca coetaneo di Henry…
 
 
“Dovremmo invitare anche i Darlings e Tink? E Hook? Dopo Neverland… i Bimbi!”
 
Era la mattina dell’anti-Vigilia di Natale. Mary Margaret sembrava parlare da sola, mentre si muoveva per casa tanto velocemente da far credere a chi la osservasse di avere le ali ai piedi.
 
“Regina! Regina, dobbiamo… come ho potuto non pensarci?”
 
Emma sospirò in silenzio, riportando lo sguardo sulla lista della spesa che qualche giorno prima la madre le aveva dato il compito di stilare. Un altro foglio imbrattato di inchiostro nero intitolato semplicemente e approssimativamente Che mangiamo? lo affiancava. Un intenso desiderio di riuscire a sparire e riapparire in un’isola deserta la invase. Non aveva mai amato quelle feste… le aveva sempre trascorse da sola, e dopo ventotto anni le abitudini erano molto dure a morire… specialmente dopo aver ritrovato i propri genitori, aver scoperto che gli stessi erano i reali protagonisti di una delle favole più conosciute al mondo, e che per di più avevano pressoché la sua stessa età.
Pur essendo passato circa un anno, ancora pensarci le metteva in subbuglio lo stomaco…
 
“Emma?”
 
Sussultò. Si era evidentemente tanto immersa nei suoi pensieri che non aveva sentito il ripetuto richiamo di Mary Margaret.
“S-sì, dimmi!” Raddrizzò la schiena, rimanendo appoggiata sulla penisola, tutto il peso sugli avambracci, i due fogli immutati davanti a lei.
 
“Ti ho chiesto se puoi finire tu di far le ultime telefonate! Ho scritto qui tutti i nomi.” La donna parlava con affanno, intenta ad infilarsi il cappotto e una sciarpa rosa pastello. Con un difficoltoso movimento le allungò un foglietto spiegazzato e segnato.  
 
“P-perché? Tu dove stai andando?” Emma sgranò appena le palpebre, cercando di camuffare quanto quella richiesta la turbasse. Inoltre, dal poco che era riuscita a cogliere dai blateramenti della madre, temeva di scoprire quali fossero i nominativi presenti sul pezzo di carta che questa aveva appena lasciato cadere sui due già abbandonati sul bancone.
 
“Con David, a comprare gli ultimi regali! Tesoro, ma dove hai la testa stamattina?”
Uno sguardo stranito e comprensivo investì in pieno la bionda. Doveva ammettere che Mary Margaret non aveva avuto difficoltà nel rivestire a pieno i panni materni, con lei. Vide la brunetta avvicinarlesi e poggiare il pollice sinistro sul suo mento, prima di protendersi verso la sua fronte per stamparle un tenero bacio. Emma rimase immobile, pazientando. Quando finalmente la madre si scostò e le sorrise, le labbra della bionda si distesero suo malgrado timidamente in risposta.
 
“Va bene… chiamo e finisco questa lista. Oggi pomeriggio vado a fare la spesa con Henry…”
Mantenendo un accenno del sorriso precedente, roteò appena gli occhi.
 
“Benissimo, sono certa che ne sarà entusiasta!” Mary Margaret allargò il proprio, di sorriso, e si diresse verso l’ingresso. “Noi ci sentiamo più tardi. Ciao, tesoro!” Acciuffò i guanti e la borsa poste sulla panca nell’ingresso e uscì, tirandosi la porta.
 
