Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: mikichan17    08/06/2008    3 recensioni
<< Un amore finito è come un "Ti amo" scritto su un vetro appannato: lentamente scompare, lasciando il sentore di un dolce ricordo. >>
Pioveva ininterrottamente da quasi tre mesi, ma non pioveva solo fuori dalla finestra...
[NaruSasu]
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
mist over wind

"Misted Over Window"

<< An ended love is like an "I love You" written on a misted over glass: slowly disappears, leaving the halo of a sweet memory. >>

 

 

Appoggiò la fronte sulla superficie fresca e liscia della finestra, appannandola leggermente con ogni respiro. Dalla grondaia pendevano ancora alcune goccioline di pioggia che attendevano il momento di lasciarsi andare, riunendosi alle proprie compagne in una delle tante pozzanghere sporche che riempivano le strade della città in quel periodo. Seguì il temerario tuffo di alcune con lo sguardo, immaginandosi come una di loro, piccole gocce d’acqua destinate ad un ciclo praticamente infinito, prima assieme alle altre nel laghi, i fiumi o i mari, poi nelle nubi ed in fine nuovamente sole, lanciate dal cielo fino a tornare al punto di partenza, chi semplicemente lasciandosi cadere, chi scivolando lentamente sui tetti delle case, sulle finestre, le macchine, le persone… su qualche sfortunato passante casualmente senza ombrello, sui cappotti usati come protezioni di fortuna, sugli sguardi infastiditi, annoiati o magari divertiti; sui volti… un po’ come le lacrime.
Si passò velocemente la manica del maglione sugli occhi arrossati, tentando di cancellare le tracce di un pianto durato troppo a lungo.
Pioveva ininterrottamente da quasi tre mesi, uno di quei fenomeni atmosferici che riempiono le pagine dei giornali o le televisioni di voci sconcertate di esperti metereologi che preannunciano la distruzione sempre più vicina del nostro ecosistema. Ma non pioveva solamente fuori dalla finestra…
la superfice fredda che premeva contro il volto lo fece rabbrividire, ma non si mosse, non aveva intenzione di voltarsi e vedere il disordine regnare nel piccolo appartamento vuoto, non aveva intenzione di accorgersi di come tutto, ogni sciocchezza, gli riportasse alla mente immagini che cercava di dimenticare; perché la pioggia finisse.
Strizzò forte i grandi occhi del colore del cielo, o almeno, del cielo prima di quei tre interminabili mesi.
Il televisore acceso dietro di lui riempiva il pesante silenzio con un leggero vociare perpetuo, finchè le programmazioni non si fermarono per lasciare nuovamente spazio alle previsioni del tempo.
Un allampanata signorina dalla folta chioma rossa stava seduta dietro ad un bancone in una posizione che doveva essere davvero scomoda. Due marcati segni sotto gli occhi mal celati da un trucco abbondante lasciavano intendere quanto la sua vita in quel periodo fosse terribile.
Si alzò gli occhiali sul naso con una mano mentre iniziava ad informare l’intero Paese che probabilmente quella pioggia sarebbe continuata ancora per molto a lungo, almeno secondo fior di esperti. Passandosi con esasperazione una mano tra i capelli carminio salutò i ‘gentili spettatori’, lasciandoli alla visione dei programmi a seguito.

Sempre senza staccare il volto dalla finestra cercò con la mano il telecomando sulla mensola vicina, trovandolo e azzittendo il televisore con un gesto annoiato, tornando poi a concentrarsi su altro.
Lungo la strada una sfilata quasi elegante di ombrelli di ogni sorta si muoveva velocemente rincorrendo la propria routine quotidiana, sui volti i segni della mancanza di un sole che non si decideva a comparire.
Qualche dama, coperta da lunghi e costosi cappotti firmati, si faceva strada velocemente tra la folla, per evitare che la capigliatura appena acconciata dal parrucchiere fosse del tutto rovinata dall’umidità e la pioggia, sgomitando con tutto il fastidio e l’irascibilità possibili.
Un signore grassoccio passeggiava con calma, stringendo con una mano il manico del proprio ombrello, mentre con l’altra teneva una grossa ciambella piena di crema che gustava con goduria, probabilmente facendo scorta di felicità per quando sarebbe dovuto tornare a casa, a sentire le strida della moglie isterica o i pianti e le urla dei cinque figli maschi, nati tutti sperando che fosse la volta di una bambina.

