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Autore: saveher    29/01/2014    7 recensioni
“Scusalo, Harry non è abituato a parlare con gli sconosciuti, soprattutto se ci sono tante persone attorno a lui” disse a mo’ di scusa Anne con tono di scuse. “Non si preoccupi, va bene così” disse Louis –giusto?- e Harry si chiese se quel “va bene così” fosse riferito alla situazione in generale o a sé stesso. Non che non accetti la sua situazione, si sta abituando lentamente, ma andiamo nessuno gli ha mai detto –a parte sua madre- che andava bene anche in questo modo. [...]
“Harry questo è Louis Tomlinson, ti dovrà aiutare con il cane-guida”
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-Au
-Larry
-Mini-long
-Harry!cieco
Recensite
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Lost in the darkness
I

 
I try to make a soung but no one hears me,
I'm slipping off the edge 
I'm handging by a thread
-Simple Plan, "Untitled"

 
 


 
 
Spostò la mano destra contro il muro, immaginando nella sua mente il percorso che stava facendo. Cinque passi, quattro passi, tre passi, due passi, uno… voltò a destra avanzando cautamente in quella che doveva essere la camera di Gemma.
Alzò la mano destra scontrandola contro il muro freddo, sentendo sotto il le dita la carta dei poster, poi poco più avanti il legno di un quadro che, se si ricordava bene, incorniciava una foto della sua famiglia –lui, Gemma e sua madre-. Immaginò che a momenti avrebbe dovuto trovare l’interruttore della luce e, quindi, in linea perpendicolare, la scrivania. Quando le sue dita non toccarono la plastica dell’interruttore andò in panico pensando di aver sbagliato stanza, o di aver fatto male i conti e quindi di essere ancora indietro rispetto alla sua meta.
Si morse il labbro inferiore, prese un respiro profondo e si girò di centottanta gradi sulla destra. Mosse in avanti anche l’altra mano cercando –e sperando- di sentire il legno della scrivania. Con le dita sfiorò del ferro, freddo, e cercò di portare a mente ogni ricordo che aveva della scrivania. Sulla sinistra c’erano i libri di scuola, sopra l’interruttore, a destra ordinati perfettamente i cd, e poi c’era la lampada gialla, di ferro. Fece uno più uno e pensò che si, aveva sfiorato la lampada quindi alla scrivania c’era arrivato.
“Le cuffie. Devo trovare le cuffie” pensò, portando tutte e due le mani contro il legno della scrivania, iniziano a muoverle cautamente per evitare di urtare qualcosa, e quindi farla cadere. Aspettò di sentire sotto le sue dita il filo sottile, quando sentì qualcosa di simile e lo tirò leggermente verso di sé. Non capì che era il filo della lampada e infatti, appena lo tirò, l’oggetto ondeggiò pericolosamente sulla sua base circolare, prima di cadere sulla scrivania provocando un forte rumore.
Harry andò in panico, cercando a tentoni la lampada per rimetterla in piedi senza riuscirci. Quando l’oggetto cadde, il rumore riecheggiò per la casa facendo sobbalzare Gemma dalla poltrona dove si era appisolata che, dopo esserci guardata intorno e non aver visto il fratello vicino a lei, si alzò per gridare “Harry? Harry, dove sei? Cos’è successo?”, precipitandosi nelle varie stanze della casa.
Niente Gem!” gridò di rimando il fratello, stringendosi i ricci tra le mani. Come mi sono ridotto così?
Dove sei?” chiese la sorella salendo le scalinate di casa loro, aprendo tutte le porte che le si paravano lungo i lati, prima di fermarsi di fronte a quella della sua camera.
Si avvicinò alla figura alta quanto lei del fratello, che se ne stava ritto in piedi con le mani a stringersi convulsamente i ricci, e i gomiti uniti davanti al viso. “Hey, hey, hey Haz va tutto bene, non è successo niente sh” sussurrò toccandogli con fare materno le braccia, per poi coprire con le sue mani più piccole quelle del fratello, tentando di fargli mollare la presa dai suoi capelli. “Harry, tranquillo non è successo niente. Dai, togli le braccia, su” gli sussurrò ancora con voce dolce, cercando di avere in viso un’espressione bonaria e dolce, non preoccupata e triste. Come se potesse vederti.
