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Autore: gattapelosa    26/01/2014    3 recensioni
Stop! Non andate oltre, questo Regno non è Regno per voi. È terra di follie: vi vive Biancaneve nella comicità della sua vita futura, Ariel e i suoi incontri piccanti, il Genio nella lampada, Cenerentola coinvolta nel mistero del padre deceduto, Alice nella magica terra di "MaChiCazzoHaInventatoStaRoba"...
Io vi ho avvisati, non entrate. Non siete abbastanza forti.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Io, come ero e come sono




Me l’hanno detto un pomeriggio di gennaio, nel soggiorno di casa Moulier: “Tuo padre è morto, una malattia.” Era stata una giornata di sole, poi vennero la pioggia, il temporale, fulmini, saette e tanto dolore. E più io piangevo, più Lady Tremaine si faceva dura, fredda, soddisfatta, credo. Anastasia e Genoveffa s’appropriarono del soggiorno, sostituendo ai libri di papà le loro costosissime bambole. Vidi casa mia trasformarsi, dal chiarore di mura bianche, al tetro pervinca di Lady Tremaine; dal sole tra le finestre, alle fredde sbarre d’acciaio.
Il funerale fu cosa semplice, un carro funebre e qualche parente.
— Lui avrebbe voluto così— aveva detto lei. Falso. Papà amava le cerimonie, vi partecipava con grande entusiasmo, ne organizzava a bizzeffe, quest’ultima occasione avrebbe simboleggiato un addio importante.
La tristezza per Lady Tremaine durò giusto un paio d’ore: tempo di salutare i famigliari di lui, ringraziare il prete, abbracciare me. Poi fu la fine.
Improvvisamente mi ritrovai sola, privata dei bei vestiti, dei giocattoli, della camera privata. Lady Tremaine mi portò in soffitta, stretta per il braccio, con forza.
— Questo è posto per te!— gridò. Mi lanciò contro un paio di stracci, gridando e battendo il piede a terra. — Tu non sei niente, non sei più niente.
Presi a piangere, disperata. Strisciai nella sua direzione, cercando d’agguantare il bordo del vestito.
— Che fai, verme? Non osare toccarmi. Da ora in avanti, tu lavorerai per noi, farai quello che vogliamo noi, sarai la nostra schiava. Sono stata chiara?
— Annuii, distrutta. Lady Tremaine sbatté la porta e si allontanò.
E mentre stavo lì, sola a riflettere, finalmente compresi: papà non stava male. “Un malore improvviso” non conta, se non mi si rivela quale. Papà non poteva essere morto in questo modo, doveva essere successo qualcosa.
Mi lasciai scivolare nell’angolo più buio e scuro della soffitta, arrabbiata. Perché ora non valevo più nulla, e chi prima era niente, regnava. Non è vero, Lady Tremaine? Venni presa da questa improvvisa, orribile consapevolezza: papà era stato ucciso. Da chi? Io lo sapevo: da una donna, da quella stessa, orribile signora che papà aveva sposato dopo l’irrisolto omicidio di mia madre.
Strinsi le mani intorno ai miei capelli, pronta a strapparli. Poi però mi trattenni, meditando vendetta, cercando una maniera pulita per incastrare Lady Tremaine, portarla davanti alle autorità e vederla decapitata.
— Cenerentola!— sentii gridare. Fu come essere svegliata da una secchiata d’acqua gelida.
— Cenerentola, vieni subito qui!
Mi alzai, facendo strisciare i piedi per terra, scendendo le scale lentamente, molto lentamente.
— Cenerentola, muoviti!
Lady Tremaine, con le sue due detestabili figlie, mi aspettava ai piedi della scalinata. Aveva un volto duro, arcigno, nero di rabbia.
— Cenerentola, preparami subito del the.— disse. — Lo voglio pronto in salotto fra cinque minuti.
Io la guardai male, impuntando i piedi a terra e incrociando le braccia.
— No. — dissi.
Lei spalancò gli occhi, Anastasia e Genoveffa sorrisero.
— No?— chiese. — Hai detto no?

