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Autore: Shaunee    28/01/2014    0 recensioni
Questa storia parla di un amore impossibile, tra due stirpi magiche differenti.
La ragazza, Samantha, è l'erede della somma guardiana della costellazione di Cassiopea;
Il ragazzo, Sebastian, è un vampiro di stirpe reale. Le due stirpi hanno regole rigide e in vigore da secoli, le quale prevedono morte certa per chiunque decida di "stringere amicizia" con quello che loro credono loro nemico.Sebastian sa di queste regole ferree, ma Samantha ne è completamente all'oscuro, come tra l'altro della sua "vera natura".
Tra i due cercherà di nascere qualcosa, ma non sarà per niente facile.
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un raggio di tiepido sole oltrepassò le pesanti tapparelle di mogano lucido, cadendo dritto sul mio volto.
schiacciai forte gli occhi, infilai la testa sotto al cuscino ed emisi una strana lamentela, per poi girarmi dalla parte opposta.
Le note di Summer Paradise dei Simple Plan riecheggiarono per la stanza, segno che il tempo a disposizione per morfeo era terminato ed era arrivato, invece, quello di iniziare una nuova giornata.
Il mio cervello si rifiutò categoricamente di muovere qualsiasi muscolo, cosi la canzone arrivò al ritornello, quel ritornello che amavo cantare durante le scampagnate estive con gli amici, nonostante non c'entrasse nulla con la mia vita.
"..till we had to get back to
  back to summer Paradise with you
  and I'll be there in a hearthbeat.."
Un sorrisetto comparve sulle mie labbra; la parte che più adoravo del ritornello era quella; mi rendeva felice, senza un apparente motivo. Tirai fuori la testa e sospirai.
La porta della mia stanza si aprì e, dopo pochi secondi, qualcosa di bianco e peloso mi atterrò sugli occhi, solleticandomi il naso.
"Cocò!". Una linguetta ruvida mi bagnò il naso, facendomi ridere. Tirai fuori le braccia da sotto il piumone e presi la mia gatta per le zampe, facendo partire un coro di fusa.
"Hai mangiato Cocò?" Le massaggiai la pancia e le fusa aumentarono. Sorrisi e le tirai una pacca sul sedere.
"Forza dormigliona, andiamo a riempire quel pancino!"
Con un balzo, Cocò raggiunse la porta. Mi stiracchiai, infilai una vestaglia verde bottiglia e uscii dalla stanza, seguita da Cocò.
Quella gatta era una continua fonte di gioia e sorprese.
Quando, quattro anni prima, mio padre me la regalò per il mio quattordicesimo compleanno, andai in visibilio. Un persiano completamente bianco con gli occhi verdi.
All'epoca era un fagottino peloso che circolava per la casa creando scompiglio. Era talmente piccola che i domestici dovevano prestare molta attenzione a dove mettevano i piedi;per non parlare delle volte in cui la si perdeva; si nascondeva ovunque, specialmente nella mia stanza. Dalla cima della scalinata gettai uno sguardo intorno.
La casa era molto ampia. Formata da due piani, quell'abitazione aveva su per giù cinquant'anni.
I miei nonni l'avevano costruita da cima a fondo, per poi lasciarla alla loro unica figlia. L'arredamento delle varie stanze era stato restrutturato o modificato, ma il , come lo chiamava mio padre, si percepiva ancora.
Al piano terra, oltre allo splendido atrio reso importante da un lampadario di vetro di Murano, c'era, sulla destra il salone, con una vetrata che occupava gran parte della parete, tende di satin rosso e tendoni di velluto bordeaux; la parete opposta alla vetrata era occupa dalla libreria, mentre tutto il resto della sala era occupato da una coppia di divani di pelle blu e due poltrone in coordinato.
Tra le due poltrone c'era uno degli oggetti più antichi di quella casa: un piccolo tavolino di ciliegio, decorato da una tribù Inca, regalo di nozze dei miei nonni paterni.
Subito di seguito, la sala da pranzo, comunemente usata per le occasioni speciali.
Sulla sinistra, invece, era collocata una delle mie stanze preferite: la cucina in stile rustico, che adoravo.
