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Autore: ValeryJackson    28/01/2014    11 recensioni
Skyler aveva sempre avuto tre certezze nella vita.
La prima: sua madre era morta in un incidente quando lei aveva solo sette anni e suo padre non si era mai fatto vivo.
La seconda: se non vuoi avere problemi con gli altri ragazzi, ignorali. Loro ignoreranno te.
La terza: il fuoco è un elemento pericoloso.
Tre certezze, tutte irrimediabilmente distrutte dall'arrivo di quel ragazzo con gli occhi verdi.
Skyler scopre così di essere una mezzosangue, e viene scortata al Campo. Lì, dopo un inizio burrascoso, si sente sé stessa, protetta, e conosce tre ragazzi, che finiranno per diventare i suoi migliori amici. Ma, si sa, la felicità non dura in eterno. E quando sul Campo incombe una pericolosa malattia, Skyler e i suoi amici sembrano essere gli unici a poterlo salvare.
Una storia d'amore, amicizia, dolore, azione, dove per ottenere ciò che vuoi sei costretto a combattere, a lottare, e ad andare incontro alle tue peggiori paure.
Ma sei davvero disposto a guardare in faccia ciò che più ti spaventa?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Il bus si fermò proprio davanti l’entrata del Parco Nazionale.
Una volta scesi, i ragazzi si voltarono per ringraziare, e furono costretti a salutare le persone asiatiche attraverso i finestrini con un gran sorriso sulla faccia, finché l’autista non mise in moto e ripartì.
Non appena il pullman fu sparito dal loro campo visivo, le spalle dei ragazzi si abbassarono, sollevate, e i sorrisi scomparvero dai loro volti, lasciando spazio ad un’espressione concentrata.
Diedero le spalle alla strada, puntando lo sguardo sulla folta vegetazione che li circondava.
«Dove andiamo?» chiese Skyler con un cenno, mentre Emma estraeva la mappa dalla tasca.
La bionda lanciò un’occhiata alla sua destra. «Di qua» annunciò, incamminandosi guidata dalla Mappa, con gli altri al seguito.
Per un po’, i ragazzi si limitarono a guardarsi intorno circospetti, con i nervi tesi. Poi, resesi conto di essere gli unici a camminare fra quelle sterpaglie ben curate, brandirono le loro armi.
Dopo aver camminato per circa mezz’ora, il terreno fangoso si trasformò in una piana riarsa e interrotta solo da ciuffi di rovi e di oleandro. Diventò difficile arrancare, ma, stringendo i denti, i ragazzi seguirono Emma finché la folta erba smeraldo non decise di tornare al proprio posto.
Camminavano ormai da più di un’ora, e il caldo era crudelmente opprimente.
Asciugandosi la fronte con la manica della felpa, Michael si rese conto che i suoi amici avanzavano parecchi metri davanti a lui.
«Ehi» sussurrò una voce alle sue spalle. Michael sussultò, perché si, l’aveva riconosciuta subito.
Quando Skyler fu al suo fianco, lui evitò bellamente di guardarla. Con la coda dell’occhio, notò che aveva raccolto i capelli, e la sua giacca a vento era saldamente legata in vita.
La ragazza sopirò, corrucciando lievemente le sopracciglia. «Va tutto bene?» gli chiese.
Michael rimasse un attimo interdetto da quella domanda, prima di annuire. «Certo.»
Skyler lo guardò, scrutandogli il volto, e il ragazzo si sentì improvvisamente in soggezione. «Davvero?» ribatté lei, dubbiosa. «Perché sembri turbato.»
E lo era davvero. Da quando aveva aperto gli occhi, non aveva fatto altro che pensare a quel sogno strano. Aveva provato a togliersi quell’agghiacciante voce dalla mente, tentando di focalizzare l’attenzione su altro, ma senza risultato, dato che sentiva ancora una forza misteriosa premere sulle sue spalle.
O lei, o tuo fratello, gli aveva detto, e lui non riusciva ancora a capire che cosa intendesse. Aveva anche cercato di convincersi che quello fosse solo uno stupido sogno, ma, in cuor suo, sapeva che non era così, e la cosa lo terrorizzava ancora di più.
Facendo appello a tutti gli anni passati a raccontare bugie, scrollò le spalle. «Sto bene» disse, fingendosi non curante.
La ragazza inarcò un sopracciglio. Aprì la bocca per replicare, ma poi la richiuse, e Michael si accorse solo in quel momento di aver trattenuto il respiro.
Continuarono a camminare per un po’, in silenzio, finché Skyler non alzò di nuovo lo sguardo verso di lui. «Che cosa hai sognato?»
La domanda lo colse così di sorpresa che per poco a Michael non andò di traverso la sua stessa saliva. Si sentì la gola secca, e giurò che non fosse solo un effetto collaterale del caldo. «N…niente» balbettò, con scarsa convinzione. Poi si sgranchì la voce e domandò con più fermezza: «Perché?»
Skyler fece spallucce. «Beh, non lo so. Quando ti sei svegliato sembravi molto preoccupato.» Esitò un attimo, prima di aggiungere. «Hai ripetuto più volte il mio nome.»
Michael si morse la lingua. Come poteva essere stato così impudente? Va bene che non era del tutto cosciente, ma non aveva mai immaginato di parlare nel sonno. Per la prima volta da quando lei gli si era avvicinata, alzò lo sguardo e la guardò negli occhi.
Erano attenti, e luccicavano di curiosità, ma, per un terribile istante che gli contorse lo stomaco, Michael li vide mutare sotto il suo sguardo, mentre abbandonavano lentamente la vita fino a diventare incapaci di vedere.