M-mi dispiace ho fatto cadere la lampada credo” disse il fratello, con voce resa ancor più roca dal pianto bloccato in gola. Si strinse ancor di più il labbro inferiore tra i denti, non voleva piangere. Non di nuovo, non ancora.
La lampada? Sei triste perché hai fatto cadere la lampada?” chiese retoricamente la sorella, cercando di sorridere, nonostante gli occhi lucidi. Harry non piangeva per la sua situazione, ma perché credeva di aver fatto cadere la lampada. Perché quella sorte è toccata lui? Non se la meritava, capite?
Gli strinse le mani attorno ai polsi sottili, e gli fece calare le mani che, appena mollati i ricci, iniziarono a torturarsi tra di loro, a stringersi e a districarsi come i rami dell’edera.
Si, mi d-dispiace, non volevo te lo giuro-” si fermò Harry, preso da un singhiozzo mal trattenuto. “S-s-se si è rotta te la ricompro, davvero ho-o i miei soldi” riuscì a dire con voce malferma. “Harry, a me neanche piaceva quella lampada ad essere sincera” mentì la sorella sorridendo, stringendogli le mani tra le sue, cercando di ignorare il fatto che il fratello fosse nervoso e fragile, “E poi non si è rotta” aggiunse, dando un’occhiata alla lampada a terra, scheggiata un po' sul lato.
Rimasero in silenzio per un po', in piedi, con Gemma che asciugava sia le poche lacrime del fratello che le sue. Lo fissava sorridendo, sforzandosi di apparire serena. Era un gesto inutile, lui tanto non poteva vederla.
Come mai ti aggiravi in camera mia?” chiese con tono scherzoso, passandogli una mano tra i ricci color cioccolato.
Cercavo le tue cuffie, sai le mie le ho rotte” rispose il fratello alzando un po' il viso, cercando di individuare bene da dove venisse la voce della sorella. Gemma a quel gesto si spostò di poco, in modo da trovarsi giusto di fronte ad Harry che le disse “No, fermati dove sei. V-voglio provare a capire dove sei, d-da solo”.
Va bene” rispose Gemma accennando un sorriso e spostandosi dov’era prima “Le cuffie sono nella borsa, aspetta che te le prendo” e si mosse verso il letto di fronte a lei, dove c’era appunto la borsa.
Harry si girò sentendo lo spostamento d’aria, e quindi pensando che la sorella fosse vicino al letto. “Grazie” disse appena strinse tra le mani le cuffie, poi, affiancato dalla sorella, uscì in corridoio. “Vado in camera mia” annunciò, avvicinando la mano destra al muro, sfiorandolo, in modo da sapere quando si sarebbe presentata la porta della sua camera che era poco distante da quella della sorella.
Va bene” disse Gemma, rimanendo ferma dov’era, guardandolo preoccupata mentre procedeva cauto, prima di entrare nella sua stanza. Fissò la porta chiusa con scritto “Harold  Harry Styles” e tante faccine felici attorno al nome, prima di scendere in salotto.


La scuola per Harry non era mai stato un vero problema. Certo, l’ansia che lo prendeva prima di un’interrogazione o un compito, non era bellissima, ma si poteva sopportare. Non era mai stato vittima dei bulli, era più che altro… invisibile. Se Harry Styles avesse dovuto descriversi con un solo aggettivo, avrebbe detto “invisibile”.  Non era uno popolare, ma neanche uno sfigato. A mensa qualche volta sedeva con qualche compagno di corso, tipo Niall Horan o Liam Payne, e in classe chiacchierava anche, qualche volta, con il compagno di banco che aveva per quell’ora.
Solo che non aveva mai davvero stretto amicizia. Le persone non gli erano mai piaciute per davvero, preferiva rimanere a guardare invece che partecipare.
Certo, le sue esperienze le aveva fatte. La prima sbornia l’anno scorso alla festa di fine anno, la sua prima volta con una ragazza sempre a quella festa, i primi porno. Era normale, diciamo. Aveva una vita abbastanza normale, era abbastanza felice, era tutto abbastanza.
Solo che dopo l’incidente nullo lo era più. La sua vita non era nemmeno come un cinque in un compito, vicino alla sufficienza ma anche ad un quattro. Non era più uscito di per andare ad una festa, non aveva toccato un goccio di alcol, non si era masturbato o provato con una ragazza. Perché, andiamo, chi vorrebbe una palla al piede come lui, ad una festa? Non era un buon compagno per ubriacarsi, vista la sua situazione. Nessuna ragazza avrebbe voluto un ragazzo a cui devi, letteralmente, indicare dove mettere le mani.
