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Autore: Water_wolf    27/01/2014    4 recensioni
[STORIA IN FASE DI RISCRITTURA]
Sintesi della mia vita: sfida mortale.
Dopo aver attraversato un fr-- portale magico anticonformista, la lista di persone che mi vogliono morta si sta allungando parecchio.
Perché? Perché sono l'Ereditaria del Segno del Sagittario, e non solo. Oppure perché ho sfiga.
***
Lo colpii prima con un calcio, poi lo affrontai con il cuscino. [...] Pride si sbilanciò e mi cadde sopra. Mi ritrovai schiacciata sul fondo del divano, con un solo misero cuscino a dividermi dalle labbra di Pride. [...] -Quella mossa era spudoratamente sleale- mormorò, ansimando un poco.
***
-No, è una sfida lanciata secondo le regole di Marte e fatta in suo nome e quello di Giove, non c'è modo di annullarla se non vincendola.
-O perdendola- aggiunsi io.
***
–Ma non è un sogno, vero? Sono finita nel Paese delle Meraviglie del ventunesimo secolo, giusto? Con cavalli parlanti, spade magiche e gatti stregati?
-Veramente i gatti stregati non ce li abbiamo- precisai. –Per il resto, sì, hai centrato più o meno il bersaglio.
***
Tante coppie shippose e peripezie alla 'Rick Riordan' (non che io sia minimamente brava come lui, che è un colosso çwç)
Genere: Azione, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14. Dai kelpie alla terracotta

A colazione, Scott non c’era. Tommy stava divorando in gran fretta un toast imburrato, alternandolo con sorsi di succo di frutta, in ritardo per la scuola. Lo zainetto era ai suoi piedi, stracolmo di libri, quaderni e un astuccio foderato di matite per colorare. Ingoiò l’ultimo boccone della fetta, raccolse con uno sbuffo la cartella, mettendosela su una spalla.
Gettò un’occhiata su per le scale e chiamò: -Pride! Non voglio arrivare in ritardo, Miss Keaton non sarà contenta!
Sorrisi, affogando un biscotto nella tazza di latte, schiacciandolo sul fondo con il cucchiaio. Tommy aveva lo sguardo di un cagnolino bisognoso d’aiuto. Decisi di aiutarlo a non finire nei guai con la sua insegnante.
–Pride!- chiamai, quasi strillando. –Smettila di farti bello e vieni giù!
Il ragazzo-leone comparve in un attimo, scese le scale due a due e scompigliò i capelli di Tommy. Mi rivolse un sorrisetto.
–Non mi stavo facendo bello, dopotutto, lo sono già al naturale- commentò.
–Vai, ti conviene- minacciai, fulminandolo con lo sguardo.
Tommy mi rivolse un sorrisone e sillabò “grazie per averlo fatto sbrigare”. Strizzai l’occhio, facendo riemergere il biscotto zuppo e portandomelo alla bocca. Incominciavo ad adorare quel ragazzino.
Continuai la mia colazione, rimuginando su come doveva essere la vita con un fratello al fianco. Sicuramente meno solitaria e monotona. Dopodiché, mi lanciai nella ricerca di Scott. Non era nella sua stanza, né in altri luoghi della casa, così il campo si ridusse all’esterno. L’aria era frizzante e il Sole illuminava il villaggio dei centauri, invogliando la mia parte ibrida a farsi una galoppata.
Per quanto mi trovassi a mio agio nel mio corpo umano, gli istinti animali erano insistenti e piuttosto persuasivi. Era anche un ottimo modo per estendere la ricerca e ridurre il tempo che ci avrei impiegato a piedi. In un batter di ciglia, mi trasformai in una giovane giumenta dal vello scuro.
Nitrii, scrollando la criniera. La mia visuale si ridusse a sprazzi di colori, che mi indicavano quale ciuffo d’erba fosse ancora cosparso di rugiada e quali fiori erano più succulenti. Masticai un dente di leone, passeggiando nelle vicinanze della casa.
