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Autore: foxfeina    09/06/2008    2 recensioni
“Sev?” tenne gli occhi bassi, ma poggiò la testa sulla mia spalla.
Attesi in silenzio, senza smettere di accarezzarla.
“Mi prometti che saremo amici per sempre?”
Chiusi gli occhi con un sospiro. Non sapevo se avrei mai ottenuto qualcosa di più. Ma la sua amicizia era la cosa più cara che potesse esistere per me. Non avevo intenzione di perderla, per nulla al mondo. La strinsi a me.
“Te lo prometto.”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Apro gli occhi

Promise

Apro gli occhi. Le palpebre fanno male, come fossero state chiuse per molto, troppo tempo.

Mi aspetto di trovare davanti a me un paio di occhi verde smeraldo, i più belli che possano esistere.

Ma non ci sono. Mi metto a sedere. Dove sono? Su un prato, verde ma non troppo curato, dietro un cespuglio dall’aria malandata. Un cigolio lontano è l’unico rumore che mi giunge.

Mi alzo, le gambe incontrano qualche fatica nel riuscire a reggermi.

Questo posto…mi sembra familiare. Sono certo di averlo già visto, almeno una volta.

No, non solo una. Cammino, al cigolio si aggiunge adesso il dolce rumore dei miei passi sull’erba umida. Deve aver piovuto, c’è odore di pioggia. Aggiro la siepe. Non ci metto più di qualche attimo a capire dove mi trovo, adesso. E come dimenticarlo?

E’ lì, davanti a me, nella sua bellezza divina.

La guardo, di nuovo, seminascosto da questa siepe ombrosa.

Di nuovo non esiste più niente mentre la osservo dondolare su quell’altalena.

Un soffio di vento. I suoi capelli rossi svolazzano, il suo viso si gira verso di me. Mi vede. Mi ha visto, ne sono sicuro. Eppure rimango immobile.

Non ho bisogno di aspettare per sapere cosa farà. Lo so già. Eccola, che attende che l’altalena giunga al suo punto più alto e che poi si lancia con estrema delicatezza, indugia nell’aria qualche secondo di troppo e tocca terra con dolcezza. Io sono ancora lì, a guardarla. Che altro posso fare?

Solo osservarla in tutta la sua perfezione, per poterla ricordare il più a lungo possibile, come quando ero appena un bambino.

Quante ore, quante giornate passate dietro la stessa siepe. Sedevo a terra, sul prato umido del parco giochi. Erano sempre insieme, purtroppo. Non riuscivo mai a vederla quando era da sola.

Ma lei era diversa. Lei era…speciale.

La sua risata, chiara e innocente, risuonava spesso tra le strade semideserte di quel quartiere non propriamente adatto alla vita di bambini come noi. Tutto sembrava illuminarsi al suono delle sue risa. Anche il mio cuore, che già allora era pieno di dolore e risentimento.

Tunia! Guarda qui!” la voce della bambina più piccola mi riscosse dai pensieri, in un lampo i miei occhi neri erano fissi su di lei.

La sorella, più grande ma non altrettanto interessante ai miei occhi, si avvicinò con titubanza.

“Hai fatto qualche altra cosa strana?”

“No, guarda qui!” insistette la rossa. Aveva poco più di quattro anni, all’epoca.

Quando Petunia si avvicinò fece un balzo indietro con espressione disgustata.

“Lily! Ma…che schifo!!”

Lily… era quello il suo nome allora… Mi persi di nuovo tra i pensieri… Si, era un nome meraviglioso…

“Guarda che carina, Tunia…” vidi su cosa era puntato il suo sguardo intenerito: una formichina, lievemente più piccola di tutte le altre.

“E’ uguale alle altre…lasciala stare, ti sporchi se stai a terra e mamma se la prende con me!”

“Glielo dico che non è colpa tua…” restò in ginocchio, apparentemente non intenzionata a lasciare andare la povera formica. “Secondo me è una cucciola…è piccola!”

Petunia alzò gli occhi al cielo. Io la guardai male, attraverso la mia siepe. Ero sempre d’accordo con Lily, qualunque cosa dicesse. Strano, forse.

