"Misted Over Window"
<< An ended love is like an "I love You" written on a misted over glass: slowly disappears, leaving the halo of a sweet memory. >>
Appoggiò la fronte sulla superficie fresca e liscia
della finestra, appannandola leggermente con ogni respiro. Dalla grondaia
pendevano ancora alcune goccioline di pioggia che attendevano il momento di
lasciarsi andare, riunendosi alle proprie compagne in una delle tante
pozzanghere sporche che riempivano le strade della città in quel periodo. Seguì
il temerario tuffo di alcune con lo sguardo, immaginandosi come una di loro,
piccole gocce d’acqua destinate ad un ciclo praticamente infinito, prima assieme
alle altre nel laghi, i fiumi o i mari, poi nelle nubi ed in fine nuovamente
sole, lanciate dal cielo fino a tornare al punto di partenza, chi semplicemente
lasciandosi cadere, chi scivolando lentamente sui tetti delle case, sulle
finestre, le macchine, le persone… su qualche sfortunato passante casualmente
senza ombrello, sui cappotti usati come protezioni di fortuna, sugli sguardi
infastiditi, annoiati o magari divertiti; sui volti… un po’ come le
lacrime.
Si passò velocemente la manica del maglione sugli occhi arrossati,
tentando di cancellare le tracce di un pianto durato troppo a lungo.
Pioveva
ininterrottamente da quasi tre mesi, uno di quei fenomeni atmosferici che
riempiono le pagine dei giornali o le televisioni di voci sconcertate di esperti
metereologi che preannunciano la distruzione sempre più vicina del nostro
ecosistema. Ma non pioveva solamente fuori dalla finestra…
la superfice
fredda che premeva contro il volto lo fece rabbrividire, ma non si mosse, non
aveva intenzione di voltarsi e vedere il disordine regnare nel piccolo
appartamento vuoto, non aveva intenzione di accorgersi di come tutto, ogni
sciocchezza, gli riportasse alla mente immagini che cercava di dimenticare;
perché la pioggia finisse.
Strizzò forte i
grandi occhi del colore del cielo, o almeno, del cielo prima di quei tre
interminabili mesi.
Il televisore acceso
dietro di lui riempiva il pesante silenzio con un leggero vociare perpetuo,
finchè le programmazioni non si fermarono per lasciare nuovamente spazio alle
previsioni del tempo.
Un allampanata
signorina dalla folta chioma rossa stava seduta dietro ad un bancone in una
posizione che doveva essere davvero scomoda. Due marcati segni sotto gli occhi
mal celati da un trucco abbondante lasciavano intendere quanto la sua vita in
quel periodo fosse terribile.
Si alzò gli
occhiali sul naso con una mano mentre iniziava ad informare l’intero Paese che
probabilmente quella pioggia sarebbe continuata ancora per molto a lungo, almeno
secondo fior di esperti. Passandosi con
esasperazione una mano tra i capelli carminio salutò i ‘gentili spettatori’,
lasciandoli alla visione dei programmi a seguito.
Sempre senza staccare il volto dalla finestra cercò
con la mano il telecomando sulla mensola vicina, trovandolo e azzittendo il
televisore con un gesto annoiato, tornando poi a concentrarsi su
altro.
Lungo la strada una sfilata quasi
elegante di ombrelli di ogni sorta si muoveva velocemente rincorrendo la propria
routine quotidiana, sui volti i segni della mancanza di un sole che non si
decideva a comparire.
Qualche dama, coperta
da lunghi e costosi cappotti firmati, si faceva strada velocemente tra la folla,
per evitare che la capigliatura appena acconciata dal parrucchiere fosse del
tutto rovinata dall’umidità e la pioggia, sgomitando con tutto il fastidio e
l’irascibilità possibili.
Un signore
grassoccio passeggiava con calma, stringendo con una mano il manico del proprio
ombrello, mentre con l’altra teneva una grossa ciambella piena di crema che
gustava con goduria, probabilmente facendo scorta di felicità per quando sarebbe
dovuto tornare a casa, a sentire le strida della moglie isterica o i pianti e le
urla dei cinque figli maschi, nati tutti sperando che fosse la volta di una
bambina.
Ricordò che prima dell’inizio di quella che ormai si
definiva la "stagione delle piogge", spesso sotto casa sua si vedevano molti
ragazzini giocare a pallone, si sentivano le risa e gli schiamazzi di bambini a
cui piaceva divertirsi con poco, che dalla vita desideravano solamente una palla
e qualche amico, un po’ di sole ed un parchetto e, magari, una mamma che li
accogliesse a casa, quando, stanchi delle proprie lotte quotidiane, tornavano a
casa, vincitori o sconfitti, con la loro buona dose di sbucciature sulle
ginocchia.
