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Autore: Water_wolf    29/01/2014    9 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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 Una gita nell'Hellheim
•Alex•
 
Non ci potevo credere: Astrid era riuscita ad ammansire quel demone dalla forma di cane, che ora leccava sia lei che Nico. Ci invitò ad entrare in tono gioioso, del tutto stonato in quel contesto. Einar mi precedette, varcando le porte e lo strano cartello.
L’Hellheim – dopo essere passati da un breve tunnel- era solo una grande distesa di terra grigia, distrutta e piena di crepe. Il cielo era una distesa di nubi scure, senza nemmeno una stella. Qua e la apparivano montagne e rocce completamente brulle. Non c’era erba e non c’erano alberi, nemmeno quelli morti. Che bel posticino, eh?
Piccola premessa: Hell è una dea infernale, che domina sull’Hellheim, il mondo dei morti peggiori di tutti. Assassini, ladri, traditori, loro finivano lì. Hell, figlia di Loki, era stata esiliata lì dal mio dolce paparino senza un occhio. Da questo regno lei preparava una grande armata di non morti per opporsi ai guerrieri lucenti che mio padre portava nel Valhalla. Non c’era da sorprendersi che volesse vendicarsi per essere stata lasciata in un posto del genere.
La pianura era piena di fantasmi che si aggiravano senza fine in quella landa brulla. Spesso ci venivano addosso per poi passarci attraverso, come se non si fossero nemmeno accorti di noi. «Però… questo posto è fantastico. Io ci farei una festa» ironizzò Einar, guardandosi intorno. Sorvolando sul fatto, poi, che quella era casa di sua sorella maggiore divina e che Astrid, in teoria era sua nipote. Meglio proseguire.
Mi venne in mente che, da un punto di vista divino, io ero il bis-zio di Astrid e zio di Einar. So cosa mi direte: cavolo, sei messo male, quanti parenti! Tra gli Dèi le cose funzionano diversamente. Considerato che le divinità non hanno DNA ci va di lusso.
Innamorarsi di un ragazzo che ha il tuo stesso padre divino? No, grazie. Ma se il genitore divino era diverso? Sì, quello era più che possibile. Strano che mi venissero in mente queste cose mentre attraversavo una landa spoglia con dei fantasmi che mi giravano intorno, parlottando e dicendo cose senza senso. All’improvviso, però, la calma fu rotta da un latrato improvviso.
«Nascondiamoci!» esclamò Astrid, indicando una piccola collinetta rocciosa con un’apertura sul fianco: una grotta, luogo perfetto per nascondersi.
«Ci imbuchiamo ad una festa in una buca?» chiese Einar, come se fosse una battuta di spirito, mentre correva in quella direzione.
Tutti e sei ci rintanammo lassù e attendemmo. Percy e io ci affacciamo oltre l’apertura per vedere meglio. Una muta di cani, dal pelo nero e il muso allungato, simile a quello di un lupo, stava attaccando le anime dei morti. I fantasmi fuggivano in tutte le direzioni, ma, veloci, i mostruosi segugi li azzannarono.
Mi sembrava impossibile, dato che erano di carne ed ossa, che potessero afferrare un fantasma con i denti, ma ci riuscirono. Tre di loro avevano preso un’anima e tra i lamenti la trascinavano verso un punto imprecisato dell’orizzonte: un castello nero.
«Sto cominciando a rimpiangere Ade e il suo regno. Almeno lì c’era l’Elisio» commentò Percy con aria disgustata.
«Credimi, Hell non è sempre stata cattiva. Solo che, diciamo… Odino non è stato gentile con lei» risposi, cercando di non vomitare.
Era uno dei momenti in cui desiderai ardentemente sparire dalla faccia della Terra. Mio padre non era uno stinco di santo e aveva fatto i suoi errori. Alla fin fine, era colpa sua se Hell si era incattivita: era diventata una pazza criminale disposta a torturare i suoi figli. Era stato lui ad esiliarla lì, solo perché figlia di Loki. Aveva mandato molti eroi a morire per lui per poi farli uccidere dai suoi stessi servitori.