Semplicemente Harry non aveva più nulla e non cercava neanche di avere qualcosa. Rimaneva fermo, non andava avanti. Forse non aveva forza o voglia. Aveva di nuovo paura di perdere quello che aveva.
La scuola ora la faceva in casa: veniva, dalle otto e trenta alle dodici e trenta, un vecchio signore, Simon Cowell, che faceva da insegnate per tutte le materie. Glielo aveva proposto la madre quando, dopo essere tornato a casa, stavano affrontando l’argomento su come vivere la sua nuova condizione –come aveva detto lei.
Sentiva ancora qualche volta Niall o Liam; si scrivevano per messaggi, a volte lo venivano a trovare e lo portavano a prendere qualcosa da mangiare o a fare un giro. Lo facevano camminare in mezzo in modo che entrambi avrebbero potuto evitargli gli ostacoli e farlo inciampare o roba simile. Volevano bene ad Harry, in un modo fraterno e semplice. Nessun secondo fine come, per esempio, essere in pace con se stessi per aver fatto una buona azione. Semplicemente a loro piaceva la compagnia del loro amico silenzioso e schivo.
Harry, da parte sua, non poteva mentire dicendo che quei momenti non gli piacevano. Aspettava con volte il sabato, sapendo che alle cinque sarebbero venuti i suoi amici –non sapeva ancora bene come definirli- e avrebbe potuto superare il portico di casa sua. Non si fidava ancora ad uscire da solo, poteva inciampare, o ancora incontrare qualche incidente, roba simile. Aveva paura, ecco tutto.
Il posto dove andava per imparare a vivere la sua nuova vita, gli aveva promesso che ben presto avrebbe avuto un cane-guida. A Harry i cani non piacevano, troppo esaltati e pronti a saltarti addosso. Dipendono da te. Lui amava i gatti, così solitari e intelligenti –a modo loro. Ne aveva, lo aveva preso quasi un annetto fa, si chiamava Cleo, col suo pelo lungo a chiazze -che variavano dal grigio, al nero, al rosso scuro e al bianco- e degli occhi di un azzurro intenso. Era solito dormire ai piedi del suo letto, si acciambellava nell’angolo creato tra il suo polpaccio e la sua coscia, ronfando per ore.
Lo aveva preso dalla sua vicina che, sapendo la sua innata passione per i gatti, gliene aveva rimediato uno. Si era presentata alla porta di casa Styles in uno dei suoi soliti vestiti azzurri, tenendo fra le mani una piccola scatola con dei fori sopra. “Harry, guarda cosa ti ho portato!” aveva detto con voce eccitata la donna sulla cinquantina, porgendogli la scatola, quasi squittendo mentre immaginava la reazione del ragazzo.
Harry, dal canto suo, aveva sempre desiderata un gattino a cui affezionarsi.  Quando vide nella scatola una piccola palla di pelo bianca con due pozzi azzurri, non iniziò a saltellare solo per paura che la bestiolina si spaventasse ancor di più. Mentre gironzolava per casa –“La mia piccolina sta esplorando, oddio” aveva sussurrato eccitato- la si poteva scambiare più per un topolino cresciuto che zampettava qua e là.
Ora Harry si trovava sul divano con Cleo acciambellata tra le gambe incrociate. “Sai piccola, avrai un compagno di giochi a momenti. Sempre che un essere che bava e ringhia , e morde, può essere considerato un compagno di giochi” disse accarezzando il pelo morbido. La micia aumentò il rumore delle fusa non appena il palmo grande del padrone le si poggiò sul dorso. “Un cane, già” aggiunse Harry, come se l’animale tra le sue gambe avesse appena detto “Un cane?”.
Andò avanti a chiacchierare e accarezzare la sua gatta per pochi minuti, prima che sua madre, Anne, non entrasse dalla porta di casa e con voce squillante gli dicesse dovevano andare a scegliere il suo accompagnatore. Harry sbuffò non appena si dovette alzare dal divano, già annoiato e stanco di un animale che nemmeno aveva ancora. La micia lo guardò con aria inacidita –per quanto una gatta possa fare un’espressione inacidita, ovviamente- prima di saltare sulla poltrona poco distante.