Scacciò quella visione orribile con una manata immaginaria, e la folta nebbia che aleggiava intorno al suo volto parve scomparire, facendogli ritrovare nel proprio campo visivo solo il viso di Skyler. Sembrava in attesa, e solo in quel momento il ragazzo si accorse del suo lungo silenzio.
Abbozzò un sorriso storto, mentre una risatina nervosa si faceva largo nella sua gola. «Davvero?» disse, con le guance in fiamme.
L’espressione di Skyler non mutò, e la ragazza annuì. «Continuavi a chiamarmi, e poi a dire qualcosa come: “No, lasciala stare!”.» Lo scrutò un attimo, con un’espressione fra il curioso e il preoccupato dipinta sul volto. «Che cosa stavi sognando?»
Michael sentì una forte morsa attanagliargli lo stomaco, stringendoglielo in un pugno d’acciaio. «Ecco, io…» Esitò. Aveva davvero voglia di dirglielo? Che senso aveva, se non ne capiva neanche lui il significato? Sarebbe stata più al sicuro se l’avesse saputo, o il contrario?
Abbassò lo sguardo verso la punta delle sue scarpe, prima di grattarsi la nuca imbarazzato. «Io… non me lo ricordo» mentì.
Skyler sembrò pensarci un attimo, poco convinta, al che lui abbozzò un sorriso innocente. «Molto probabilmente non era niente di importante» disse, con una scrollata di spalle. La ragazza annuì.
Continuarono ad avanzare nella folta vegetazione, finché non si accorsero che Emma e John, davanti a loro, si erano fermati.
«Che succede?» chiese Skyler, raggiungendoli.
Emma increspò le labbra, e solo a quel punto la mora si guardò intorno. Erano arrivati ai confini del Parco Nazionale. Davanti a loro, solo un mucchio di alberi e cespugli che nessuno fino ad allora aveva mai avuto il coraggio di attraversare.
«Il Parco Nazionale finisce qui» disse Emma, con tono piatto.
«E…?» la incitò Skyler.
La bionda alzò il capo dalla Mappa, guardando d’innanzi a se con lo sguardo assottigliato. «Il Serpente Pitone si trova lì.»
Michael si morse l’interno della guancia. Chissà perché, la cosa non gli piaceva affatto. Non avrebbe dovuto cambiare molto il fatto che il mostro si trovasse o meno fra le mura di un parco nazionale, eppure, per un motivo che neanche lui riusciva a spiegarsi, l’idea di trovarsi in un posto già conosciuto da altri lo tranquillizzava, anziché pensare di doversi inoltrare in un posto che molto probabilmente non aveva mai conosciuto la civiltà umana.
John sospirò, rompendo quello strano silenzio carico di tensione che si era creato. «Beh, guardate il lato positivo» disse, stringendosi nelle spalle. «Non c’è il pericolo di distruggere un altro monumento nazionale.»
Chissà perché, Skyler capì di essere stata chiamata in causa. Fece roteare gli occhi con uno sbuffo. «Si è trattato solo di una serie di incidenti» si giustificò. «E il monte Rushmore è ancora tutto intero.»
John ridacchiò, al che Skyler gli regalò una smorfia. Poi strinse di più l’elsa della sua spada. «Muoviamoci» li incitò, squadrando attentamente la folta vegetazione davanti a se. «Voglio trovare quel serpente prima di sera.»
 
Ω Ω Ω
 
L’erba al di fuori del Parco Nazionale era molto più alta di quanto avessero immaginato.
Ormai avevano superato i suoi confini già da un po’, inoltrandosi in quello che aveva tutta l’aria di essere un fitto bosco pieno solo di alberi e sterpaglia.
La possibilità di tornare sui propri passi era vana, perché erano troppo lontani, e perché ormai si stava già scandendo la lieve brezza del pomeriggio.
I ragazzi avevano continuato a seguire Emma con le armi strette in pugno. Al momento non c’era traccia di alcun mostro o di qualche possibile minaccia, ma, per un motivo che neanche loro riuscivano a spiegarsi, quegli imponenti e folti alberi che gli impedivano la vista del sole li mettevano in soggezione, costringendoli ad avanzare con i nervi tesi.
Dopo un tempo che parve infinito, Emma sussultò.
«Di qua!» esclamò, cominciando a correre verso una meta imprecisata.
Gli altri le furono subito dietro, e, con grande stupore, si accorsero che pian piano gli alberi stavano sparendo, lasciando libero un sentiero verso uno spazio più ampio.
All’improvviso, Emma si bloccò. Skyler le fu accanto dopo neanche dieci secondi.
«Allora?» chiese, assottigliando lo sguardo.
La bionda non le rispose. L’afferrò per un braccio e la strattonò dietro un cespuglio.
«Ehi, ma che cosa…» fece per protestare Skyler, ma le parole le morirono in gola non appena alzò lo sguardo. Sgranò gli occhi. «Oh miei dei…»
Era indecisa se definire quello spettacolo spettacolare o raccapricciante. Molto probabilmente, era entrambe le cose.
Gli alberi, ormai, erano quasi del tutto spariti. Riuscivi ad intravederne solo qualcuno qua e là, mentre delimitavano il perimetro del fiume più pulito che la ragazza avesse mai visto.