Certo, li aveva accolti nel Valhalla, poi, ma non è bello essere pugnalati alle spalle dal proprio stesso padre. Sapevo come ci si sentiva: l’avevo provato sulla mia pelle, pochi minuti prima.
«Dove li staranno portando?» chiese Nico, affacciatosi anche lui.
Sembrava l’unico, oltre ad Astrid, a sentirsi a proprio agio in quel posto. L’influenza degli Inferi Greci? Per tutta risposta, indicai la dimora di Hell.
«Quello è il Palazzo Infernale: Eljudnir, dove abita Hell e i suoi morti.»
Possibile che non potessero inventarsi dei nomi più simpatici? Avrei preferito di gran lunga chiamarlo Disney. Pensare poi ai nomi correlati al palazzo: la gigantessa Modgudr che sorveglia il ponte d’oro che attraversa il fiume Gjöll. Caratteri semplici per noi norreni, ma impronunciabili per tutto il resto delle persone.
Il castello era in pietra nera, con mura così alte che avrebbero fatto invidia all’Empire State Building. Il tetto era un ammasso informe, che si muoveva come se fosse vivo. Mi resi che era così: fatto da serpi vive intrecciate, che si agitavano orribilmente. Chissà che problema con le perdite d’acqua quando pioveva pioggia acida, lì.
Un fiume grigio e gorgogliante tagliava perfettamente in due la piana delle anime morte, che vagavano in giro senza meta. Il suo letto era fatto di spade spezzate e il suo scorrere mi ricordava il lamento di un morente.
Solo quando si avvicinava alla reggia degli Inferi si divideva in due, isolandola dal resto del regno. Ad unirla alla terra ferma vi era un ponte d’oro sorvegliato da una gigantessa.
Sarebbe potuta apparire normale – a parte le abnormi dimensioni-, infatti era vestita in jeans e maglietta – XXXXXXXXL-, ma al fianco aveva un’enorme scure insanguinata che sembrava dire: “Avvicinati e ti sventrerò come un pesce.”
«Che gentile, dimmi che è tua amica» sussurrò Percy alla figlia di Hell, che osservava accigliata il panorama.
Cercai di immaginare come si sentisse a ritrovarsi in casa della madre. Una madre che non l’aveva trattata molto bene. È una cosa piuttosto comune tra i semidei: di solito finivamo abbandonati per strada, i nostri genitori mortali ci consideravano dei pazzi, quelli divini delle mine vaganti e i mostri come spezzatini.
Era ovvio, dato che tutto quello che ci circondava finisse in fiamme o esploso, distrutto, maciullato, schiacciato, massacrato e devastato. Certo che, se, però, avessimo avuto un po’ di aiuto da una delle tre parti sopracitate, forse, avremmo potuto controllarci meglio.
«Comunque sia, non credo che abbiamo altra scelta. Dobbiamo superare quel ponte» replicai, riscuotendomi dai miei pensieri.
Nessuno sembrava felice di andare a prendersi la briga di interpellare la signora delle scuri insanguinate e, se per questo, nemmeno io. Ma dopotutto, dovevamo salvare Astrid, ritrovare il martello, riportarlo ad Asgard e, se ci avanzava tempo, evitare che scoppiasse una guerra tra Zeus e Odino. Be’, potevo portare anche un caffè, già che c’ero.
«Vado io.»
Adoravo Astrid quando mostrava quel cipiglio deciso e combattivo: mi ricordavo di quanto fosse forte. Io avevo avuto una vita molto più fortunata della sua. Avevo imparato a rispettarla, per questo: nonostante le difficoltà, non si era mai arresa. Mai si sarebbe arresa.