Nel tentare di osservarla meglio mi mossi goffamente. Le foglie si mossero, con un forte fruscio.

La grande non mi sentì, ma gli occhi di Lily saettarono verso di me.

Forse mi scorse, per un secondo. Poi corsi via.

Mi guarda. Si, mi sta guardando. Osservo i suoi occhi. Li sento, che mi trapassano da parte a parte, come se fossi solo un velo sottile. Non ho segreti per lei. Non ne ho mai avuti.

E l’ho persa quando ho tentato di crearmeli.

Si muove con lentezza, verso di me. Io tremo. Mi sento improvvisamente l’uomo più importante del mondo. Perché lei mi sta guardando. Ed è verso di me che cammina.

Quando mi raggiunge non mi sono mosso di un passo. Sono ancora lì, a bearmi di lei.

Sev…”

La sua voce mi raggiunge con dolcezza estrema, sembra accarezzarmi per qualche istante, prima di essere completamente assorbita dal mio cuore.

La guardo ancora. Non è una bambina. Ma nemmeno una donna matura. E’ semplicemente una ragazza, quella ragazza poco più che ventenne che era prima che una maledizione stroncasse la sua vita. Per colpa mia. Riesco a scorgere ogni tratto del suo viso, niente è in ombra, niente è nascosto.

“Mi perseguiti ancora?” le parole forse più terribili che io possa pronunciare. Ma il rivederla tutte le notti mi crea soltanto un atroce dolore.

Mi aspetto che lei assuma un’espressione offesa e si volti, allontanandosi, lasciandomi lì ad osservare la sua schiena allontanarsi, come ogni volta. Ma non lo fa. E’ ancora lì, e mi guarda, mi guarda intensamente. Cosa c’è nel suo sguardo? Compassione? No… è solo tenerezza e forse un po’ di dispiacere. Lo sguardo che mi sono sempre visto rivolgere dalla stessa ragazza riflessa nella superficie dell’unico oggetto che possa leggere il mio cuore.

Ero lì, immobile, da almeno dieci minuti. Le lacrime scorrevano sul mio volto pallido e scavato, ma non me ne rendevo conto, la mia mano destra posata contro quello specchio maledetto, esattamente nel punto in cui lei mi porgeva la sua.

Severus…”

Cosa diavolo voleva ancora da me? Perché non mi lasciava in pace? Almeno in quel momento, in quegli istanti in cui mi era permesso rivederla, per una stupida concessione del Destino.

Avrei voluto passare con lei tutta la mia vita, e l’avrei passata anche accanto ad uno specchio senza vita pur di poterla ricordare e riconoscere in ogni istante.

Severus, ascoltami…”

Volevo voltarmi verso di lui, forse solo per dirgli di andar via, di lasciarmi solo con lei, l’unica donna che io abbia mai amato, la donna che lui non è stato in grado di proteggere. Ma non posso, non riesco. Non posso guardarlo se questo significa smettere di ammirare lei.

La sua mano si posò sulla mia spalla, con una certa forza, come se tentasse bruscamente di riportarmi alla realtà. Proprio non lo capiva? Mi sarei accontentato anche di quella stupida e diabolica finzione…

Severus, girati.”

Mi girai, quella volta. Perforai il Preside con uno degli sguardi più taglienti di sempre, molto più di quelli che giornalmente terrorizzano i miei allievi. Restai a fissarlo, con dolore e rabbia.

“Andiamo via.”

“No.”

Severus andiamo…”

“Ti ho detto di no!” gridai con quanto fiato avevo in corpo, poi mi voltai di scatto, per tuffarmi di nuovo in quella visione angelica. Lo specchio era sparito.

Urlai. Urlai forte e a lungo. Lui non battè ciglio.

T-ti prego… fammela vedere… un’ultima… un’ultima volta, Albus…”

Supplicai, in ginocchio, tra le lacrime, i pugni stretti, le unghia conficcate nella carne bianca il cuore lacerato.

Lui scosse il capo.

“Non sarebbe mai abbastanza, Severus…” tentò di posarmi una mano sulla spalla ma lo respinsi bruscamente.

