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Autore: Doe    27/01/2014    2 recensioni
In occasione del 27 Gennaio, Giornata della Memoria. Per non dimenticare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un racconto in occasione del 27 Gennaio, Giornata della Memoria. 

I personaggi sono puramente di fantasia. I fatti, ahimé, solo in parte.



IL TRUCCHETTO




Papà,

oggi ho usato il tuo trucchetto.

Ricordi? Me lo insegnasti durante una delle nostre notti ad Auschwitz.

Avevo dodici anni e quindi già me ne vergognavo, ma i temporali mi facevano tanta paura.

Mi spiegasti che non avevo ragione di vergognarmi di quello, così come non avrei avuto ragione di vergognarmi neanche se a farmi paura fosse stata la neve o i ragni. Che non c’è niente di più normale, di più umano al mondo, del sentimento della paura – in grado, a volte, di sovrastare persino quello dell’amore.

“Avere paura significa tenere alla vita”, dicesti. “E questo è un bene perché non esiste cosa di maggior valore, non c’è dono più prezioso”.

Poi mi insegnasti il tuo trucchetto. “Fai un elenco di tutto ciò di cui hai paura. Scrivi tutto, non omettere nulla. Poi, accanto, scrivi una possibile soluzione alla tua paura, qualcosa in grado di fartela passare.”

Non avevamo diritto ad avere dell’inchiostro o della carta, lì dentro, così dovetti accontentarmi di scrivere il mio elenco per terra, col fango che avevano raccolto, quel giorno all’Arbeitslager, le suole delle mie scarpe.

  1. I TUONI
  2. I TEDESCHI

Tu leggesti ma non dicesti nulla. Dovevo trovare la soluzione da me.

Così pensai a quanto mi mettesse i brividi il boato di un tuono e a quanto risultasse insopportabile alle mie orecchie. Mi concentrai, poi, su tutto ciò che invece amavo ascoltare prima di arrivare ad Auschwitz. Il carillon che annunciava l’arrivo del gelataio. La musica jazz alla radio. La risata della mamma quando, tornando da lavoro, mentre lei cucinava, le arrivavi silenziosamente alle spalle e le schioccavi un bacio sulla guancia.

Accanto alla paura numero 1 scrissi: TAPPARMI LE ORECCHIE E PENSARE AI SUONI DI CASA.

Tu sorridesti. Approvavi.

La paura numero 2 era una bella gatta da pelare.

“Perché pensi di dover aver paura dei tedeschi?”

La tua domanda mi sorprese non poco, ricordi? La risposta che, fino ad un attimo prima, mi era parsa più che ovvia, non lo fu più così tanto quando incontrai il tuo sguardo sinceramente curioso.

“Tu non hai paura di loro?”, ti domandai a mia volta, in un sussurro.

Tu scuotesti la testa. “Ti svelo un segreto”, mi dicesti all’orecchio. “Non dobbiamo aver paura di loro perché sono loro ad aver paura di noi. Perché credi che ci terrebbero tutti qui, altrimenti? Come ti dicevo, Noah, quando la paura sovrasta l’amore fa fare agli uomini cose terribili.”

“E non possiamo far crescere l’amore?”

“Certo che possiamo.”

“In che modo?”

“Con il perdono, Noah. Perdonando doniamo amore.”

“E l’amore sovrasterà la paura? E i tedeschi non avranno più paura di noi e ci lasceranno liberi?”

“Sì, Noah.”

Accanto alla paura numero 2 scrissi: PERDONARLI.

Mi sono sforzato di farlo, papà, in più di un’occasione. Penso anche di esserci riuscito – e, credimi, non ho mai lottato tanto come per questo.

Li ho perdonati quando mi hanno picchiato perché ero troppo gracile per sollevare alcune cose. Li ho perdonati quando hanno chiamato il mio miglior amico Rabi per fare la doccia con altri bambini e non è più tornato. Li ho perdonati quando, un giorno in cui avevamo lavorato tanto, neppure tu hai fatto ritorno da me.

Per mesi, dopo che te ne sei andato, ho usato il tuo trucchetto.

Mi sedevo sul pavimento e scrivevo con le dita:

  1. SOLITUDINE
  2. TEDESCHI

Decidevo di raccontarmi una storia per combattere la paura numero 1 e, come mi avevi insegnato tu, scrivevo PERDONARLI accanto alla paura numero 2.

Non so se l’amore, alla fine, sia riuscito a sovrastare la paura. Ma un giorno mi svegliai ed ero libero.

Ma è davvero ciò che siamo, papà? Liberi? Perché io continuo a sentirmi prigioniero dei miei ricordi. Perché, ogni notte, nei miei sogni, torno ad Auschwitz. E cerco la mamma. E urlo il tuo nome.

Ho diciotto anni, ma i temporali mi spaventano ancora e il tuo trucchetto resta il solo rimedio efficace che conosco. L’ho usato anche questa mattina, dopo essermi svegliato in un letto troppo grande perché possa dormirci da solo.

Ad Auschwitz si dormiva tutti insieme, ricordi? Stretti come sardine.

Tutto quello spazio vuoto mi ha messo paura.

  1. LATO DEL LETTO VUOTO

Sono uscito per strada di corsa, senza sapere nemmeno con esattezza perché. Una ragazza bruna, con grandi occhi verdi, stava attraversando la via proprio in quell’istante. Prima ancora di realizzarlo, l’ho fermata e le ho chiesto “dormiresti con me?”.

Lo so, che gran cafone sono stato, papà. Solo un attimo dopo averla posta, ho riflettuto sull’ambiguità della mia domanda e sulla possibilità di aver offeso quella povera malcapitata. Mi sono preparato mentalmente al ceffone che, ero certo, mi sarei beccato.

Invece, lei ha fatto qualcosa di inaspettato. Ha fissato i miei occhi, mi ha poi afferrato il polso e ruotato il braccio fino a mostrare il numero che vi porto tatuato sopra. Mi ha mostrato il suo. Ha indicato le ombre scure che circondavano i suoi begli occhi e poi, coi polpastrelli freddi, ha sfiorato le mie.

“Incubi, eh?”

Le ho risposto “Molti.”

Mentre ti scrivo, lei dorme serena su quel lato del letto che tanto desideravo riempire.

Abbiamo parlato per quasi tutta la notte. Del nostro colore preferito, di cosa ci piace fare quando siamo giù di corda, delle persone cui siamo più affezionati, della nostra infanzia prima che tutto avvenisse, di cosa ci manca di più di quei giorni, di Auschwitz, di chi abbiamo perduto, dei nostri incubi più ricorrenti, delle nostre paure più grandi, del desiderio di vivere senza esser costretti a dimenticare tutto.

È proprio DIMENTICARE, la paura che più mi tormenta adesso. Ma, per fortuna, io ho il tuo trucchetto, papà. Ci scrivo accanto: RICORDARE. Lo scrivo ancora per terra, col fango preso da sotto le suole delle mie scarpe, così sono sicuro di riuscirci.





(c) Lisa Pitrolo

http://www.facebook.com/doewriter

   
 
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