Emma rilasciò rumorosamente un sospiro esasperato, abbassando il capo e incassando la testa tra le spalle, sostenendo il peso della fronte con i palmi delle mani. Odiava decisamente quelle feste. Raddrizzò il capo, le dita in discesa a sfiorare le tempie, mentre le iridi scalavano la lista di nomi lasciatale dalla madre.
Immediatamente percepì lo stomaco contrarsi fastidiosamente. Era proprio come temeva.
In cima alla lista, c’era il nome di Hook. Subito di seguito, quello dei fratelli Darlings, di Tinkerbell e... deglutì. Okay, una cosa per volta.
Aggrottò la fronte, stringendo le palpebre.
Credeva che John, Michael e Wendy fossero già tornati in Inghilterra, portandosi dietro la piccola fata verde-luccicante. Si grattò leggermente il capo con la mano destra. Si prospettava essere una giornata meravigliosa
Sbirciò gli altri nomi già spuntati scritti sul retro del foglio. Facendo un rapido calcolo, sarebbero stati circa poco più di una dozzina… per fortuna, lo spazio nell’abitazione non mancava: il salone, certamente, sarebbe stato in grado di accogliere tutti senza problemi. Avrebbero posto il tavolo sulla parete sinistra, organizzando un buffet ed evitando d’organizzare uno di quei grandi cenoni tradizionali (dei quali nessuno si intendeva), avrebbero spinto il divano, l’unica poltrona e altre sedie contro le pareti... e se tutto fosse andato bene, sarebbe sopravvissuta. O almeno, ci sperava. Alla fine, era solo questione di qualche ora, no?
Prese il cellulare con la mano destra, fissando senza intenzione il display luminoso. Gli occhi saettarono nuovamente sulla lista, soffermandosi per qualche istante sui nomi ancora integri.
 
Oh, al diavolo, leviamoci questo dente!
 
Emettendo quello che sembrava un misto tra un sospiro e uno sbuffo, raddrizzò totalmente la schiena, portandosi la mano sinistra sul corrispondente fianco, compose il numero e fece partire la chiamata. Dopo solo qualche squillo, una voce fastidiosamente tronfia rispose dall’altro lato.
 
“Swan! Che piacere! Non riesci proprio a starmi lontana, eh?”
Già soltanto dal tono, la bionda riuscì a figurarsi il ghigno che doveva essersi formato sul volto dell’uomo all’altro capo della linea.
Lei rispose con tono annoiato e strascicando le parole, al massimo dell’entusiasmo.
 
“Hook, non ho tempo da perdere in convenevoli, soprattutto con te. Mia madre ha deciso di organizzare una cena per la Vigilia di Natale a casa mia e ha brillantemente pensato di invitarti. Insomma, se non hai altro da fare, passa. Buona giornata!”
Senza neanche attendere risposta, riagganciò. Non era per niente in vena di perder tempo rispondendo ai tentativi di seduzione spudorati e ormai ridicoli del pirata… dopo quel dannato bacio non l’aveva lasciata perdere un attimo. Non aveva capito che per lei non era stato altro che un tentativo di… distrarsi. Sbuffò – ancora una volta – e cercò di scacciare quei pensieri. Non era certamente quello il momento di pensare a quanto fosse incasinata la sua situazione sentimentale.
Guardò nuovamente il display per qualche secondo, afferrò la penna poggiata sulla superficie lignea davanti a lei e tagliò di netto il nome di Killian Jones.
Fuori uno. Il più semplice.
Strinse le labbra, osservando gli altri tre nominativi. Inspirò profondamente, digrignando leggermente i denti e increspando le labbra.
 
Ah, al diavolo!
 
Abbandonò la penna ed il cellulare sulla penisola e uscì dalla cucina.
 
 
*
 
 
“Mamma! Prendiamo anche questi, dài!”
Henry l’aveva appena raggiunta, dopo essersi avventurato tra gli scaffali della drogheria, con una confezione di biscotti di seconda scelta farciti al cioccolato stretta tra le mani.
Emma sorrise e alzò il mento.
 
“Ragazzino, non possiamo saccheggiare il negozio di tutti i dolciumi che ha… e poi abbiamo una lista da rispettare.” Sventolò di malavoglia un foglio spiegazzato e maltrattato, prima di gettargli un’occhiata, ripiegarlo e infilarlo in una tasca. “Dài, ancora mancano quasi tutti gli ingredienti che servono a tua nonna per quelle torte, e si è messo anche a nevicare. Rimarremo bloccati qui, se non ci sbrighiamo.”
 