“Va via.” sibilai, mordendomi il pugno per limitare le mie urla.

Lui uscì, una lacrima solitaria che scorreva sul suo volto segnato dall’età.

Mi porge la mano. La sua mano piccola e rosa, dalle dita dolci e affusolate. Vorrei prenderla, ma a cosa porterebbe? Si può toccare un sogno?

Sev… sono io…” appena un sussurro.

“So chi sei…” mormoro, guardando ancora la sua mano. Avvicino la mia, più grande e più pallida, tremante. La sfioro. Un gemito. Sento ancora i suoi occhi su di me, anche se non la vedo. So che mi sta guardando con la stessa espressione di tenerezza e conforto.

“Non sono un sogno, Sev…”

Una smorfia. Alzo gli occhi e guardo i suoi. Volevo dire qualcosa, ma cos’era?

Non lo so più. Non lo so mai dopo averli guardati.

“… quindi in definitiva secondo me vincerà CorvoneroSev?”

Mi guardò con aria scettica. Anche io la guardavo, ma obiettivamente non avevo sentito nemmeno una parola del bel discorso lungo una buona mezz’ora.

S-si…” mi riscossi, costringendomi a spostare lo sguardo da quegli occhi maledetti.

Lei alzò un sopracciglio.

“Non mi hai ascoltata…”

“No…ero distratto…”

Mi lanciò un’occhiataccia, poi incrociò le braccia sul petto, facendo l’offesa. Eravamo al lago, era il nostro primo anno. Quando la nostra amicizia era ancora integra e impossibile da intaccare.

“Lily…”

La guardai di nuovo. Di nuovo quegli occhi.

Che c’è?” mi chiese con freddezza, fingendosi ancora arrabbiata. Ma io mi ero già perso. Perso nel verde di quegli smeraldi.

Sev?Allora? ” mi richiamò, dopo una ventina di secondi che mi limitavo a guardarla. La voce era impaziente adesso, più che fredda. Mi riscossi, scuotendo il capo…

“Scusa… niente…”

Lei sembra capirmi. Non dice niente, aspetta. Sono passati interi minuti quando riprendo parola.

“Non me l’avevi mai detto prima d’ora…” sussurro, con dolore.

“ Non so mentire, Sev…” lei abbassa lo sguardo.

E’ vero. Non c’è mai riuscita. Chiunque avrebbe capito quando Lily Evans stava mentendo. I suoi occhi erano l’ingresso sempre aperto per la sua anima. E io ero il più abile a leggerli.

Perché lo stai facendo, allora?” scosto la mano, troppo bruscamente. Me ne pento subito. Mi manca già il suo calore.

“ Non lo sto facendo.” Chiude gli occhi e mi riprende la mano. Una scossa mi investe, forte. I miei occhi si chiudono di scatto, senza che io l’abbia nemmeno pensato, la mia mente viene attaccata da immagini continue e inarrestabili.

Io, ancora davanti al Signore Oscuro, il mio nemico più grande che mi tratta come il più fedele dei suoi discepoli…

Le sue parole, fredde e prive di emozioni, cariche di interessi personali.

Il serpente, che si erge in tutta la sua forza, le sue zanne che lacerano la mia gola.

Il sangue che scorre. L’ultimo tentativo di spiegare ciò che sono stato. Poi…ancora, eternamente il verde.

La guardo. Stravolto e confuso.

E’ arrivata così, la fine? Così rapidamente? La morte tanto agoniata e desiderata… era giunta, infine.

Mi aveva preso con sé. E portato da lei.

Sento i miei occhi neri bagnarsi e la vista offuscarsi.

Non piango per rimorso di ciò che ho perso lasciandomi indietro la vita. Non piango per il cessare del mio tormentato esistere. Piango per la rapidità con cui sono arrivato al momento che avevo tanto sognato, in centinaia di modi, in miliardi di istanti differenti.

“Lily…” la voce trema, le lacrime scorrono. Persino lei mi ha visto piangere poche volte. Persino lei…

La mia mano le tocca la guancia morbida, un altro gemito sfugge dalle mie labbra. Cado in ginocchio, gli occhi bassi, le lacrime che gocciolano sul prato già umido.

