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Autore: Kiji    29/01/2014    1 recensioni
Avevo solo 13 anni la prima volta che lo vidi. Lo ricordo ancora, come se fosse impresso a fuoco nella mia mente. Era il suo concerto più grande, una stella fotografata su quel palco immerso da tante luci colorate. Ero ancora un ragazzino eppure, sentivo qualcosa nascere in me, debole ma selvaggio. Mentre cantava, in quel lago di scintille, mi sentii inutile a confronto con quell'idolo mascherato da stella. Volevo arrivare a lui, toccarlo e farlo mio, come nessun altro prima.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Mir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avere a che fare con quel passato scomodo, mi soffocava. Ero un cantante, un idolo agli occhi delle mie ammiratrici che vedevano solo il meglio di me, eppure, mi sentivo sfinito. Fingere quei sorrisi forzati, l'esitazione nei miei occhi quando lo incontravo, avevo paura. Non ero bravo a recitare, non come lui che era un professionista. Joon mi stava sempre vicino, attento a non farmi cadere ancora, ma in ogni caso, era così difficile. A metà registrazione del video successe qualcosa che non mi sarei aspettato, una nuova rottura avvenne nel mio corpo.
Sentii le ossa cedere e il cuore scoppiare, ma non c'era nessuno che poteva aiutarmi. Ero arrivato in anticipo, volevo esercitarmi da solo, trovare il mio ritmo, i miei tempi. Essere sotto pressione non mi faceva splendere su quel palco, ormai lo sapevo bene. Fu non appena arrivai alla sala prove che lo vidi. Quella donna che lo abbracciava e il suo viso sorridente, mi spezzarono ancora, rendendomi immobile in quel momento cruciale. Le loro labbra si unirono, troppo vicine per riuscire a sopportare, caddi in un abisso da cui sapevo non c’era fuga. Non mi aspettavo nulla da quella persona scostante, eppure una parte di me era ancora nascosta in un angolo, in quella stanza buia a pregare per il suo ritorno.
Non mi accorsi nemmeno di quelle lacrime che scesero a fiumi sul mio viso stanco di primo mattino. Era qualcosa di così naturale ed insita in me, che non si fece attendere. Non potevo restare, non riuscivo ad affrontarlo, così, in un solo istante, mi voltai e corsi più che potevo. Non ero certo se quella persona lontana, avesse visto o meno la mia disperazione e sinceramente, non mi importava più.
Per quale motivo ero il solo a dover soffrire? Ero arrabbiato, con il me stesso che non riusciva a liberarsi del suo ricordo, non del tutto, con lui che era tornato senza preavviso per poi pugnalarmi ancora ed infine con tutto il mondo. Anche chi non aveva colpa, ai miei occhi era un nemico da evitare. Presi il primo taxi che trovai, non avevo una destinazione, ma neanche un posto in cui tornare. Volevo sparire per sempre, in modo che qualcuno, anche se per un breve istante, avrebbe sofferto della mia mancanza.
- Dove è diretto signore? - Quella voce gentile mi tranquillizzò, seppur sapevo che la sua era una falsa cortesia. Esitai un momento, cercando l'unico posto che mi avrebbe accolto, ma non trovai nulla.
- Per favore, mi porti all'aeroporto. - Con un cenno del capo, partì senza perdere tempo. Sapevo bene che senza i documenti, il mio viaggio non sarebbe stato possibile, ma quella decisione andava presa. Se fossi tornato al dormitorio, forse qualcuno mi avrebbe convinto a restare o anche, il ricordo dei miei compagni che si erano allenati duramente al mio fianco, mi avrebbe fatto temporeggiare. Arrivato in quella grande scatola di vetro, sentii il cuore in gola. Pagai il conto salato e scesi compostamente, cercando di nascondere al mondo la mia inquietudine. La prima cosa che feci, con le mani tremanti, fu cercare quell'unica persona che mi avrebbe capito e supportato, il mio più grande amico. Avevo la gola impastata e secca, ma trovare le parole adatte era necessario.
- \\ Pronto? \\- Ebbi paura, lui mi avrebbe capito, ne ero sicuro, ma qualcosa mi bloccava.
- Joon, sono Mir! Ti prego se c'è gente fai finta che sia tua madre, non voglio che sappiano dove sono. - Sentii il vuoto dall'altra parte dell'interruttore e per un attimo il dubbio si insinuò in me.
- \\Mamma, come ti senti? Ero preoccupato per te!\\ - La sua voce squillante, mascherava la sua ansia, era facile capire i suoi pensieri.
- Sto bene, solo che... non voglio incontrare nessuno Joon! Sono all'aeroporto, volevo solo che mi facessi un piacere. Ho bisogno dei miei documenti, non fare domande ti prego! - Con quei pesanti occhiali da sole, le labbra viola per il freddo invernale e i vestiti leggeri, sembravo così ridicolo. Dove credevo di andare?
