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Autore: Alex Wolf    27/01/2014    8 recensioni
Ultima parte della storia di LegolasxElxSauron. Ispirata al film "Il ritorno del re".
Dal 13° capitolo:
"Mi sono sempre chiesto perché amore e sangue avessero lo stesso colore: adesso lo so.
- Alessandro D'Avenia"
« Stai lontano! Stai lontano da me! » Gli ordinai, facendo un passo indietro. I suoi occhi celesti mi guardarono stupiti dal mio comportamento e le sue labbra si socchiusero un poco. « Non voglio farti del male, ti prego. » Lo implorai, e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii fragile, distrutta e vuota dentro, con le lacrime che minacciavano di scendere. Ma non volevo piangere, perché non volevo mostrarmi debole, non volevo essere debole.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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You must go. ‘Cause it’s time to choose. 



« Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle loro rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende. »
 
«  Uno alla giovane guerriera,
che il destino suo non sa,
cuore di cenere che ancora spera,
che fra non molto batterà. »

 

Tolkien & quell'imbecille dell'autrice di questa FF.
 



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Quanto tempo era che il suo cuore non batteva così forte? Poteva sentirne l’eco rimbombargli nelle orecchie, il rumore del sangue ovattava ogni suono attorno a lui, persino il più minimo. C’era silenzio, uno di quei muti silenzi tetri che nasce ogni volta prima di una battaglia decisiva, e, sebbene tutto questo era prescritto nei piani spiegati da Aragorn, Legolas non poteva fare a meno di provare un po’ di paura. Non sapeva bene perché quel sentimento lo avesse colto così impreparato, ma più ci pensava più sotto le sue palpebre, ogni volta che chiudeva gli occhi, affioravano le immagini della sua compagna: la vedeva ridere, gridare, venire ferita e feristi e, non ostante ciò, tenerlo alla larga a causa dell’orgoglio. Nella sua mente tornavano alla luce le loro prime conversazioni, le litigate e le riappacificazioni: « Se ti metti a cantare qualche canzone in elfico ti strappo le labbra. » Sorrise inconsciamente al ricordo del primo incontro. Era così strano vedere quanta strada avevano fatto da allora, quanti amici avevano perso e quante volte loro stessi avevano rischiato di restare separati per sempre. Era così strano pensare che dopo tanto tempo lui potesse sentirsi così pieno di sentimenti, quando per quasi sessant’anni non aveva provato niente se non desolazione e rabbia. Oh, la rabbia l’aveva covata per così tanto dentro di se ma era scomparsa non appena aveva incontrato quegli occhi castani per la prima volta, e poi era tornata quando Boromir l’aveva baciata per divertimento. Al solo pensiero le sue mani si strinsero con forza attorno all’arco e le nocche divennero più bianche del solito. Si rilassò solo quando il volto dell’amico gli passò davanti all’improvviso e la sua risata invase le sue orecchie. Inconsciamente rise leggermente, ripensando al giorno in cui scherzando avevano lanciato una freccia nella camera di Eleonora e questa era finita dentro il suo materasso. Ricordò anche le parole che Boromir aveva riservato ad Aragorn: “io ti avrei seguito, mio capitano, mio re.” E allora le labbra s’incurvarono verso il basso e il cuore batté con meno forza.
« Comunque vada: è stato un onore combattere al vostro fianco. » Mormorò, lanciando un’occhiata ad Aragorn e Gimli. I due si voltarono di scatto verso di lui e il re ingoiò un fiotto di saliva. L’elfo sapeva che Aragorn credeva nel loro nuovo esercito, morto, e in Frodo e Sam. Chissà se i due piccoli hobbit erano riusciti ad arrivare a Mordor, oppure erano periti nell’intento di farlo. Scuotendo il capo il giovano principe tentò di dimenticare quelle brutte idee, e al contrario si convinse che i due piccoli amici fossero, proprio in quel momento, molto vicini al vulcano e alla fine dell’impresa.