Al piano superiore si trovavano le camere da letto, due bagni imperiali e una stanza per gli ospiti, un tempo utilizzata come studio da lavoro, per mio nonno, un brillante avvocato in pensione.
Sul lato più a nord della casa, una minuscola scala a chiocciola, portava in quello che ho sempre considerato il mio rifugio personale. La scala era coperta da un arazzo, per cui solo gli abitanti della casa erano a conoscenza della sua esistenza.
Scendendo le scale, un dolce profumo di cup cakes mi raggiunse, inebriandomi i sensi.
Cocò passeggiava sull'ultimo gradino della scalinata, in attesa del mio arrivo.
La raggiunsi e le accarezzai la coda, che si allungò fino al mio ginocchio.
In cucina, mia madre, seduta in un angolo della penisola, stava già lavorando. Con il suo pc davanti al viso, gli occhiali color panna sul naso e un cup cake alla fragola nella mano sinistra, mia madre era decisamente buffa; nessuno l'avrebbe mai scambiata per uno degli avvocati piu bravi di tutto lo stato.
"Buongiorno signore".
Mia nonna, una donna dalla forza devastante, era ai fornelli, davanti ad una teglia di cup cakes appena sfornati. con un sorriso giovanile, lei era l'unica in famiglia in grado di cucinare senza far prendere fuoco qualcosa. Era una cuoca eccellente e, quando c'era lei ai fornelli, miriadi di profumi aleggiavano nell'aria.
"Buongiorno a te cara" mi salutò la nonna, porgendo una tazza di caffè nero aalla mamma "Dormito bene?".
"Si, grazie - risposi, sedendomi accanto alla mamma - come mai qui?"
"Ho un processo importante oggi - rispose mia madre - e non tornerò fino a questa sera. Volevo che qualcuno restasse qui con te".
"Ah! - dissi, sin tono ironico - allora sei ancora nel mondo dei vivi! Ma che bella notizia!".
Mi fulminò con lo sguardo, rubando un sorriso alla nonna.
" Comunque - proseguii - non ho bisogno di una balia".
Mia nonna mi avvicinò un piattino con un cup cake fumante con gocce di cioccolato.
"Non sei contenta che sono qui?".
Le sorrisi. "Certo che lo sono! Volevo solo puntualizzare".
Addentai il mio cup cake ed un rivolo di cioccolata mi scese dal mento. Richiamata da un campanello di allarme, mia madre si tolse gli occhiali, prese un tovagliolino dall'apposito contenitore posizionato al centro della penisola e me lo passò sul mento.
"Eddai Ma!! Non ho mica due anni!".
"No, appunto, ma ti comporti come se li avessi, quindi".
Scese dallo sgabello, sistemandosi la gonna grigia attillata fino al ginocchio e infilandosi la giacca in coordinato.
"Devo andare, ci vediamo questa sera; non mi aspettate per cena". Mi diede un bacio tra i capelli e, con un cenno alla nonna, sparì fuori di casa. La sagoma nera del suo Bmw passò qualche minuto dopo dal vialetto. Rimasi a fissarla, fino a quando un esclamazione da parte della nonna mi riportò alla realtà. Concentrandomi su di lei, la vidi carponi sul pavimento, intenta a raccogliere qualcosa.
"Che succede?". Feci il giro della penisola e controllai che stesse bene.
"Guarda tu che pasticcio". Stava arrancando per raccogliere una quantità indefinita di gocce di cioccolato, cadute dallosulla scatolino sulla mensola.
"Nonna lascia stare, ci pensa Coco". La nonna, ancora accovacciata sulle ginocchia, sollevò il volto e mi guardò con sguardo incuriosito. Le sorrisi, quando vidi arrivare, con tutta la sua aria altezzosa, la principessa della casa. Annusò attentamente quello che c'era per terra e, soddisfatta del suo bottino di guerra, iniziò a mangiarlo.
La nonna si sollevò da terra e la guardò, nascondendo un sorriso divertito.
"Dovrei prendermi un gatto, sarebbe molto utile per una pasticciona come me". Ridendo, la nonna allungò una mano verso l'attaccatura della coda di Coco, facendole un grattino.
