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Autore: _less_    28/01/2014    2 recensioni
Una storia scritta da una studentessa del primo liceo, niente di particolare, solo il mio pensiero su questo giorno.
Non Dimenticatevi della Giornata della Memoria.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Freddo. Mi invade durante la notte come fosse acqua ghiacciata su cui sono immerso, come un bagno freddo. Ma in realtà è aria gelida che entra dalla finestra, si insidia dentro la mia pelle, mi scompiglia i capelli, mi fa venire i brividi, mi fa perdere la sensibilità delle mani, che tremano come se avessero una vita a parte dalla mia. Cerco di scaldarle fiatandoci sopra, ma persino il mio respiro è freddo. Forse perché, al mio 472esimo giorno sul ghetto sono diventato freddo anche dentro. Ho contato tutti i giorni da quando sono entrato qui e ogni giorno è stato sempre più triste, difficile, insuperabile, irraggiungibile. E quando ci risvegliavamo il giorno seguente, non sapevamo se essere felici di essere ancora vivi, o disperati di dover passare un altro giorno esattamente come il precedente. Perché qui si muore. Si muore in tutti i sensi. Si muore dentro e fuori. Ho contato tutti i giorni, ogni giorno come se fosse l’ultimo, perché non decidi tu quando morire. Non decidi tu quando sopravvivere. Lo decidono loro. Le guardie, i soldati, qualunque cosa essi siano. Sono pedine di guerra, forse quasi non sanno quanto devastante può essere una guerra. Sono manichini che sparano su comando, che ridono del sangue che sgorga da una persona uccisa, da una persona esattamente come loro. Sono marionette, comandate da qualche mente astuta, una mente che ha un piano ben programmato. E questa mente, ha deciso che a poco a poco noi dobbiamo morire. Quasi fosse madre natura o il Signore Dio, si permettere di decidere quando un’intera esistenza deve cessare. Un colpo solo, ed anni ed anni di sacrifici, emozioni, esperienze vengono spazzate. E mentre muori, non senti dolore, perché se passi da qui, se passi dal ghetto, perdi la sensibillità e la percezione della vita. Perdi ogni singola cosa, ogni diritto umano che una persona possiede fin da quando respira l’aria di questo mondo. Loro decidono quando dobbiamo morire, quando dobbiamo vivere, quando dobbiamo mangiare, quando dobbiamo lavarci.
A dire il vero, qui nel ghetto non mangiamo mai. E se lo facciamo, il pane duro che addendiamo ci spezza i denti. Ne ho due rotti, un canino inferiore e metà incisivo superiore, ma non ho neanche sentito il dolore, perché quando convivi così tanto tempo con qualcosa alla fine ti abitui.

Una donna vede che sto tremando. Mi porge una mano e la stringo. Lei è raggomitolata vicino a me, a terra nel pavimento freddo. Stringo forte la sua mano come per consolazione. E tra tutto quel freddo, riesco a scorgere un po’ di caloria.

473esimo giorno nel ghetto. Il sole illumina la stanza, ci mostra le sue pareti grigio sporco. La donna che la notte prima mi aveva tenuto la mano era stata chiamata per fare le docce la mattina presto, e non era ancora tornata. La aspettavo impazientemente, era davvero simpatica e prima di addormentarci mi raccontava delle fiabe. Lei era l’unica cosa che più si avvicinava alla famiglia. Era l’unica persona che mi sorrideva stanca, quasi fosse mia mamma. Mia mamma che è morta, morta perché delle marionette hanno deciso che la sua vita piena di sapienza e gentilezza doveva finire. È quasi sera, e la mia amica non è tornata. Sono di nuovo solo qui al ghetto. Canticchio una canzoncina pianissimo, anche se non dovrei perché in ogni ghetto tra di noi c’è una spia. Se le marionette sanno che sto cercando di evadere dai loro schemi, allora farò la fine di mamma. Ma loro possono comandare le azioni, ma non i pensieri che un prigioniero compie. E allora io, mentre mi addormento, penso di canticchiare una canzoncina, perché tanto mai nessuno saprà che la canto.

474esimo giorno nel ghetto. La mia amica non è tornata. Comincio a capire cosa significa questa storia. Le marionette arrivano e mi prendono per il colletto, spingendomi via dal ghetto per portarmi in un'altra stanza molto ampia piena di tubature. Mi fanno spogliare, c’è molto freddo qui. Incontro molte persone che non vedevo da anni, e sorrido ad un ragazzino che è della mia stessa età. Mi metto vicino a lui, non so cosa succede ma almeno ho un po’ di compagnia, è da giorni che sono solo. Vedo una marionetta sorridere da dietro la porta, e poi se ne va via. La doccia parte, ed io chiudo gli occhi, e mentre l’acqua gelida e uno strano e fastidioso gas esce fuori, sento che questo ragazzino mi stringe la mano, forse ha paura. Ricambio la stretta, e comincio a canticchiare la canzoncina che quella signora mi aveva insegnato.


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27 gennaio 1945, i Russi sfondano le porte dei campi di concentramento in Polonia, e scoprono la brutalità dei campi di concentramento ideati da Hitler e alcuni generali nazisti. In Memoriam di tutte quelle persone morte, di tutti gli ebrei, zingari, omosessuali, anziani, disabili e a chi si ribellava a questa dittatura nazi-fascista dedico questa storia. In Memoriam di tutte quelle persone che, come noi, hanno vissuto una vita serena fino a quel momento, chiedo pietà, perché questo mondo non ricorda cosa significa essere privati della vita e della libertà.
Chiedo, come Primo Levi, che nessuno dimentichi cosa hanno passato queste persone come noi. Hitler vive ancora in chi, manifesta razzismo e diprezzo verso un suo pari.

 
PER NON DIMENTICARE.
   
 
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