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Autore: With H    28/01/2014    0 recensioni
Un posto familiare, una strana fretta ed una brutta sensazione... Tutto dipende da chi ci si trova accanto.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva fretta di andare. Sì, ma dove? 
Non lo sapeva, però sapeva di conoscere quella strada che stava percorrendo velocemente, per qualche strano motivo lei lì ci era già stata. Ma quando? 
Non sapeva neanche questo. 
Le gambe le si erano un po' irrigidite per lo sforzo, non era abituata a camminare così velocemente, ma non rallentò e comunque non sarebbe servito dato che si stava lasciando tirare. 
Ad ogni modo la strada era pressoché deserta e lei era quasi certa che non l'avesse mai vista così desolata, ammesso che fosse sul serio stata in quel posto. 
Però lo ricordava, poteva mai ricordare un posto che non aveva mai visto prima? 
Non era una strada molto grande e si sorprese di metterci così tanto tempo per attraversarla tutta fino alla fine, le sembrava quasi di essere lentissima sebbene avesse quasi il fiatone per la velocità del suo passo.
C'erano tanti alberi comunque, quando il vento ne muoveva le foglie nell'aria si diffondeva un buon odore, familiare. Di pino mediterraneo e qualcos'altro, eucalipto forse. Fu un odore che le strappò un sorriso fugace, in realtà si sentiva tesa e forse la musichetta che sentiva in lontananza non faceva altro che aumentare una brutta sensazione.
Non era poi sicura di voler proseguire, così rallentò un po' il passo. Solo in quel momento ricordò che qualcosa la stava tirando, anzi, qualcuno. Si rese conto di percepire una manina fredda intrecciata alla sua. Le si gelò il sangue nelle vene, era sicura di essere da sola. 
Si girò piano e vide che stava portando per mano una bellissima bambina con i boccoli castani legati in un fiocco rosa intonato al vestitino con le maniche a palloncino che indossava. Guardava dritto verso di sè, per cui non riuscì a vedere il suo viso, ma era solo una bambina e comunque sembrava adorabile. Lei, la bambina, sembrava ostinata a proseguire e così non riuscì a dirle di no. Continuò a camminare.
Si spostò i ricci su una spalla e tirò giù le maniche della sua maglia, aveva i brividi, anche se per qualche motivo sapeva anche che lì poteva essere molto più umido di così certe volte.
Nel frattempo la musica si faceva più forte, doveva essere gioiosa ma in realtà faceva venire i brividi, come se qualcosa nelle casse si fosse rotto e riproducessero solo un certo tipo di frequenze che rendevano inquietante quella canzoncina.
Ma la bambina era felice, iniziò a saltellare a ritmo della musica, percepiva la sua felicità che era in netto contrasto con quello che provava lei. 
Già, cosa provava? Era seccata di essere lì e anche angosciata ed avvertiva un’orribile sensazione di oppressione che le chiudeva la gola e le faceva battere il cuore all’impazzata. 
E la felicità della bambina non faceva altro che aumentare ciò che provava lei. Avrebbe voluto ucciderla, ma si rese conto che era una cosa terribile da pensare... Era solo una bambina. Ma la sua felicità era irritante. 
Sulla destra scorse un’insegna gialla illuminata, c’era scritto “bowling” e poco più avanti ne scorse un’altra con una freccia che indicava a sinistra e la scritta “zoo”.
Lei conosceva quel posto.
Guardò di nuovo la bambina che portava per mano e finalmente si girò verso di lei, sfoderando un sorriso inquietante. Dovette reprimere un conato di vomito quando nell’espressione e nei tratti del viso della bambina riconobbe i suoi. Gli stessi occhi grandi e scuri, le labbra carnose e la fossetta all’angolo sinistro della bocca quando sorrideva, la stessa espressione determinata su un viso che era stato a sua volta il suo, circa sedici anni prima. 
Riconobbe se stessa all’età di tre-quattro anni circa, con quel vestitino che indossava in una delle fotografie esposte su una mensola della parete attrezzata che avevano in soggiorno quando abitavano nella vecchia casa. 
E allora seppe dove si trovavano. Lo sapeva con certezza. Viale Kennedy, a Napoli e lei quella strada l’aveva fatta così tante volte che non avrebbe potuto dimenticarla nemmeno volendo. Lì c’era lo zoo, il bowling d’Oltremare, il Parco Robinson e l’Edenlandia. Erano i posti dove aveva passato più tempo in assoluto durante la sua infanzia e sapeva benissimo che la bambina - cioè, lei da piccola - voleva andare all’Edenlandia. Era quello che lei avrebbe voluto da piccola, per quanto le piacesse correre nel verde del parco o giocare nel bowling o osservare gli animali allo zoo, non c’era niente che desiderava di più di fare ancora altri giri sulle giostre del lunapark. 
Quasi fu grata alla bambina di non aver scelto lo zoo, l’ultima volta che ci era stata aveva trovato una situazione raccapricciante: quasi tutti gli animali morti per fame o per malattie che i gestori non avevano potuto curare a causa della mancanza di fondi, erano rimasti pochissimi animali rispetto a quando andava da bambina e, accanto alla vasca delle foche, c’era un cartello straziante, “Willy ringrazia tutti per il sostegno, ma la sua malattia era più forte di lui”. Aveva giurato che non ci avrebbe mai più messo piede.