Non che ne avesse visti tanti, di fiumi. La sua conoscenza si limitava semplicemente a quello del campo e a quello che scorreva vicino casa sua, a Baltimora. Ma questo era di gran lunga migliore. Limpido, di un azzurro spettacolare che veniva interrotto solo ogni tanto dal bianco della sua schiuma, aveva un letto enorme. La vegetazione sulle sue sponde era di un verde brillante, proprio come gli occhi di John alla luce della luna, o quelli di Michael quando cambiavano colore. Sembrava prendere da quella distesa d’acqua tutta la linfa vitale, per il solo fine di apparire bellissima.
Skyler emise un sospiro. Sarebbe stato uno spettacolo perfetto, se non fosse stato per quell’orribile tana.
Si, proprio tana. O almeno, questo sembrava. In realtà, appariva più come una discarica, o la stanza di un adolescente quando non viene pulita. Perché il terriccio fangoso accanto alle sponde del fiume era pieno, anzi stracolmo di… pelli. Pelli di serpenti.
«Avevi ragione» bisbigliò Michael, incapace di distogliere lo sguardo. «Il serpente fa la muta.»
«Credete che sia il suo nascondiglio?» domandò Skyler.
«E che altro?» fece spallucce Emma.
Skyler osservò attentamente l’altro lato del fiume. «Dite che dovremmo attraversare?»
«È l’unico modo» ammise John.
Michael si irrigidì. Skyler, accanto a lui, se ne accorse, e lo guardò preoccupata, mentre si mordeva il labbro. Non potevano chiedergli questo. Lui non le avrebbe mai ordinato di attraversare il fuoco. Fu per questo che la ragazza cominciò a guardarsi intorno, in cerca di un’alternativa.
«Potremmo passare sopra quei massi» propose, indicando delle rocce che si stagliavano nell’acqua. «La superfice mi sembra abbastanza levigata.
Gli altri annuirono. Forse non era la migliore delle alternative, ma per lo meno non dovevano attraversare direttamente la corrente d'acqua.
Nonostante ciò, però, Michael continuava a non essere tranquillo, e gli sudavano le mani mentre, lottando contro le vertigini, saltava da un masso all’altro.
Arrivati sull’altra sponda, il moro si impose di non crollare sulle ginocchia. Si mossero un po’ lungo la riva del fiume, finché le pelli del serpente non entrarono nel loro campo visivo. Vederle da vicino metteva ancora più in soggezione. Erano inquietanti, e trasmettevano un’aura di morte.
John fu il primo a guardarsi intorno, preoccupato. Se le sue pelli erano lì, dov’era Pitone?
Era così impegnato a giocherellare nervoso con la punta del suo arco da non accorgersi di Michael che, raccogliendo una delle tante pelli da terra, la infilava nello zaino.
«Che schifo…» borbottò Emma, con una smorfia.
Michael sopirò, prima di scuotere la testa. «Io non capisco» disse. «Se è una pelle di serpente come tutti gli altri, cos’ha di speciale?»
«Credi che non sia quella che cerchiamo?» gli chiese Skyler.
«Credo che non abbia senso. Insomma, volete farmi credere che questo Pitone non ha nulla di diverso?»
«Oh, si che ce l’ha» esclamò John, annuendo. «Pitone fa la muta solo una volta ogni quindici anni.»
Il figlio di Poseidone aggrottò le sopracciglia. «Ogni quindici anni? Ma allora… allora perché ce ne sono così tante?»
La mascella di John si contrasse. «Perché nessuno è mai riuscito a prenderne una.»
Un silenzio carico di tensione cadde fra i presenti, incapaci di aggiungere altro. Solo quando Michael si alzò da terra, scostandosi un po’ di polvere dai pantaloni, Emma schioccò la lingua. «C’è qualcosa che non va» mormorò, pensierosa. Si guardò intorno. «È stato troppo facile…»
Quasi l’avesse chiamato egli stessa, un sibilo arrivò dalle loro spalle. I ragazzi si immobilizzarono, sguainando le loro spade. Si unirono in un piccolo cerchio, mettendosi schiena contro schiena, mentre puntavano le loro armi verso il nulla.
Un altro sibilo riecheggiò fra i folti alberi, seguito da un sinistro fruscio. Skyler aveva la pelle d’oca. Era lì, se lo sentiva, ma non era sicura che sarebbe riuscita a combatterlo. Solo quando un ramo si spezzò alla destra di John, e lui incoccò una freccia tendendo la corda, un muso fece capolino fra la vegetazione.
E se prima sembrava solo la testa di un serpente un po’ troppo cresciuto, poi si rivelò per ciò che era realmente. Quello non era un serpente. Era un drago. Ed era enorme.
Lungo più di cinque metri, sgusciava sulle zampe calpestando il terreno noncurante. La sua pelle era verdognola, ricoperta di squame luccicanti, e quando mostrò le fauci, luccicarono anche quelle. Di sangue, però. Di quello incrostato ne era pieno, insieme ad erbacce e fango secco. Solo le ali, stranamente, erano limpide, di un bianco così candido, ma capaci di scaraventarti via come una fogliolina con la loro ampiezza di oltre due metri.
Il mostro li fissò con gli occhi gialli iniettati di sangue, facendo vibrare fra i denti la lingua biforcuta.
Skyler sentì montare il panico non appena il suo forte tanfo di zolfo le invase le narici.
«Ehm… ragazzi?» mormorò, tremante. «Che facciamo?»
«Non credo che ci lascerà passare» commentò Emma, sarcastica.
«E quindi?» chiese Michael.