«Sicura? Questo non è un gioco, quella tipa non ti lascerà via di scampo» la trattenni io, mentre già si preparava ad andare.
«So quello che faccio, non preoccuparti» fu la secca risposta.
Era tesa, ma voleva dimostrarsi utile. Non avrei potuto bloccarla, così la lasciai andare, mentre Annabeth borbottava qualcosa sul fatto che fossi un “pesce lesso che aveva abboccato.”
Certo che quella figlia di Atena era davvero infernale: non potevi darle torto, e le sue occhiate erano degne di un figlio di Odino.
Erano simili a quelle che mia sorella di parte divina mi lanciava quando ancora ero un nuovo arrivato e mi sgridava perché avevo fatto cadere una fila di lance. Certo che, però, poteva evitare di essere così sospettosa. Il che mi faceva pensare che la parola “tradimento”, avesse per lei un significato doloroso.
«Calmatevi. Ce la farà» sentenziò Einar, stranamente teso – anche lui sembrava poco tranquillo. Nico, invece, stava fissando un mucchietto di ossa poco lontano da lui, come se volesse farle muovere. Effettivamente alcune tremavano e si alzavano formando un piccolo scheletro che, però, ricadde a terra disfacendosi subito.
«Dannazione.»
«Cosa c’è?» chiese Annabeth, poggiando una mano sulla spalla di lui.
«Non riesco a controllare le ossa. Cioè, ce la faccio, ma è come se qui fossero restie ad ubbidirmi» rispose il figlio di Ade, accigliato.
«Forse, anche per te vale la regola di cui ha parlato nostro padre. Se l’acqua non mi sostiene più, qui, magari anche i non-morti non ti ubbidiscono più come in territorio greco» ipotizzò Percy, mentre si guardava intorno, in caso altri bestiacce si avvicinassero.
Astrid, intanto, era arrivata ai piedi del ponte e la gigantessa non aveva ancora fatto nulla per fermarla. Si era già voltata verso di lei, ma non aveva ancora reagito: o i guardiani degli Inferi erano lenti come bradipi o stava pensando al taglio migliore da operare sulla mia amica. Pregai che fosse la prima.
Seguimmo la figlia di Hell fino alla base del ponte. Lei era a metà quando la gigantessa si mosse, ponendosi davanti a lei.
«Come mai volete passare? Non sembrate morti, a parte voi due» chiese, indicando Nico e Astrid. «Inoltre, i segnali di pressione indicano che voi avete la consistenza dei viventi.»
«Siamo qui… siamo qui per vedere mia madre» rispose la figlia di Hell con voce tremante.
Non mi sorpresi di vederla spaventata: vedere una gigantessa che ti brandisce sotto il naso un’ascia, non era proprio la cosa più rassicurante del mondo.
«Hell non riceve nessuno. Sua signoria, grande dominatrice degli Inferi e…»
«Gran figa, ladra, sovrana dei buchi puzzolenti» completò Einar, ridacchiando, beccandosi diverse occhiatacce.
Astrid, indietreggiò di un passo, ma alzò lo sguardo come per sfidare la guardiana.
«Lasciaci passare. Mia madre non sarà contenta!» sbottò, cercando di controllare il tremore che aveva nella voce.
Fu allora, quando ero certo che quella tipa ci avrebbe sventrati tutti, che si fermò, come si fosse ricordata di aver già visto la mia amica.
«Oh. Scusami, Kara, non ti avevo riconosciuta. Non sapevo avessi così tanti amici. Passate pure» si scusò la gigantessa, facendoci passare.
Sorpresa generale. Cosa stava succedendo, per tutti gli Dèi di Asgard e non!? Astrid non era mai stata nell’Hellheim, non in quella parte, almeno. Poi, un pensiero mi invase la mente opprimente: una vocetta negli angoli remoti della mia testa che iniziava a dubitare, urlando alla trappola e al tradimento.