Con la mano sinistra tesa, sfiorò il tessuto del divano, per poi incontrare quello il paino liscio del mobile affianco, poi il vuoto e continuò a camminare con la mano leggermente davanti a lui e i passi fintamente sicuri. Harry ricordava ancora com’era casa sua, ma a volte dimenticava il fatto che il divano non fosse attaccato ad un muro, che l’ingresso era davanti alle scale e quindi, il prossimo oggetto che avrebbe toccato sarebbe stato il corrimano di esse.
Aspetta, ven-”, “Faccio da solo mamma” la interruppe. Erano circa due metri e mezzo di distanza dal divano alle scale. O almeno così dicevano i suoi ricordi. Se faceva delle lunghe falcate, riusciva ad attraversare abbastanza bene un metro, per cui fece due lunghi passi diritti davanti a sé per poi protendere la mano.
Quando sentì il materiale freddo sotto il palmo, ci mancò poco che non iniziasse a saltellare di qua e di là. Un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, gli illuminò il viso facendo comparire delle fossette profonde. Tenendosi al corrimano arrivò alla fine della scala, girò a sinistra e con un solo passo si trovò di fronte all’attaccapanni.
Ce l’ho io, tieni” disse Anne porgendogli una giacca marrone e pesante “Fatti aggiustare, fuori fa freddo” aggiunse, mentre passava le mani sul collo della giacca, alzandolo. “Così tieni al caldo la gola” disse a mo’ di spiegazione.
Aveva accettato la cecità del figlio da tempo ormai. Ricorda ancora quando  i primi giorni a casa, furono un inferno. Harry si ostinava a voler fare tutto da solo, del tipo che si metteva il latte a colazione, continuava a fare movimenti veloci e affrettati, comportandosi come se in realtà ci vedesse ancora. Ad esempio saltava gli ultimi due scalini rischiando di farsi male, come una volta successe. Anne aveva sentito prima i passi per le scale poi, all’ultimo, un forte rumore e un gemito sommesso di chi si è fatto male. Era accorsa preoccupata dal figlio piegato in posizione fetale, che si teneva una caviglia. Lo aveva sorretto fino a farlo stendere sul divano, prendendo poi del ghiaccio per sistemarlo sulla parte lesa.
Mamma, io non ci v-vedo più, capisci?” aveva detto Harry gettando la testa all’indietro coprendosi il viso. Anne allora si era alzata e gli si era messa accanto, portandoselo contro il petto e, di riflesso, Harry nascose la testa nell’incavo del collo della madre, lasciando cadere le braccia. “Lo so Harry, lo so” aveva risposto con le lacrime agli occhi Anne stringendoselo. Mi toglierei gli occhi per te, se potessi.  “Io voglio vedere i colori mamma, mi manca il mondo, ma non ci riesco, è tutto così nero” continuò disperato Harry, contorcendosi per via dei singhiozzi furiosi che lo facevano sussultare e bloccare il respiro.
Anne avrebbe voluto dirgli di smetterla perché il senso di impotenza che provava era tale da farle fermare il cuore. La sua vita, il suo piccolo era lì, tra le sue braccia, fragile come un pezzo di cristallo, e un martello lo stava colpendo ripetutamente, facendolo rompere sempre di più. Non poteva fare nulla, non poteva mettersi lei sotto il martello e prendere quei duri colpi, poteva solo rimanere ferma a guardare. “Perché a lui?” continuava a chiedersi quando entrava la sera nella stanza di Harry per vederlo dormire. Sereno, immobile, rilassato. Perché doveva avere quell’inferno il suo piccolo?

Appena entrato Harry sentì tanti, troppi rumori. C’era il “din” che si sentiva non appena chiudevi la porta alle tue spalle, i pulsanti vecchi della cassa che veniva battuti da dita veloci e il chiacchiericcio delle persone seduti in quella sala.
Signor Louis Tomlinson?” chiese sua madre, diretta ad una commessa –vista la voce femminile che rispose con un “Lo potete trovare sul retro, prego seguitemi”.
Da quanto aveva capito, avrebbe avuto un “assistente” che lo avrebbe aiutato nel costruire un rapporto con una bestia –un cane, Harry lo aveva soprannominato così. Fare amicizia con una bestia e un amico della bestia. Davvero, Harry salterebbe se potesse
Harry, vuoi restare qui?” chiese premurosa la madre, sapendo come Harry andava in ansia quando doveva muoversi in posti che non conosceva. “Si, aspetto qui” rispose, iniziando a muoversi leggermente sulla sedia di plastica su cui era seduto.  “Vengo subito” disse ancora Anne.