"Tesoro, sarà meglio che tu vada a prepararti sai?" indicò l'orologio appeso alla parete sopra la porta della cucina e sorrise.
Lanciando uno sguardo in quella direzione, inorridii. Ero in ritardo, di nuovo. Era una mia prerogativa essere in ritardo; tuttii sapevano che io e la puntualità eravamo nemiche giurate. Questo naturalmente non faceva che peggiorare la mia situazione, ovvio.
Schioccai un bacio alla nonna e scappai via. Salii di corsa le scale, catapultandomi nella cabina armadio; accesi le luci. Dopo essermi guardata intorno per un po', puntai su un paio di jeans a sigaretta grigi, una camicia blu ed un golfino giallo paglierino.
La scuola era iniziata da poco più di un mese e l'autunno si stava avvicinando, il periodo più complicato per la mia famiglia. Per mio padre, essendo uno dei migliori produttori di Montefalco, una tipologia di vino rosso invidiataci da tutto il mondo, questo periodo dell'anno era il più lavorativo. Coltivatore di vigneti da una vita, mio padre era quel genere di uomo che non esistono più; instancabile, dedito al lavoro e alla famiglia più di qualunque altra cosa, ma soorattutto, alla sua splendida vigna. Usciva alla mattina fresco e lindo e tornava alla sera grondante di sudore, ma raggiante come un bambino appena tornato dal lunapark. Questa mattina ancora non si era visto.
Davanti al mio specchio a parete, controllai che la piega dei jeans finisse esattamente sulla caviglia e che il colletto della camicia lasciasse intravedere la catenina d'oro che portavo sempre al collo. Ero una perfezionista, c'era poco da discutere; una perfezionista sempre in ritardo. Indossai un paio di braccialetti al polso destro e l'orologio a quello sinistro, per poi passare al viso. I capelli questa mattina non vogliono collaborare. Un ammasso indefinito di ricci rosso scuro che non volevano sentir ragioni. Presi una spazzola e cercai in qualche modo di sistemarli, ma con scarsi risultati. Sbuffai. Nessuno in famiglia aveva quel supplizio da portarsi dietro, nessuno aveva nemmeno i capelli rossi, se era per questo. Mio padre e buoja parte della sua famiglia tendeva al castano scuro, mentre dalla parte di mia madre al biondo. Da dove fossero usciti quei capelli nessuno era in grado di capirlo. Un gene recessivo, per i medici; per me era solo una rottura di scatole. Sistemai una leggera sbavatura della matita sugli occhi, mi passai un filo di gloss alla pesca sulle labbra e mi guardai per un'ultima volta, sorridendo al mio rifesso. Ero pronta. Ricontrollando nuovamente l'orologiogio, sospirai. Avrei dovuto infrangere non poche regole del codice della strada se volevo arrivare in orario. Mi affrettai suelle scale, ma per poco non finii in braccio a mio padre.
"Ragazzina? non sei un po' in ritardo?". Con le braccia conserte, fermo in cima alla scalinata, cercava di fare lo sguardo del genitore arrabbiato, ma con scarsi risultati.
Gli sorrisi, mentre mi infilavo la giacca di pelle blu.
"Papà non è una novità no? Piuttosto tu cosa ci fai ancora qua?".
"Ho un paio di clienti da incontrare in centro, anche se devo dire che tua nonna mi sta tentanto fin troppo questa mattina".
Lo raggiunsi e lo abbracciai. " Scappo, in bocca al lupo con quei clienti".
Mi spettinò, arruffandomi i capelli. " E tu evita di prendere troppe multe, che poi tocca a me pagarle".
Sorrisi ed uscii di casa. Salutai la nonna dalla finestra della cucina e sollevai la claire del garage.
La mia adorata DS3 cabrio blu elettrico era li ad aspettarmi. Le sorrisi affettuosamente, e salii a bordo. Ricontrollai l'orologio e sbuffai. Cinque minuti alle otto. Bene, di bene in meglio. Uscii piano dal vialetto perchè mio padre odiava sentire i ciottoli barcollare, raggiunsi il cancello e partii a tavoletta.
Frequentavo l'ultimo anno di liceo linguistico, e non era per niente da prendere sotto gamba. C'era un sacco di ore in lingua, un sacco di compiti, di progetti da mandare avanti, di feste da organizzare.
