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Autore: zoey_gwen    28/01/2014    5 recensioni
Gwendolyn Smith è una ragazza solitaria, insicura, esclusa da tutti e sola.
Nessuno, neanche suo padre, Jack Smith, sembr capirla.
Solo un piccolo ciondolo di ghiaccio delle steppe russe, la rappresenta, ed è la chiave di un oscuro passato a cui Gwen non può sfuggire..
E poi l'amore, quello vero, che Gwen non ha mai provato fino ad ora, sarà la chiave per la felicità.
Tratto dal capitolo 13:
"Smisi di ascoltare, per via delle calde e silenziose lacrime che da tempo sgorgavano dai miei occhi color pece, gli stessi di quella sgualdrina di mia madre. Aveva ingannato me e Crystal, con le sue false parole mielose... Come aveva potuto? Mi sedetti per terra, affondando i jeans nella terra umida e rigogliosa, mentre rivoli cristallini solcavano le mie guance"
---
"-E così sono la tua ragazza, adesso?- ironizzai, baciandolo per l'ennesima volta. Lui mi fissó intensamente, guardandomi con il suo solito ghigno beffardo -Certo, a meno che tu non lo voglia...- come risposta lo baciai appassionatamente, mentre un anello dalla struttura d'argento con due smeraldi ed un onice incastonato al centro si infilasse al mio dito come segno del nostro amore."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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PRE-ANGOLO AUTRICE:

 

 

CIAO CUCCIOLI! :3

Prima di tutto vorrei informarvi di una cosa: scusate per il capitolo precedente, mi ero dimenticata di mettere il carattere solito degli scorsi capitoli! Mi dispiace, spero che a voi non dispiaccia troppo!

Detto questo...

Buona lettura^^

Gwen

 

 

 

 

 

La sera scesi prima del solito a farmi un toast al formaggio, dato che non avevo la voglia di sopportare un'altra discussione a cena.

Mentre stendevo con cautela una fetta di formaggio sul pane, sentii una pressione sulla spalla.

Sentii anche l'alito caldo di Jack pulsarmi vivido sul collo, e mi girai.

-Gwen, io... Volevo scusarmi. Sono stato uno sciocco... E hai ragione, non posso impedirti di andare in discoteca. Non sono tuo padre.- concluse con una nota di malinconia nella voce, e io abbassa lo sguardo, pentendomi delle parole dette in precedenza.

-Mi dispiace anche a me di averti trattato male. Comunque non so se andrò in discoteca, stasera. Andrò a casa di Crystal.- presi il mio toast, e lo addentai con forza, assaporando il gusto saporito del formaggio sulle mie papille gustative.

-Oh, ok.- sorrise, e ricambiai, poi salii le scale per andare in camera mia.

Finii il mio panino, poi poco dopo ricevetti un messaggio:

 

 

Ciao, Gwen! Volevo sapere se venivi alla festa in discoteca... In quel caso, potevo passare a prenderti”

 

 

Era di Trent: possibile che nessuno pensasse ad altro tranne che a quella stupida festa?

 

 

No, non verrò. Vado a casa di Crystal”

 

Oh... Io pensavo che saresti venuta.”

Trent, odio le discoteche”

Potevamo stare lì per un po', poi ce ne saremmo potuti andare...”

E dove vuoi andare nel bel mezzo della notte?”

A guardare la luna in cima ad una scogliera, a suonare sulla spiaggia sentendo il rumore delle onde avvolgerci come una magia, oppure semplicemente passeggiare in riva al lago”

Tutto molto romantico, ma non credo sia possibile”

Era solo un pretesto per stare con te”

 

 

Questo l'avevo capito.

D'altronde, una persona che non mostra il minimo interesse per una ragazza non le va a scrivere di uscire con lui, perché era questo l'intento di Trent.

Non risposi più, ma subito Trent cominciò a rimandarmi un messaggio.

 

Gwen, tu mi piaci. E te lo avrei voluto dimostrare”

 

 

Anche qua non risposi, e spensi il cellulare per eventuali telefonate.

Tentai di finire l'ultimo compito di filosofia, poi dormicchiai un po': infine, mi vestii e uscii per andare a casa di Crystal.