Ricordò che prima dell’inizio di quella che ormai si definiva la "stagione delle piogge", spesso sotto casa sua si vedevano molti ragazzini giocare a pallone, si sentivano le risa e gli schiamazzi di bambini a cui piaceva divertirsi con poco, che dalla vita desideravano solamente una palla e qualche amico, un po’ di sole ed un parchetto e, magari, una mamma che li accogliesse a casa, quando, stanchi delle proprie lotte quotidiane, tornavano a casa, vincitori o sconfitti, con la loro buona dose di sbucciature sulle ginocchia.
Ormai di quei bambini schiamazzanti non rimaneva che un pallone sgonfio, abbandonato al lato di un marciapiede, vittima ogni tanto degli scatti d’ira di qualche stressato passante, che lo calciava, ancora un po’ più in là.
Anche a lui era sempre piaciuto giocare a pallone, da bambino.
Ma per lui non c’erano mai stati il campetto, gli amici, né tantomeno la mamma.
Ma non era il solo, lui sapeva che c’era qualcun altro come lui, un bambino solo, magari gli piaceva anche giocare a pallone.
Sbuffò sonoramente accorgendosi di come ci fosse cascato un’altra volta, cercando di non pensare e di tornare a concentrarsi sulla vita che proseguiva frenetica fuori dalla sua finestra.

Non ricordava l’ultima volta che era uscito di casa, forse era accaduto un mese prima, forse solo pochi giorni prima o addirittura quel giorno.
La sua vita procedeva, sempre più vuota, fino a perdere la concezione del tempo, fino a dimenticare l’inizio dello strazio, la prima lacrima… ma senza riuscire a scordarne il motivo.
Era uscito, quella volta, senza ombrello. Ma non aveva iniziato a correre a perdifiato per evitare di bagnarsi come facevano gli altri, aveva passeggiato, lasciando che la pioggia scorresse lenta su di lui, inzuppando i capelli del color del grano, lasciando che le sottili goccioline si mescolassero alle sue lacrime, procedendo lento, tra la folla.
Non gli interessava dove stesse andando, semplicemente camminava, cercando di svuotare la mente e, ancora una volta, di dimenticare.
Cosa lo spinse fino a lì non avrebbe saputo dirlo, forse la nostalgia, o forse la voglia, dopotutto, di farsi del male, di soffrire ancora.
Un’altra lacrima solcò il suo dolce viso, seguendo il contorno elegante del volto, lungo le tre sottili cicatrici parallele, mentre le immagini di quella grande residenza tornavano alla mente, così vuota, così silenziosa.
Non l’aveva mai vista completamente abitata, da che si poteva ricordare, era sempre stata quasi deserta; quasi, perché c’era sempre stato Lui.

Rabbrividì, stringendo le braccia attorno al petto per procurarsi un po’ di calore. Allungando distrattamente un braccio raggiunse lo schienale di una sedia, sul quale giaceva abbandonato un maglione blu notte particolarmente pesante.
Lo indossò con pochi gesti veloci, tornando poi a posare il volto sulla finestra fredda.
Dal maglione proveniva un profumo familiare, dolorosamente familiare. Cercò di non farci caso, continuando a fissare punti indefiniti sull’asfalto nella strada sottostante, dove si susseguivano nel passaggio piedi e calzature di persone diverse, tutte accomunate da una voglia matta di rinchiudersi al più presto al caldo.
L’orologio sul campanile della chiesetta situata poche vie più in là segnava ormai le sei del pomeriggio. Probabilmente, se ci fosse stato il sole, a quell’ora starebbe tramontando, lasciando lentamente posto alla notte, al cielo scuro, alle stelle e la candida e pura luna.

Aveva sempre amato la notte. Quando il silenzio scendeva sulla città, le luci delle case si spegnevano e si illuminavano le luci del cielo si sentiva estremamente bene, in pace con il mondo, con sé stesso.
Nelle lunghe notti in bianco restava a sporgersi sul davanzale della finestra spalancata, lasciando che il vento sussurrasse per lui una dolce ninna-nanna, facendosi cullare dai rumori di una città che si addormentava, lentamente, insieme a lui.
Molti dei suoi ricordi erano legati alla notte, ma soprattutto il più doloroso.
L’oscurità, il silenzio, tutto gli riportava alla mente immagini di Lui, impedendogli, nonostate tutti i vani tentativi, di dimenticare.
Non poteva evitare che nella sua mente si materializzasse la sua figura, i suoi occhi scuri, profondi, il suo viso pallido, i suoi movimenti aggraziati, le sue mani fredde e un tantino ruvide dolcemente posate su di lui in lente carezze.
Fremeva, ricordando le sue labbra sottili che si posavano sulle sue, in baci dolci o passionali, o quando si tendevano leggermente all’insù in qualcuno dei suoi rarissimi sorrisi, dedicati solamente a lui.