John non aveva perso di vista neanche un attimo il muso del mostro. La corda dell’arco era ancora tesa a sfiorarli la guancia, la freccia pronta a schizzare via. Tra tutti, era forse quello che aveva più paura. Il mostro aveva riconosciuto l’odore di mezzosangue, certo, ma era come se sentisse i suoi occhietti piccoli puntati addosso. Secoli fa, era stato proprio Apollo ad uccidere quel serpente, e John era consapevole dell’odio che Pitone provava verso di lui. E forse anche verso i suoi figli.
«Tenetevi pronti» ordinò, cercando di recuperare un po’ di saliva.
«Che cosa vuoi fare?» domandò Skyler.
John assottigliò lo sguardo, come pronto ad inquadrare un bersaglio attraverso il mirino. «Ucciderlo.»
Accadde tutto nel tempo di un battito di cuore. John lasciò andare la freccia, che si conficcò dritta nell’occhio del temibile serpente.
Questi strepitò, alzandosi sulle zampe anteriori mentre fendeva l’aria con le possenti ali. I ragazzi fecero appena in tempo a balzare di lato, che il mostro schiacciò il terreno nel punto esatto i cui si trovavano, creando un piccolo avvallamento.
Iniziò a dimenare la coda. Non perché sapesse esattamente come agire, ma solo perché era consapevole che, date le sue dimensioni, avrebbe di sicuro colpito qualcuno. Infatti non sbagliò. Quando Michael conficcò la spada nel suo fianco, quello lo scacciò via con un colpo di giunta, scaraventandolo dritto nel fiume.
«Michael!» esclamò Emma, preoccupata. Il ragazzo riemerse dall’acqua, rendendosi conto che gli arrivava solo fino al fianco, ma ne aveva comunque ingerita abbastanza perché dovesse sforzarsi per respirare.
L’altra vittima di Pitone fu proprio la bionda, che, tentando di difendersi dalle sue fauci brandendo il coltellino, non si rese conto della possente ala che la frustò, facendola sbattere contro un albero. Emma perse i sensi, crollando a terra, e il mostro l’avrebbe di sicuro sbranata se non fosse stato distratto da una serie di frecce che gli si conficcavano nel fianco.
«Da questa parte, serpentello!» esclamò John, pentendosene subito dopo. Pitone, infatti, annusò un attimo l’aria, prima di curvare le labbra in quello che aveva tutta l’aria di essere un ghigno soddisfatto.
Si avvicinò al figlio di Apollo con passo lento e regolare, inclinando la testa come se stesse pregustando il suo prossimo spuntino. A John tremavano le mani dalla paura, ma incoccò comunque una freccia. E riuscì addirittura a conficcargliela sul muso, prima che questi lo scaraventasse di lato con una zampata.
John non fece neanche in tempo ad accasciarsi sul terreno, che il mostro lo riacciuffò. Avvolse stretta la coda attorno ai suoi fianchi, mentre John stringeva i denti lottando contro il dolore.
«John!» esclamò Skyler, quando le fauci del mostro si chiusero a pochi centimetri da suo naso.
Agì d’istinto. Corse verso quell’orribile mostro e gli salì in groppa, conficcandogli tre quarti della spada nella schiena.
Il mostro urlò di dolore, lasciando cadere John al suolo e disarcionandola.
L’impatto con il terreno fangoso fu così brutale che Skyler venne disarmata, e le si smorzò il fiato in gola.
Il serpente Pitone marciò minaccioso verso di lei, e la ragazza riuscì ad alzarsi appena in tempo prima che la schiacciasse con una zampa.
Skyler indietreggiò, tenendo lo sguardo fisso sul mostro. Non riusciva a vedere più la sua spada, e lui sembrava averlo capito, perché si muoveva con una calma degna da manuale.
Con la coda dell’occhio, Skyler vide Emma riprendere lentamente i sensi, e John stramazzare al suolo. Michael non c’era, e fu quando arrivò la consapevolezza di essere completamente sola che sentì montare il panico.
Una morsa dolorosa le invase la bocca dello stomaco. Sentì le guance infiammarsi, e la paura penetrarle nel petto come la lama affilata di un coltello appena levigato. Strinse i pugni.
Fu solo a quel punto che urlò. Sgranò gli occhi, terrorizzata.
Perché Pitone stava andando a fuoco.
Il serpente si contorse in una danza macabra, mentre rosse fiamme alte più di tre metri gli avvolgevano il corpo.
Skyler restò immobile, bloccata dal panico. Ormai il mostro non le faceva più così tanta paura. Ormai a spaventarla c’erano solo fiamme. Alte, rosse, gialle, cattive. Proprio come quelle che le avevano lentamente portato via sua madre.
Il mostro si alzò sulle zampe posteriori, lanciando un grido verso il cielo.
In quel momento, una freccia gli si conficcò nel petto. Ma non era una freccia come tutte le altre. Era una freccia dorata, fatta di luce.
Lentamente, perse la sua forma, mentre un lume di fondeva con il suo petto squamoso. In poco tempo, scomparve, e Pitone fece giusto in tempo a trasformarsi in polvere, che esplose.
Una tetra pioggia di cenere si riversò sui verdi alberi, cadendo al suolo spostata dal vento.
Skyler non si mosse neanche di un millimetro, mentre lottava con un conato di vomito. Poi, una grande onda del fiume le si riversò addosso.
La ragazza tossì un paio di volte, confusa e scioccata, sentendo i vestiti incollarsi lentamente al suo corpo. Si voltò di scatto verso il fiume, e solo a quel punto si rese conto di Michael che, gattoni a terra e bagnato fradicio, la guardava, ansimante.
Incrociò il suo sguardo, e lui sembrava troppo stanco per dipingersi sul volto un’espressione spaventata.
