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Autore: Sereously    28/01/2014    1 recensioni
1867. Black Hills. Battaglia del Little Bighorn. A mezzogiorno in punto il Colonnello George Armstrong Custer divide malamente il reggimento per attaccare senza basi concrete; così ha inizio un sanguinoso e violento attacco alle tribù dei Sioux, Cheyenne e Arapaho, uniti dall’intento di sgominare gli americani e cacciarli dai territori “non ceduti” nei quali era previsto che passasse una nuova ferrovia. Custer disobbedisce agli ordini e ciò comporta una grave e dolorosa sconfitta del suo squadrone. Il resto della 7° Cavalleria raggiunge il luogo del massacro: 268 morti, Custer compreso. Gli indiani si erano portati via lo scalpo e la dignità rimanente dei guerrieri, martoriandoli anche dopo la morte. Lo scempio del campo di battaglia occupa le successive tre giornate dei soldati rimasti, che devono contare ed identificare i propri compagni. In particolare il giovane Louis si vede costretto ad esaminare da vicino più di 50 corpi ammassati nella steppa finché qualcosa in lontananza non attira la sua attenzione. Un luccichio che solo un pugnale può emettere. Un pugnale come quelli che avevano i soldati morti, come quello che ha lui. E che bisogno c’era di nascondersi dietro a radi cespugli se si era un soldato della Cavalleria?
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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- CHAPTER 1 -


Louis’s POV

Cristo, quando ero arrivato lì dopo la battaglia il campo era disseminato di cadaveri senza scalpo e con le interiora che fuoriuscivano dagli squarci causati dalle primitive armi in pietra dei bastardi. Uno scempio. E ora lo spiazzo di fronte a me contava solo venticinque dei 268 morti; chiazze di sangue rappreso, secco e puzzolente lo imbrattavano come il vino può imbrattare un tappeto. Serrai le mani a pugno, grattandomi piccole mezzelune di pelle dal palmo.

Quegli indiani l’avrebbero pagata. A caro prezzo. Mi abbassai su un altro corpo. Merda, quello era Tom. Thomas Bryan era stato reclutato nello squadrone di Custer e ne era stato felice. Ma ora, vederlo lì, senza una porzione di pelle sul cranio e senza annessi capelli era.. merda mi saliva un conato di vomito tutte le volte che pensavo a quei dannati aggeggi di pietra usati per tranciare la pelle del cranio dei..

E quello che cos’era? I pugnali dei selvaggi non producevano quel bagliore. Ma perché un soldato avrebbe dovuto nascondersi ad altri soldati? Non era logico! A meno che quello non fosse..

«Un indiano!», gridai indicando la boscaglia ad un centinaio di metri da me.

Molti rimasero fermi ai propri posti: finché gli indiani non attaccavano, ci si poteva considerare più o meno al sicuro.

Io e altri quattro o cinque partimmo alla carica, probabilmente mossi dallo stesso animo vendicativo e non ci fermammo nemmeno quando fummo in mezzo agli alberi, dove non vedevamo niente, l’indiano scomparso e la rabbia che rombava nel petto.

Sentii un fruscio alla mia sinistra e mi lanciai nel groviglio di foglie e rami, incurante dei graffi sul viso o dell’uniforme appiccicata alla pelle per il troppo caldo o degli stivali di due taglie troppo grandi che mi rendevano complicato camminare, figuriamoci correre!

Davanti a me udii altri rami spezzarsi e foglie accartocciarsi e il rumore di un paio di piedi nudi e leggeri. Se non fossi stato accecato dalla rabbia e dalla voglia di vendetta mi sarei soffermato a pensare come facesse un indiano maschio a mantenere quella delicatezza e leggerezza durante la corsa, ma il velo rosso che avevo davanti agli occhi me lo impedì.

Saltai a piedi uniti una roccia alta mezzo metro e atterrai miracolosamente bene sulle piante dei piedi, nessuna storta, nessuna fitta. Lo sentivo. Il maledetto era proprio davanti a me. Non mi sarebbe scappato. Ah, l’avrei preso, l’avrei.

«Cazzo..!», esclamai cadendo come un sacco di patate addosso.. all’indiano!

No, un attimo, non era un selvaggio, era.. una selvaggia. Era una donna! Non erano stati i capelli a farmelo notare – quei bastardi li tenevano quasi più lunghi delle femmine – ma le sue forme sotto il mio corpo pesante.

