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Autore: funklou    26/01/2014    24 recensioni
Al Norwest Christian College le cose vanno così: o sei popolare, o non sei nessuno.
Ma c'è anche chi, oltre ad essere popolare, è anche misterioso, quasi pericoloso. E nessuno sta vicino al pericolo.
Tutti sapevano quello che Luke Hemmings e i suoi amici avevano fatto.
Ricordatevi solo una cosa: le scommesse e i segreti hanno conseguenze.
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Dal secondo capitolo:
"A me, invece, non sembri un tipo così pericoloso. Forse strano" affermò Avril, senza distogliere l'attenzione dal suo libro.
"Due." Si guardò intorno, in cerca di un banco libero.
"Due?"
"Due."
"Cosa significa?" Alzò lo sguardo e lo guardò confusa.
"Sinceramente? Nulla. Quando non so cosa rispondere, o quando non voglio rispondere, dico due." Scrollò le spalle, come se fosse la cosa più ovvia e si allontanò.
"Questo conferma la mia teoria, Hemmings."
Doped!Luke
Scene di droga esplicite. Se ne siete sensibili, non aprite.
Il trailer di Two: http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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True.

Aveva dei piccoli mostriciattoli che si aggiravano per lo stomaco, mentre guardava Michael ed Ashton. Non volle nasconderli, non quella volta. Infatti, Luke non smise di piangere.
Vedere quell'abbraccio gli fece male, forse perché mancava solo lui, effettivamente. Ma le cicatrici più profonde sono quelle più lente a guarire. E Luke si sentì così nero, in quel momento, che dovette abbassare le palpebre ed immaginarsi di essere in qualsiasi posto, fuorché nel salotto di Calum. 
"Mi sei mancato." disse Ashton.
Non si sentì nessuna risposta da parte di Michael, se non il cellulare che riprese a squillare. Poi percepì una mano posarsi sulla coscia e, quando riaprì gli occhi, Calum lo stava fissando con fare preoccupato. Luke non ebbe modo di esprimere emozioni tramite quei suoi pozzi azzurri, sapeva di avere un viso impassibile. 
Probabilmente, solo Ashton sarebbe stato in grado di decifrarlo. 
Ashton rispose alla chiamata. Urlò, si arrabbiò, mise su la sua solita faccia da incazzato e strinse forte la mano in un pugno. 
Se lo ricordava esattamente così. Non era cambiato per niente, nei suoi modi di fare. Erano cambiati solo i capelli, adesso ricci, e si era alzato, sì, ma ora Luke era più alto di lui. Questa cosa era buffa, perché due anni fa non lo avrebbe raggiunto nemmeno alzandosi in piedi. 
"Devo tornare a Sydney." annunciò, dopo aver terminato la chiamata. 
Gli occhi di Luke, Avril, Michael e di Calum erano puntati su di lui. Luke sentì chiaramente qualcosa scricchiolare dentro di lui. E allora lo capì: non voleva toccarlo, o parlargli, ma non voleva neanche che se ne andasse. 
Michael allungò un braccio, ma subito lo rifece cadere lungo il fianco e abbassò la testa. A Luke non sfuggì quel particolare. 
"Adesso?" gli chiese Calum. 
"Sono scappato da Sydney senza dire niente, quindi credo di sì. E credo anche che Avril debba venire con me." 
"No."
Quel 'no' uscì forse troppo forte, a Luke. Forse troppo ansioso, affrettato, ma non se ne pentì. Non potevano togliergli anche Avril, non ora che costruiva gran parte della sua base d'appoggio per non cadere del tutto nel nero, per non essere inghiottito. 
Sentiva lo sguardo di Avril bruciargli addosso. 
"Okay. Mia madre mi ha organizzato tutto il viaggio di ritorno, parto stanotte." disse Ashton.
"Tornerai?" domandò Calum. 
Ashton guardò per terra, passò una mano tremante tra i capelli e "Non ha senso, fin quando non tornerà anche lui." gli rispose.