 

 

 

***

 

 

 

Percorsi il breve tratto, osservando il mondo avvolto nella notte, quando arrivai davanti al portoncino del condominio.

Cercai il cognome “Azirya” sul listino dei nomi, poi schiacciai il campanello.

Aspettai un po', poi la porta si aprì ed entrai.

-Gwen! Aspetta!- Crystal mi corse incontro, e mi abbracciò, facendo scivolare i capelli corvini sulle mie spalle.

-Ciao!- esclamai io, notando che era in canottiera attillata.

La collana con il cuore di ghiaccio era ben visibile e spiccava sul nero della canottiera.

Lei mi accompagnò in casa, e mi spiegò che non c'era nessuno, dato che il suo tutore era via per lavoro.

Ci accomodammo sul divano color panna, con una scodella di caldi popcorn davanti.

-Grazie per essere qui. Volevo condividere con qualcuno la mia storia, e chi meglio di te può ascoltarla?- mi sorrise, e io deglutii.

Ero pronta (o quasi) a sentire la storia della mia famiglia.

-Mia madre- cominciò, con gli occhi già lucidi -Era una donna povera, molto povera. Viveva in una catapecchia a Mosca, dove lavorava come lavandaia. Un giorno, al posto di lavoro, incontrò mio padre: lui era un importante imprenditore russo, ricco e, almeno all'apparenza, un brav'uomo. Mia madre si innamorò all'istante di lui, e pure lui si perse negli occhi color inchiostro di Anna. Così si fidanzarono, e si frequentarono per molto tempo, poi lui la chiese in sposa: mia madre era così felice, che con le lacrime di gioia accettò. Dopo poco, lei rimase incinta di due gemelle, ma appena lo seppe mio padre, lui la abbandonò. Col tempo, Anna scoprì che lui la tradiva spesso, con alcune sgualdrine di un locale russo, e che aveva messo incinta molte di queste.

Mia madre non si perdonò mai di essere ceduta a stare con lui, e che le sue bambine stavano per nascere dal frutto di un amore impuro e tradito. Andò a vivere di nuovo nella sua catapecchia, dove da sola mise al mondo me e mia sorella.

Ci crebbe fino ai quattro anni, dove si ammalò gravemente di un tumore al pancreas. Le medicine erano troppo costose, ma con l'aiuto di una buona levatrice mia madre riuscì a sopravvivere per ancora qualche mese. Poi ci donò in orfanotrofio, colma di dolore. E da allora non so se è morta, se è viva. Non so più niente.- concluse con le lacrime agli occhi, stringendo un cuscino già inzuppato di lacrime.

Anche io avevo gli occhi lucidi, tuttavia cercai di non darlo a vedere.

-E-e tu come sai tutto questo?- domandai, ingoiando un pop-corn per soffocare i singhiozzi.

-L'ho saputo dal mio tutore, e poi da una lettera di mia madre.- spiegò Crystal.

Ormai era buio, e la festa doveva essere cominciata da almeno mezz'ora.

-La conservi questa lettera?- chiesi.

Lei annuì, poi si alzò, scomparendo nella sua stanza.

Tornò poco dopo, con un foglio di carta ingiallito e inzuppato di lacrime.

-Eccola- la ragazza me la porse, e cominciai a leggere:

 

 

 

 

Care ragazze,

vi sto scrivendo con un dolore immenso.

Probabilmente non vi rivedrò mai, e voi non rivedrete più vostra madre.

Sono ammalata, gravemente ammalata, e anche con l'aiuto di Sveva non so se sopravviverò.

Vi voglio scrivere questa lettera per spiegarvi che non vi ho abbandonato per odio, anzi, vi amo più della mia vita, ma io non so quanto mi resta da vivere, e non ho nessuno a cui affidarvi.

Spero che, leggendo questa lettera, non proviate disprezzo per me, perchè voi siete la mia vita.

Spero che stiate vivendo una buona vita, e che

pensiate a me ogni tanto, dato che io penso sempre a voi, ogni secondo che passa.

Vi amo, vite mie, vi amo come solo una madre sa fare verso le sue figlie.

Spero anche che queste brevi righe vi entrino nel cuore.

Vi amo, non dimenticatelo mai.