«Toki! Wawihateya un Tunkashila!», gridò lei disgustata, cercando di sfilarsi da sotto quel corpo invadente.

Avevo il pugnale alla mano. La mia mano destra era stretta vigorosamente attorno al pugnale da soldato, uguale a quello che le era caduto a qualche metro di distanza. Potevo ucciderla. Potevo vendicare almeno uno dei nostri morti. Ma non ci riuscii. Quegli occhi grandi e neri, spalancati per l’orrore, per la repulsione nei miei confronti, avevano un fondo d’immensa tristezza.

«L’hai preso cazzo! Oh.. merda! Ma è una femmina!».

«Niye as a..», lo guardò male.

«Non parlare nella tua lingua, selvaggia! Non ti capisco!», si lamentò Fred.

Lei rise. Piuttosto forte. «Niye.. azutka», e rise ancora.

Aveva dei denti perfetti. Strano, mi avevano raccontato che l’igiene tra i selvaggi era un optional. Ma in effetti, mi avevano anche detto che erano brutti e dannati. Quella ragazza non era né l’uno né l’altro.

Mi resi conto di essere ancora seduto comodamente su di lei, bloccandole ogni via di fuga. Forse avrei dovuto lasciarla andare; avrei potuto fingere che mi fosse scivolata via, che mi fossi mosso per sbaglio. Probabilmente avrei dovuto..

Una mano s’intromise nella mia visuale e prese la ragazza per i capelli, tirandoli forte. Quella urlò. Io accennai ad aiutarla, ma una voce profonda mi fermò.

«Figliolo, tutto bene? Quella selvaggia ti ha ferito?».

Arrossii. Chiedere ad un uomo se era stato ferito da una donna era come chiedergli se se l’era fatta sotto dopo aver starnutito. Quella domanda celava un forte desiderio di umiliare chiunque. Anche se, dopo essersi ritirato, il Maggiore Reno avrebbe solo dovuto tacere. Era stata colpa sua se lo squadrone di Custer era stato sterminato.

Certo, erano stati gli indiani ad ucciderli, ma lui li aveva mollati. Si era ritirato. Era un cagasotto.

«Nossignore, non avrebbe potuto in ogni caso farmi del male», dissi alzandomi impettito.

«Meglio così, abbiamo già perso troppi soldati».

«Sì, per colpa sua», ringhiai a bassa voce, seguendolo a piedi, mentre lui, sul suo bel cavallo pezzato trottava tranquillo.

«Miye youska ayusta! Miye youska.. ayusta!».

«Ehi, lasciala stare!», mi avvicinai alla ragazza. «Me ne occupo io», dissi allungando una mano.

«Perché? È una selvaggia, non c’è bisogno di trattarla bene. In più, credo proprio che le taglierò questi splendidi capelli lunghi come la sua gente ha fatto con i nostri!», disse Fred dandole uno strattone.

«Ma è pur sempre una donna. A meno che tu non voglia prenderti il merito di aver picchiato una donna..».

«Prenditela pure. Non è neppure bella», disse Fred porgendomi la corda che avrebbe dovuto essere legata attorno al collo di lei.

La presi e annuii. Poi mi girai verso di lei, tenendo strette le corde che le bloccavano le mani e le impedivano di prenderci tutti a calci. La guardai serio, poi mi avvicinai, causando un suo arretramento.

«No. No, tranquilla. Io non.. non credo di volerti fare del male..», dissi confuso dalle mie stesse parole.

La ragazza sembrò leggere la mia confusione.

Rise. «Niye un oste».

«Senti.. non capisco un cavolo di quello che dici..», dissi agitando appena le braccia.

Questo fece si che lei ridesse ancora. Aveva una bella risata.

Ma mi costrinsi a realizzare che stava ridendo di me e non con me. Scossi la testa e mi girai, assicurandomi ugualmente di non tirarla troppo. «Forza, andiamo».


Nina’s POV

Oh cavolo, mi avevano vista. Ma come.. maledetto pugnale! E poi si chiedevano perché noi indiani usavamo armi in pietra. Ehilà! Non luccicano!

Mi misi a correre invece di rimanere lì ferma a rimuginare sulla stupidità di quegli esseri viventi. Per il Grande Spirito, perfino gli animali sapevano che una cosa che luccica attira l’attenzione e si vede subito!

Passai veloce affianco ad un soldato, sentendolo muoversi dietro di me. Ero stata troppo rumorosa. Mi fermai non appena udii il silenzio attorno a me. Poi, con un urlo disumano, qualcosa mi colpì.