« Ah, hai fifa elfo? Hai paura di non riuscire a battermi? » Rise Gimli, sebbene si poteva vedere da un miglio di distanza che persino lui, sotto la sua folta barba rossa, fremeva un poco d’agitazione. Legolas lo fissò in tralice e scrocchiò le dita; il suono si diffuse nel silenzio. Con i chiari occhi da gatto il principe lanciò uno sguardo di sfida al nano, dimenticandosi del tutto di tutti i problemi che l’opprimevano.
« Ti batterei ad occhi chiusi, nano. » Borbottò fermamente convinto, ma prima che Gimli potesse ribattere grida, urla e stridii insopportabili offuscarono l’aria. Un forte odore di morte e sangue impregnò il vento e tutti i cuori palpitanti sulla nave si bloccarono all’improvviso. Il silenziò calò all’istante e gli sguardi s’incontrarono.
 Il cuore dell’elfo batteva piano mentre le navi rallentavano la loro corsa fino a fermarsi e le grida si facevano più forti. Un ombra scura volò sopra di loro e si dileguò con velocità, ma da quel poco che il principe aveva potuto vedere aveva intuito che era di un Nazgul. Sauron aveva rilasciato i nove molto presto.
« In ritardo come al solito feccia dei pirati! » Sentì gridare dal basso, e con il respiro fermo in gola l’elfo si appiccicò alla balaustra di legno della nave con la schiena. Pregò i Valar di proteggerlo e di fargli vincere la sfida contro Gimli, e soprattutto li pregò di tenere d’occhio la sua compagna e il figlio che portava dentro. « Ci aspetta un lavoro di coltello! » Gimli gli scosse la spalla e gli fece cenno di prepararsi. Aragorn aveva già flesso le ginocchia e si preparava a saltare. « Forza topi di fogna, scendete dalla nave! » Al suono della voce stridente, probabilmente di un orco, il futuro Re di Gondor saltò scavalcando la balaustra e Legolas e Gimli lo seguirono poco dopo. Davanti ai tre si trovava un piccolo battaglione d’orchi, tutti armati e ghignanti, convinti di avere la vittoria in tasca. Il loro capitano, un brutto tipo basso dalla pelle rosa salmone e senza naso, sgranò gli occhi e fece un passo indietro, eliminando dal volto il sorriso. Il principe si dondolò per un attimo sulle gambe, tentando di trovare la posizione migliore per scattare quando sarebbe arrivato il momento, e nel mentre l’orco impugnò la sua ascia.
« Ah! Questa volta perderai! » Grugnì Gimli, stringendo la propria ascia fra le mani come se fosse un tesoro. L’elfo gli rifilò un’occhiata e sorrise; poi, i suoi occhi gelidi si soffermarono sulla figura di Aragorn. Il giovane ramingo aveva stretto l’elsa della propria spada con forza e aveva iniziato a camminare. « C’è ne in abbondanza per tutti e due! Che vinca il nano migliore! » E detto questo, presero a correre verso i nemici. Dietro di loro, Legolas lo poteva sentire, l’esercito dei morti li seguiva. Era una strana sensazione sentirseli alle spalle, con quel freddo pungente e quell’odore agre e muffoso, che ti rincorrevano, o meglio: correvano contro i nemici. Si riversarono come una marea verde sul gruppo di orchi e in pochi secondi vennero sterminati; Legolas riuscì a levare la vita a due di loro e sorridente aprì le labbra per gridarlo al nano, ma il suo divertimento giunse al termine quando, con la coda dell’occhio e un suono prorompente, vide un’ombra troppo grossa per essere quella di un semplice Nazgul. Allora, si fermò per un secondo e spostò gli occhi verso nord: due draghi stavano per attaccare e lui sapeva a chi appartenevano.
 





 
°     °
 
 