Domati quei bisogni vegetariani, puntai al fiume e alla pianura. La mia andatura si velocizzò, passando da una tranquilla passeggiata al galoppo sfrenato. Avvertivo nitidamente i muscoli allungarsi, permettendomi di volare sul terreno, incidendo impronte dov’era più fresco. Punti verdi coloravano la mia visuale, comunicandomi eccitazione nell’aria.
Le mie orecchie captarono un fruscio, seguito da uno scalpiccio, e si mossero in quella direzione per identificarlo. Prima che ne ebbi il tempo, un corpo equino cozzò contro il mio, spingendomi via dal percorso che stavo seguendo. Tuttavia, non avvertivo il pericolo, bensì uno stato di stupore, sfida e gioia.
Sbuffai all’indirizzo del cavallo che mi aveva urtato, nitrendo poi qualcosa che era traducibile con “sconosciuto, non urtare l’Ereditaria del Segno del Sagittario”.
L’altro ricambiò con l’equivalente di un sorriso equino. Era di corporatura snella, più simile a un cavallo da corsa che a uno da tiro; il vello era nero, opaco, e gli occhi sembravano acciaio fuso. Lo annusai, catturando un odore che mi avvertiva: attenzione, non è esattamente un tuo simile.
Una scintilla di sfida accese l’ambiente, prima che il cavallo scattasse di nuovo. Non esitai un secondo a seguirlo, percorrendo un tratto perpendicolare al fiume; dall’altra parte, la pianura, zona neutrale, catturava i raggi del Sole.
Lo sconosciuto era veloce, più di qualsiasi centauro. Tranne che me.
Con slancio, lo raggiunsi in qualche falcata, galoppando al suo fianco. Ci scambiammo uno sguardo, che mi fece capire quanta eccitazione c’era in quel momento. Cercai di intralciarlo, facendolo sbandare, ma senza risultati. Il rumore dei nostri zoccoli sembrava preannunciare un temporale, rendendo appena udibile il sottofondo del fiume.
Quando lo potei sentire chiaramente, decisi che avrei dimostrato al cavallo nero chi comandava. Con il cuore che mi martellava nel petto, sforzai i muscoli al massimo, facendoli quasi bruciare. Lo staccai di qualche centimetro, giusto in tempo per preparare il salto che mi avrebbe permesso di oltrepassare il fiume.
Quando i miei zoccoli si sollevarono dal terreno, sentii l’ebrezza del volo pervadermi, sfiorarmi la pelle, prima che l’impatto mi ripotasse alla realtà. Le ossa tremarono, ma non mi fermai, continuando a correre per qualche altro metro. Immaginai che quella dimostrazione potesse bastare, così mi voltai, ruotando su me stessa.
Il cavallo mi squadrava, ammirato, ma la sfumatura del mio stupore prevaleva. Lo sconosciuto non era più nero, anzi, le sue zampe avevano assunto toni chiarissimi, quasi trasparenti, come perla, e la sua criniera mi ricordava fulgide alghe.
Sbuffò, e potei intravedere la dentatura più affilata, assolutamente sconosciuta agli erbivori. Rimasi ancora più di sasso, quando si rimpicciolì all’improvviso e si trasformò in Scott o’Brian.
Mutai forma ed esclamai: -Oh cavolo!
-Tu sei… insomma… un, un… - balbettai subito dopo, incapace di realizzare ciò che era appena accaduto.
–Un kelpie?- fece lui, avvicinandosi.
Mi strinse la mano, ma io ero troppo concentrata a metabolizzare l’esperienza per farvi troppo caso.
–Complimenti, finora, nessuno mi aveva mai battuto nella corsa.
-Giocavo in casa- minimizzai.
Be’, sono anche piuttosto dotata, in effetti, pensai, ma non lo dissi ad alta voce. Non volevo risultare una sbruffona piena di sé.
–Un kelpie?- domandai, cambiando repentinamente discorso.
–Ah-ah- confermò lui.