Il bianco che mi cadde addosso pesava una tonnellata. Certo, io non ero troppo robusta, ma lui era proprio pesante. E considerando che era piombato su di me a peso morto non potei far altro che finire sotto di lui. Stupido.

Certo, stupido ma attraente. Di certo non mi aspettavo che un viso pallido fosse così.. carino. Con quegli occhi azzurri che mi fissavano sorpreso e la barba corta e incolta che gli ricopriva la metà inferiore del viso era proprio intrigante. D’altronde, non avevo mai visto una fisionomia del genere, era la prima volta per me e ritrovarmi a pensare che fosse bello mi spaventò.

«Vattene! Errore del Grande Spirito!», urlai cercando di levarmelo di dosso. Ma quello sembrava imbambolato.

Quando vidi che aveva afferrato il pugnale cercai il mio, ma mi resi conto che l’avevo fatto cadere nell’impatto e ora potevo anche dirgli addio. Ad un certo punto un altro damerino spuntò dalla boscaglia.

«Man, you got it! What.. shit! That’s a female!», disse quasi disgustato.

«Fastidioso..», mormorai calma fissandolo.

In tutta risposta questo iniziò ad urlarmi contro, lamentandosi. Probabilmente non mi capiva. Nemmeno io capivo lui, ma non mi lagnavo così tanto. Scoppiai a ridere.

«E poppante», dissi riprendendo fiato prima di ricominciare a ridere.

Wow, questi dovevano essere proprio dei gran soldati!

La mia risata fu interrotta da un violento strattone ai danni dei miei capelli, per me così preziosi. Sentii la pelle tirare e il cuoio capelluto ululare di dolore. Mi alzai in piedi per forza di cose.

Mentre quello che mi aveva fatta rizzare in piedi dialogava con il sacco di patate che mi era caduto addosso, il poppante si mise a legarmi i polsi e le caviglie. Lasciò poco più di mezzo metro di corda tra una gamba e l’altra, mentre le mani furono compresse tra loro fino a far male. Ringhiai nella direzione del biondino.

«So that’s what you really are. A savage animal», rise lui mollando le corde e afferrandomi per i capelli.

Dannazione, ma ce l’avevano tutti con i miei adorati capelli?

«Lasciami andare! Lasciami.. andare!», gli urlai contro tentando di morderlo.

Occhi azzurri giunse in mio soccorso. Proprio nobile, soprattutto dopo avermi sbriciolato il bacino. Scambiò un paio di abbai con il biondino, che alla fine mi mollò. Ammetto che l’impulso di scappare fu opprimente, ma fui troppo lenta e ormai Occhi azzurri aveva già afferrato le corde che mi tenevano legata.

Quando si avvicinò, l’istinto di scappare tornò a pulsare nelle mie gambe. Ma non potevo. Perciò feci l’unica cosa possibile, mi allontanai.

«No. No, calm down. I don’t.. I don’t think I want to hurt you..».

Quanto avrei volute sapere cosa significassero quelle parole. C’era tanta confusione nel suo viso, tanto dolore. E glielo avevamo causato noi. Come loro ne avevano causato a noi. Mio padre era morto in quel conflitto. Non era perdonabile una cosa del genere.

Eppure mi misi a ridacchiare.

«Sei così goffo».

Lui agitò le braccia e disse qualcosa che lo fece sembrare ancora più imbranato. Cosa che mi fece ridere ulteriormente. Poi si rabbuiò e tirò appena le corde. Capii che mi dovevo muovere. Sarebbe stato un lungo cammino.

***

Avevo una sete maledetta e i piedi nudi mi facevano male. Ma non avrei mollato per niente al mondo. Per di più, poco lontano vedevo una cittadina, sicuramente ci saremmo fermati lì per la notte. Il sole stava calando e il fresco clima del Montana cominciava a farsi sentire.

Mi raddrizzai, ostentando forza e fierezza, ma ero tanto stanca che inciampai e caddi a terra, sfregiandomi gli avambracci con la sabbia secca e ruvida. Riuscii a proteggermi la faccia ma fu una magra vittoria. Tutti i visi pallidi scoppiarono a ridere, nessuno escluso. Uno di loro addirittura mi sputò a pochi centimetri dal viso.