Si girò nuovamente verso il carrello, poggiando entrambe le braccia sulla barra di plastica e lasciando le mani ricadere inerti nello spazio vuoto sopra agli oggetti già stipati al suo interno.
Vide il figlio riporre la confezione sul primo scaffale disponibile, l’espressione un po’ delusa.
“Suvvia, i dolci te li prepara Mary Margaret, lascia perdere tutto il resto!”
 
Henry sorrise appena, lasciandosi contagiare dal tono divertito della donna. Dopo qualche minuto di silenzio, disse, voltandosi verso la bionda: “Mia madre che preparerà, secondo te? A me non ha voluto dirlo!”
 
Ad Emma mancò poco per inciampare sui suoi stessi piedi. Aveva cercato il più possibile di non pensare a quell’ultima telefonata che le rimaneva da fare, e c’era quasi riuscita, concentrata com’era sulla calligrafia fastidiosamente ordinata di Snow (che aveva testardamente deciso di ricopiare la lista stilata da Emma) e nella ricerca degli alimenti da questa indicati. Aveva procrastinato il più possibile, e ancora non si era decisa a prendere il telefono e parlare con Regina per invitarla il giorno dopo. Neanche quando era passata a prendere Henry a casa della bruna era riuscita ad affrontarla… era rimasta in auto in attesa che il figlio la raggiungesse, piuttosto che fronteggiare di petto la situazione. Erano settimane che andava avanti così, e sapeva che non sarebbe durata a lungo. Quando erano insieme, la tensione tra loro era palpabile e opprimente… riuscivano a stento a guardarsi in faccia per più di cinque minuti. Come avrebbe fatto a rimanere con lei nella stessa casa per una serata intera?
Deglutì, reprimendo un lamento.
 
“N-non lo so, ragazzino… domani lo scoprirai!” Gli sorrise, cercando di camuffare i conflitti che la stavano turbando internamente. “Ora basta parlare, diamoci una mossa!”
Spinse vigorosamente il carrello, raddrizzando la schiena con uno slancio, intenzionata a uscire da quel posto il prima possibile.
 
 
*
 
 
La casa era silenziosa. Henry era già sotto le coperte, Emma era rimasta seduta sullo sgabello alto davanti al bancone ligneo della cucina. Guardava fissamente i fogli sparsi e il cellulare inanimato davanti a lei, invasa da una pedante e disarmante sensazione di dejaà vu. Erano le dieci passate, e ancora non era riuscita a comporre quel maledetto numero. I pugni chiusi premevano sulle tempie, percependo quasi l’attività frenetica delle sue meningi. Cosa le avrebbe detto? Erano settimane che non parlavano… da quando erano scese dalla Jolly Roger e avevano messo piede a Storybrooke, da quando gestire tutto ciò che era successo era diventato tanto difficoltoso da spingerle a chiudersi in loro stesse, ritenendo nascondersi dietro al silenzio l’unica scelta possibile…
Sospirò lievemente, sfregandosi la fronte con le dita della mano destra. Doveva farlo. Sapeva di… volerla vedere - sebbene ogni sua parte razionale cercasse di convincerla a non abbattere quel muro dietro al quale si era nascosta.
Regina Mills le aveva mostrato troppo, lei stessa aveva mostrato troppo a Regina. Aveva cercato di combattere con determinazione per tanto, tanto tempo contro quei sentimenti radicati dentro di sé… così tanto tempo che era diventato quasi facile... persino negli ultimi momenti, quando temevano che Storybrooke venisse distrutta… ma poi Henry era stato rapito, e loro erano state costrette a vivere a stretto contatto per giorni, lottando disperatamente per recuperare loro figlio…
Deglutì, inspirando rumorosamente, e aggrottò la fronte. Non poteva permettersi di lasciarsi occupare la mente da quei tipi di pensieri, non quando le sue dita avevano finalmente deciso di stringersi attorno al dispositivo elettronico che per tutto il giorno non aveva fatto altro che essere da lei maneggiato nervosamente. Abbassò le palpebre, fece un secondo profondo respiro e premette il pulsante per il numero rapido. Si portò il cellulare all’orecchio, mordendosi l’angolo del labbro inferiore, in attesa.
Uno squillo… due squilli… tre, quattro… stava quasi per riagganciare, un nodo alla gola, quando a metà del quinto squillo una voce rispose.
 