Apro la bocca tra i singhiozzi, prendo fiato, sto per parlare, ma lei lo capisce. Si inginocchia davanti a me, mi posa una mano sul mento e lo solleva. Con delicatezza preme un dito sulle mie labbra sottili.

“ Non chiedere perdono… non ne hai bisogno…”

Si che ne ho bisogno. Ne ho un bisogno estremo, implacabile.

Meriterei di stare tutta la vita su quel prato, senza di lei, per quello che ho fatto.

Meriterei di essere morto tra sofferenze ben più atroci. Meriterei di non rivederla mai più.

Lei attende, paziente. Aspetta che io mi calmi. Ogni volta che i miei singhiozzi si fanno più forti, lei mi posa una mano sulla spalla o mi sfiora i capelli, donandomi conforto.

E’ lì e c’è sempre. Dopo tutto quello che le ho fatto. Ancora non mi lascia solo e abbandonato a me stesso.

Non so per quanto tempo dura il mio pianto. Forse ore, forse solo secondi.

E forse lei lo sa. Ma è inutile chiederlo. Quando mi calmo mi sorride. Questo basta per regolarizzare i battiti del mio cuore agitato. Mi porge di nuovo la sua mano.

“Andiamo?”

Chiede, con naturalezza ed estrema innocenza, il capo piegato verso sinistra.

D-dove?” conosco la risposta, in fondo.

“Avanti…” ancora un sorriso.

Scuoto la testa. Non è giusto. Non lo merito.

“Non posso stare dove sei anche tu…”

Lei si limita a non cancellare il suo sorriso.

Perché no?”

“Non lo merito, Lily…” non ho il coraggio di guardarla. Me ne vergognerei terribilmente.

“Tu l’hai protetto…” la sua voce mi suona adesso più dolce di sempre, piena di affetto materno.

“Non ho protetto te.” Rischio di ripiombare di nuovo nella disperazione, ma la sua mano ferma sul braccio mi tiene aggrappato al presente.

“Tutti abbiamo diritto ad una seconda possibilità… tu hai fatto della tua lo scopo della vita.”

Non attende risposta, lascia scivolare le sue dita lungo il braccio, sino a raggiungere la mano, ove la sua si stringe. La guardo ancora. Il rimorso e il pentimento non cesseranno mai di esistere. Ma il suo perdono è l’ancora della mia salvezza.

“Andiamo?” ripete, pazientemente.

Annuisco. Non mi fido della voce. Qualche passo verso l’altalena, poi tutto scompare in un turbinio di bianco e celeste, privo di forme e rumori.

Ma niente ha più importanza. Solo il calore della sua mano nella mia. E un sorriso che torna a riaffiorare sulle mie labbra spente da troppo. Mentre sento che, dopo anni, i frantumi di un’antica promessa sembrano ricompattarsi.

Avevamo litigato piuttosto pesantemente quel giorno. Eravamo al quarto anno. Lei si era arrabbiata ancora una volta per gli scherzi di Avery. Mi aveva gridato contro ed io non ero riuscito a trattenermi dal fare lo stesso. Restavamo seduti e silenziosi, la schiena premuta contro il nostro salice.

Lei aveva gli occhi rossi. E gonfi. Il cuore mi si stringeva al solo guardarla e mi maledicevo per il male che le avevo fatto.

“Per quanto litigheremo ancora, Sev?”

Chiese, con voce sottile. Sembrava una bambina. La mia bambina.

“Non vorrei litigare, Lily…” le accarezzai i capelli rossi. Lei non si allontanò.

Sev?” tenne gli occhi bassi, ma poggiò la testa sulla mia spalla.

Attesi in silenzio, senza smettere di accarezzarla.

“Mi prometti che saremo amici per sempre?”

Chiusi gli occhi con un sospiro. Non sapevo se avrei mai ottenuto qualcosa di più. Ma la sua amicizia era la cosa più cara che potesse esistere per me. Non avevo intenzione di perderla, per nulla al mondo. La strinsi a me.

“Te lo prometto.”

   
 
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