Tutto ormai sembrava indicare Astrid come la colpevole di ogni cosa. In quel momento, poteva portarci benissimo in un’imboscata. Misi subito a tacere quella dannata sensazione.
Non era possibile. Io conoscevo Astrid più di chiunque altro: non ci avrei creduto nemmeno se me lo avesse detto Odino in persona.
Lei ci fece cenno di passare, approfittando del fatto che la guardiana Modgudr non ci avrebbe uccisi, per ora. Aveva l’aria abbattuta e triste ed ebbi la sensazione che avrebbe preferito essere colpita dalla scure, piuttosto che passare così facilmente. Anche se nessuno si lamentò di questo, dato che stavamo procedendo in modo piuttosto semplice.
«Entriamo nel castello, o magari qualcuno sa indicarci la strada migliore?» chiese Annabeth, allusiva.
I suoi occhi erano facili da interpretare: “Ormai è lei la colpevole, è ovvio e logico.” Al diavolo la logica.
«Facciamo un giro. Non credo che Hell si sia portata il martello dentro casa, ma probabilmente è vicino» proposi, cercando di domare l’infinità di voci che mi dicevano di dare ragione alla figlia di Atena.
Lei era innocente. Lo sapevo, avevamo promesso.
«Sei triste?» avevo chiesto, molti anni prima.
Quanti ne avevo? Tredici?
«No. Lasciami in pace.»
Astrid era già molto carina, nonostante avesse da poco superato i dodici anni. In quell’istante stava osservando un tatuaggio che aveva sul braccio: raffigurava uno scheletro avvolto da un aura di fiamme nere; il simbolo di Hell, la signora degli Inferi.
A giudicare dagli occhi aveva pianto. La sera prima era stata riconosciuta. Io avevo solo dieci anni, quando mi comparve il tatuaggio: tutti i miei compagni, anche quelli di sedici o diciotto anni si erano inchinati davanti a me, quando Hermdor aveva alzato il mio braccio mostrando il simbolo di Odino.
Era stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita, tanto che avevo sperato di sparire all’istante. Sapevo cosa avevano pensato: “rispettiamolo, altrimenti il suo paparino mi fulmina”.
Il riconoscimento di Astrid, invece, era avvenuto tra le risate generali: nessuno aveva fatto lo sforzo di inchinarsi o di mostrare un minimo di rispetto. Le sue poche amiche si erano allontanate, come se fosse una malattia contagiosa e tutti gli altri erano scoppiati a ridere e alcuni avevano iniziato a prenderla in giro.
«È una figlia di Hell!» –  «Stai lontana, che non voglio ammalarmi.» –  «Tornatene dalla mammina, magari, così non ci infetti.» E altre battute ben poco piacevoli.
Mi sorpresi, quando lei non era scappata via. Improvvisamente, era diventata il bersaglio di tutte le angherie del ampo, persino più dei figli di Loki che, per inciso, erano gli unici a lasciarla in pace.
Non che la cosa mi sorprese, potevo immaginarli a pensare come anche loro erano sempre tenuti a distanza.
«Se non sei triste, allora, come mai hai pianto?» avevo domandato, cercando di assumere un tono comprensivo.
Eravamo seduti sotto uno degli alberi secolari della foresta che affiancava il campo, oltre il quale si intravedevano la spiaggia e le Drakar che usavamo per le esercitazioni in mare.
«Io non ho pianto» aveva risposto, cercando di essere convincente.
«Lo so… ma non devi nasconderti. È normale che tu ti sfoghi. La maggior parte di noi non è malvagia, solo che Hell ha una cattiva fama.»
La mia spiegazione ebbe l’effetto di deprimerla ancora di più.
«Quando sono venuta qui… Non lo so, speravo che mia madre fosse una dea a posto. Eir, magari, o Skadi. Ora mi accontenterei di Freyja» fu la secca risposta, mentre continuava a fissare un punto imprecisato per terra.