“Sindaco Mills.”
 
Era roca, come se fosse inutilizzata da ore, ma incredibilmente sensuale e… ardente. A quella donna non serviva certamente alcun tipo di fatica per fare aumentare drasticamente la velocità del battito cardiaco della bionda.
Diamine, parla, idiota!
“Oh, ehm, sì, ciao, Regina. Scusa l’ora, io volevo dirti che domani sera mia mad… c’è una cena a casa mia, sai la Vigilia di Natale, Henry…”
 
“Ci sarò.”
Pochi secondi, e il ricevitore dall’altro capo venne riagganciato. Emma rimase per qualche secondo immobile. Cristo…
Alzò le sopracciglia, sgranando appena le palpebre. Rilasciò il respiro fino a quel momento trattenuto e riempì a fondo i polmoni. Allontanò dunque il dispositivo dal viso e lo ripose senza delicatezza sul bancone, abbandonandolo accanto a quei fogli che ormai sembravano esser diventati parte integrante del mobilio. La voce dura e rigida di Regina ancora le rimbombava nelle orecchie… rimase a fissare il vuoto per qualche altro secondo, prima di alzarsi dallo sgabello, spegnere la luce della cucina e dirigersi verso la propria camera da letto, il caos dentro di sé.
 
 
*
 
 
“Maammaaaa! Dov’è finita la maglietta rossa??”
Il viso latteo e dubbioso del ragazzino apparve dal corridoio, i capelli scuri scombinati. Osservò la madre intenta a sistemare forsennatamente i cuscini del divano nel salone attraverso la grande apertura rettangolare che collegava l’ampia stanza al resto della casa.
“Mamma?” La sua espressione era ora stranita e perplessa.
 
“Eh? Ah, sì, scusa, Henry… che mi stavi dicendo?” La bionda alzò le testa dalla confusione nella quale si stava affannando, i capelli scarmigliati, la fronte aggrottata.
 
“Stavo cercando la mia maglietta rossa… l’hai vista?” Il bambino rispose esitante, senza distogliere gli occhi dalla madre. “Ma che stai facendo?”
 
“Ah, ehm, ecco, volevo… non fa niente!” Lanciò un cuscino alla sua destra e raddrizzò la schiena, facendo qualche passo verso l’ingresso della stanza. “Non dovevi metterti la camicia nuova, stasera? Quella che stamattina hai comprato con Regina…”
 
“Sì, ma è scomoda…” Il ragazzino sbuffò, facendo ricadere le braccia in un movimento  annoiato. Di fronte alle sopracciglia alzate di Emma, riprese, esitante: “Stasera ci saranno Pinocchio e i Bimbi Sperduti… quando sono con loro preferisco…”
 
“Va bene, va bene, facciamo così: indossi quella camicia almeno fino all’apertura dei regali, e poi se non la sopporti più la togli. Okay, ragazzino? Intanto penso che quella maglietta sia tra gli indumenti da lavare, scegline un’altra!” Lo vide annuire e tornare verso la propria camera.
 
