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Autore: renee_cierra13    28/01/2014    1 recensioni
"Qualcosa ti risuonerà nei timpani, e allora avrai capito di avere la fortuna di essere uno dei pochi. Avrai capito di essere speciale, diverso. Avrai capito di essere un semidio."
Renee e Cierra hanno due storie completamente diverse eppure sono estremamente uguali. Sono semidee fuori dal loro piccolo comune, e ancora non lo sanno.
A quindici anni, vivere non è facile quando il fuoco dipende da te in ogni sua singola forma o quando sei fisicamente troppo forte per qualsiasi circostanza. E loro lo scopriranno in tutte le sfomature possibili, continuando ad essere pure e leali con loro stesse e con quello che le circonda.
Il campo mezzosangue, la dislessia, i sogni e i loro genitori diventeranno i loro piu' grandi quesiti e le loro piu' grandi certezze.
State a vedere.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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II
Renee

 



Il commissariato poi non è tanto brutto se ci penso.
E’ ovvio che non sia il posto più allegro del mondo, ma mi piace come l’hanno ridipinto, queste pareti rossastre sono accoglienti.
Il sergente Hopkins, che ormai mi ha visto qui su questa sedia un paio di volte, mi scuote il capo in segno di dissenso, mortificandomi ancora di più, maledetto lui ed i suoi occhi inespressivi.
I miei genitori sono piegati sulla sua scrivania a firmare dei fogli, ed io me ne sto qui, seduta sulla poltrona di stoffa a quadretti, a fissarmi le scarpe rosse annerite.
Quando i miei genitori finiscono di firmare si voltano verso di me, dandomi uno sguardo complice.
Hanno fatto quello sguardo.
Sono fregata.
-Allora?- dico alzando le spalle, mio padre sospira e cerca gli occhi di mia madre.
-Niente servizi sociali per questa volta.- afferma, e tiro un respiro di sollievo, accasciandomi sulla poltrona, non avrei sopportato altre centodieci ore di servizi sociali.
-Grazie a Dio!- esclamo sollevata, alzandomi in piedi e mettendo la borsa in spalla.
-Però, se fai un altro sbaglio finiamo nei guai, e pagare la cauzione non basterà, quindi cerca di non cacciarti in strane situazioni.- afferma il commissario Hopkins, sbucando dietro i miei genitori.
Come se per me fosse facile, io sono la regina delle strane situazioni.
Il sergente continua a fissarmi con un sopracciglio alzato, i miei sembrano non notarlo.
-C’è qualcosa che non va?- gli chiedo, il sergente accenna un sogghigno.
-Sei sopravvissuta ad un grosso incendio.-dice.-Devi sopportare molto bene le fiamme.-
-Magari ho semplicemente fortuna.- dichiaro con nonchalance, per fortuna che ho frequentato un corso di recitazione, perché questa è una bugia grande quanto una casa a sette piani.
Il sergente scuote la testa lentamente e mi sorride, con il suo solito sguardo gelido, mi ha sempre inquietato quell’uomo, dal modo in cui parla alle domande strane che mi pone, per non parlare degli spaventosi occhi mono espressivi, sembra che quando parli con me mi ipnotizzi.
-Andiamo a casa adesso.-annuncia mio padre, da una stretta di mano al commissario ed usciamo dal grosso edificio, dirigendoci verso l’auto.
Il tragitto verso casa è silenzioso, forse troppo, sono frastornata e confusa.
Ho appiccato un incendio in qualche modo e tutti si comportano come io fossi innocente, come è possibile?
Con l’altro incidente, quello della fiammata che provocai a scuola nel laboratorio di fisica in un’arcana maniera, mi beccai quasi duecento ore di servizi sociali in una casa di riposo, mentre ora mi era andata liscia, eppure non mi sento per niente bene.
Magari sto esagerando, magari l’incendio non l’ho provocato io e me lo sono immaginato, magari sto uscendo davvero fuori di testa e quella medicina insapore che mia madre mi dava per il raffreddore stava avendo effetti sul mio sistema nervoso già altamente danneggiato.
-Renee.- mio padre dice il mio nome lentamente.-Se questo ti ha turbata domani puoi non andare a scuola, lo sai vero?-
Mi metto dritta sul sedile posteriore e sbuffo.
-Domani ho la partita di pallavolo, devo andare per forza, ma tranquillo, me la sento.-dico, papà sembra più nervoso del solito, e le nocche gli si fanno bianche nel mantenere salda la presa sul volante.
-Qualunque cosa succeda chiama a casa, chiaro?- dice con fermezza, non capisco perché ad un tratto è diventato così iperprotettivo.
Ah già, ho solo incendiato lo studio della mia psicologa.
Annuisco mestamente ed in quel momento parcheggiamo, scendo dall’auto e calpesto il prato del nostro vialetto alberato.
Salgo le scale ad una velocità ultra sonica e mi getto a testa fitta sul mio letto, sono stanca, confusa e mi sento bruciare ovunque.
Mi guardo le mani, ci sono diverse piccole ustioni comparse dal nulla, sembrano formarsi da sole ogni volta.
Mi strofino le dita sopra per togliere della cenere, eppure non mi danno per niente fastidio.
Guardo il soffitto della mia stanza e ripenso a questa stranissima giornata, facendo mente locale per ricordare cosa è successo prima che tutto bruciasse, ma non ricordo nulla, solo vuoto nel mio cervello. Ed in poco tempo, mi si abbuia anche la vista, e mi addormento di colpo.