Indicai col mento l’altra sponda del fiume, dove potevamo parlare più tranquillamente. Se il mio intento era quello di trovare il ragazzo, c’ero riuscita.
–E’ una creatura della mitologia irlandese- spiegò. –Un cavallo, spesso dal manto scuro, che attira viandanti fingendosi docile. Quando, però, gli montano in groppa non sono più in grado di scendere. Così, il kelpie li trascina fino al fiume o al lago più vicino, li annega e li mangia.
-Inquietante- commentai, fissando Scott come se fosse appena uscito da un film di Tim Burton.
Incontrando il mio sguardo sgomento, scoppiò a ridere.
–Non mangio le persone, né le uccido, Victoria!- mi prese in giro.
–Ne sarei più convinta se fossi vegetariano- replicai, attraversando il fiume cercando di bagnarmi il meno possibile.
Ci sedemmo all’ombra di un pino, dove gli aghi secchi mi pizzicavano la pelle. Incrociai le gambe, pensierosa.
–Un kelpie non dovrebbe essere la tua altra forma- gli feci notare.
Scott annuì, abbandonando le braccia sulle ginocchia, riportate al petto.
–Hai ragione. Conosci la il mito del Capricorno?- mi chiese.
Scossi la testa, sentendomi in imbarazzo. Tutto ciò che sapevo sul Capricorno, si riduceva al fatto che fosse un segno prevalentemente delle donne, e che Scott non lo era. Piuttosto, attirava il sesso femminile.
Ero sicura che, se fossi stata nella forma della giumenta, avrei potuto distinguere chiaramente la tensione e l’eccitazione di quell’incontro.
–Risale alla Grecia- iniziò Scott, perdendosi a guardare le acque del fiume. –Il dio Pan stava pascolando sulle rive dei Nilo, ma arrivò Tifone, che lo spaventò. Pan si trasformò in capra per nascondersi, però, non abbastanza sicuro, si gettò in acqua per diventare un pesce. Il fondale era basso, quindi la parte superiore del corpo rimase fuori nelle sembianze di capra. Zeus, per punirlo della sua vigliaccheria, lo condannò a restare in quelle spoglie.
-Davvero un simpaticone- commentai, riferendomi al Re degli Dei. –Pensare che Giove è il protettore del Sagittario.
Scott sorrise.
–C’è anche la versione più carina, meno crudele, in cui Zeus trasformò la capra Amaltea sua nutrice nella costellazione del Capricorno- aggiunse.
–Molto meglio- concordai.
–Visto che sono di origini irlandesi, che sono un uomo, e che il mio segno è di solito femminile- continuò, -potrei aver preso la forma di kelpie al posto di quella metà capra metà pesce. Almeno, questo è quello che avevo ipotizzato con Gemelli.
Quel nome bastò a far cadere il silenzio. Mi mordicchiai le labbra, riflettendo sulla confidenza che poteva esserci tra i due Ereditari. Poteva trattarsi unicamente di una curiosità, ma anche di discorsi fatti tra persone di cui ci si fida. Mi domandai fino a che punto era profondo quel rapporto.
–Victoria.
Il suono del mio nome mi riscosse. Mi posò una mano sulla spalla, sprigionando un miriade di scintille che mi provocarono scosse in tutto il corpo, scoppiando come fuochi d’artificio nel mio stomaco. Non mi azzardai a parlare, conscia che avrei farfugliato frasi sconnesse.
–Siamo alleati, dobbiamo fidarci a vicenda- mormorò.
Il suo fiato caldo stava mandando a fuoco il mio orecchio, oppure era l’imbarazzo che mi stava facendo arrossire. Mi scostò una ciocca di capelli dalla spalla. Rabbrividii, mentre mi sembrava di stare nuotando in una vasca piena di anguille elettriche.
–Non sono colui che pensi- sussurrò.
Mi irrigidii.
–La fiducia si deve guadagnare- replicai, risultando più fredda di quello che avrei voluto.