Era primo pomeriggio, Snow e David sarebbero arrivati da un momento all’altro per aiutare la figlia a ultimare gli ultimi preparativi, ed Emma era ancora totalmente a zero, senza idee e con un umore simile a quello di chi è in procinto di affrontare un’ardua prova di resistenza. La sua tensione era palpabile, i movimenti erano scattanti e nervosi. Mancavano circa tre ore all’arrivo degli ospiti, ma ogni minuto le sembrava passare come un fulmine. Lanciò uno sguardo circospetto tutt’attorno prima di accingersi a raggiungere la sua camera da letto, sospirando. Varcata la soglia, ignorò volutamente il disordine di vestiti sparsi sul suo letto e si diresse verso lo sgabuzzino arrangiato a cabina armadio incassato nella parete destra della stanza. Quasi tutti gli indumenti erano accatastati l’uno sopra l’altro sul materasso, dunque solo pochi reduci erano ancora appesi alle grucce. Senza pensarci, le braccia della bionda si avvolsero a questi ultimi, gettandoli sulla colonna informe di colori, tessuti e forme. Con le mani sui fianchi, Emma rimase ad osservare la confusionaria mole dinanzi a lei con espressione corrucciata.
Nello stesso istante il campanello dell’ingresso risuonò tra le pareti dell’abitazione.
 
“Vado io!”
Prima che la bionda potesse aver il tempo di voltarsi, il figlio era già sfrecciato attraverso il corridoio. Pochi secondi dopo, la sagoma della madre apparve sullo stipite della sua camera da letto.
 
“Ancora non sei pronta? Emma! Cosa è tutto questo disordine?!”
La sua espressione allarmata contribuì a peggiorare di gran lunga l’umore già pessimo della bionda.
 
“Sì, sì, lo so, il fatto è che non ho una dannata idea di cosa mettermi!” Sbuffò esasperata, indicando stancamente il cumulo di indumenti con la mano.
 
“Ehilà, tesoro! Dove le poso queste?”
Il volto rilassato e sorridente di David fece capolino dietro a Mary Margaret. Tra le mani stringeva tre larghi contenitori avvolti nella stagnola.
 
“Oh, ciao, David… beh, in cucina, credo…”
“David! Oh, dobbiamo spostare il tavolo in fondo alla sala, sistemare il salone, scaldare le torte…” Nel giro di qualche secondo, la brunetta farneticante si voltò verso il marito e lo spinse verso l’ingresso. “Emma, tesoro, torno tra qualche secondo! Intanto metti in ordine, qualcosa la troverai!”
 
Emettendo un gemito di frustrazione, Emma roteò gli occhi, si voltò nuovamente verso il letto stipato di roba, fissò per qualche istante gli indumenti con espressione corrucciata e si abbandonò, lasciandosi cadere di schiena sul materasso.
 
 
*
 
 
“Suvvia, Swan! Lo so che quella di tua madre era solo una scusa…”
Il volto ispido dell’uomo si contorse in ghigno indisponente, gli occhi azzurri irritabilmente incollati alla bionda. Nella sua unica mano era stretto un bicchiere colmo d’alchool, e il suo alito non lasciava dubbi sul fatto che fosse già il secondo che il pirata beveva. Il braccio dell’uncino era poggiato su un mobile di legno che Mary Margaret aveva tanto insistito Emma prendesse, e che ora era poggiato alla parete accanto alla porta che separava il corridoio e il resto della casa dall’ingresso.
Emma sospirò, esasperata, due dita premute sulla fronte aggrottata, le palpebre chiuse.
 
“Hook, ti prego, risparmiami.”
 
“Oh, a me non la dài a bere, ammettilo che non riesci a starmi lontana…”
 
La solita cantilena… perché a me?
Non pensava si sarebbe mai pentita tanto di aver baciato qualcuno, ma era in momenti come quelli che malauguratamente si ricredeva. Inspirò profondamente, sollevò il capo e sorrise falsamente.
 
“Penso che mi andrò a prendere qualcosa da bere.”
 