Ci siamo, pensai, o vinciamo o periamo. Sotto di me sentivo le urla degli uomini innalzarsi numerose, le grida degli orchi echeggiarmi nei timpani e gli strilli di quelle viscide creature farmi fremere fin dentro le ossa. I Nazgul volavano sopra l’immenso campo di battaglia, intriso di odori pungenti e agri come quello del sangue, e mietevano vittime. Grandi Olifanti distruggevano ogni cosa e, con le loro enormi zanne, facevano volare i cavalieri di Rohan, oppure li calpestavano. Dall’altezza in cui mi trovavo il vento tirava forte e portava con  se i lamenti provenienti da Gondor. Voltai la testa verso la città e la trovai in fiamme e distrutta: la magnificenza e la casa dei grandi Re del passato era andata distrutta.  Un moto di rabbia mi crebbe dentro, mentre sentivo uno strano calore invadermi il petto e lo sguardo macchiarsi di rosso. Per una volta, avevo deciso, avrei lasciato libero il guardiano domato. Avrei lasciato che distruggesse ogni nemico che si sarebbe trovato sulla nostra strada e Turon sembrava apprezzare questa cosa.
« El! » Il grido di Fanie arrivò troppo tardi.  Con velocità, girai di scatto la testa in tempo per vedere uno di quegli esseri volanti venirmi addosso di traverso. Aveva il corpo reclinato all’indietro e i fievoli raggi solari, che scaturivano attraverso le nubi, gli illuminavano il ventre grigio e viscido facendolo quali sembrare traslucido. Le lunghe zampe artigliate si arpionarono al fianco sinistro di Turon e i grossi denti affondarono nella carne alla base del suo collo.  Il grosso dragone ruggì di dolore e, a causa del potente urto, girò su se stesso perdendo possesso del vento che ci aiutava a stare in volo. Volteggiammo con tanta forza nell’aria, mentre i volti dei due animali tentavano di azzannarsi a vicenda, che pensai avremmo causato un tornado. Mi strinsi alla sella e lasciai libere le redini, che tenevano i movimenti del dragone a freno. In pochi istanti un potente schiocco mi fece intuire che Turon le aveva distrutte e ora niente l’avrebbe fermato dal distruggere quell’essere. Le mascelle del mio drago si chiudevano e aprivano con forza nella direzione del Nazgul, che stava ben attento a non farsi prendere, mentre con forza sbatteva le ali per tentare di mantenersi dritto. Sentivo il suo sangue caldo colarmi dentro lo stivale e inzupparmi la gamba, e lo vedevo scivolare sulla sua spalla e precipitare verso il basso. Scrocchiai le nocche e il collo e, allungando una braccio verso quell’orrendo animale, aprii il palmo; il solito calore si sprigionò nelle mie vene, inondandomi di un tepore interno che mi fece chiudere gli occhi per un secondo. Tutto sembrò fermarsi e andare in stallo, mi concentrai sul fulcro del mio potere, che risiedeva nel mio cuore di cenere, e respirai a fondo: quando riaprii gli occhi un lampo rosso oscurò la mia vista e poi scomparve. Spinsi in avanti il palmo e una palla di fuoco mi bruciò la pelle prima di andare a segno: l’essere che il Nazgul cavalcava beccò la palla dritta nel petto. Le fiamme bruciarono il suo torace e vi lasciarono un buco mentre questo gridava, si dimenava e perdeva quota.