«Stavi andando a fuoco» borbottò semplicemente, al che il sangue di Skyler si gelò.
Non adesso, non ancora. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono. Era così pietrificata da non sentire neanche John, che, corso al suo fianco, le posava gentilmente la propria felpa sulle spalle.
Aveva la pelle d’oca per via del contatto con l’acqua ghiacciata, e tremava come una foglia. Anche se non riusciva a capire bene per quale dei due motivi.
Quando si rese conto che la ragazza non smetteva di essere scossa dai brividi, John l’abbracciò, stringendosela al petto.
«È finita» le sussurrò all’orecchio, per far si che solo lei potesse sentirlo. «È finita.»
Skyler si impose di annuire, anche se stentava a crederci.
Aveva visto quelle fiamme divampare con i suoi stessi occhi. Avevano circondato anche lei. E, seppur consapevole di esserne uscita illesa, non riusciva ad ignorare quel macigno che le premeva come una pietra sullo stomaco. Conosceva già quella sensazione.
Ed era pura paura.
 
Ω Ω Ω
 
Quando ormai era calata la sera, i ragazzi si erano già accampati.
Si erano inoltrati ancora di più nella fitta boscaglia, e, lasciatisi ormai il covo di Pitone alle spalle, pensarono bene di accendere un piccolo fuoco per riscaldarsi e per poter sgranocchiare qualcosa.
A questo, ovviamente, ci pensò John. Al momento sembrava quello più in forma, per quanto in forma potesse essere uno che era stato quasi ucciso da una specie di drago. Però i suoi amici avevano un aspetto peggiore. Skyler era ancora scossa da dei tremitii, ogni tanto. Emma, seppur si ostinasse a dire che non era così, non poteva sottoporsi ad un eccessivo sforzo fisico. E Michael… beh, Michael era qualche ora che se ne stava in disparte, in silenzio, con un’espressione cupa e una cosa strana stretta fra le mani.
Avevano appena finito di mangiare l’ultimo pezzo di carne essiccata che erano riusciti a riesumare dallo spoglio zaino, che Emma si addormentò. Michael si sedette su un tronco a pochi metri da loro, e così, intorno al fuoco, rimasero solo Skyler e John.
«Credo che ci toccherà andare a caccia, domani» disse quest'ultimo, tanto per dire qualcosa. «Le nostre provviste sono limitate, e non sappiamo per quanto ancora resteremo in questa giungla.»
Skyler annuì distrattamente, lo sguardo fisso in un punto imprecisato. Non lo stava ascoltando, e il biondo se ne accorse, perché le scrollò leggermente la spalla.
«Ehi, cos’hai?»
Skyler accennò una scrollata di testa, pronta a ribattere che non c’era niente che non andasse, ma le parole le morirono in gola. Aprì la bocca, per dire qualcosa, poi la richiuse. La cosa si ripeté altre tre volte prima che si decidesse a parlare.
«Posso farti una domanda?» chiese, a bruciapelo.
Lui rimase un attimo interdetto, ma annuì.
«Quando…» Esitò. «Quando un Oracolo da una profezia, e ti dice ciò che accadrà, segue una logica precisa? Insomma, secondo te succede tutto con ordine, oppure le cose avvengono a caso?»
John ci pensò un attimo su, prima di chiedere: «Ti riferisci a una profezia in particolare?»
Skyler scrollò le spalle, fingendosi noncurante, ma abbassò lo sguardo. «Hai visto cos’è successo» disse, con tono cupo. «Se non bruci il mostro nessuna vita potrà essere salvata. Credi… credi che si riferisse a quello? Credi… credi che si riferisse a me che do fuoco a Pitone?»
Il ragazzo titubò, indeciso su cosa risponderle. Dopo un po’, aggrottò la fronte, facendo spallucce. «No, non credo. Quando l’Oracolo da una profezia, c’è sempre un ordine da seguire. In teoria, quella dovrebbe essere l’ultima cosa.»
«Si, ma credi si riferisse a me?»
John si voltò a guardarla, e quella fu la prima volta in cui lei alzò lo sguardo. Sembrava spaventata, e anche terribilmente in ansia. Schiuse la bocca per farvi uscire un secco “no”, ma lei lo precedette.
«Perché io non credo di farcela» disse, e il tremitio della sua voce tradiva le prossime lacrime. «Io…» Si bloccò un attimo, abbassando gli occhi a fissare la terra sotto i suoi piedi. «Io… non ce la faccio. E se tocca davvero a me bruciare qualcosa? E se poi non ci riesco? Io… non riesco vedere il fuoco in mano ad altri, come posso pretendere di generarlo? E se fossi la vostra rovina?»
«Ehi, tu questo non lo devi nemmeno pensare» la rimproverò lui. Si guardarono negli occhi, e Skyler vide benissimo la sua determinazione. «Tu non sarai la rovina di nessuno, chiaro? E non dovrai bruciare nessun mostro. Non permetterò che questo accada. Ti proteggerò, va bene? Anche se volesse dire incendiare quel coso con un accendino.»
Gli occhi di Skyler erano velati di lacrime, ma nonostante ciò, sorrise. «Avresti bisogno di un accendino molto grande.»
Lui abbozzò un sorriso malandrino. «Potrei procurarmelo.»
La ragazza rise sommessamente, abbassando lo sguardo triste. John sospirò. «Ehi, guardami» le sussurrò. Le prese il mento con una mano e la costrinse ad alzare gli occhi. «Guardami.» I loro sguardi si incrociarono, e, per un breve istante, John dimenticò tutto ciò che aveva in mente di dirle. Le sorrise dolcemente, inclinando leggermente la testa di lato.