— Esattamente, no. Il the te lo puoi preparare da sola.  
Tutta questa nuova sicurezza – dovuta alla rabbia, sicuro – mi si ritorse contro. Non avevo notato lo straccio che Lady Tremaine reggeva tra le mani: mi venne incontro, nera più di prima, con il panno attorcigliato a mo’ di frusta.
— Chiedi scusa. — disse. Io non avrei mai chiesto scusa all’assassina di mio padre.
— L’hai voluto tu. — il primo colpo m’urtò il braccio, il secondo il collo, al terzo ero stesa sulle scale. Anastasia era tutta spaventata, guardava incredula sua madre, Genoveffa pareva estasiata: stringeva i pugni e incitava Lady Tremaine.
Il peggio lo si raggiunse quando mi colpì in bocca, facendo sanguinare la gengiva.
— Basta, mamma!— gridò Anastasia. Lady Tremaine, sorda alle mie preghiere, si dimostrò più accondiscente con la figlia. Smise di picchiarmi, mi guardò in faccia, poi parve quasi star per piangere.
— Preparami il the.— disse. — Lo aspetto in salotto. Ora.
Poi si allontanò, trascinando per un braccio Anastasia.
Ci vollero un paio di minuti perché trovassi la forza di rimettermi in equilibrio. Nessuno aveva mai osato picchiarmi, men che meno in casa mia.
Quando mi alzai strisciai i piedi fino alla cucina, vuota d’ogni domestico. Immaginai che Lady Tremaine avesse già provveduto a licenziarli. Ormai davo per scontato il mio nuovo ruolo: la serva, testimoniata da stracci, lividi e lacrime. Non avevo più una stanza, vivevo nella soffitta. Non avevo più nemmeno un papà.
Non ero mai stata altro che la figlia del padrone, servita e riverita come una principessa, non avevo idea di come si preparasse il the. Una volta però avevo visto una domestica accendere il camino, posarvi sopra una strana cosa da cucina piena d’acqua e scioglierci dentro una bustina color ocra. Papà aveva detto che quello era stato un ottimo the.  
Andai alla ricerca delle bustine. Non erano né sul tavolo, né sugli scaffali, né vicino al camino. Ispezionai la credenza, ma conteneva solo piatti, posate e tanti bicchieri; allora controllai i cassetti, pieni di tovaglie. Le bustine del the, scoprii poi, erano state nascoste in dispensa. Accendere il fuoco fu un’altra impresa, trovare il trepiede la terza sfida, in tutta ‘sta odissea mi ero pure bruciata la mano. Alla fine riuscii a posizionare la teiera – così si chiamava – sull’appoggio ferroso, lasciando che vi si sciogliesse dentro la bustina.
Ci volle qualche minuto prima che prendesse il colore del the, ed era troppo bollente perché l’assaggiassi, così decisi che avrei comunque potuto portarlo direttamente a Lady Tremaine. Se mai non gli fosse piaciuto al massimo mi avrebbe picchiata di nuovo.
Mentre preparavo il vassoio e cercavo le tazzine, comunque, pensai alla matrigna. L’ultima cosa che avrei voluto fare era servirla. Aveva ucciso mio padre, mi aveva picchiata, e io non riuscivo a far di meglio che accontentarla. L’avrei voluta morta. L’avrei ammazzata con le mie stesse mani. In realtà mi sarei accontentata anche di poco, per ora: le avrei messo polvere orticante nei vestiti, resina sui capelli, inchiostro nel cibo, l’avrei ustionata con il the. L’avrei ustionata con il the, sì.
Non sarebbe stato molto, ma è così che avevo intenzione di agire: non importava se mi avrebbe picchiata di nuovo, le avrei reso la vita un inferno, a lei e a quelle sue due mostruose creature. Dispetti, i dispetti di una bambina, e poi la condanna qualora ne avessi avuto la possibilità.
Finii di preparare il vassoio e mi diressi in soggiorno. Ero spinta dai peggiori istinti omicidi, e nel vedere la sagoma scura di Lady Tremaine – sola, ombrosa – davanti la finestra crebbe in me un profondo quanto motivato desiderio di rivalsa. Mi ci avvicinai in punta di piedi, il più silenziosamente possibile, rimuginando. Avrei potuto fingere di servirle il the e poi gettarglielo addosso.
Lady Tremaine si voltò di scatto, cogliendomi di sorpresa, e quasi persi di mano il vassoio. I suoi occhi erano piani d’odio, rossi come dopo il pianto. 
— Ci hai messo troppo tempo!— gridò. — Sei inutile, sei una bambina inutile!
Gonfiai il petto, orgogliosa, e mi ci avvicinai.
— Ora servimi il the.
— Con piacere. — risposi, sollevando la teiera. Fu molto appagante vedere il volto prima stupito, poi contratto dal dolore di Lady Tremaine quando le versai addosso il the. Gridò in un urlo disperato.
Aveva ucciso mio padre, continuavo a ripetermi. Sicuramente era stata lei, io lo sapevo, lo sentivo. Non c’era motivo per sentirsi in colpa. Eppure non fu solo dolore a inasprirle il volto, ma pura disperazione.