« Uccidilo! » Strillai in un moto di furia ceca, e Turon ruggì al di sopra della battaglia e si gettò in picchiata alla sua rincorsa. Le raffiche di vento create dalla veloce discesa mi costrinsero a socchiudere le palpebre e così mi ritrovai solo in grado di vedere il Nazgul agitare le mani, in cui erano ancora strette le redini, per tentare di far rialzare il proprio animale che bruciava, letteralmente, vivo dentro. Non mi importava di molto in quel momento, se non di prendere quell’affare e spezzarlo in due come uno stuzzicadenti. Finalmente, quando Turon riuscì ad avvicinarsi abbastanza, allungò gli artigli delle ali sul suo collo e lo tirò a se chiudendo le fauci attorno al suo collo, in una morsa letale. Le ossa dell’essere gracchiarono e si spezzarono con semplicità a contatto con le mascelle del dragone e metà del suo collo volò nel vuoto: gli occhi vitrei e le mandibole aperte. Il sangue che colava dal taglio prominente. « Lo so che puoi sentirmi, maledetto! Guarda cosa posso fare a te e le tue armate! » Strillai contro il cielo tutta la mia rabbia e frustrazione diretta a Sauron, che sapevo stava guardandoci dalla sua inutile rocca cupa. La sua ossessione per il potere, di quell’anello, e il controllo l’avevano ridotto a diventare a un mostro che non si sarebbe fermato davanti a nulla. Non aveva dichiarato guerra alla Terra di Mezzo perché voleva comandarla, certo che no: lui l’aveva fatto perché voleva sterminare gli uomini e dominare incontrastato senza dover dividere nulla con nessuno. « Non vincerai mai questa guerra! Dovessi passare sul mio cadavere! » Poi, allungando le braccia verso il Nazgul lanciai una fiammata. Le fiamme rosse si sparsero nell’aria attorno a me: alcune correndo alle mie spalle a causa del vento forte, altre arrivando a destinazione e infiammando il corpo dello stregone.
Finiscilo. Ordinai con freddezza e Turon, lasciata andare la carcassa dell’essere, si avventò sul corpo del Nazgul stringendolo fra i denti. L’urlo di quella creatura mi fece rabbrividire e stringere i denti; strillava con tanta forza da farmi pensare che da un momento all’altro tutta la mia testa sarebbe esplosa. A un tratto, poi, tutto cessò e il mio dragone lasciò cadere nel baratro della morte quella carcassa muta che si accartocciò  su se stessa fino a scomparire.
« Bravo. » Mormorai col fiatone. Non mi ricordavo quante energie sprecassi usando così tanta forza; non avevo più l’anello che mi aiutava ora, dovevo stare attenta.
E non è ancora finita. Esultò soddisfatto il drago. Non sembrava gli pesassero quelle sue ferite, quasi fossero inesistenti. Mi domandai perché quand’era stato ferito io non avessi sentito nulla, ma mi dissi che era normale: nemmeno con Titano all’inizio provavo dolore quando si feriva. Serviva tempo ed ero contenta che succedesse così lentamente, almeno non avevo dovuto sopportare il dolore di quei denti lacerarmi la carne. Che facciamo?
« Fanie? Dov’è Fanie? » Domandai velocemente. Mossi la testa in tutte le direzioni ma non la vidi: dov’era finita?
Sono dentro le mura a respingere gli attacchi! Come se ci avessero letto nel pensiero, ecco l’enorme drago doro innalzarsi oltre le mura e, con le zampe ricche di orchi e troll, venire verso di noi. Lungo la strada lasciò cadere il carico, che con grida e stridii cadde a terra morto. Gli occhi neri della dragonessa si fissarono su di noi e in pochi istanti ci raggiunsero. L’elfa aveva il volto e la corazza sporca di sangue nero, la treccia bionda, però, era ordinata e intatta.
« Ne ho uccisi più che potevo. » Mi ragguagliò ansante e riuscii a sentire il suo battito cardiaco aumentare persino da li, sebbene ci fosse molto frastuono.
« Dobbiamo ricorrere all’artiglieria pesante. » Affermai, mostrandole una fiammella viva che sostava sul palmo. Lei scosse il capo e i capelli biondi luccicarono sotto il tenue sole.
« Ne uccideremmo troppi dei nostri, credimi meglio di no. » Affermò, nel mentre muoveva la testa a destra e sinistra per controllare la situazione. « Meglio se facciamo lavoro di gruppo. »
 