- \\Va bene Mamma, ti manderò tutto fra un'ora. Stammi bene e non prendere freddo. \\- Sorrisi per la prima volta di cuore dopo quella dura mattinata. Non sarebbe cambiato mai, la sua vivacità e la sua gioia di vivere, si ripercuotevano ad onda su di me. Anche con quel cuore infranto, riuscivo a trovare una ragione per andare avanti solo restando accanto a lui. E' così potente la magia dell'amicizia, vero?
Non volevo che nessuno mi vedesse, sebbene a quell'ora, stranamente, la zona era quasi deserta. Trovai un posticino tranquillo, l'attesa era qualcosa che odiavo, ma era sempre meglio che rivederlo ancora ed ancora. Non dovetti aspettare molto, Joon presto si presentò con due pesanti valigie e quel sorriso che lo contraddistingueva.
- Forza si parte! - Non mi chiese nulla, ma neanche io avevo voglia di parlare.
- Non tu Joon! Devo andare da solo. - Vidi lo sconforto nei suoi occhi, non aveva previsto quel finale. In fin dei conti, chi poteva farlo?
- Voglio venire con te! Ho preso tutto, vestiti, scarpe, soldi, sono pronto! - Quello sguardo da cane bastonato, lo odiavo eppure era parte del suo essere.
- Mi dispiace! Questa volta voglio stare solo! Stai tranquillo, ti chiamerò tutti i giorni, non sono più quel ragazzino ricordalo. Starò bene, voglio solo pensare. Tu devi stare qui e cercare di prendere tempo. Non voglio che venga coinvolto, mi sentirei troppo male quindi per favore, resta qui. - Sebbene non comprendesse del tutto le mie ragioni, decise di accettare. Mentre salivo sul volo che mi avrebbe portato in Giappone, mi sentii più leggero. E' vero! Io non ero più quella persona debole che si aggrappava in tutti i modi alla persona amata. Quel bambino spaventato dal mondo, è morto per sempre 5 anni fà.
Su quella poltrona comoda, ripensai al mio primo viaggio all'estero, a quell'eccitazione che mi prendeva le ossa. Joon mi teneva la mano, sempre così comprensivo e gentile. Se non fosse stato al mio fianco, che persona sarei diventata? Sicuramente, se lui non mi avesse riportato alla luce, adesso sarei ancora su quel letto d'ospedale, a piangere oppure, ancora peggio, non potrei vedere più quel riflesso del mio viso pallido e denutrito. Non riuscii a dormire, ma non volevo neanche pensare. Con la musica nelle orecchie, il mio gruppo preferito a suonare quella melodia che conoscevo così bene, ritrovai un pò di serenità. La musica era tutto ciò che avevo, l'unico prezioso tesoro che mi era rimasto in quel mondo grigio.
Non avrei permesso a nessuno di strapparmi quel brandello di speranza, eppure ero stanco. Avevo bisogno di riposo, prima di tornare a quella vita così afosa e senza tregua. Non mi accorsi nemmeno del tempo che passava, quando finalmente giunsi alle prossimità dell'aeroporto di Tokyo, era già buio. Non capivo se fosse a causa della nebbia, che offuscava la mia vista o forse di quel tempo cristallino che mi aveva portato via una parte della mia gioventù. Vedere quei volti sorridenti, familiari che si ritrovano dopo anni o magari pochi giorni, fidanzati innamorati e bambini allegri, era come una medicina lenta.
Il meglio c'era, e io lo avrei conquistato! Non volevo stare in un anonimo Hotel, inoltre sarei stato subito rintracciato, vero? Chiamai l'unica persona che sapevo mi avrebbe accolto e che in quel momento, come per magia, si ritrovava in quella città dipinta di smog. Mia sorella, quella donne forte e comprensiva che mi amava così tanto quasi da impazzire.
Il nostro rapporto, più bello di qualsiasi amore, non era passionale, eppure era l'unico legale che non avrei mai spezzato, a qualsiasi costo. La mia Noona, mi avrebbe protetto, anche in quell'occasione. In Giappone, per seguire il suo amore, seppur temporaneo, avrebbe ridato ai miei occhi la via da condurre. Quando mi presentai alla sua porta, vidi la sua incertezza ed il suo stupore.
- Cheol Yong! Che ci fai qui? Stai male? Sei ferito? - Non feci in tempo a rispondere che mi controllò accuratamente, notando la mia magrezza eccessiva e le occhiaie che non avevo avuto il tempo di coprire.
- Entra dentro e raccontami tutto. - La sua mano gentile, mi infondeva calore. Fin dalla separazione dei nostri genitori, lei è stata la mia roccia, il mio punto fermo e la mia famiglia. Entrando in casa sua, non mi sentivo un peso ma una parte integrante della sua vita e ancora, ripresi a sorridere. 
  
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