Ormai di quei bambini
schiamazzanti non rimaneva che un pallone sgonfio, abbandonato al lato di un
marciapiede, vittima ogni tanto degli scatti d’ira di qualche stressato
passante, che lo calciava, ancora un po’ più in là.
Anche a lui era sempre piaciuto giocare a pallone, da bambino.
Ma per lui non c’erano mai stati il
campetto, gli amici, né tantomeno la mamma.
Ma non era il solo, lui sapeva che c’era qualcun altro come lui, un
bambino solo, magari gli piaceva anche giocare a pallone.
Sbuffò sonoramente accorgendosi di come ci fosse cascato
un’altra volta, cercando di non pensare e di tornare a concentrarsi sulla vita
che proseguiva frenetica fuori dalla sua finestra.
Non ricordava l’ultima volta che era uscito di casa,
forse era accaduto un mese prima, forse solo pochi giorni prima o addirittura
quel giorno.
La sua vita procedeva, sempre
più vuota, fino a perdere la concezione del tempo, fino a dimenticare l’inizio
dello strazio, la prima lacrima… ma senza riuscire a scordarne il
motivo.
Era uscito, quella volta, senza
ombrello. Ma non aveva iniziato a correre a perdifiato per evitare di bagnarsi
come facevano gli altri, aveva passeggiato, lasciando che la pioggia scorresse
lenta su di lui, inzuppando i capelli del color del grano, lasciando che le
sottili goccioline si mescolassero alle sue lacrime, procedendo lento, tra la
folla.
Non gli interessava dove stesse
andando, semplicemente camminava, cercando di svuotare la mente e, ancora una
volta, di dimenticare.
Cosa lo spinse fino a
lì non avrebbe saputo dirlo, forse la nostalgia, o forse la voglia, dopotutto,
di farsi del male, di soffrire ancora.
Un’altra lacrima solcò il suo dolce viso, seguendo il contorno elegante
del volto, lungo le tre sottili cicatrici parallele, mentre le immagini di
quella grande residenza tornavano alla mente, così vuota, così
silenziosa.
Non l’aveva mai vista
completamente abitata, da che si poteva ricordare, era sempre stata quasi
deserta; quasi, perché c’era sempre stato Lui.
Rabbrividì, stringendo le braccia attorno al petto per procurarsi un
po’ di calore. Allungando distrattamente un braccio raggiunse lo schienale di
una sedia, sul quale giaceva abbandonato un maglione blu notte particolarmente
pesante.
Lo indossò con pochi gesti veloci,
tornando poi a posare il volto sulla finestra fredda.
Dal maglione proveniva un profumo familiare, dolorosamente
familiare. Cercò di non farci caso, continuando a fissare punti indefiniti
sull’asfalto nella strada sottostante, dove si susseguivano nel passaggio piedi
e calzature di persone diverse, tutte accomunate da una voglia matta di
rinchiudersi al più presto al caldo.
L’orologio sul campanile della chiesetta situata poche vie più in là
segnava ormai le sei del pomeriggio. Probabilmente, se ci fosse stato il sole, a
quell’ora starebbe tramontando, lasciando lentamente posto alla notte, al cielo
scuro, alle stelle e la candida e pura luna.
Aveva sempre amato la notte. Quando il silenzio scendeva sulla città,
le luci delle case si spegnevano e si illuminavano le luci del cielo si sentiva
estremamente bene, in pace con il mondo, con sé stesso.
Nelle lunghe notti in bianco restava a sporgersi sul
davanzale della finestra spalancata, lasciando che il vento sussurrasse per lui
una dolce ninna-nanna, facendosi cullare dai rumori di una città che si
addormentava, lentamente, insieme a lui.
Molti dei suoi ricordi erano legati alla notte, ma soprattutto il più
doloroso.
L’oscurità, il silenzio, tutto gli
riportava alla mente immagini di Lui, impedendogli, nonostate tutti i vani
tentativi, di dimenticare.
Non poteva evitare
che nella sua mente si materializzasse la sua figura, i suoi occhi scuri,
profondi, il suo viso pallido, i suoi movimenti aggraziati, le sue mani fredde e
un tantino ruvide dolcemente posate su di lui in lente carezze.