Non fece nome, lasciò tutto sottinteso. Poi Ashton si girò, e diede loro le spalle. Camminò fino alla porta, e Luke contò i passi. Ne fece sette. Si fermò un'ultima volta e "Lo dici ancora?" chiese a Luke. 
"Cosa?"
"Due."
"Sì."
Poi Ashton se ne andò.
No. Non fa niente, Ash. Richiudi la porta, torna indietro. Posso far finta di non averli vissuti, questi due anni. E non fa niente se mi rubavi le magliette che più ti piacevano nel mio armadio, se mi hai perso il motorino, se tardavi agli appuntamenti al bronx. Non fa niente anche se mi hai spento mentre ti portavano via con l'ambulanza, se mi sono piantato il primo ago nelle vene pensando a te, se non so più vivere una vita non dimezzata. Non fa niente, ma adesso smettila di continuare a camminare in avanti, torna indietro. Non mi escono le parole, lo giuro, ma capiscimi
Seguì i suoi passi ininterrotti dal vetro scoperto della finestra e, ad ogni falcata, le immagini del lago si facevano sempre più nitide. 
Lo stava perdendo di nuovo.
Eppure, aveva il corpo atrofizzato. Non riusciva a muoversi, congelato dalla paura di perdonare e soffocare i ricordi del dolore. Non riusciva a parlare, spaventato dalla voglia di chiedere di restare. 
Restare. Un verbo che Luke aveva bandito da troppo tempo. Faceva paura, metteva i brividi. Restare è un compito difficile per l'uomo, che spesso non si riesce a superare. E, quando si perde, la gente se ne va via trascinando dietro di sé decisamente troppa dose di mancanze. La gente non sa restare. E Luke non sa andarsene, non sa andarsene mai. Lui sta lì, aspetta che qualcuno si accorga di lui, e in ogni caso gli andrà bene. Il problema non arriva quando la gente gli si attacca, ma quando lo abbandona. Gli portano via pezzi di se stesso, e lui si ritrova a brandelli. Alla sera, Luke è impegnato a contarsi. 
E, da quando Ashton è tornato, i pezzi da contare sono sempre meno.
Tornare. Questo verbo, invece, è una novità. Luke non l'aveva mai provato, ma faceva piuttosto male anche questo. 
Avril lo abbracciò. Non lo faceva spesso, quel gesto di circondarlo con le sue esili braccia. Automaticamente, anche lui ricambiò. 
"Mi dispiace." gli confessò flebilmente. 
Immerse il viso tra i suoi capelli, che profumavano di shampoo, e restò con gli occhi aperti, intento ad osservare qualcosa davanti a sé.
Avril gli accarezzò la schiena, e Luke si fece sfuggire qualche lacrima. Lacrime che sapevano un'altra volta di Ashton, che testimoniavano il male che aveva dentro, che straripava da tempo. 

Era sera. Il tempo scorreva troppo velocemente, scandito dall'ansia di doversi lasciare. Era per questo che Luke stringeva forte a sé Avril, che sembrava esser così piccola e minuta. Coi capelli biondi sparsi per il cuscino, il respiro leggero, il viso rilassato.
Avril era bella. 
Luke era impegnato ad accarezzarle la schiena bianca e liscia, con un movimento lento e delicato, quasi ipnotizzante. Avril incastrava la sua mano nei capelli di Luke, la estraeva e poi ricominciava. Ogni tanto, quando si soffermava di più a guardarlo negli occhi, gli lasciava dei dolci baci sulle labbra, e lui sorrideva timidamente. 
Erano belli, Luke ed Avril. 
Isolati dal resto del mondo, in una camera che non era loro, quei due riuscivano a raccogliere tutti i problemi e a metterli da parte. 
"Mi piacciono i tuoi occhi." gli confessò Avril, dopo tutto quel tempo speso a contemplarli. 
Luke, come risposta, intrecciò la mano nella sua. 