Si staccò dal muro contro al quale Hook l’aveva lentamente costretta ad appoggiarsi, dirigendosi verso la sua affidabile riserva di alchool. Entrò in cucina speditamente, lieta di essere riuscita a sfuggire alle grinfie del pirata, quando avvertì qualcuno tossicchiare alle sue spalle. Voltò il capo, incontrando due occhi castano chiaro e un’espressione incerta.
 
“Certe cose non cambieranno mai, eh?”
L’uomo sorrise, le mani infilate nelle tasche dei jeans, il peso del corpo tutto su una gamba.
 
“Io e le serate di famiglia non andiamo molto d’accordo, decisamente…”
Emma accennò un sorriso a mezze labbra, si avvicinò al bancone attaccato alla penisola, si piegò sulle ginocchia e aprì gli sportelli per terminare la sua ricerca. L’uomo alle sue spalle si schiarì la gola nuovamente e dopo pochi secondi disse:
 
“Emma, ascolta, io volevo…”
 
D’improvviso, il campanello trillò distintamente.
La donna sbuffò, bloccandosi, abbandonò il capo tra le braccia tese e mordendosi le labbra si erse e si incamminò rapidamente fuori dalla cucina.
 
“Scusa, Neal!”
Riuscì a dire nel suo cammino verso l’ingresso.
Giunta alla fine del corridoio, notò Hook bloccato nella stessa posizione di qualche minuto prima e sgranò le palpebre; non appena il pirata la vide tornare indietro sorrise, gli occhi lucidi e il volto paonazzo. Probabilmente il bicchiere che questi stringeva e sventolava pericolosamente in aria non era decisamente solo il secondo. Stava per aprire bocca, quando la bionda sovrastò la sua voce urlando a nessuno in particolare: “Apro io!” prima di superarlo, agguantare il pomello della porta bianca dell’ingresso, spalancarla per infilarsi nell’androne e richiudersela alle spalle in maniera decisa.
Sospirò, scuotendo la testa, e si avvicinò al portone d’ingresso, pronta ad accogliere il nuovo ospite, chiunque fosse.
 
Le venne quasi un colpo quando, aprendo la porta di casa, se la ritrovò davanti.
Era avvolta in un cappotto nero pesante, abbastanza corto da mostrare le gambe magre, toniche e lisce sotto le calze color carne. Le mani erano occupate da un’ingombrante teglia, una borsa nera pesava sul suo braccio destro. Il suo volto color caramello brillava sotto la luce dell’androne che le pietre nere di due piccoli orecchini pendenti catturavano, rendendo i suoi occhi scuri più brillanti e magnetici che mai. I capelli corti ricadevano morbidamente sulle sue spalle, sprigionando un lieve e gradevole aroma di vaniglia. Le labbra carnose erano appena colorite da un intenso e scuro rossetto porpora che metteva in risalto l’attraente cicatrice sul suo labbro superiore, ed erano distese innaturalmente, come il resto del volto, in un’espressione di simulata indifferenza e neutralità, in contrasto con le due calamite color cioccolato. Quando entrò, dopo essersi scusata per il ritardo, Emma istintivamente si protese verso di lei per alleggerire il carico che sembrava gravarle sulle braccia. Vide Regina schivarla ostentando noncuranza, e un groppo le si formò in gola mentre si sforzava di nascondere quanto stupidamente quel gesto l’avesse scoraggiata. La osservò sfilarsi il cappotto, mostrando la schiena rivestita e sagomata da un raffinato tubino bordeaux. Quando la bruna si voltò nuovamente a fronteggiarla, la donna notò – prima di poterlo evitare - quanto la scollatura fosse generosa. Il collo era nudo e slanciato, la pelle riluceva, vellutata, e vibrava all’articolarsi delle sue pliche vocali. Rapidamente, Emma si concentrò sulle sue iridi scure, in cerca di un appiglio per riuscire a ritrovare la razionalità – o almeno provarci.
 