–Troverò il modo- assicurò, interrompendo il contatto tra i nostri corpi.
Si schiarì la gola, riprendendo il discorso come se nulla fosse accaduto.
–E l’acqua ha effetti miracolosi sulla mia pelle, può guarire qualsiasi ferita. Almeno, credo.
-Utile- commentai, combattendo contro le sensazioni che impazzivano dentro di me.
Un punto nero comparve nella pianura, quasi cadendo dal cielo. Aguzzai la vista, cercando un particolare che mi confermasse che fosse Pride. Scott fischiò.
–Il tuo amico leone sta arrivando, sarà meglio che levo le tende.
Inarcai un sopracciglio.
–Perché?- chiesi, confusa.
Scott si alzò, spazzolandosi i jeans.
–Questione di territorio- spiegò, velocemente. –Sei dentro al suo fino al midollo, se mi becca con te sono spacciato.
Mentre lo diceva, sembrava realmente convinto di quell’affermazione,  come se io potessi essere veramente il territorio di qualcuno. Non ero una riserva in Africa, Pride non poteva urinarmi addosso per delimitare che gli appartenevo.
Scott gettò un’occhiata veloce in lontana e mi salutò, sventolando velocemente la mano. Quando si voltò, allontanandosi a passo svelto, la sua maglietta si sollevò e la sua pelle luccicò alla luce del sole.
Mi chiesi se non fosse uno strano effetto dei raggi, ma ne dubitavo. Per qualche motivo, Scott aveva della pelle più chiara sulla schiena; l’ennesimo mistero che lo avvolgeva. Aspettai che Pride mi raggiungesse, prima di alzarmi e affiancarlo.
Si avvicinò al mio collo, inspirando il mio odore – provocandomi numerosi brividi per la schiena – e commentò: -Lui è stato qui, con te. Da quando il concetto di “stai attenta, Tori, non fidarti” implica amorevoli incontri?
Gli diedi una gomitata.
–Almeno, ho scoperto qualcosa sul suo conto- lo rimbrottai.
Pride sgranò gli occhi, piuttosto scettico. Camminando verso il villaggio dei centauri, gli riferii della trasformazione in kelpie di Scott e dello strano brillio della sua pelle.
–Hai idea del perché accada?- domandai, alla fine del resoconto.
Pride ci rifletté su.
–Penso si tratti di ci…
Non completò la frase, perché si fermò di colpo, fiutò l’aria e si trasformò in leone. Balzò in avanti, quasi travolgendomi. Saltò addosso a qualcosa che non riconobbi subito, ma, quando rotolarono allacciati uno all’altra sull’erba, identificai una leonessa dal pelo color grano.
Pride latrò, mordicchiandole il muso e le orecchie. La leonessa ricambiò le coccole, strusciandosi contro la sua spalla e affondando il muso nella sua criniera.
–Syrah, finalmente.
La voce di mio padre mi fece saltare sul posto. Era comparso come un fantasma alle mie spalle, e osservava la scena con un sorriso. Avanzò verso Pride con tranquillità, e io gli trotterellai subito al fianco.
–Syrah?- domandai. –Chi sarebbe?
Pholos non rispose, come a dire “te lo spiegherà lei adesso”. Brontolai sottovoce, scoccando a Pride-leone un’occhiataccia. Perché dovevo essere sempre informata all’ultimo?
La leonessa emise un sbuffo, si scrollò di dosso l’erba e si trasformò. Nei panni umani, era una donna sui quarantacinque, allenata come se andasse tutti i giorni in palestra. I capelli rosso ramato erano tagliati corti e asimmetrici, che le arrivavano poco sotto le orecchie; alcune ciocche erano arrotolate a formare dei boccoli.
Aveva occhi vispi, color oro, e un sorrisetto compiaciuto che avevo già visto parecchie volte. Incrociò le braccia al seno, posa che la rendeva attraente come una modella di vent’anni. Aveva dipinta in faccia un’aria furba, che voleva suggerire “controlla se hai ancora il portafoglio”.