Sentiva quel familiare fastidio allo stomaco, che non faceva più paura, se tra le sue braccia c'era Avril. Nonostante fosse totalmente nero, schiacciato dal male, e nonostante fosse scappato dalla clinica, Luke sentiva di essere giusto, nel posto giusto.
"Non andartene anche tu." le disse a bassa voce, con un sussurro debole, udibile solo dalla ragazza. 
Avril non rispose. Si strinse solo di più a lui. E a Luke iniziò a martellare il cuore nel petto, a sentire il sangue pulsare nelle vene, a respirare più velocemente. 
"Avril..." la chiamò con una voce colma di terrore. "Non farlo." 
Le spostò il ciuffo dietro l'orecchio, le prese il viso tra le mani ed esaminò quel volto così fine, ed al contempo sofferente.
"Mia madre mi starà cercando ovunque, tu lo sai." 
Al suo interno, delle mani scavavano buchi che probabilmente nessuno avrebbe più colmano. 
Allora Luke cominciò a sfiorarla con le dita, centimetro per centimetro, per scoprire un corpo che forse non avrebbe più avuto l'occasione di toccare. Lo faceva con passione, non aggressione. Lo faceva con paura, terrore, come se Avril gli stesse sfuggendo proprio in quegli attimi.
Le baciò le labbra, il collo, le clavicole, ogni porzione di pelle visibile. E, in quel momento, si accorse di aver avuto davanti un qualcosa che aveva sempre desiderato, ma che non si era mai preso. 
Strinse la maglia di Avril ai bordi, poi puntò lo sguardo nel suo. La vide impassibile, forse concentrata nel non distaccarsi dal mondo. Luke le sorrise, mostrando le fossette, e lei sembrò più rilassata. La privò della maglia, e continuò a baciarla, ad accarezzarla, ad amarla tramite quei piccoli gesti. Andò alla ricerca del bottone dei jeans che Avril stava indossando e, mentre le loro lingue si rincorrevano, glieli sfilò.
Avril aveva la pelle d'oca, Luke lo poteva vedere. Era come se si distruggesse sotto al suo tocco, come se la pelle, al contatto con la sua, si ricoprisse di tanti brividi. Eppure, lui sentiva il suo corpo bruciare, ardere solo per lei. 
Successivamente, Luke le prese le mani e le condusse alla fine della sua maglia, per aiutarla a sbloccarsi. Avril, tremante, gliela sfilò lentamente. 
"Rilassati." le disse, catturando il suo labbro inferiore. 
Luke sentiva di star facendo qualcosa di maledettamente grande, in quel momento. Qualcosa che li avrebbe rivoluzionati, che avrebbe spazzato via un po' del calcare attaccato al suo cuore. Sentiva l'importanza di quella sera, l'importanza che Avril aveva nella sua vita.
Non l'avrebbe sbattuta al muro, non l'avrebbe guardata male, non l'avrebbe odiata con le parole, questa volta. Quello era il passato. 
Luke ci avrebbe fatto l'amore, con Avril. 

La notte stessa, Luke non stava bene con se stesso, con il mondo, con Ashton. Si alzò dal letto, avvertendo il freddo delle piastrelle a contatto coi piedi. Osservò Avril, così bella e serena con gli occhi chiusi, avvolta da un lenzuolo bianco. 
Con addosso solo i boxer, attraversò la camera, arrivò al comodino e, dopo aver preso una sigaretta e l'accendino, uscì sul balcone. Non percepì più di tanto il vento che si scontrò su di lui, perché tutta l'ansia che aveva in corpo lo rendeva incandescente. Aveva una matta voglia di bucarsi, di iniettarsi l'ultimo quartino di eroina, ma aveva imparato a controllarsi, e a reprimere la voglia con il fumo. Cominciò ad aspirare dal filtro, contemplando il panorama che aveva davanti.