Era uno spettacolo allucinante. Certo, anche l’Edenlandia non era più come un tempo, c’era il progetto di unirla allo zoo e fare un enorme parco diviso in zona animali e zona giostre, ma non se ne fece mai nulla e alla fine gli animali iniziarono a morire e le giostre a deteriorarsi e rompersi.
Avrebbe voluto spiegarle come stava veramente la situazione, ma come avrebbe potuto dire a se stessa da piccola che l’Edenlandia era diventata solo una brutta caricatura di quello che era un tempo? Non ci riuscì e la felicità della piccola era quasi palpabile, saltellava contenta ed aveva un sorriso smagliante.
Detestava la sua felicità. Ancora una volta pensò che avrebbe voluto ucciderla e stavolta si rese conto che non poteva farlo e non perchè fosse una bambina, ma perchè era lei da piccola, il suo passato e in qualche modo sapeva che uccidendola avrebbe ucciso anche quello che lei era adesso. 
Quando arrivarono all’ingresso del parcogiochi riconobbe anche la musica, era quella di sempre, quella dei suoi ricordi di bambina, l’Edenlandia era stranamente aperta e già da fuori si vedevano tutte le attrazioni in movimento, ma ancora una volta ebbe la sensazione che qualcosa non andava. La biglietteria era vuota e non c’era nessuno che vendesse il biglietto per l’ingresso, anche se i cancelli erano aperti, lei - la bambina - la tirò verso l’entrata e anche allo stand dove si faceva il braccialetto per fare tutte le attrazioni non era attivo. Ma le giostre funzionavano tutte, c’erano persino le montagne russe all’entrata che avevano levato almeno dieci anni prima.
Ma non c’era nessuno a parte loro. Anzi, a parte lei, perchè ad ogni modo era da sola, anche se erano in due...
Lei iniziò a tirarla, sapeva che se ci fossero stati i suoi genitori avrebbe chiesto se poteva fare una corsetta, ma con lei evidentemente si sentiva meno libera, o forse le piaceva stare in compagnia di se stessa adulta. 
Oltrepassarono velocemente il Dragone Cinese e, anzichè andare a sinistra dove c’era il Vecchio West, andarono verso il viale centrale. Sapeva benissimo dove la stesse portando, ai Tronchi che erano da sempre stati la sua attrazione preferita. Ricordava che una volta aveva chiesto ai suoi genitori di rifare il giro almeno tre volte, forse anche di più.
Una volta, all’interno della grotta dei Tronchi, c’erano i pirati, sembrava quasi surreale e a lei erano sempre piaciuti, forse per via di Peter Pan, poi un giorno aveva trovato la grotta vuota, c’era un cartellone con le figure dei dinosauri e la scritta “stanno arrivando”, i loro versi in sottofondo rendevano il tutto ancora più spaventoso e incredibile per i bambini... Poi qualcuno aveva buttato giù il cartellone e lentamente i suoni erano diventati metallici e lontani, fino a sparire, dopodichè nella grotta non era rimasto nulla, solo un forte odore di acqua stagnante. 
Ma, così come tutte le altre giostre, anche i Tronchi sembravano animati di un antico splendore, sentiva i versi dei dinosauri dagli altoparlanti nella grotta e la voce che alla fine del percorso diceva “Che belli che siete! Adesso vi faccio una foto. Look at me!” 
Stranamente però lei non si avvicinò all’entrata dell’attrazione, ma andò più verso sinistra, avvicinandosi al muro che divideva i Tronchi dalla Casa Dei Fantasmi, era una parete non troppo alta, ricoperta da una pianta rampicante. 
Lei la guardò con un’espressione indecifrabile e spostò la pianta, sotto non c’era più il muro ma si era formato una specie di passaggio. Le giostre attorno a loro avevano smesso di funzionare, l’Edenlandia era tornata ad essere quella degli ultimi anni, distrutta e in decadenza, era tutta buia, trascurata e, se possibile, ancora più spaventosa di come era stata fino a pochi minuti prima nel suo massimo splendore.
Lei sorrideva però e questo la spinse a guardare ciò che stava guardando. Dal muro tra i Tronchi e la Casa Dei Fantasmi si vedeva un altro parcogiochi, forse più piccolo, ma decisamente più bello dell’Edenlandia, anche di com’era stata prima, più bello forse di qualsiasi altro lunapark al mondo. Lei si staccò dalla sua mano, le lanciò un ultimo sguardo e poi corse via verso quel posto.
Provò a chiamarla, ma non si girò. Fu invasa da una sensazione orribile, molto peggiore di quella che aveva provato fino a quel momento. La netta consapevolezza di averla persa per sempre e di non poter fare nulla per riportarla indietro, provò a seguirla ma andò a sbattere contro il muro ricoperto dalla rampicante e attorno a lei c’era un silenzio macabro, così come tutto quello che la circondava. 

   
 
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