— Mostro!— gridò.— Mostro, sei un mostro!— e tentò di versarmi addosso quanto rimasto nella teiera, ma io mi allontanai in tempo, correndo via. Lei non demorse: mi inseguì per mezzo maniero, facendo spaventare il nuovo micio di famiglia – malefico Lucifero – finché non inciampai sulle pieghe di un tappeto e lei non riuscì ad agguantarmi per il braccio. Sapevo cosa sarebbe successo poi. Questa volta mi colpì subito al collo, sul naso, poi passò al petto e ai fianchi. Faceva male. Ogni frustata era agonia, odio, rabbia, ma non volli chiedere pietà: non le avrei permesso di vedermi sottomessa. Alla fine sbollì da sola, e vidi come piano piano i colpi si fecero meno irruenti, meno sicuri.
— Preparami del the. — disse. — E questa volta fallo bene.
Poi se ne andò, quasi correndo. Io non sanguinavo, ma avrei sofferto giorni e giorni il peso delle botte. Almeno l’orgoglio era intatto, e non sarebbe crollato: sarei andata a prepararle altro the e questa volta glielo avrei versato in testa.
A fatica riuscii a trascinarmi nelle cucine, preparare il tripode, la teiera e le bustine. Dovetti farmi forza per sistemare il vassoio, ordinare le tazze e camminare il linea retta fino al salone, dove Lady Tremaine ancora guardava fuori dalla finestra. Questa volta appoggiai il vassoio su di un tavolino nel corridoio, per sgranchirmi un po’ le braccia. Fu allora che vidi Lady Tremaine piangere.
Piangeva sul serio, abbracciata a una fotografia, e non sembrava più la tetra assassina di prima. La vedevo riflessa sul vetro, rossa in volto, con le braccia strette al petto e una cornice tra le mani. Che fosse sua madre? Un amante? Un figlio scomparso?
No. Lady Tremaine riposò la foto sul comodino e vi vidi raffigurato il viso sorridente di mio padre.
— Albert — disse, carezzandogli il volto. — Perché?
Ancora lacrime a inumidirle le gote. 
— Perché sei dovuto morire? Perché hai dovuto lasciarmi con quella bambina che è così simile a te? Perché mi hai lasciata sola?— si portò le mani al volto. — Perché sono così sola?— e questo lo disse con una tale disperazione, con un tale coinvolgimento che mi lasciai cadere a terra.
Lady Tremaine piangeva, e piangeva perché mio padre era morto.
Malattia.
Tuo padre è morto per un malanno improvviso.
Papà era morto per un malanno improvviso, e io non volevo accettarlo. Volevo che fosse stata lei, qualcuno da incolpare, un nemico da combattere.
— Perché sei dovuto morire?
Perché? Perché doveva essere così difficile?
— E perché Cenerentola deve avere il tuo stesso sorriso?
Perché mi aveva insegnato lui a sorridere.
— Perché deve avere la tua forza?
Perché volevo essere come lui.
— Perché deve sempre sfidarmi, come se tutto questo non fosse abbastanza?
Perché per me non era abbastanza. Io avevo bisogno di più. Avevo bisogno di lei.
Mi alzai a fatica, raccogliendo il vassoio ed entrando in salone. Lady Tremaine si bloccò di colpo, impaurita dalla possibilità che io avessi origliato. 
— Le ho preparato il the. — dissi, posando il vassoio sul tavolo. — E scusi per prima.
Lady Tremaine mi guardò meravigliata, per poi recuperare un’aria nobile, superiore.
— Impara la lezione, verme.
Io chinai il capo, annuendo. Allora le versai il the nella tazza, ci aggiunsi un po’ di zucchero e feci un mezzo inchino. Il suo sguardo non mollò mezzo mio movimento, i suoi occhi erano occhi di sfida, ma io non avrei accettato. Ancora per questa volta avrei potuto fare come voleva lei, accettare le sue condizioni, giusto per sentirmi un po’ meno in colpa. Sarei tornata la forte ragazza di un tempo più avanti, dopo essermi debitamente scusata, forse per un po’ – qualche giorno, qualche settimana – avrei potuto fare da domestica. Un giorno mio padre sarà solo un ricordo e io la donna che lui avrebbe tanto voluto vedermi diventare. Fino a quel giorno, pensai, sarò la figlia di una donna che mi odia, devo solo imparare a non odiare più lei.



Bacheca dell'autrice

Allora, la storia è stata scritta in pochissimo tempo e non ho avuto modo di rileggerla, spero non ci siano troppi errori grammaticali. 
A me Cenerentola non piace, sarò sincera, anche se da piccolina l'adoravo (non tanto quando Mulan o altre principesse più toste, sottolineiamolo). E ho pensato a un valido motivo per cui una persona dovrebbe essere così. So che Cenerentola fa da serva perché tanto buona e cara d'animo, ma io ho pensato di ribaltare un po' le carte in tavolo. 



 
 
  
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