La città, di notte, può quasi sembrare rilassante. Vedeva macchine passare ogni due minuti, e si chiedeva da chi fossero dirette le persone al volante. Probabilmente anche lui ora sarebbe dovuto essere una di quelle, con il piede sull'acceleratore, a riprendersi ciò che non avrebbe più avuto il coraggio di rinunciare.
Fece un ultimo tiro, e il mozzicone volò giù dal balcone. Osservò tutto il suo tragitto, e in quel momento capì. Non era tutto andato perso. 
Rientrò in camera frettolosamente, camminò sul pavimento gelato, inciampando sul lenzuolo per terra, ed accese la luce. Si vestì e si avvicinò ad Avril. Pose una mano sulla sua spalla e "Avril." cercò di svegliarla.
La scosse un po', e lei emise dei mugoli di protesta.
"Avril, svegliati, dobbiamo andare all'aeroporto." 
Si mosse lentamente, ed aprì gli occhi con la stessa lentezza. Con le palpebre ancora socchiuse e la voce roca dal sonno, "Cosa stai dicendo?" gli chiese.
"Andiamo a prendere Ashton."
Avril si passò una mano sugli occhi, infastidita dalla luce e si stiracchiò. 
"In che valigia hai i vestiti?" le domandò poi, allontanandosi dal letto.
"Quella blu. Ma lascia stare, faccio io." 
Avril si stava per alzare, quando "No, resta lì. Te li porto io." si oppose Luke. 
Lei si arrese, rimanendo sul letto, e Luke frugò nella valigia. Trovò una camicia scozzese, un paio di leggins e decise che poteva andare bene. "Stai bene, comunque?"
Luke non si era mai preoccupato di informarsi sulle condizioni delle ragazze con cui aveva fatto sesso. Eppure, con Avril era diverso. Lo sentiva. Sentiva il legame che li univa, ora più che mai, e non poteva di certo più far finta di non vederlo. Ed è per questo che non avrebbe più voluto farle male. Nemmeno fisicamente. 
Avril arrossì leggermente. "Sì, sto bene. Solo qualche piccolo dolore, niente di che. Ma ci sarei riuscita a prendere i vestiti!" gli disse, senza usare un tono cattivo. Anzi, sembrava addirittura felice. 
Lui sorrise, a vederla così imbarazzata. "Era la prima volta, vero?" 
"Luke!" lo rimproverò per la domanda troppo diretta e, mentre iniziò a mettersi i vestiti, "Comunque, sì." gli confessò. 
E Luke diventò assurdamente felice, perché Avril era completamente sua. Non l'aveva divisa con nessuno, lei si era dedicata solo a lui. Era sua, di sua proprietà, e scoprì che non c'era niente di più bello di questa sensazione di possessione. Aveva Avril, e sentiva di avere tutto. 
Luke sorrise a trentadue denti, le si avvicinò e le fece una carezza sulla guancia sinistra. Poi se ne andò, lasciandola vestirsi, ed entrò nella stanza di Calum. Non accese la luce, consapevole del fatto che avrebbe accecato il suo amico, e tentò di svegliarlo alla stessa maniera che aveva usato con Avril. Calum aprì gli occhi dopo qualche secondo. Sembrava quasi ubriaco. 
"Andiamo all'aeroporto. Sbrigati, prima che Ashton prenda il volo."
Il moro lo guardò perplesso, girandosi dall'altra parte. Luke, spazientito, andò ad accendere la luce e gli strappò via le coperte. 
"Ma sei coglione?! Che razza di ore sono?" sbraitò, e Luke effettivamente non sapeva nemmeno che ore fossero state in quel momento. 
Calum si rannicchiò in posizione fetale, probabilmente infreddolito, siccome il suo abbigliamento consisteva solo di un paio di boxer. Luke guardò l'orologio e "E' l'una ed Ashton sicuramente non è ancora partito. Ti prego, Cal, svegliati o vado da solo."
Alla fine, riuscì ad alzarsi, a prendere qualche maglia con gli occhi socchiusi, e il biondo ne fu soddisfatto. 