«Ti amo» le disse, senza pensarci.
Skyler parve colpita, ma anche improvvisamente rincuorata da quelle parole. Sorrise a sua volta. «Ti amo anch’io.»
I loro volti di avvicinarono lentamente, e i due ragazzi si baciarono. Era un bacio dolce, delicato, ma carico della speranza e della presenza che John voleva trasmetterle. Perché lui c’era, e ci sarebbe sempre stato. E di questo lei ne era sicura.
Quando si staccarono, il figlio di Apollo le baciò la fronte, prima di stringersela al petto. Poi, lasciandole un bacio fra i capelli, le sussurrò: «Prova a dormire un po’, ti farà bene. Farò io il primo turno di guardia.»
Skyler annuì contro la sua maglietta.
Si, forse dormire le avrebbe fatto bene. E forse l’avrebbe distolta da tutti quei pensieri.
 
Ω Ω Ω
 
«Ricorda chi è il vero nemico, mi hija.» La voce dello zio continuava a rimbombarle contro le pareti della scatola cranica. Sembrava un ordine, o un avvertimento. «Ricorda chi è il vero nemico…»
 
Skyler si svegliò di soprassalto. Era madida di sudore, e ansimava.
Si guardò intorno, spaventata. Sembrava tutto normale. Era tornata nella foresta del Missouri. A pochi metri da lei, Emma e John dormivano sotto un pino. Skyler fece dei grandi respiri, tentando di regolarizzare il respiro.
Si girò su un fianco, posando la guancia sul fresco terriccio su cui si era addormentata. Poi, grazie alla tremula luce del fuoco, vide qualcosa.
Qualche metro più là, Michael stava facendo il turno di guardia. Era seduto in silenzio e in disparte, ed aveva un’espressione cupa dipinta sul volto.
Dopo un po’, Skyler decise che non avrebbe più ripreso sonno. O meglio, che non voleva farlo. Strinse le spalle nella felpa di John che aveva ancora addosso e si alzò.
Accompagnata dal fruscio di foglie spezzate sotto le sue scarpe, si avvicinò al ragazzo.
«Posso?» gli chiese, indicando il posto accanto a lui.
Il figlio di Poseidone alzò lo sguardo quel tanto che bastava per capire chi fosse, poi annuì.
Lei si sedette, in silenzio. Rimasero in quella quiete interrotta solo ogni tanto dal dolce suono di qualche grillo, entrambi gli occhi fissi sul fuoco davanti a loro.
Poi, Michael sospirò. «Come stai?» le chiese, senza spostare lo sguardo.
Lei fece spallucce. Poi, rendendosi conto di quanto la sua risposta fosse concisa, inclinò la testa di lato. «Bene» mentì. E aggiunse: «Sicuramente meglio di prima.»
Michael annuì, sovrappensiero. Fu a quel punto che lei si voltò a guardarlo. «E tu, invece? Come stai?»
Il ragazzo abbozzò un sorriso divertito. «Cosa ti fa pensare che io abbia bisogno di farmelo chiedere?»
Skyler lo scrutò un attimo, poi si strinse nelle spalle. «La tua espressione. Sei silenzioso, e triste. Ho pensato ci fosse qualcosa che non andava.»
Michael emise una risata, più simile ad uno sbuffo. Skyler avrebbe giurato che fosse divertito, se non fosse stato per l’espressione mesta del suo volto. Il ragazzo spostò lo sguardo su un albero accanto a lui, mentre lei continuava a fissarlo, in attesa.
Dopo un po’, sospirò. «Oggi è il compleanno di Rose» mormorò, con tono piatto.
Skyler ebbe una stretta al cuore, quando lui si voltò a guardarla. «Oggi compie dodici anni.»
La ragazza aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. «Oh. Io…» balbettò. Poi prese un bel respiro. «Non lo sapevo.»
Michael fece un sorriso amaro, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Solo seguendo la direzione dei suoi occhi, che in quel momento erano blu, Skyler notò cos’aveva in mano.
Sembrava una collanina. Un ciondolo, perlopiù. Legato ad un filo azzurro, c’era una piccola moneta intagliata nel legno. Su una faccia c’era un tridente, sull’altra tre iniziali intrecciate. Una R, una M e una P.
L’angolo della bocca di Skyler si curvò all’insù. «L’hai fatto tu, quello?» chiese.
Lui annuì leggermente. «Volevo regalarglielo. Sai, l’ho fatto prima… prima che accadesse tutto questo.» Sospirò di nuovo, più per trattenere le lacrime che per vero bisogno. «Sai cos’è che mi fa davvero arrabbiare?» sbottò. «Non poter essere con lei in questo momento. Me la immagino lì, sola, accanto al letto di Percy, mentre stringe la sua mano e prega tutti gli dei affinché si salvi. Ma io so che non sta pregando solo per lui. No, lei è… lei è preoccupata anche per me. Lo sento qui, capisci? Al centro del petto. Questa sensazione opprimente che mi incolpa per averla lasciata sola. Perché è questo che ho fatto, Skyler. L’ho lasciata sola. Per partire per una missione impossibile e tra l’altro suicida.» Strinse di più la collanina nel pungo. «Per giocare a fare l’eroe che non sarò mai.»
Skyler lo guardò, e sentì crescere un moto di rabbia. Che però svanì, non appena vide quell’espressione. «Tu sei già il suo eroe» gli disse, con dolcezza. Poi allungò una mano e strinse la sua. Il ragazzo si voltò a guardarla, un po’ sorpreso. «Senti, lei sa che tutto questo lo stai facendo per Percy. Per loro. Per voi. E non potrebbe mai avercela con te, se è questo che stai pensando.»