Essendo una delle rappresentanti d'istituto, quasi tutto gravava su di me. I miei "colleghi" non si davano quel gran che da fare; se non gli avessi dato una linea da seguire, non avrebbero saputo nemmeno da che parte girarsi.
Così, oltre alle tremila cose da fare per la maturità, avevo il giornalino da mandare avanti, la festa di Halloween da organizzare, ed iniziare a pensare a quella di Natale e Carnevale.
Parcheggiai l'auto sotto la mia quercia e aspettai la chiusura della capotte.
Scesi dall'auto, mettendomi gli occhiali da sole in testa, e mi avviai all'entrata.
"Il Nanucci" era uno degli istituti superiori migliori della provincia di Perugia.
Con la sua facciata color crema e le innumerevoli finestre tutte uguali, non dava quel gran che ci spettacolo; chi l'aveva pensato non aveva un gusti estetici eccelso, insomma, era un liceo come tanti altri.
Una ragazzina mi corse incontro; le sorrisi, nonostante sapessi che con lei stavano per arrivare tutte le mie prossime scadenze e magari qualche nuovo problema.
"Buongiorno Sam!! Allora, sono riuscita a trovare il fotografo dell'anno scorso per l'annuario". Becky non aveva mezze misure. Era un' allieva del terzo anno, ma la conoscevo da una vita, e mi fidavo ciecamente di lei. Era il mio braccio destro.
La presi sottobraccio. "Lo sai che ti adoro, vero?".
"Si,cara, lo so; ma abbiamo un piccolo problema - si guardò intorno, circospetta - anzi, due". Appunto. Mi bloccai di colpo. Odiavo i suoi piccoli problemi per due motivi: primo, perchè non erano mai realmente piccoli; secondo, perchè, anche se cercavo di fare del mio meglio, ero un disastro in certe cose. Sospirai.
" Dai, spara".
"Dobbiamo trovare una nuova location per la festa di Halloween e uno del giornalino ha dato le dimissioni. Abbiamo la pagina sportiva scoperta".
"Cavolo, non ci voleva".
Picchiettai un paio di volte il piede a terra ed avvicinai un dito alle labbra. Becky mi fulminœ.
"Samantha, abbiamo smesso con le unghie, ricordi?".
Le scoccai uno sguardo truce. "Sono sotto pressione Bec, dammi tregua".
Mi passò la sua pallina anti-stress e io iniziai a schiacciarla energicamente.
"La location, ci penso durante l'intervallo; per la sezione sportiva, facciamo così: metti un annuncio per tutta la scuola; voglio un ragazzo sveglio, veloce e che non molli tutto dopo un paio di mesi".
"Benissimo Sam, mi ci metto subito".
Con un cenno, tornò ad appollaiarsi sul suo muretti, aprì il suo pc ed iniziò a pestare sui tasti. Ecco, quella era l'efficienza che volevo.
Passai accanto ad un gruppo di ragazzi e mi sentii tirare per la borsa. Voltandomi, rimasi di sasso.
"Sophie?"
Mi saltò al collo e mi abbracciò forte.
"Scusa Sam, sono sparita per tutto il weekend; ma ho un'ottima ragione".
La scrutai. "Cioè?"
Mi trascinò lontano dal gruppo. "Lo vedi quel bel fusto biondo?"
"Sophie lo conosco da una vita, è Aron". Mi fece un sorriso splendente.
"Ecco la mia ottima ragione".
La guardai, scioccata. "No...mi stai prendendo in giro".
Scosse la testa e si mise a saltellare. La bloccai prima che qualcuno potesse vederla.
" Mi ha chiesto di mettermi con lui sabato sera, sotto un cielo stellato perfetto". Con occhi trasognanti, guardò Aron, che le fece l'occhiolino. Mi voltai verso Aron e gli sorrisi, scorgendo di sfuggita Sebastian, il suo migliore amico, con lo sguardo fisso su di me. Senza darci troppo peso mi riconcentrai su Sophie, ma in lontananza, la campanella suonò. La presi sotto brsccio e ci avviammo all'entrata.
 
  
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