Con un immenso affetto,

Anna Azirya”

 

 

Non trattenni più le lacrime, e con la scusa di andare in bagno mi rinfrescai il viso, cercando di non sembrare una ragazza che aveva appena pianto.

Mia madre mi amava, e ora che ne avevo la consapevolezza mi sentivo così felice...

Ritornai da Crystal, e lei posò la testa sul mio petto, bagnandomi la mia maglia verde acqua di lacrime di dolore.

-Gwen, io non la rivedrò mai, e nemmeno mia sorella...- singhiozzò, piangendo.

Le accarezzai la guancia rigata di lacrime, e mi asciugai anche le mie.

-Crystal, io ti devo dire una cosa- dovevo rivelarglielo, dirle che io ero sua sorella e basta.

La ragazza alzò lo sguardo, incuriosita.

-Cosa?- babettò, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di puro lino candido.

-Io... Ehm... Io...- non sapevo come dirglielo. Era una cosa delicata e importante, non potevo buttarla al vento.

Tuttavia, forse non era ancora il momento giusto per riverarlo.

-Io sono molto dispiaciuta per te, davvero.- finii, sospirando.

Dopo un po', guardammo un album di foto di mia madre, mentre fuori il cielo si oscurava sempre di più.

-Crystal, e se andassimo alla festa?- proposi ad un certo punto. Non sapevo perchè mi era venuta questa idea, forse perchè dopo tutta questa tristezza volevo divertirmi un po'.

Lei ci pensò su.

-Non lo so... Io odio le discoteche.- momorò, insicura.

-Dai, ci divertiremo...- la guardai negli occhi, rispecchiandomi perfettamente, e lei annuì.

-Ok, ma tu hai portato il vestito?- chiese.

Scossi la testa, rabbuiandomi.

-Forse abbiamo la stessa taglia, siamo molto simili- osservò mia sorella, accompagnandomi in camera.

Mi mostrò alcuni vestiti, tra cui uno bellissimo:

era color ghiaccio, corto fino a ginocchio, spruzzato di brillantini argentei sulla scollatura a cuore, e mi stava a pennello: metteva in risalto i miei capelli corvini, e poi mi ricordava le steppe russe.

-Ti piace? Anche a me, comunque io metto questo- mi mostrò un abito nero, corto anch'esso fino a ginocchio, con uno strato orlato che svolazzava sulla parte inferiore.

Le stava molto bene.

Ci truccammo, io misi un rossetto nero, un lucidalabbra brillantinato, un filo di eileiner, ombretto azzurro sfumato a quello nero e mi piastrai i capelli.

Crystal invece si mise un rossetto rosso acceso, mascara, ombretto nero e si lasciò i capelli sciolti, cadenti sulle spalle, lasciandoli naturali.

Crystal prese il suo motorino (ebbene sì, aveva ciò che io avevo sempre voluto: un motorino!) nero, con striature in acciaio argentato, e sferzammo veloci fino alla discoteca.

Il vento mi accarezzava impertinente le gote, e mi sembrò di andare ad una velocità assurda, mentre invece era una velocità assolutamente normale.

Comunque era una vera forza.

Scendemmo davanti al locale, e entrammo insieme: la confusione regnava in quel caos, mentre luci psichedeliche colorate illuminavano la pista, e decine di ragazzi ubriachi ballavano sfrenati.

Mi girò la testa, e mi passai una mano sulla fronte.

-DUNCAN!- urlai, a forza della musica troppo alta che rimbombava nella discoteca.

Lo cercai in mezzo a quella folla, quando un ragazzo troppo ubriaco mi cinse la vita.

-Ehi, splendore...- mi chiese, ridendo, e notai la bottiglia di Margarita che teneva in mano.

Disgustata mi allontanai, cercando un punk dalla cresta verde.

Lo notai alla fine, mezzo ubriaco, fra la folla di Courtney Barlow e Heather Watson.

Courtney indossava un mini abito forse troppo corto, addirittura inguinale, e aveva un rossetto rosso acceso che risaltava le sue labbra carnose.

Heather invece era insieme ad un ragazzo dai capelli castani sciolti, ubriaca fradicia, e lo baciava appassionatamente, mentre lui, ubriaco marcio, le sussurrava paroline in spagnolo.