Si strinse forte nel maglione blu notte, affondando la testa nelle spalle e stringendo forte gli occhi per evitare di tornare a piangere. Doveva essere uomo, glielo diceva sempre. Non doveva avere paura, doveva credere in sé stesso, doveva avere fiducia.
Lungo il marciapiede passò camminando lentamente un ragazzo. Aveva l’aria stanca ed uno sguardo serio sul volto, mentre fissava un punto indistinto ai suoi piedi.
Indossava un cappotto scuro e lungo, nel quale cercava di nascondersi il più possibile, infilando le mani in tasca e affondando la testa nella sciarpa, anch’essa scura. Non aveva un ombrello, forse lo aveva dimenticato, o semplicemente preferiva così, e continuava nella sua lenta passeggiata, ignaro di essere osservato da due occhi chiarissimi sopra la sua testa.
Qualcosa in quel ragazzo gli ricordava terribilmente di Lui, dirne il nome probabilmente lo avrebbe fatto soffrire troppo, ma nella sua mente quel tipo imbacuccato sotto la pioggia aveva tutta l’aria dello scontroso e distaccato moro, infastidito dal temporale, ma troppo orgoglioso per abbassarsi a proteggersi con un ombrello.
Il biondino sorrise leggermente tra sé e sé, mentre, con la stessa calma con cui era arrivato, il ragazzo sparì dal suo raggio visivo, proseguendo il suo viaggio per chissà quale meta.
Non era lui, non poteva esserlo.
Lui era partito, per sempre, se ne era andato.
Non sarebbe tornato, non per lui.
Aveva un grande compito nella sua vita, glielo aveva sempre detto.
Ma lui non aveva voluto credergli, non lo aveva ascoltato, troppo impegnato a godersi ogni attimo, fino in fondo.
Ma ora non c’era più.
E non sarebbe tornato, non per lui, era troppo orgoglioso per farlo.
Un sorriso amaro solcò il suo viso, segnato ormai dalla stanchezza delle notti passate senza riuscire a chiudere occhio, per paura di addormentarsi e sognare qualcosa che non avrebbe mai potuto avere.
La pioggia cadeva, insistente, senza sosta, corrodendo gli animi delle persone, tirando fuori la parte peggiore di loro, tutti i difetti, le paure, quello che cercavano di nascondere, sotto un sottile strato di umanità, sciolto dal continuo picchiettare… un po’ come le lacrime.

Uno sbuffo più forte degli altri appannò buona parte del vetro freddo su cui ancora poggiava la fronte.
Si scostò appena un poco per osservare il sottile velo biancastro di acqua che si era condensata sulla superficie, andandovi a tracciare lentamente alcuni segni con il dito indice.

"Sa…"

Alla mente riaffiorarono ancora le immagini di lui, dei giorni che avevano trascorso assieme, quei momenti indimenticabili, sotto un cielo che ancora si poteva definire tale, dove l’unica cosa umida erano i loro baci più passionali e sul viso scorrevano solo lente carezze.

"…su…"

Il giorno del loro primo incontro lo ricordava alla perfezione. Erano ancora così piccoli, così soli, senza un gran chè dalla vita. Si erano odiati fin da subito, ma probabilmente questo è quello che volevano credere, troppo spaventati all’idea che qualcosa di davvero bello stesse accadendo nella loro vita. Si erano conosciuti, col tempo, un po’ per voglia, un po’ per forza, uniti da uno stesso destino, che li aveva visti insieme nella stessa squadra, condividendo una stessa vita.
Si erano amati, improvvisamente, o forse da sempre, perché solo insieme potevano essere completi.

"…ke"

Ricordava perfettamente le sue mani ruvide e grandi che stringevano le sue, più piccole, in una stretta forte ma allo stesso tempo dolce, come la prima volta in cui avevano fatto l’amore… forte e dolce.
Poteva ancora sentire i baci sulla sua pelle accaldata, le parole che gli sussurrava all’orecchio, dicendogli di amarlo, dicendogli che lo avrebbe amato per sempre.
Ma…
Lui aveva un compito, glielo aveva sempre detto.
Se ne era andato e non sarebbe tornato, non per lui.

Fece un leggero passo indietro, mentre il dolore che sentiva nel petto non gli lasciava nemmeno la forza di piangere, allungando le mani fino ad aprire la finestra su cui era rimasto appoggiato per tutto quel tempo.