–Syrah, che piacere- salutò mio padre, abbracciandola.
La donna ricambiò, ignorandomi completamente. Pride si ritrasformò, sorridendo raggiante. Non riusciva a tenere sotto controllo il legame, perché i suoi picchi di gioia mi occupavano parte della mente, soffocando la diffidenza. La rossa si staccò e mi squadrò, dopodiché mi porse la mano.
Gliela strinsi, mentre si presentava: -Sono Syrah Legrand Lewis, a capo del branco dei leoni e guardiana della nostra zona dall’altra parte del portale, madre dell’Ereditario del Segno del Leone.
Parlava con una spiccata “erre francese”, che rendeva musicale la sua pronuncia. Guardai Pride, poi Syrah, di nuovo Pride e ancora Syrah.
–Oh!- esclamai.
Indicai i loro due sorrisi, perfettamente identici.
–Tu sei la… ah!... siete… wow… cavolo!
-Tori, stai bene?- domandò il ragazzo-leone, preoccupato. –Parli come una verifica a completamento.
La madre gli pizzicò il fianco.
–Postura dritta, tesoro, e rispetto per le donne- lo redarguì benevola.
Pride gettò gli occhi al cielo, ma si raddrizzò. Sghignazzai. Se l’avessi chiamato io “tesoro”, mi avrebbe annegato giù al fiume.
–Victoria Williams, Ereditaria del Segno del Sagittario e figlia di Pholos. Vedo che voi due vi conoscete già bene- mi presentai.
Oui- confermò lei, con un sorriso.
–Io e tuo padre siamo grandi amici da lungo tempo, non è così?- si rivolse a Pholos.
Lui le rivolse un aperto sorriso.
–Grazie per aver accettato di aiutarmi- disse.
–Come non avrei potuto?- replicò Syrah.
–Aiuto per cosa, mamma?- si intromise Pride.
Lei liquidò l’argomento con un aggraziato movimento del polso.
–A tempo debito, tesoro. Adesso, mi lasceresti parlare da sola con Pholos?
Sorrisi al ripetersi di “tesoro”.
Ti strozzo” minacciò Pride attraverso il legame.
“Rispetto per le donne, tesoro” replicai, maliziosa.
Pride lasciò andare sua madre solo per poter scavare una fossa che contenesse il mio cadavere. Syrah e mio padre si allontanarono a braccetto, sorridendosi amichevolmente. Non lo avevo ancora visto così, e quell’improvvisa felicità mi mise di buon umore.
–Chiamami ancora “tesoro” e troverai una morte lenta e dolorosa.
Il ragazzo-leone era così irritato, la sua espressione talmente crucciata che non riuscii a trattenere una risata.
Ripresi il cammino verso la casa, acconsentendo: -Come vuoi, tesoro.
Pride ringhiò.
–Stai calmo, t…- stavo per ripetere ancora il nomignolo, ma lui mi tappò la bocca con la mano.
Mi rivolse un sorriso ambiguo, a metà tra “ho un set di coltelli inox pronti all’uso” e “ristorante francese, questa sera?”. Fece segno di stare in silenzio, mentre mi conduceva tra gli alberi. Lo lasciai fare, sorridendo al pensiero di quanto ci si potesse sentire ridicoli, quando un genitore vi chiamava in pubblico con soprannomi imbarazzanti.
Ci sedemmo sull’erba, il ramo e le fronde di un acero che ci proteggevano gli occhi dal sole. Sentivo i ciuffi solleticarmi il collo, infilandosi tra i miei vestiti. Pride rimase in silenzio, nonostante avesse parecchio da spiegare – a iniziare dal perché mi avesse portato lì.
La famille de ma mère est d’origine française- sussurrò.
Sapeva che non avevo capito nulla, perché tradusse subito: -La famiglia di mia madre è di origine francese. Per lei, è molto importante ricordare le proprie radici, per cui ha mantenuto il cognome del padre anche da sposata.