Dopo di che, si avvicinò alla stanza di Michael, aprì la porta e si appoggiò allo stipite con la mano. Trovò solo il buio. 
"Michael."
Nessuna risposta. 
"Michael, andiamo, so che sei già sveglio." sbuffò e chiuse gli occhi per ricollegare tutto ciò che aveva in mente. "Siamo ancora in tempo. Mi dispiace non essermene accorto subito."
Sentì il materasso scricchiolare, segno che Michael si fosse alzato. 
"Cinque minuti e sono giù." lo avvisò Michael, che si stava già infilando una felpa.
Luke si lasciò andare ad un respiro di sollievo, e scese al piano di sotto. Avril era già lì, che beveva un bicchiere di succo. Aveva i capelli raccolti, il viso stanco, ed era irrimediabilmente bellissima. Gli sembrava così esile e fragile che aveva paura di toccarla con le sue mani.
"Già pronta?" 
Lei si voltò e gli regalò un piccolo sorriso. "Ho fatto piuttosto in fretta." 
Luke si diresse verso Avril e le stampò un lieve bacio sulle labbra.
"Abbiamo un aeroporto da raggiungere, lasciate stare questi spettacoli!" li interruppe Calum, che stava scendendo le scale, seguito da Michael. 
Luke rise, Avril avvampò. 
"Non urlare, idiota, ci sono i tuoi che dormono." lo rimbeccò il biondo, mentre prendeva per mano Avril. 
Vide Calum alzare gli occhi al cielo ed aprire la porta. E poi, si fermò. Come pietrificato, Calum osservava qualcosa davanti a sé. 
A Luke iniziarono a sudare le mani. Raggiunse anche lui la porta, spostò il moro e davanti a sé trovò una Derbi. Illuminata solo da un lampione e dalla luce lunare, una Derbi, precisamente una Black Devil R Ltd, era parcheggiata davanti al giardino di Calum. 
Ashton aveva mantenuto la sua promessa. Con due anni di ritardo, Ashton l'aveva fatto. 
Luke scese le scale in pietra, attraversò il giardino ed accarezzò la moto. Si sentì male. Luke l'aveva picchiato, non l'aveva consolato dopo ciò che gli aveva raccontato di Emily, e lui gli aveva regalato una moto. 
Quella Derbi, così insignificante per qualsiasi altra persona, per loro due era ciò che collegava il 13 aprile a quella notte. Avevano rimesso insieme i pezzi, avevano creato un ponte, che ricollegava il vuoto che si era creato in quei due anni. 
Gli altri gli arrivarono dietro e "E' bella." commentò Michael. 
"Già, ma ora penso che dovremmo sbrigarci." intervenne Calum, che uscì in strada e guardava Luke, aspettando che lo seguisse. "Luke, faremo tardi."
Ma probabilmente era già troppo tardi perché, oltre ad un lampione, la strada ora era illuminata anche da dei fari di un'Audi, che sembrava proprio diretta verso di loro. Si fermò davanti alla casa, la portiera si aprì velocemente ed eccola lì Liz, più preoccupata che mai, che scendeva dalla macchina. 
"Luke!" urlò a squarciagola, non curante dell'ora della notte. "Luke, avevo denunciato la tua scomparsa anche alla polizia!" 
Luke, alla vista di sua madre così fuori di sé, cominciò a deglutire a vuoto. E non perché ora si sarebbe dovuto subire le sue grida, ma perché non avrebbe fatto in tempo a rivedere Ashton. 
"I medici mi hanno chiamata, perché eri scappato. Ti hanno cercato in tutta la clinica, ed io ho avuto davvero paura! Cosa diavolo hai in quella testa?!"
Non disse niente, aspettò che lei si calmasse. Ma Liz si avvicinò, portò indietro la mano e gli diede uno schiaffo sulla guancia. Luke ne rimase sconvolto, perché nessuno l'aveva mai picchiato. Sentì la sua pelle bruciare, ma non si scompose. Sua madre, dopo quel gesto, restò inerme. Anche gli altri lo erano. 