“Dunque…?” La voce della bruna era interrogativa, in attesa. Emma sgranò gli occhi, la bocca improvvisamente arida e il cuore dal battito improvvisamente accelerato.
 
“Oh, sì, ma certo… accomodati!” Indicò la porta che divideva l’ingresso dal corridoio e fece per protendersi per stringere il pomello ed aprirla, ma qualcuno decise di risparmiarle la fatica.
 
“Emma?”
 
La voce e il volto di Hook fecero capolino dal corridoio, probabilmente desiderosi di continuare a imperversare su di lei come in precedenza. Trattenne un gemito di disperazione con fatica, e rimase immobile, osservando l’uomo interagire con Regina. Fortunatamente, gli occhi del pirata non sostarono sulla figura della bruna. Non ne ebbero il tempo, in realtà, considerando la velocità e la freddezza con le quali questa lo liquidò. Nel giro di pochi istanti, infatti, lo superò senza molte cerimonie, congelando la sua ridicola ilarità e sparendo nel corridoio.
Emma osservò immobile l’angolo dietro al quale Regina era appena sparita. Hook era tanto stordito che riuscì unicamente a recuperare il bicchiere sul fondo del quale vi era ancora qualche goccia di liquore per svuotarlo totalmente. La donna lo guardò sconcertata, prima di allontanarsi dall’ingresso, seguire i passi della bruna ed entrare nel salone.
 
 
*
 
 
“Magari più tardi…”
 
Le sue iridi cerulee non riuscivano a staccarsi dalla schiena di Regina. Il suo passo era rapido, deciso, preciso, concentrato. Un’aura di solitudine la circondava, le sue spalle erano lievemente curve, in raccoglimento. Un improvviso e incredibile desiderio di percorrere i metri che le separavano e di infrangere quella corazza impenetrabile e simultaneamente fragile dentro alla quale la donna si era affannosamente e disperatamente rinchiusa in quelle settimane la invase in maniera incontrollabile. Deglutì, stringendo i denti. Sentiva lo sguardo di Mary Margaret su di sé, ma non riusciva a – né voleva – distogliere gli occhi dalla bruna. Richiamando a sé tutto il proprio autocontrollo, si voltò verso la tavolata, incrociando gli occhi di Henry, che nel frattempo si era riavvicinato.
 
“Granny ha preparato tre sformati diversi! Ho preso una porzione di tutti e tre, spero che alla mamma… un momento, ma dov’è andata?” Si guardò intorno con la fronte aggrottata, scrutando il luogo in cui pochi minuti prima si stanziava Regina.
 
“E’ dovuta allontanarsi un attimo, piccolo.” Intervenì Mary Margaret, sorridendo. “Hai preso da bere?” Indicò l’estremità opposta del tavolo, sfiorandogli una spalla. Lui scosse la testa, addentando il primo boccone della nuova pietanza.
 
“Allora andiamo, su. Emma, tu vieni?” Lo sguardo di sua madre era ambiguo e imperscrutabile. Emma sbattè le palpebre, raddrizzò la schiena e tossì.
 
“Io… sì. Solo un attimo, ho bisogno di sistemarmi un momento. Voi andate, vi raggiungo subito.” Provò ad adottare il sorriso più convincente che possedeva prima di girare i tacchi e allontanarsi a passo svelto nella stessa direzione imboccata pochi secondi prima da Regina.

 





 
Angolo dell'Autrice:
Eccoci qui, non potevo attendere oltre! So che il capitolo è un po' più lunghetto dei precedenti, ma spero non vi stanchi e vi piaccia in ogni caso... qualora ci siano imprecisioni o errori, non esitate a farmeli presenti! Accetto qualsiasi tipo di critica, positiva, neutro, negativa... insomma, non fatevi mai problemi! Grazie mille sempre per seguire questa storia, spero piaccia a voi quanto sta piacendo a me scriverla :)
  
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