 




°    °
 
 




Legolas corse contro l’olifante, evitando che le lunghe zanne appuntite e guarnite di speroni lo colpissero. Con un salto ben calcolato il giovane elfo saltò su una di esse, si aggrappò a una corda e, poi, si ritrovò stretto ad una delle grandi zampe dell’animale. Intorno a lui continuava a infuriare la battaglia, e le grida si levavano alte. Grida disperate di uomini che combattevano per rendere la terra un posto migliore per i propri figli, che molti non avrebbero visto nascere o crescere. Chissà se lui avrebbe mai visto sua figlia crescere, se sarebbe sopravvissuto anche a quella battaglia. Certo, avevano l’esercito dei morti dalla loro ma chi poteva assicurargli che qualche orco, o troll, o Nagul non l’avrebbero ucciso all’improvviso? Tentando di levarsi quelle idee dalla mente, e tornando a tenere il conto delle persone uccide in più rispetto a Gimli, si arrampicò sulla zampa dell’animale; quando arrivò in cima prese a scoccare frecce contro i nemici.
« 33, 34… » Aveva il fiato corto, ma doveva distrarsi; doveva combattere contro la voglia di alzare gli occhi al cielo e scrutarlo per vedere cosa stesse facendo la sua compagna. Temeva per la sua vita, sebbene cavalcasse un drago. Con una mossa abile evitò tre nemici, che caddero nel vuoto sottostante, si appese a una corda e dopo aver penzolato per qualche secondo fra le gambe dell’animale riuscì a tagliare il sotto pancia che lo abbracciava sul ventre. Gli uomini che risiedevano sulla grossa sella-fortezza  gridarono e precipitarono, finendo a terra dove il fiume di morte verde gli attendeva. Il principe gettò loro un’occhiata e poi tornò a concentrarsi sull’animale: estrasse tre frecce dal fodero e, facendo molta attenzione a non cadere, corse sulla sua schiena fino ad arrivare alla testa, dove scoccò i dardi. L’animale barrì e le sue zampe anteriori cedettero, dando così a Legolas l’opportunità di scivolare lungo la proboscide e toccare il suolo. Davanti a lui Gimli s’accigliò, e così il principe gli fece un cenno divertito con la testa.
« Comunque conta per uno! » Ringhiò il nano, tornando a combattere. Le sue grida si perdevano nel campo di battaglia. Aragorn, accanto a lui fendeva corpi su corpi, finché non c’è ne furono più. La marea verde divorava tutti i rimasti e i due dragoni distruggevano gli olifanti che tentavano di scappare, con ancora le persone a bordo. Legolas li guardava: volteggiavano nell’aria come fulmini doro e nero, bellissimi e al contempo pericolosi. S’incrociavano in volo e strappavano a metà gli animali con una forza e una cattiveria tale da spaventare persino lui, che sapeva combattevano dalla sua parte. Proprio in quell’istante, prima che se ne rendesse conto e potesse fare qualche passo verso sinistra, la metà anteriore di un olifante gli attirò accanto, e lui si ritrovò a pochi millimetri da una zanna bianca e coperta di filo spinato.
 
