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Autore: lucatrab_99    28/01/2014    1 recensioni
Dopo l'attentato alla vita di suo padre, ispettore capo a Scotland Yard, Leo stringe un'improbabile alleanza col nemico per risalire al colpevole. La Londra contemporanea fa da scenario ad una folle indagine, un inseguimento in cui predatore e preda si scambiano spesso di ruolo. In questa corsa contro il tempo, l'unica regola che conta è sopravvivere all'Asso di Picche, quanto più a lungo è possibile.
Genere: Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le indagini proseguirono per circa un mese, ma il vice-ispettore Brown, vuoi per mancanza di prove, vuoi per sua incapacità non cavò un ragno dal buco. Leo e Gwen si sentivano ormai quasi tutti i giorni, e Leo arrivò al punto di arrossire violentemente ogni volta che la salutava. Decise di confidarsi con Alex, che era decisamente più esperto di lui in fatto di ragazze, forse perché la sua bellezza lo rendeva il ragazzo più desiderato della scuola. Quando ne parlarono, seduti di fronte a un caffè bollente in un bar di Chelsea, Alex rimase impassibile. Poi un mezzo sorriso affiorò sulle sue labbra, e finalmente parlò: "Gwen è una bravissima ragazza, e forse è la persona giusta per aiutarti a superare questo momento" bevve un lungo sorso del suo caffè, poi continuò, misurando le parole "io dico di provare, chissà! Fra due settimane si va tutti al teatro con la scuola, magari uscendo potresti farti avanti" Leo ci pensò su a lungo, bevendo l'ultimo fondo del suo caffè, poi ringraziò l'amico e andarono al solito allenamento di basket, prendendo un taxi. Uscito dalla palestra, si accorse di non avere abbastanza soldi per un biglietto del bus, e dovette tornare a casa a piedi, nonostante piovesse a dirotto. Le strade erano semideserte e Leo, immerso nei suoi pensieri, non si rese neanche conto di dove metteva i piedi: sbatté violentemente contro un ragazzo che aspettava alla fermata del bus. "Mi dispiace tantissimo, io non..." farfugliò Leo, a mò di scusa, poi guardò meglio chi aveva di fronte: un ragazzo alto, muscoloso, un filo di barba bionda e una cicatrice sulla guancia. "Tu dovresti essere morto!" urlò, ma al posto di parole gli uscì un verso strozzato, e anche l'altro lo riconobbe. Il killer di suo padre sbarrò gli occhi, impallidì e corse a rotta di collo giù per la strada deserta. Leo rimase lì fermo, a guardarlo scappare. Avrebbe voluto inseguirlo, ma le gambe non gli rispondevano. Passarono alcuni minuti, sempre impalato alla fermata dell'autobus, incurante della pioggia, prima che si decidesse ad andarsene. Si toccò il volto, incredulo, e non seppe dire se a bagnarlo fosse stata la pioggia o le sue lacrime. In un attimo, tutto perse di importanza: Alex, il basket, persino Gwen scomparve dai suoi pensieri, e nella sua testa si fissò il volto del suo nemico senza nome, prima triste, poi con un sorriso folle che sembrava dire "si, l'ho ucciso io". Tornò a casa, si mise sotto la doccia, e l'acqua calda che gli scendeva lungo la schiena sembrò finalmente svegliarlo da quell'assurdo stato di trance. Cosa mi passa per la testa, maledizione a me! Quell'uomo è morto e sepolto, l'ho certamente scambiato per qualcun altro. Eppure quello sguardo... Passarono i giorni, e Leo decise di non fare parola con nessuno di quanto era successo, nemmeno con sua madre, che da un po' di tempo sembrava stare meglio, nonostante piangesse ancora per motivi all'apparenza sciocchi. La polizia aveva messo il caso Jones in archivio, incapace di continuare le indagini in assenza di prove, e il