Dopo aver smesso di ridacchiare, Occhi azzurri si abbassò su di me, frugandosi nella giacca. Mi avrebbe sparato? Mi avrebbe uccisa perché non ero abbastanza forte? I visi pallidi erano imprevedibili, considerando che si credevano superiori a tutto e a tutti. Mi scoprii a tremare dalla paura.

«Here.. drink», mormorò porgendomi un contenitore rotondo.

Lo guardai confusa. Cos’era? Una medicina? Un veleno? Un.. acqua! Ma certo, avevo visto il viso pallido a cavallo che si tracannava quasi tutto il contenitore una volta, durante la marcia.

Afferrai il recipiente di plastica e ingurgitai molta dell’acqua che vi era dentro. Era fresca, buona e pura. Mi rianimò all’istante. Rimisi il tappo e guardai Occhi azzurri. Anche lui era stanco. Parecchio. Si poteva vedere un accenno di occhiaie viola sotto a quegli occhi limpidi. Sorrisi e annuii piano in segno di gratitudine.

Il suo sorriso in risposta mi sorprese non poco. Era stanco, sporco, affamato e assetato, ma aveva comunque una radiosità negli occhi che non poteva che mettere di buonumore.

Mi alzai, spolverai la lunga tunica che indossavo e mi rimisi in marcia, pregando il Grande Spirito che quella notte potessi dormire almeno su un tappeto e non a stretto contatto con quella terra fredda e anonima.

Avanzando sempre di più, un cartello posto a un metro da terra probabilmente accoglieva i forestieri. C’era una scritta piccola – doveva essere il benvenuto – e poi una parola, decisamente più grande. Iniziava per H..

«Ha..Har».

«Hardin», finì per me Occhi azzurri. Giusto, sul cartello c’era scritto Hardin. «We are going to spend here the night».

Non avevo capito assolutamente niente, ma dal tono sollevato mi sembrò fosse una buona cosa. Almeno per lui.

Mi guardai in giro: enormi costruzioni in legno si ergevano su entrambi i lati della strada principale. Alcuni edifici erano alti e stretti, altri più tozzi, altri ancora erano più larghi che alti. Ci dirigemmo verso uno degli edifici più grossi, con tanti occhi quadrati che mi fecero accapponare la pelle. Mi fissavano. Ed erano minacciosi. Ma nessuno dei visi pallidi sembrava notare la cosa. Mi fermai e Occhi azzurri se ne accorse solo quando la corda si tese.

Quando si girò verso di me decisi che non era il momento di fare i capricci. Con la luce del tramonto sembrava solo un bambino stanco troppo cresciuto. Ripresi a camminare senza lamentarmi, lasciandomi gli occhi demoniaci alle spalle.

Dentro all’enorme casa – fu quella la mia conclusione – c’era un tepore piacevole e un buonissimo odore di cibo. Di carne. Io adoravo la carne. Soprattutto quella di manzo. Ovviamente per noi i cavalli erano sacri e non si potevano toccare se non in occasioni eccezionali e il bufalo.. beh, se si uccideva un bufalo per farne uno spiedino ci si poteva aspettare benissimo spiriti maligni in ogni dove e in ogni momento.

«Hey, you want something to eat?», chiese Occhi azzurri guardandomi.

Vedendo che non capivo si toccò lo stomaco muovendo la mano con un movimento circolare, poi la portò alla bocca, le punte delle dita unite e le labbra spalancate come volesse mangiarsela. Poi indicò me.

Annuii. Non ero scema, avevo capito che mi stava offrendo da mangiare e per nulla al mondo avrei rifiutato. Ma evidentemente avevano altri progetti per me. E no, non stavo parlando del destino.

 


Eccomi qui con un'altra FF (la terza.. in contemporanea con le altre..). Oh mon dieu!
Questo significa essere masochisti, lo riconosco, ma sono di umore nero, perciò faccio sciocchezze di questo tipo.
Bene, allora, mi sto in qualche modo appassionando alla storia - farlo mentre ero a scuola no, eh? - e mentre cercavo informazioni qua e là, ho visto l'immagine di un soldato inglese ai tempi delle guerre contro gli indiani e bum! Ecco che la fantasia volta, la musica aiuta e la spassionata passione per Pocahontas e i "selvaggi" prende il sopravvento. La mia prima principessa Disney mi ha influenzata non poco, per l'animo ribelle della protagonista in primis.
La storia mi piace parecchio, la trama che c'è nella mia testa anche, quindi potrebbero essere degli ottimi input.
A questo punto spero solo che piaccia anche a voi. Buona lettura :)
-S
   
 
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