«Ma io l’ho abbandonata» ribadì lui. «L’ho lasciata lì tutta sola.»
«Ma Rose non è sola. C’è Grover, e Chirone, e Connor, e Annabeth, e Travis, e Leo. Sono tutti lì, a consolarla, a darle conforto.» Gli strinse un po’ di più la mano. «Lei non sarà mai sola» ripeté.
Michael fu scosso da un brivido di sollievo, sentendo le dita della ragazza intrecciarsi alle sue. Rose non era sola, e non lo era neanche lui. E forse, un giorno, sarebbe riuscito a vedere quel ciondolo di legno appeso al suo collo. In quel momento, era tutto ciò che desiderava.
Avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di poter rivedere il suo viso. Pur di sapere che stava bene, che era in forma. Sarebbe stato disposto a tornare indietro, se le circostanze non gli avessero imposto di restare.
Rimasero per un po’ in silenzio, ad osservare le tremule fiamme del falò davanti a loro. Silenzio che fu Skyler a rompere, con una domanda inaspettata.
«Perché non la chiami?»
Michael sussultò, guardandola confuso. «Come?»
«Si. Insomma, Emma una volta me ne ha parlato. Di una specie di… Messaggio Iride, giusto?»
Lui aggrottò la fronte. «Beh, si. Ma… ma questo che c’entra?»
Skyler si strinse nelle spalle. «Beh, potresti farne uno anche tu. Giusto per fare gli auguri a Rose.»
Michael esitò. Si, ammise di averci pensato anche lui. Ma era troppo rischioso. Se durante il messaggio Iride ci fosse stato anche Chirone, avrebbe subito mandato una squadra di recupero per riportarli al campo. Si sarebbe arrabbiato, e tanto. E poi Michael non era sicuro che fosse la cosa giusta da fare.
«Io… non posso» balbettò.
Skyler inarcò le sopracciglia. «E cosa te lo impedisce?»
Michael provò a replicare, ma non ci riuscì. A quel punto, Skyler si tastò le tasche, tirandone fuori una dracma d’oro. Gliela passò. Poi si alzò da terra, prese la borraccia piena d’acqua e ne versò un po’ del contenuto accanto al braciere infuocato.
Questa sfiorò solo due rami roventi, emettendo un sibilo. Poi, una fitta nebbiolina candida si levò dal fuoco.
«Ti conviene sbrigarti» lo avvertì, mentre Michael la guardava a bocca aperta. «Non credo durerà in eterno.»
Detto questo, se ne andò, lasciandolo di nuovo solo.
Il ragazzo esitò. In cuor suo, sapeva che non era la cosa giusta da fare. Eppure la dracma sembrava scottare fra le sue dita, e, quando si accorse che quella nebbiolina stava lentamente svanendo, agì d’istinto. Si alzò da terra e gettò la moneta in quella sottospecie di arcobaleno. Questa scomparve in uno scintillio dorato.
«Campo Mezzosangue» disse, poi esitò per un secondo. «Rosemary Jackson.»
Per un attimo, non successe nulla. Poi, attraverso la nebbia, comparve un’immagine. All’inizio era sfocata, ma poi Michael riuscì benissimo a distinguere una stanza d’ospedale. In ginocchio accanto al letto, la sorellina teneva per mano il fratello malato.
Il suo cuore perse un battito.
«Rose» chiamò, ma la vece gli si smorzò in gola, e tutto ciò che ne uscì fu un lieve sussurro.
Abbastanza forte, però, perché rimbombasse nel silenzio che c’era in quella stanza. La ragazzina si guardò intorno, confusa, finché non incrociò il suo sguardo.
Quasi immediatamente, i suoi grandi occhi blu si riempirono di lacrime. «Michael» mormorò incredula, portandosi una mano a coprire la bocca. Si alzò da terra e corse verso la figura del fratello, ma, non appena la raggiunse, questa tremolò. Fece un passo indietro, incapace di distogliere lo sguardo. «Michael» ripeté.
Il ragazzo si sforzò di regalarle un sorriso, mentre ingoiava un nodo di malinconia. «Ciao» sussurrò.
A quel punto, la piccola Rose non trattenne più le lacrime. Le bagnarono calde le guance, mentre dei piccoli singhiozzi le sfuggivano ribelli dalle labbra.
«Mi manchi tanto» gli disse, e questo non fece che rendere più ardua la lotta di Michael contro il pianto.
«Anche tu» ammise. Poi sospirò. «Rose, mi dispiace. Di averti lasciata sola, di essermene andato. Io… l’ho fatto solo perché pensavo che sarei riuscito a…»
«Credevo fossi morto» lo interruppe lei. Sembrava quasi un’accusa.
Il cuore di Michael vacillò. «Rose…»
«Che cos’altro avrei dovuto pensare? Non c’erano più tue notizie da giorni, nessuno sapeva dov’eri. Grover ci ha detto che cos’avevi fatto solo ieri ed io ho temuto il peggio. Riesci ad immaginare come mi sia sentita sapendoti là fuori? Con tutti quei mostri. Da solo…»
«Non sono solo» la rassicurò lui, anche se sembrava più lo stesse ricordando a se stesso. «C’è Skyler con me. E John. Ed Emma. Noi ce la faremo, Rose. Ce la faremo.»
«Magari può venire qualcuno ad aiutarvi. Se Chirone organizzasse una squadra loro potrebbero…»
«No» la interruppe subito. «Non se ne parla, è troppo rischioso.»