 
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Cierra
 
 
 
 
  
 

I miei occhi sono inspiegabilmente stanchi, crecano di aprirsi ma la luce è il nemico. Da quanto sono su questo letto freddo tanto da sembrare umidiccio? Sembra che tutta la stanza abbia preso la mia forma, ricordo angolo per angolo, oggetto per oggetto ma non ho idea di dove io sia davvero.
La porta si apre mentre cerco di staccarmi degli aghi dal braccio e una donna con un camice bianco entra senza fare troppo caso alla mia lotta con quei maledetti tubicini.
-E quindi sei svenuta nel bel mezzo di Soho, mentre tornavi a casa dall’incontro con la psicologa scolastica, Cierra.- In effetti, sembrerebbe strano, ma siamo a New York e la gente muore senza un apparente motivo ogni giorno. Eppure la magnifica donna che squadra la sua cartellina  è particolarmente dubbiosa, come se ci fosse qualcosa nei miei dati che non quadrasse.
Riesco ad immaginare le sue parole, quelle che dicono tutti: ‘ah, sei stata adottata’, ‘uh, sei stata abbandonata’, ‘ow, mi dispiace’.
-Si, sono stata adottata, se è questa la domanda che mi sta per fare.-
-So che sei stata adottata,come so che sei stata ritrovata nelle strade newyorkesi a due anni, so tutto di te.-
Avete presente quando per un attimo, tutta la stanza si sgretola e il sangue si gela nelle vene senza un apparente motivo? Ecco come mi sento. Il mondo in cui quel ‘tutto’ ha risvegliato la parte piú indietro del mio cervello, il modo in cui Sabrina mi osserva. Adesso riesco a ricordare perchè quel viso rassicurante mi ricorda tante, troppe cose. Il resto è solo un susseguirsi di flash-back e scene del passato, del mio passato. La sua faccia è ovunque, in ogni angolo, in ogni folla, in ogni persona. I suoi lineamenti particolari che ritrovo in tutte le persone che hanno determinato la mia vita.
Hanno tutte la sua faccia, la sua voce, i suoi occhi color ghiaccio che ti scavano nella materia grigia. Sto per esplodere. Crollo.
 
Delle persone entrano nella camera e vengo alzata dal letto.
Non so cosa stia succedendo, una volta tanto. So solo di aver paura che qualche sconosciuto distrugga tutto quello che ho costruito nei miei sedici anni di vita.
I miei muscoli cedono alle braccia possenti sotto di me...
 
...” la forza che ha nelle vene potrebbe distruggere qualsiasi cosa. Fate attenzione.”

 
 
 
 
{Angolo autrici}
Sì, è passato un mese,
Sì, okay, vi siete rotte le scatoline di aspettare
Sì, ci odiate,
E vi capiamo.
Ma ecco qui il nuovo capitolo -- sebbene corto -- della fanfic, dove entrambe le protagoniste si trovano in situazioni parecchio scomode gna.
Cercheremo di essere più attive e speriamo continuerete a seguire la storia, se lo fate vi diamo un biscottino se non se li mangia Lucrezia.
Keep trusting in Demigods!
Renee&Cierra
 
 
  
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