Fremeva, ricordando le sue labbra sottili che si posavano
sulle sue, in baci dolci o passionali, o quando si tendevano leggermente
all’insù in qualcuno dei suoi rarissimi sorrisi, dedicati solamente a
lui.
Si strinse forte nel maglione blu notte, affondando
la testa nelle spalle e stringendo forte gli occhi per evitare di tornare a
piangere. Doveva essere uomo, glielo diceva sempre. Non doveva avere paura,
doveva credere in sé stesso, doveva avere fiducia.
Lungo il marciapiede passò camminando lentamente un ragazzo. Aveva l’aria
stanca ed uno sguardo serio sul volto, mentre fissava un punto indistinto ai
suoi piedi.
Indossava un cappotto scuro e
lungo, nel quale cercava di nascondersi il più possibile, infilando le mani in
tasca e affondando la testa nella sciarpa, anch’essa scura. Non aveva un
ombrello, forse lo aveva dimenticato, o semplicemente preferiva così, e
continuava nella sua lenta passeggiata, ignaro di essere osservato da due occhi
chiarissimi sopra la sua testa.
Qualcosa in
quel ragazzo gli ricordava terribilmente di Lui, dirne il nome probabilmente lo
avrebbe fatto soffrire troppo, ma nella sua mente quel tipo imbacuccato sotto la
pioggia aveva tutta l’aria dello scontroso e distaccato moro, infastidito dal
temporale, ma troppo orgoglioso per abbassarsi a proteggersi con un
ombrello.
Il biondino sorrise leggermente tra
sé e sé, mentre, con la stessa calma con cui era arrivato, il ragazzo sparì dal
suo raggio visivo, proseguendo il suo viaggio per chissà quale
meta.
Non era lui, non poteva
esserlo.
Lui era partito, per sempre, se ne
era andato.
Non sarebbe tornato, non per
lui.
Aveva un grande compito nella sua vita,
glielo aveva sempre detto.
Ma lui non aveva
voluto credergli, non lo aveva ascoltato, troppo impegnato a godersi ogni
attimo, fino in fondo.
Ma ora non c’era
più.
E non sarebbe tornato, non per lui, era
troppo orgoglioso per farlo.
Un sorriso amaro
solcò il suo viso, segnato ormai dalla stanchezza delle notti passate senza
riuscire a chiudere occhio, per paura di addormentarsi e sognare qualcosa che
non avrebbe mai potuto avere.
La pioggia
cadeva, insistente, senza sosta, corrodendo gli animi delle persone, tirando
fuori la parte peggiore di loro, tutti i difetti, le paure, quello che cercavano
di nascondere, sotto un sottile strato di umanità, sciolto dal continuo
picchiettare… un po’ come le lacrime.
Uno sbuffo più forte degli altri appannò buona parte
del vetro freddo su cui ancora poggiava la fronte.
Si scostò appena un poco per osservare il sottile velo biancastro di
acqua che si era condensata sulla superficie, andandovi a tracciare lentamente
alcuni segni con il dito indice.
"Sa…"
Alla mente riaffiorarono ancora le immagini di lui, dei giorni che avevano trascorso assieme, quei momenti indimenticabili, sotto un cielo che ancora si poteva definire tale, dove l’unica cosa umida erano i loro baci più passionali e sul viso scorrevano solo lente carezze.
"…su…"
Il giorno del loro primo incontro lo ricordava alla
perfezione. Erano ancora così piccoli, così soli, senza un gran chè dalla vita.
Si erano odiati fin da subito, ma probabilmente questo è quello che volevano
credere, troppo spaventati all’idea che qualcosa di davvero bello stesse
accadendo nella loro vita. Si erano conosciuti, col tempo, un po’ per voglia, un
po’ per forza, uniti da uno stesso destino, che li aveva visti insieme nella
stessa squadra, condividendo una stessa vita.
Si erano amati, improvvisamente, o forse da sempre, perché solo insieme
potevano essere completi.
"…ke"
Ricordava perfettamente le sue mani ruvide e grandi
che stringevano le sue, più piccole, in una stretta forte ma allo stesso tempo
dolce, come la prima volta in cui avevano fatto l’amore… forte e
dolce.
Poteva ancora sentire i baci sulla sua
pelle accaldata, le parole che gli sussurrava all’orecchio, dicendogli di
amarlo, dicendogli che lo avrebbe amato per sempre.
Ma…Lui aveva un compito, glielo aveva sempre
detto.
Se ne era andato e non sarebbe
tornato, non per lui.
Fece un leggero passo indietro, mentre il dolore che
sentiva nel petto non gli lasciava nemmeno la forza di piangere, allungando le
mani fino ad aprire la finestra su cui era rimasto appoggiato per tutto quel
tempo.