-Legrand- intuii.
Pride sorrise, rivolto al cielo.
–Prima che ti tedi con la noiosa  storia della mia famiglia, vorrei sapere se sei disposta ad ascoltarla.
Rotolai più vicino a lui.
Mais oui- dissi. –Non so praticamente nulla di te, mentre tu sai tutto di me. Ovvio che voglio conoscere questa storia.
-Mh- fece lui. –Di solito, alle ragazze interessa solo sapere che sono bello e affascinante.
Sbuffai, facendolo ridere.
–Okay.
Si passò la lingua sulle labbra, riflettendo su dove iniziare.
–I Legrand sono in America da molto tempo, quando ancora c’era la Rivoluzione. Dal Québec, Canada francese, si sono stanziati negli Stati Uniti- raccontò.
-Mamma non era sorpresa di saper cambiare forma, non era l’unica nella famiglia, e sapeva di poter trovare l’uomo adatto solo se quest’ultimo conoscesse la storia delle creature fatate. Dopo il matrimonio, be’, sono nato io.
Mi figurai un Pride neonato, che frignava tra le braccia di Syrah, abbracciata a suo marito. Doveva essere bello avere una famiglia che ti vuole bene.
–Solo che non sono nato normalmente. La mia prima forma, è stata quella di leone.
Bloccò le mie domande con un gesto della mano.
–E’ possibile, sì. Mamma si è rifugiata in una radura, nei suoi panni di leonessa, e mi ha messo al mondo. Tra i metà-leoni, gira la leggenda che coloro nati sotto queste spoglie, sono destinati a grandi cose.
Lo disse come se fosse più una maledizione, invece che un ottimo augurio. Si voltò verso di me, e notai quanto i suoi occhi fossero svuotati di ogni allegria.
–Come nei lupi, tra i leoni ci sono diversi branchi, ognuno predominante su una zona di New York.  C’era una faida tra quello di mio padre, e quello di Ripper. Sapendo che io ero nato come leone, si infuriò e decise di uccidermi, perché il suo branco avrebbe seguito quello di mio padre e lui sarebbe stato emarginato.
-Ma tu sei qui- mi sfuggì.
–Sì- confermò Pride. –Perché fu qualcun altro a morire al posto mio.
Sentii un peso occuparmi il petto, il cuore accelerare i battiti.
–Mio padre offrì la sua vita per salvare la mia, e venne ucciso in duello da Ripper- la sua voce si era incrinata leggermente, ma il ragazzo deglutì e riprese, senza più alcuna inflessione.
–Quando muore il capo, l’alfa, un branco si disperde. Così accade per il mio, inutili gli sforzi di mia madre. Venne emarginata, perse la sua carica di regina. E sai dove si rifugiò?
Non ne avevo la minima idea, per cui tacqui.
–Nello zoo centrale di New York- si rispose da solo. –Falsificò dei documenti, che attestavano l’arrivo di madre e figlio, e ottenne una casa, pasti regolari e un luogo sicuro dove crescermi. Quando era l’età per mandarmi a scuola, riscuoteva il suo “stipendio” di attrazione animale e pagava la retta. Tutto il materiale si nascondeva nella nostra gabbia, e lei mi aiutava a studiare, a fare i compiti. Non avrebbe permesso che fossi ignorante. Certo, non potevo invitare amici a casa e dovevo mentire ai temi per scuola su “descrivi la tua casa”, ma ero felice. La pelliccia di mamma era morbida, il suo corpo caldo. Quando i miei compagni mi prendevano in giro perché avevo un nome strano, lei si accoccolava accanto a me, mi leccava via le lacrime e diceva “Gli altri sono così stupidi. Sai cosa vuol dire Legrand, trésor? Il grande. Sei forte, sei grande, sei un re. Il tuo nome significa orgoglio, e con questo spirito bisogna mostrarlo. Tu sei un leone, e loro? Sei ciò che mi rende fiera ogni giorno di più, che rende felice tuo padre lassù, e che porta onore alla nostra famiglia. Sii orgoglioso delle tue radici, non rinnegarle mai, capito, tesoro?”