«A me non importa. Ti devo ancora un favore per avermi aiutato contro i goblin, tre giorni fa.»
Cercai di farla sorridere, ma, vedendo che non funzionava, decisi di essere più diretto.
«Ascolta, Astrid. Non mi interessa chi sia tua madre. Io ti considero un’amica e basta. Sei una brava persona, ne sono certo. Non dubiterei mai di te.»
Era vero, non l’avrei mai fatto. Lei era sincera, diretta e gentile, anche se un po’ irritante. Ma i suoi pregi erano tanti e io sapevo che ci si poteva fidare di lei.
«Davvero? Prometti che non dubiterai mai di me?» mi aveva chiesto, speranzosa.
Non avrei potuto rispondere diversamente da: «Sì, lo prometto.»
Mi riscossi dai miei pensieri, quando sentii qualcosa che mi solleticava la mente. Una sensazione di disagio e, allo stesso tempo, familiare. Presi dalla mia tasca la runa GPS e mi sorpresi che stava iniziando ad emettere una strana luce ad intermittenza.
Poteva significare solo due cose: o avevano acceso molte luci elettriche, oppure che il Martello di Thor era vicino.
«Finalmente!» esclamò Einar, felice di non dover entrare in casa della sorella divina.
«Come fai a controllare così bene le Rune? Io non ci riuscirei» domandò Percy, ammirato.
In effetti, nel mio caso, era una cosa istintiva.
«Mio padre, lui è il signore della magia, rune comprese. Per me è semplice come per te lo è controllare l’acqua. Per gli altri semidei, ci vorrebbero anni di concentrazione per poter manovrare la più semplice. Io sono capace di scolpirle e usarle in modo veloce ed istintivo» spiegai, cercando di nascondere il mio orgoglio.
Una delle poche cose utili che mio padre mi aveva dato. Continuammo a camminare spediti lungo le mura del castello, cercando di non pensare a quanti occhi di zombie ci stessero osservando dalle merlature.
La runa si fece più luminosa quando ci ritrovammo davanti ad una profonda grotta della quale non si vedeva il fondo.
«Ottimo, chi vuole andare per primo?» chiese Einar, facendo un passo indietro.
In effetti, c’erano troppi fatti che non andavano. Era tutto troppo facile. Dov’erano le sentinelle? Possibile che ci lasciassero passare così? Senza tentare di bloccarci? E dov’era Hell? Ci doveva aver percepiti, era il suo regno, dopotutto.
Deglutii.
«Non abbiamo altra scelta.»
Ci infilammo in fila indiana dentro, guardandoci le spalle. Avevamo tutti le armi sguainate, pronti ad attaccare tutto ciò che si muoveva – eccetto noi stessi.
«Dimmi, come funziona questa storia delle Rune?» domandò Annabeth, stringendo convulsamente il coltello, per una volta, ignorando Astrid.
«È complicato. Le rune sono magiche, vengono create secondo una procedura molto difficile. Semplici cerchi di metallo o pietra che vengono bagnati con sostanze vitali, di solito sangue, ma può essere anche latte della Audumla, foglie dell’Isola di Foreseti, acqua delle fonti fatate o altro. Durante il processo va pronunciata una formula magica. A seconda della formula e dell’incisione che vi è scolpita, la runa assume un potere diverso. Questo dipende anche da quanta concentrazione ed energia vitale concentri in essa. Se mi concentro molto potrei creare una runa capace di far saltare in aria un intero quartiere, ma quando agisce essa attingerà dalla mia forza vitale, quindi non è consigliato usarne di estremamente potenti, a meno che tu non sia un dio» spiegai, mentre la caverna si apriva su una scala che portava verso il basso.
Fortuna che avevamo delle torce, con noi, o ce le saremmo fatte tutte con il sedere.
«Ma… Al Campo non hai usato una runa, per bloccare Percy, ne sono certa» mi fece notare la figlia di Atena.