C'era solo silenzio, prima che "E' tornato Ashton." Luke dicesse. 
Ne susseguirono altri, di secondi colmi di silenzio. "E' tornato chi?" domandò la donna, sconvolta. 
"Ashton. Non era morto, si è solo trasferito a Melbourne. E' tornato, ma se ne andrà se tu non mi lasci andare."
Liz rimase a bocca aperta. "Io-io credevo che... Okay, okay. E' assurdo. Vi porto io, ovunque voi stiate andando." 
"Non c'è tempo da perdere." proferì autoritario Luke.
Lei annuì, e tutti aprirono le portiere per salire in auto. Liz schiacciò l'acceleratore, come se stesse combattendo una lotta contro il tempo. 
"Dove?" 
"Kingsford Smith, l'aeroporto."

Quel posto era enorme. Erano al terminal 2, situato nel settore nord-est dell'aeroporto. Luke correva col fiatone e col cuore che sembrava impazzire. Si guardava intorno, superava la gente e aveva una strana voglia di piangere. Aveva quasi rischiato di inciampare su una valigia e di prendere botte da un signore a cui era andato addosso. Ma Luke correva, senza sapere esattamente dove stesse andando. Cercava quella chioma bionda e ormai riccia, quegli occhi verdi e quel viso, stampato nella mente. 
Guardò l'ora da un orologio enorme. 01:33. L'ansia lo stava decisamente divorando. Riprese a correre con le gambe che non sentiva più e, soffermandosi a guardare i tabelloni degli arrivi e delle partenze, vide che il volo per Melbourne ci sarebbe stato all'una e quaranta. 
Ashton, quindi, aveva già fatto il check-in, ed ora sarebbe dovuto essere in coda. 
Passò di fianco ai duty-free shop, un'infinità di negozi che avrebbero dovuto intrattenere i viaggiatori in attesa del volo. Ashton non poteva essere lì. Allora Luke non si fermò e, leggendo tutti i cartelli che gli indicavano i gate, arrivò agli imbarchi. C'erano troppe file, troppi numeri, troppi bagagli a mano. Lesse ogni numero di gate, ma non aveva idea di quale fosse quello di Ashton.
Il boarding time si avvicinava sempre di più. Attraversò le code di persone che aspettavano di uscire e raggiungere il proprio aereo, si guardò intorno e vide una fila di passeggeri che in quel momento stava cominciando ad imbarcarsi. L'orario ormai era quello, quindi tra tutta quella gente poteva esserci Ashton. 
Allora cominciò ad accelerare il passo, tenendo d'occhio quel punto e, man mano che si avvicinava, intravedeva sempre di più una testa bionda. 
Era Ashton. Era Ashton e stava osservando il suo biglietto. Era Ashton e Luke urlò il suo nome. Si girò, così come si voltarono altre venti persone. Lasciò cadere a terra il suo zaino, uscì dalla fila e prese a camminare incontro a Luke. Luke, che gli buttò le braccia dietro la schiena e se lo strinse a sé. Luke, che lasciò sfogare la sua voglia di piangere. Quelle braccia, strette intorno a sé, avevano cicatrizzato tutto. Teneva gli occhi chiusi, perché aveva paura che, aprendoli, si fosse trovato da qualche altra parte. Ma quello non era un sogno. E Luke non avrebbe voluto essere in nessun altro posto, se non quello. Se non nelle braccia di Ashton. 
La gente intorno a loro li guardava, forse scandalizzata, forse intenerita. E a loro non fregava niente, perché adesso erano loro due
Non più solo uno, non più solo Luke.
Era come se qualcuno avesse ripassato con un'altra bomboletta spray quella scritta sul muro, come se Luke non avesse mai conosciuto il grigio o il nero.
C'era il bianco, c'era Ashton. E quel ragazzo era tutto ciò di cui avesse mai avuto bisogno.