Fuori pioveva. Constatazione
inutile.
Un muto urlo di sconforto chiedeva di uscire dalle
sue labbra serrate, mentre si sporgeva leggermente sul
davanzale.
Dalla strada giugevano ora tutti i
rumori della città, i clacson delle automobili in coda, il vociare irritato
delle persone o le urla di qualcuno che aveva deciso di sfogare la propria
rabbia su qualcun altro.
Anche lui sentiva
una grande rabbia, dentro, e adesso, più di ogni altra volta, pretendeva di
uscire.
Dalla finestra lasciata socchiusa di
un vicino di casa gungevano leggere le voci di un televisore, mentre tornava,
ancora, la voce dell’allampanata signorina dalla folta chioma
rossa.
<< Buon giorno, gentili telespettatori,
ci scusiamo per l’interruzione dei programmi…
>>
Si sporse ancora di
più, facendosi cullare dai forti rumori e dal vento freddo che soffiava forte
facendo volare via qualche cappello o ombrello dalle mani delle persone più
distratte.
Pensò a quanto sarebbe stato bello
poter porre fine al proprio dolore, volare via come uno di quei cappelli,
spostati dal vento e rubati alle mani dei più distratti.
<<…Recenti comunicazioni dall’istituto
meteorologico nazionale ci informano che…>>
Spostò lo sguardo sulla superficie di vetro della
finestra, su cui lentamente si stava cancellando la scritta del nome di Lui,
tornando ad essere solo una fugace illusione, un ricordo solo suo, ma così
doloroso.
Si sporse ancora maggiormente,
fissando l’asfalto sotto di sé come un bambino fissa un dolce o il pallone nuovo
che vorrebbe tanto possedere.
Anche lui aveva
sempre amato giocare a pallone; qualche volta avevano giocato insieme, loro due,
a pallone. Aveva sempre vinto lui… era sempre stato il più bravo, in tutto. Era
sempre stato il suo idolo.
Chiuse gli occhi
azzurri sul grigio spettro di un mondo che sembrava essersene andato da molto
tempo, doldolandosi leggermente sul bordo, si potrebbe dire del davanzale, forse
sarebbe meglio il bordo tra la vita e la morte.
La sofferenza e la pace.
La sua vita
era sempre stato Lui, tutta, dal primo all’ultimo attimo. Dunque, perché restare
lì se la sua vita non c’era più? In fondo, lui era già morto.
Perché non abbandonare questo involucro di sofferenza ed
insicurezza rimasto senza uno scopo?
<<…Le piogge torrenziali che continuano ormai da troppo tempo e che stanno causando gravi scompigli nell’ecosistema terrestre…>>
Sospirò pesantemente. Forse andarsene sarebbe stata
la scelta migliore. Sasuke non c’era più, non sarebbe mai tornato, non per lui,
era troppo orgoglioso per farlo.
Lui aveva un
compito.
Naruto invece non aveva più nulla,
non uno scopo.
Per quale motivo allora non
avrebbe dovuto lasciare tutto?
Si dondolò un
ultima volta, il vento sembrava soffiare ancora più forte e le gocce di pioggia
avevano ormai bagnato completamente i corti capelli biondi. Improvvisamente
capì…
Si tirò indietro.
Con un gesto veloce chiuse la finestra.
Sulla superficie liscia del vetro ancora si stava cancellando sempre più
in fretta il Suo nome sulla parte appannata.
Con una leggera e affettuosa carezza cancellò quel poco che rimaneva,
soffiando nuovamente perché si appannasse ancora.
Con l’indice tracciò velocemente alcuni segni, voltando poi le spalle
alla finestra e andandosi a sedere sulla poltrona del piccolo salotto,
avvolgendosi nel maglione blu notte per procurarsi un po’ di calore.
<<…Stanno per finire da qui a pochi giorni, il sole tornerà a splendere signori, finalmente l’incubo è finito.>>
Sasuke non c’era più, ora rimanevano solamente dei segni scritti velocemente sulla superficie appannata, flebili e leggeri, ma c’erano: "Naruto"
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Scusatemi questa botta di depressione improvvisa non molto consona al meraviglioso periodo della fine della scuola... spero che in ogni caso vi sia piaciuta almeno un pò e che mi diate il vostro parere su questa fic un pò strana di cui sinceramente non sono molto convinta...
La affido al vostro parere^^
Grazie mille a chi se l'è sorbita fino alla fine!^^
MIKI.
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