Fuori pioveva. Constatazione inutile.

Un muto urlo di sconforto chiedeva di uscire dalle sue labbra serrate, mentre si sporgeva leggermente sul davanzale.
Dalla strada giugevano ora tutti i rumori della città, i clacson delle automobili in coda, il vociare irritato delle persone o le urla di qualcuno che aveva deciso di sfogare la propria rabbia su qualcun altro.
Anche lui sentiva una grande rabbia, dentro, e adesso, più di ogni altra volta, pretendeva di uscire.
Dalla finestra lasciata socchiusa di un vicino di casa gungevano leggere le voci di un televisore, mentre tornava, ancora, la voce dell’allampanata signorina dalla folta chioma rossa.

<< Buon giorno, gentili telespettatori, ci scusiamo per l’interruzione dei programmi… >>

Si sporse ancora di più, facendosi cullare dai forti rumori e dal vento freddo che soffiava forte facendo volare via qualche cappello o ombrello dalle mani delle persone più distratte.
Pensò a quanto sarebbe stato bello poter porre fine al proprio dolore, volare via come uno di quei cappelli, spostati dal vento e rubati alle mani dei più distratti.

<<…Recenti comunicazioni dall’istituto meteorologico nazionale ci informano che…>>

Spostò lo sguardo sulla superficie di vetro della finestra, su cui lentamente si stava cancellando la scritta del nome di Lui, tornando ad essere solo una fugace illusione, un ricordo solo suo, ma così doloroso.
Si sporse ancora maggiormente, fissando l’asfalto sotto di sé come un bambino fissa un dolce o il pallone nuovo che vorrebbe tanto possedere.
Anche lui aveva sempre amato giocare a pallone; qualche volta avevano giocato insieme, loro due, a pallone. Aveva sempre vinto lui… era sempre stato il più bravo, in tutto. Era sempre stato il suo idolo.
Chiuse gli occhi azzurri sul grigio spettro di un mondo che sembrava essersene andato da molto tempo, doldolandosi leggermente sul bordo, si potrebbe dire del davanzale, forse sarebbe meglio il bordo tra la vita e la morte.
La sofferenza e la pace.
La sua vita era sempre stato Lui, tutta, dal primo all’ultimo attimo. Dunque, perché restare lì se la sua vita non c’era più? In fondo, lui era già morto.
Perché non abbandonare questo involucro di sofferenza ed insicurezza rimasto senza uno scopo?

<<…Le piogge torrenziali che continuano ormai da troppo tempo e che stanno causando gravi scompigli nell’ecosistema terrestre…>>

Sospirò pesantemente. Forse andarsene sarebbe stata la scelta migliore. Sasuke non c’era più, non sarebbe mai tornato, non per lui, era troppo orgoglioso per farlo.
Lui aveva un compito.
Naruto invece non aveva più nulla, non uno scopo.
Per quale motivo allora non avrebbe dovuto lasciare tutto?
Si dondolò un ultima volta, il vento sembrava soffiare ancora più forte e le gocce di pioggia avevano ormai bagnato completamente i corti capelli biondi. Improvvisamente capì…

Si tirò indietro.
Con un gesto veloce chiuse la finestra.
Sulla superficie liscia del vetro ancora si stava cancellando sempre più in fretta il Suo nome sulla parte appannata.
Con una leggera e affettuosa carezza cancellò quel poco che rimaneva, soffiando nuovamente perché si appannasse ancora.
Con l’indice tracciò velocemente alcuni segni, voltando poi le spalle alla finestra e andandosi a sedere sulla poltrona del piccolo salotto, avvolgendosi nel maglione blu notte per procurarsi un po’ di calore.

<<…Stanno per finire da qui a pochi giorni, il sole tornerà a splendere signori, finalmente l’incubo è finito.>>

Sasuke non c’era più, ora rimanevano solamente dei segni scritti velocemente sulla superficie appannata, flebili e leggeri, ma c’erano: "Naruto"

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Scusatemi questa botta di depressione improvvisa non molto consona al meraviglioso periodo della fine della scuola... spero che in ogni caso vi sia piaciuta almeno un pò e che mi diate il vostro parere su questa fic un pò strana di cui sinceramente non sono molto convinta...

La affido al vostro parere^^

Grazie mille a chi se l'è sorbita fino alla fine!^^

MIKI.

 

This Web Page Created with PageBreeze Free HTML Editor

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: mikichan17