Poi Ashton si staccò, mise la mano in tasca e gli porse una chiave. 
"Sapevo che saresti venuto. Questa è per la moto. Un po' in ritardo, lo so, ma alla fine ce l'ho fatta."
Luke strinse la chiave nella sua mano. "Basta andarsene."
Ashton lo guardò negli occhi e "Devo tornare a Melbourne. Mia mamma è davvero impazzita."
Luke trasalì a quella frase, impaurito dall'essere abbandonato. Poi dei passi affrettati li raggiunsero e, voltandosi, vide Michael, Calum e Avril correre verso di loro. 
"Ti abbiamo rincorso da quando sei sceso dalla macchina. Dio, sto morendo." si lamentò Calum. 
Si fermò per riprendere fiato, quando Michael andò da Ashton e lo abbracciò per la seconda volta. Luke fece un passo indietro, consapevole del fatto che Ashton non fosse una mancanza patita solo da lui. Poi toccò a Calum, che lo accolse anche lui tra le sue braccia. 
"Ultima chiamata per il signor Irwin."
La voce proveniente da un microfono fece riscuotere Ashton, che "Devo andare, ragazzi." comunicò amaramente. 
Avril gli si avvicinò e gli lasciò un innocente bacio sulla guancia. "Sei proprio un idiota, però ti voglio bene. Vai, e prova a tranquillizzare tua madre." 
Ashton le sorrise, poi guardò Luke. Stava per andarsene, quando "Aspetta, Ash." lo fermò, gli prese la mano e gli diede la chiave.
L'altro aggrottò confuso la fronte. 
"Così sarai costretto a tornare, per darmela. Le promesse si mantengono, anche se risalgono al 2011. Perché tu tornerai, vero?"
"Vero."
Poi una signora gli visionò la carta d'identità e il biglietto, ed Ashton poco dopo uscì, pronto per salire sull'aereo.







Ciao.

Questo era l'ultimo capitolo, poi domenicà pubblicherò l'epilogo. E' abbastanza straziante e strano, perché mi sono così tanto affezionata a questi personaggi che ora mi sembra proprio di abbandonarli. 
Ma, in ogni caso, siamo arrivati al capitolo 24. Come avrete notato, è più corto degli altri, ma ciò che c'era da raccontare l'ho scritto, quindi non mi sembrava il caso di ampliare. 
Volevo avvertirvi su una cosa: l'epilogo c'è e non è da sottovalutare. Ormai mi conoscete, e sapete che sono una sadica (cit. che ho letto su twitter da una lettrice lol). So, non pensate che questa sia la fine. Perché non lo è e nel finale vero e proprio so già che piangerò come una dannata su ciò che io stessa scriverò.
Poi, parlando del capitolo... Ovviamente, non sono potuta andare nei dettagli tra Luke ed Avril perché questa ff è a rating arancione e sinceramente non mi andava di cambiarlo in rosso perché quasi metà della mia classe legge Two ed è molto imbarazzante. ((compagne che state leggendo, scusatemi))
E come finale abbiamo il ritorno di Luke, che si accorge di non essere troppo in ritardo per perdonare. E penso che la moto che Ashton gli fa trovare sotto casa sia forse la seconda cosa più significativa della storia, dopo la scritta sul muro nel vicolo. 
Vi lascio tranquille con questa sottospecie di fine.
Io tranquilla non lo sarò proprio.
Ps: è tornato il banner. 
Ps2: il trailer non lo posso rendere visibile ai cellulare, perché dovrei chiedere alla casa discografica i diritti della canzone e sticazzi. Poi, la scrittura di questo capitolo è venuta in grassetto, l'ho cambiata cinque volte e viene sempre così, quindi vabbè, vuol dire che resterà in nero lmao
Vado. Saluto Alessandra (e la ringrazio anche per tutto il supporto) e il #team5sexos! A domenica :) 
Nali
 

il mio twitter: funklou
quello di Martina: danswtr

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