 


°    °
 
 



Lanciai uno sguardo a Gondor, dove una marea verde si stava riversando, e gridai felice. La città era stata distrutta, ma non conquistata dal nemico. Avevamo vinto e questo significava che Sauron aveva torto, che la sua guerra stava per concludersi e lui non avrebbe vinto. Sentii il petto gonfiarsi di gioia e lasciai che Turon atterrasse per riposarsi. Quando toccai il suolo con gli stivali le gambe mi cedettero, e per restare in piedi dovetti aggrapparmi ad una staffa. Non mi ricordavo che stare seduta per così tanto, alla fine, mi avrebbe intorpidito le gambe in quel modo. Con una smorfia sganciai i lacci dell’armatura e la lasciai ricadere a terra, fra la polvere e il sangue. L’aria umida e pesante mi accarezzò la pelle, facendomi venire la pelle d’oca, e mi affaticò i polmoni. Chiusi gli occhi, abbandonando la schiena contro la sella e gettando la testa all’indietro, tentando di calmare il calore nel mio petto. Turon si voltò verso di me e piegò leggermente il volto, osservandomi con quegli occhi neri e profondi come pozzi di catrame. Gli sorrisi e, per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, mi avvicinai al suo muso per accarezzarlo. Una nuvola di vapore si alzò dalle sue narici, bianca e calda, e si disperse nella nebbia che era andata a depositarsi sul campo.
« Sei stato fantastico. » Ammisi, reggendomi a lui pur non capendo il perché di tanta debolezza.
Grazie. La sua voce potente rimbombò nella mia testa, fiera e felice. Um, uh, hai visite. Una ventata d’aria mi spettinò i capelli e poco dopo ci pensò un abbraccio a tenermi in piedi. Il viso di Fanie affondò nella mia spalla e la sua morbida presa mi circondò come una coperta. Le squame della sua corazza mi graffiarono leggermente una guancia, ma ci feci poco caso e ricambiai la stretta: non m’importava delle apparenze, in quel momento ero felice di vedere che lei stava bene, così come il suo drago.
« Stai bene? Non hai una bella cera, sai? » Mormorò apprensivamente lei quando ci staccammo. Le sorrisi, alzando le spalle come se nulla fosse accaduto e mi passai una mano fra i capelli, slegandoli per poi rilegarli. Mi faceva male il petto, pulsava e bruciava ma non volevo allarmare nessuno, non mi sembrava il caso ora che la guerra era appena finita.
« Sono solo un po’ stanca, sai com’è: non combatto tutti i giorni. » Mi giustificai, sperando si bevesse quella cavolata. Prima che potesse rispondere, però, i suoi occhi corsero alle mie spalle e le sue labbra si serrarono in un muto sorriso.
« Di tutte le persone più cocciute e permalose che ci sono… sono felice che tu sia venuta. » Borbottò a un tratto una voce rude alle mie spalle. Un grande sorriso so aprì inconsciamente sulle mie labbra e, quando mi voltai, e trovai Gimli davanti a me non potei fare a meno di pensare a quanto ero felice di vederlo. Aveva ancora l’armatura indosso, e la barba era in perfetto stato. Mossi un passo verso di lui ma, non appena feci cenno di abbassarmi per abbracciarlo, lui mi fermò facendo un passo indietro. « Più tardi, ora non credo sia il momento, sai », con un cenno della testa m’indicò poco più dietro di lui. Legolas stava arrivando a passo spedito, i lunghi capelli non ondeggiavano al vento come al solito ma restavano fermi sulle spalle, quasi fossero fatti doro. Sospirai e, capendo il motivo del suo spasso spedito e della sua mascella tesa, aggirai il nano e mi dimenticai di Fanie. Ogni passo che facevo nella direzione dell’elfo era un macigno sulle mie spalle; sapevo di averlo fatto arrabbiare, e tanto anche. Arrivai davanti a lui e osservai il suo petto alzarsi e abbassarsi con regolarità, mentre i miei occhi si alzavano fino a incontrare i suoi. Socchiusi le labbra quando mi accorsi che erano freddi, distanti, di un colore neutro qual è il grigio vetro. Non avevano emozioni, ne anima: erano semplicemente spenti.
« So cosa vuoi dire e hai ragione, sono stata avventata ma… » Prima che completassi la frase lui si fece cupo in volto, più di quanto non lo fosse già, e digrignò i denti. Sembrava cattivo, come se si sentisse tradito, o peggio: deluso.
« Ti avevo chiesto una sola cosa, El, una sola: ed era di restare a Edoras per non farti del male e proteggere la vita del bambino. » I suoi occhi corsero alla mia pancia appena accennata. Risucchiai le guance all’interno della bocca e le morsi, abbassando il capo non riuscendo a sostenere il suo sguardo accusatorio. « Perché non mi dai mai retta, perché?! Quel Nazgul poteva ucciderti, se Turon non fosse riuscito a reagire ora saresti morta! »
« Si, ma non lo sono! Sono qui, di fronte a te e come puoi constatare sto b… » Il respiro mi si smorzò in gola, quando all’improvviso un dolore si espanse nel mio petto e nel mio ventre. Sgranai gli occhi, smettendo di parlare e portai una mano alla pancia. Legolas s’irrigidì e, abbassando la facciata da “Figlio di Thranduil”, si avvicinò a me poggiandomi le mani sulle spalle. « Qualcosa non va. » Sussurrai impaurita, sentendo le gambe cedere.
 « Cosa c’è che non va? El, cos’hai? » Chiese ansioso, passandomi una mano dietro al suo collo.
« Col bambino, qualcosa non va col bambino. Mi fa male la pancia e il petto brucia. » Il mio respiro si fece irregolare e la paura di poter perdere mio figlio s’impadronì di me. Legolas aveva ragione: non sarei dovuta andare in battaglia alle mie condizioni, avevo permesso a tutti di prendermi di mira e farmi del male senza pensare al bambino. Io stessa avevo creduto che non gli sarebbe successo nulla. Che stupida che ero.
« El, c’è la fai a camminare? » Sussurrò poi apprensivamente. Scossi il capo e strinsi un lembo della sua tunica verde.
« Legolas ho paura, non mi sento bene. Legolas, aiutami, ti prego, ti prego ho paura. » Cominciai a borbottare, sebbene quelle cose non fossero nel mio stile. L’elfo piegò le gambe e passò un braccio sotto le mie ginocchia, per poi prendere a camminare con velocità verso Gondor.
« Andrà tutto bene. Starai bene e anche il nostro bambino: Gandalf saprà cosa fare. »



 
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Ciao Peipeeeee :3
Mi siete mancate molto, ziii! Che ne dite di cvesto captilo molto sancvuinario? Vi è piaziuto?
Gollum! Gollum!
Ma com scrivi Eleonroa? Ti sei ridotta al transivanico?
Ok, ora la smetto perché sennò vi spavento e non va bene. Anyway: sul serio, che ne dite? Troppo scontato? (Dio, se solo penso che mancano 3/4 capitoli alla fine mi sparo. Non voglio finisca: e se facessi capitoli da una riga? )
Vado, mucho love.

Isil

 
  
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