«Non ne avrei avuto il tempo. Ho usato una magia di imposizione. Con essa basta concentrarsi per evocarla. È più istintiva e versatile della magia runica, ma è molto difficile da controllare ed è meno potente.»
Ed era vero. La magia di imposizione era dominio di Freyja e dei suoi discendenti. L’avevo imparata a quattordici anni grazie ai corsi di recupero di Bethany, una sua figlia, che mi aveva dato delle lezioni.
Come per gli altri le Rune, anche io ebbi molti problemi a controllare i sortilegi, ma c’ero riuscito due mesi prima riuscendo ad evocare una fiammata senza svenire e senza dar fuoco ai miei vestiti.
La scala procedette nel buio per altri minuti. Ormai dovevamo essere proprio sotto il palazzo di Hell, quando ci ritrovammo in una gigantesca sala a volta.
Una fila di sei colonne per lato sorreggeva il soffitto e ad esse erano attaccate torce che illuminavano l’ambiente, fatto che ci permise di fare a meno di quelle elettriche. In fondo, su un altare contornato da tanti teschi c’era l’oggetto della nostra ricerca: Mijolnir.
Somigliava ad un comune martello da combattimento, di quelli che se ne vedevano tanti, al Campo, solo che non aveva un lato tagliente, sembrava un unico blocco di metallo, fuso al manico in acciaio ricoperto di fasce di pelle. Irradiava un fioco bagliore ed ogni tanto sprizzava qualche scintilla.
«Finalmente, ci siamo» sussurrai pensieroso.
Mancava poco: non credevo sarei arrivato fino a questo punto. Pensavo seriamente che sarei morto una decina di pericoli mortali prima. Eravamo tutti preoccupati. Ovvio, era troppo facile. Nessun ostacolo, davanti a noi.
Estrassi l’arma e avanzai. Una scelta giustissima. Superai le colonne senza che scattasse nemmeno una trappola. Avanzavo a passo spedito, con il solo pensiero di prendere quell’arma e andarmene. Ma le cose non sono mai così facili per noi mezzosangue. Un soffio d’aria mi solleticò i peli del collo, mi voltai di lato ed ebbi appena il tempo di vedere una lama dirigersi contro la mia faccia per potermi scansare, saltando all’indietro.
«Non avvicinarti, figlio di Odino» mi intimò la figura incappucciata.
Impugnava un’arma davvero strana: un manico con due lame per estremità. Ricordava la spada a due lame che maneggiava il Sith di Star Wars ne “La Minaccia Fantasma”. Nonostante la sorpresa, non mi lasciai intimidire: prima che i miei compagni avessero il tempo di raggiungermi, mulinai un fendente contro la testa del misterioso assalitore.
Con uno scatto si sottrasse all’attacco, ma la mia lama colpì comunque il pesante cappuccio facendoglielo cadere. Rimasi pietrificato.
Al mio fianco c’era Astrid, pronta a combattere con le sue mezzelune. Davanti a me, invece, c’era una ragazza uguale a lei.

koala's corner.
Il nuovo capitolo, che segna il punto di non ritorno: ormai sono nell'Hellhem, o ci usciranno vivi, oppure non se ne andranno affatto. Siamo anche agli sgoccioli della storia!
Siamo vicini alla fine, è vero. Chi sarà la nostra nuova conoscenza? Sono curioso di conoscere le vostre ipotesi :P C'è un po' di Alrid, che spero vi sia piaciuta.
A me sì *fangirla* Anche se nessuno batte i miei scleri sulla coppia, da brava co-inventrice di essa eh
Modesta, dicevano.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, restate sintonizzati per il prossimo capitolo! *biscotti e ciambelle a tutti*

Soon on "Sangue del Nord": POV doppio Annabeth e Astrid - Arriviamo a capo del mistero, ma i guai non sono finiti, anzi tutto il contrario.
 
  
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