Il suo sguardo si perdeva tra le fronde, e non ebbi il coraggio di interrompere il flusso di parole che fluiva dalla sua bocca.
–Ogni sera, prima di addormentarmi, mi faceva ripetere il motivo per cui mi chiamassi così. Era un modo per ricordarmi che è col fango che si formano i più bei vasi di terracotta. Infatti, negli ultimi anni, mamma è riuscita a riformare il branco e a riprendersi la carica che le spettava.
-Pride…- mormorai, la voce che tremava. –Come fai a sorridere, ad essere divertente, sicuro di te, portandoti tutto questo dietro?
Pride si puntellò sui gomiti. Sembrava stesse per ridere, anche se quella situazione era tutt’altro che esilarante.
–Vuoi la verità? Non lo so. Credo dipenda da ognuno di noi, da quanto siamo forti. Non scordarti che sono un leone.
Si alzò, gettando un’ombra su di me.
–E, comunque- aggiunse. –L’humor è un ottimo modo per nascondere il dolore.
Se ne andò, lasciandomi sdraiata sull’erba, con il peso della sua vita sullo stomaco.
Dal fango si formano i vasi di terracotta più belli, ripetei nella mente. Pride aveva parlato della sua vita in modo semplice, conciso, come se fosse normale vivere in uno zoo, mentire fin da bambini, nascere leoni e vivere sotto una leggenda che ti affidava il destino di fare grandi cose. C’era un ricordo che stuzzicava la mia memoria, una frase che avevo detto e che aveva ferito Pride, che solo ora si collocava al posto adatto.
Mi sforzai di ricordare, invano. Mi costrinsi ad alzarmi e scossi la testa, cercando di scacciare quei pensieri dalla mente. Se dietro la facciata che Pride innalzava si nascondeva tutto quello che mi aveva detto, non osai immaginare quale verità appartenesse a Scott.

.::Angolino dell'Autrice
Ehm... sì, questo capitolo non è in orario, ma in super ritardo. Spero vi abbia soddisfatti comunque :3
So che tutti amate Pride come no, sogna, quindi la sua storiella personale dovrebbe avervi sciolto un po'. E con dovrebbe, intendo: vi ha sciolto, vero? Vero!? 
Riprendiamo. Sono solo le otto, non posso essere messa già così male. Punti chiave: francese! Sì, può sembrare una lingua da ammosciati e tutto il resto, ma ehi, sapevate che la Francia ha il più alto tasso di attività sessuale al mondo? Se è così, un motivo dev'esserci *ammicca* Come non dare a Pride lontane origini francesi? u.u
Secondo, Ripper. Il suo nome, in inglese, significa "squartatore", infatti, Jack lo Squartatore è Jack The Ripper. Quale nome migliore per un assassino?
Il nome del padre d Pride è sconosciuto, sia perché il leoncino non l'ha mai conosciuto, sia perché io non ne trovavo uno che mi soddisfacesse. Nel capitolo 11, prima dell'arrivo di Hayley Becker, nel momento in cui Pride si rivela, Victoria grida "
Torna nel tuo zoo, Alex il Leone!" e lui "Seguirò il tuo consiglio". Quindi, il ragzzuolo è andato a farsi consigliare da Syrah perché la loro "residenza" è ancora lo zoo.

Per quanto riguarda Scott, tutto ciò che ho usato per informarmi sui kelpie e sul segno del Capricorno è preso da Wikipedia, se ciò che sapete voi è diverso, non esitate a espormi i vostri dubbi! Qualche idea su cosa siano i segni bianchi? *sorriso maligno*
Per finire e lasciarvi in pace, perché Tori prova determinate sensazioni quando sta con Scott? Scoprirà qualcosa sul suo passato?
Alla prossima vi aspetto a Voyager! un bacio! :*

Water_wolf

 
 
  
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