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Autore: hirondelle_    27/01/2014    1 recensioni
Perché era così, se Alexander era puro e bianco Adam era sporco, impuro, indecente, scandaloso. Nero. Nero, nero. Un nero che lo mandava fuori di testa, proprio così, pensava Alexander, fuori di testa, fuori di tutto, fuori. Adam era grande, era un rifugio al quale rivolgersi e appigliarsi, e nel quale ci si poteva raccogliere, sparire, completare. Adam entrava dentro di lui e Alexander si sentiva completo. Gli bastava. Venire.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Tell me a story'
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Primo frammento
Era bello.
Non come un paesaggio, o una macchia di colore.
Era bello nei gesti, nella sua voce cantilenante, nelle sue mani delicate e giovani, nella sua pelle bianca e nelle sue labbra rosse di lucidalabbra slavato.
Era bello anche coi capelli rossi spettinati, e le macchie sui vestiti.
Era bello mentre sorrideva in quel modo sbarazzino, aspettando che l’acqua del tè bollisse, pensando a chissà quale serata.
Era bello anche quando sbadigliava, non ricordandosi di mettere la mano davanti alla bocca, o mentre inciampava tra gli spazi stretti del camper con malagrazia.
Se una di quelle mattine si faceva particolarmente male, di solito si sedeva accanto al suo letto e aspettava che si svegliasse, o per meglio dire che smettesse di fingere di dormire, solo per farsi accogliere tra le lenzuola e accoccolarsi piagnucolando contro il suo petto. Inutile dire che su quelle lenzuola finivano inevitabilmente per rotolarsi, ridenti e felici, senza l’ingombrante ostacolo dei vestiti, mentre fuori il temporale infuriava con arroganza, estraneo al loro piccolo mondo di coccole e baci.
Esme era bello. Da ogni angolazione, da ogni punto di vista, Esme era indubbiamente bello, e Pablo sentiva sempre il bisogno di dirglielo: all’orecchio, sulle labbra, sulla pelle morbida del collo, tra le sue cosce. “Sei bellissima” sussurrava, e lui rideva, con un sorriso tanto radioso da volerlo immortalare, metterlo nero su bianco, tracciargli il contorno con la matita, lasciare il solco delle sue labbra sul bianco del muro.
Eppure, sebbene ci avesse provato più e più volte, non c’era mai riuscito. Tutto quello che aveva potuto fare era stato fotografarlo, imprimendo l’istante durante il quale mostrava i denti fini e le labbra si incurvavano graziosamente. Conservava ormai dieci, cento, mille ricordi di lei.
Capitava che guardando intensamente un sorriso si finiva per provare un vago senso di vuoto. Non c’era lucentezza, non c’era abbastanza calore: solo un filo trasparente di solitudine.
Con Esme ciò non accadeva: Esme rideva sul serio, con gli occhi e con i gesti. Esme sapeva come trascinarti in quel sorriso, e come trasformare le sue labbra in dolcissimo miele. Irresistibile.
Pablo si chiedeva come facessero le persone a non accorgersene: si chiedeva perché, invece di ammirarlo e gustarsi della visione superba, si voltassero con sdegno e disgusto.
“È bellissima!” avrebbe voluto gridare in loro direzione, quando lo accompagnava nei mini-market si trovavano lungo la strada. E invece non parlava, intimorito dalle parole che riusciva a captare dai loro discorsi, taglienti come rasoi, nate per ferire, proferite per uccidere.
- Non badarli, vieni qui.
Di nuovo quel sorriso, ancora quella voce di zucchero. Esme quella volta semplicemente arricciò le labbra e prese a guardare con interesse le varie confezioni di biscotti esposte sulle mensole. – A te piacciono quelli al cioccolato, vero?
Pablo annuì, stregato da quel suo corpo sottile e quel braccio candido e femmineo che si allungava delicatamente verso il piano più alto dello scaffale.
Tutto in lei era fragile.

 
 
   
 
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