Mi avvicinai, e chiamai Duncan.

Il ragazzo, con un bicchiere di Crodino mischiato a Vodka, aveva la camicia bianca sbottonata fino a metà e i capelli arruffati.

Gli strappai il bicchiere di mano, infastidita, e lo posai su un tavolino vicino.

-Ciao...- mormorai poi. Lui mi sorrise, poi ricambiò il saluto.

-Allora, di cosa mi volevi parlare?- ci allontanammo da lì, sotto lo sguardo ormai ben poco lucido di Courtney.

-Gwen, mi sento poco bene... Possiamo parlarne domani a scuola?- farfugliò, portandosi una mano alla testa: evidentemente aveva bevuto, perchè sentii l'odore di alcool dalla bocca e sopratutto mi accorsi che l'indomani era sabato, quindi niente scuola.

Lo accompagnai fuori, dove ci appostammo accanto ad un muretto di pietra.

Rabbrividii per il freddo, mente il punk tirava fuori una sigaretta Malboro.

Con un accendino nero se la accese, e subito si dissapò una nuvoletta di fumo in aria.

-Duncan, smetti di fumare e ascoltami...- gli strappai anche la sigaretta dalle mani, e buttai il mozzicone a terra, schiacciandolo con il tacco argentato.

Lui alzò lo sguardo dal mozzicone, e incontrò i miei occhi.

-Gwen, senti, adesso non ho voglia di parlare...- camminò per un po', poi mi fece segno di rientrare.

Scossi la testa, delusa da lui: mi voleva trascinare lì per poi dirmi che non aveva voglia di parlare?

Feci per andarmene, quando qualcuno mi chiamò.

-Gwen!- era Trent, vestito con una camicia azzurra.

Si avvicinò a me, e notò i miei occhi lucidi per il punk.

-Stai male? Hai bevuto?- domandò, e io scossi la testa.

-No, non ho nemmeno assaggiato neanche un drink.- risposi.

Lui indicò la discoteca.

-Vuoi rientrare?- mi chiese.

-No, e non andrò mai più in discoteca. Mi ha accompagnato Crystal, speravo ci fosse...- rientrai un attimo, e la notai, seduta su un tavolino, sbuffare.

Era accerchiata da qualche ragazzo ubriaco, e quando mi vide si alzò e corse verso di me.

-Oh, finalmente! Odio le discoteche, mamma mia se le odio!- scoppiammo a ridere, poi uscimmo tutti e tre.

Lanciai un ultima occhiata al punk, che rideva insieme ad un altro tipo, con una bottiglia di Vodka Lemon in mano, mente vicino a lui c'era Courtney, che rideva anche lei, brindando insieme ad Heather e al tipo che l'asiatica continuava a baciare.

Abbassai lo sguardo, poi cominciai a passeggiare accanto a Trent e Crystal.

-Gwen, voglio parlarti di una cosa...- iniziò lui, lanciando un'occhiata a Crystal. Lei gli lanciò un occhiolino, poi si avvicinò al suo motorino.

-Io devo andare, sono molto stanca... Ciao a tutti e due!- si sentì il rombo della moto, poi partì scomparendo nella notte.

Io e lui camminammo accanto al lungo mare, osservando l'oceano color cielo che si infrangeva sugli scogli.

-Gwen, tu mi sei sempre piaciuta molto, ma non come amica... Io... Io ti amo- scandì bene l'ultima parola.

Tra noi piombò il silenzio, e il mio sguardo si posò sulle onde scure.

Improvvisamente Trent mi prese la mano, e , come in un film, si inchinò.

Lo guardai, stupita.

-Gwen, vuoi essere la mia ragazza?- proprio come in un film.

E a questo punto la ragazza, protagonista, avrebbe detto di sì, felice.

Ma io non sapevo, perchè io non ero innamorata di lui.

La mia mente corse a Duncan, ma mi rabbuiai ricordandomi cosa era successo poco prima.

E adesso? Ora cosa avrei fatto? Avrei detto di sì a Trent oppure no?

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

 

Ciao!

Eccomi di nuovo qui^^

Sono stata veloce, questa volta ;)

Che vene pare? A me piace abbastanza... E a voi?

Aspetto le vostre recensioni^^

Gwen

  
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