vice-ispettore Brown si stava rivelando un incapace di prima categoria: in due mesi appena, la microcriminalità aveva preso piede come mai prima di allora. Febbraio passò in fretta, e marzo si preannunciava un mese piovoso e umido. Leo conduceva una vita piatta, in cui i massimi sfoghi erano il basket e le interminabili chiacchierate al telefono con Gwen. Era un giovedì pomeriggio, e Leo si trovava in palestra per il solito allenamento di pallacanestro, ma era distratto più del solito, sbagliava in continuazione, e il coach decise di non convocarlo neanche per la partita della domenica. Alex si accorse della situazione, e venne in soccorso dell'amico. "Che hai?" gli chiese, una volta usciti dalla palestra "Tutto bene? Hai cambiato idea su Gwen?" "E' proprio quello a darmi da pensare" rispose Leo "tu mi consigliasti di farmi avanti, e che se il sette di marzo avessimo deciso di andare a teatro con la scuola, avrei avuto una buona occasione. Ma il sette di marzo è domani, e io non ho ancora preso una decisione. Che ne pensi?" Alex non rispose subito, ma ci pensò un po', giocherellando distrattamente con la cerniera del borsone: "Io penso che se ci tieni davvero, valga la pena tentare. Comunque vada, avrai la tua conferma". Si salutarono scambiandosi il cinque, ma dopo pochi passi Alex lo richiamò: "Leo!" il ragazzo si girò "Buona fortuna capo" e gli fece l'occhiolino. La mattina successiva, Leo non fece nulla di particolare per cercare di sembrare più attraente, si mise una felpa nera e un paio di jeans e andò a teatro insieme a Theo, anche lui informato delle intenzioni dell'amico. Lo spettacolo fu noioso in modo quasi deprimente, una rappresentazione dell'Otello vecchia e stantia. Quando uscirono, Leo si sentì insicuro come non lo era mai stato in vita sua. Chiamò Gwen in disparte e le disse: "Ti va un gelato?" Lei quasi soffocò dalle risate: "Un gelato? A marzo?" Leo si maledisse mentalmente per la sua prima figuraccia. Forse Gwen capì che Leo era a disagio, e si corresse dicendo: "Perché no? Dopotutto, nessuno ha mai detto che il gelato si debba mangiare solo d'estate!" Gli fece un gran sorriso, e i due si incamminarono verso Hyde Park, chiacchierando del più e del meno. Stavano per separarsi e tornare ognuno verso casa sua, quando Leo la trattenne. "Possiamo parlare?" chiese con un filo di voce. Lei sembrò perplessa, poi rispose "Certamente! Andiamo a sederci sotto quell'albero?" e indicò una grossa quercia, grande abbastanza per poterci poggiare la schiena in due. Si sedettero, e Leo si decise a vincere la sua assurda timidezza. Dopotutto, era la prima ragazza a cui diceva una cosa del genere, e si vergognava un po'. "Ho sempre pensato che fossi una brava ragazza, e ti ho sempre voluto bene" iniziò a dire. Ogni parola seguiva l'altra come un fiume in piena, e ad ogni parola detta Leo si sentiva più leggero "Ti ho voluto bene prima come un ragazzo vuole bene ad una sua amica, poi come un fratello vuole bene ad una sorella, e credo Gwen, di volerti bene anche come un uomo che ama una donna" Si fermò, e poggiò la testa contro il tronco della quercia, aspettando una risposta, che però non ebbe. Girò lo sguardo, e vide che Gwen stava piangendo. Un pianto silenzioso, una sola lacrima le rigava il volto. "Io...mi dispiace Leo" lo guardò dritto negli occhi "non è come sembra" aggiunse poi "Noi non possiamo stare insieme. Un giorno, forse, ti dirò il perché" gli poggiò le labbra sulle sue, un bacio leggero, come il vento che soffiava in quel momento. Poi si girò, e andò via.
  
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