«Ma sarebbe un aiuto in più…»
«Rose, non devi dire a nessuno di questo messaggio Iride, capito?» la ammonì. «A nessuno.» La guardò negli occhi, e lei sembrò interdetta.
«Ma… perché?» obiettò.
«Rose, non devi farlo» ripeté. «Promettimelo.» La ragazza fissò gli occhi nei suoi, ma non rispose. «Promettimelo» le chiese di nuovo.
Dopo alcuni secondi, la piccola annuì. Distolse velocemente lo sguardo e si pulì con il dorso della mano le guance bagnate. «State tutti bene?» domandò.
Michael annuì. «Si, certo.» Il suo tono voleva essere rassicurante, ma in verità non ci credeva nemmeno lui. Abbassò un attimo gli occhi, osservando ciò che ancora stringeva in mano. Sorrise, triste. «Sai, per il tuo compleanno avevo preparato questa» le disse, mostrandogliela. «Non è niente di che, però ti giuro che l’ho fatta col cuore.»
Rose la guardò, estasiata, prima che le sue labbra si allargassero in un sorriso. «Michael, ma è… è bellissima» esclamò. Poi alzò lo sguardo su di lui. «Grazie.»
Lui abbassò lo sguardo, stringendosi nelle spalle.
«Vorrei che fossi qui» sussurrò Rose, dopo un po’.
Lui la osservò, la vista leggermente appannata. Annuì. «Lo vorrei anch’io.»
«Promettimi che tornerai» implorò la ragazza, la quale ormai aveva ricominciato a piangere. Tirò su col naso. «Ti prego.»
La sua sembrava più una supplica che altro, e Michael stavolta fu davvero sicuro che il suo cuore si fosse spazzato in mille, minuscoli pezzettini. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono. In realtà, erano molte le cose che voleva dirle. Voleva dirle di non preoccuparsi, e che lui stava bene. Voleva dirle che avrebbe lottato anche con i denti, se questo avesse significato tornare a casa. Voleva prenderle il viso fra le mani come faceva sempre quando piangeva e sussurrarle che sarebbe andato tutto per il meglio. Che lui era lì, e che non l’abbandonava. Che qualunque cosa fosse successa, sarebbe sempre stato il suo angolo custode. E che le voleva un mondo di bene.
Voleva dirglielo, e l’avrebbe fatto, se la sua immagine non avesse cominciato a tremolare. Sentì montare il panico.
«No, non andartene!» esclamò Rose, nel tentativo di correre verso la sua figura. Il ragazzo la guardò, gli occhi sgranati, e quando i loro sguardi si incrociarono, il tempo sembrò fermarsi.
«Ti voglio bene, Rose» le disse lui, protendendo una mano a sfiorare la nebbiolina.
La ragazzina posò la sua, per così dire, su quella del fratello, e a Michael sembrò davvero di sentire il suo calore contro il palmo.
«Promettimi che tornerai» lo scongiurò lei, fra un singhiozzo e l’altro. Notando il suo silenzio, ripeté. «Promettimelo. Ti prego.»
Con un tuffo al cuore, Michael annuì. «Te lo prometto» sussurrò. La sua immagine, ormai, era del tutto sfocata, quasi indistinguibile. Il ragazzo sentì un nodo attanagliarli la gola, mentre le sorrideva, rassicurante. «Buon compleanno, Rose.»
Poi, la figura minuta della sorellina scomparve, lasciando posto solo all’oscurità.
Il silenzio che lo avvolse dopo fu addirittura più doloroso.
Michael si sedette a terra, gli occhi che bruciavano. Posò i gomiti sulle ginocchia e si sfregò la faccia, come se bastasse per far andare via anche i pensieri. Si passò le mani fra i capelli, con un sospiro tremante, prima di guardare il punto in quei solo un attimo prima si trovava la sorella.
Aveva voglia di piangere, e di urlare con tutto il fiato che aveva in gola. Voleva rompere qualcosa.
Ma non lo fece. Restò lì, in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, a meditare su ciò che le aveva detto.
Le ho promesso che sarei tornato, rammentò.
E tornerò.
Si, lui sarebbe tornato. L’avrebbe fatto per il Campo. L'avrebbe fatto per Percy. L’avrebbe fatto per i suoi amici.
L’avrebbe fatto per Rose.

Angolo Scrittrice.
Muahahahahah!
Andiamo, credevate davvero di esservi liberati di me? Eh, no, guys, I'm here. Si, so che è un po' tardi, ma ho dovuto studiare tutto il pomeriggio per un compito in classe, quindi non ho avuto tempo. :S
Ma eccomi qui, con il mio *controlla il numero* 22 tentativo di scrivere qualcosa di decente. Che purtroppo, non è riuscito. Non fraintendetemi, ci ho messo tutta me stessa per scriverlo, soprattutto la scena fra Michael e Rose, ma, invece di uscire una cosa carina è uscita... questa cacchina qui.
Spero comunque che vi piaccia, però.
Anyway, sono molto stanca, per cui passerò subito ai ringraziamenti. Ora voglio una stendig ovation per tutte le mie Valery's Angels:
Fred Halliwell, _percypotter_, Zaynsbestfriend, Ciacinski, Riario1, chakira, sofy_1394, Kalyma P Jackson, Fyamma e Greg Heffley.
Grazie, grazie, grazie!
Bien bien, ora credo sia meglio andare.
Un bacione a tutti quanti, davvero.
Sempre vostra,
ValeryJackson

 
  
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