Harry iniziò a muovere lo sguardo piano, cercando di apparire normale, nonostante avesse un paio di occhiali scuri alle sei di sera in un luogo chiuso. Tutti avevano capito che era un ragazzo che aspettava il suo cane-guida, ma nessuno voleva farglielo notare. Andava bene così.
Sentiva varie voci. Nella stanza di discrete dimensioni, vi dovevano essere una quindicina di persone; non riusciva a ricordare tutte le voci, ma ipotizzava che vi erano almeno tredici persone, quindi una quindicina doveva essere abbastanza esatto.
Per distrarsi iniziò ad assegnare dei nomi: la donna con la voce anziana, l’avrebbe chiamata Emily, il signore con la voce roca Robert, la ragazzina dalla voce un po'­ acuta Clear, la donna forse di trent’anni con una voce sensuale Cristine- “Ciao! quindi le persone erano appena diventate sedici, una voce squillante e limpida non l’aveva ancora sentita. Mentre iniziava a pensare ad un nome da assegnare al “nuovo arrivato”, ma mano piccola e leggera –sempre se le mani possono essere leggere-, si poggiò sulla sua spalla. Harry ruotò così velocemente il collo che quasi si fece male e sussultò nel risentire quella voce squillante dire “Ciao sono Louis, il tuo assistente”, immediatamente si voltò verso la voce, rimanendo però in silenzio. “Scusalo, Harry non è abituato a parlare con gli sconosciuti, soprattutto se ci sono tante persone attorno a lui” disse a mo’ di scusa Anne con tono di scuse. “Non si preoccupi, va bene così” disse Louis –giusto?-  e Harry si chiese se quel “va bene così” fosse riferito alla situazione in generale o a sé stesso. Non che non accetti la sua situazione, si sta abituando lentamente, ma andiamo nessuno gli ha mai detto –a parte sua madre- che andava bene anche in questo modo. Ha davvero voglia di chiede al ragazzo di essere più specifico, ma sa che risulterebbe strano, per cui evita.
Harry questo è Louis Tomlinson, ti dovrà aiutare con il cane-guida” continuò sua madre avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla, come ad incoraggiarlo a rispondere.  Harry continuò a tacere, con lo sguardo puntato verso la voce di Louis. “Se volete possiamo andare a scegliere il cane, mh?” domandò Louis aggiustandosi il cappello blu. Si sentiva a disagio con lo sguardo coperto dagli occhi del ragazzo.
Si avviarono, Harry che sfiorava le mani della madre in modo da cercare di mantenere una direzione, diretti a giardino dove tenevano i cani liberi. Ce n’erano una trentina, molti labrador, dal pelo corto che variava dal marrone al beige, dal nero al coloro cappuccino. C’erano alcuni più piccoli, forse di due anni, anche due o tre cuccioli, e altri più grandi. Harry sentiva solo un forte odore i erba e di balsamo –forse i cani erano stati lavati da poco-, un forte abbaiare e poi un rumore di trotto. “Jack, Tay, hey ehm Rachel! Scusate, ma son tutti molto affettuosi direi” parlò Louis facendo sentire la sua voce acuta sopra tutto quel rumore. Harry stava fermo affianco alla madre, con lo sguardo puntato verso destra, fermo solo con le orecchie protese verso quella voce.  “Non preoccuparti. Quale sarebbe quello di Harry?” domandò Anne con un sorriso bonario. Stava già pensando a come una di quelle piccole furie avrebbe potuto portare un po' di movimento in casa sua.  Lei avrebbe preferito prendere quello col pelo beige, aveva un’espressione intelligente e sveglia. Anche se ora si stava rotolando su sé stesso guardando con la lingua da fuori Louis.
Oh beh, non lo so. Cioè ci sarebbero Zoe, Luke e Finn che sono perfetti, pronti e ancora abbastanza piccoli per poter cambiare padrone” disse Louis indicando un cane nero con occhi marroni, uno dal pelo color cappuccino e gli occhi scuri e un altro con il pelo di un biondo tenue e gli occhi marroni. “Harry, vuoi accarezzarli?” domandò premurosa la madre, vedendo lo sguardo perso del figlio puntato contro l’erba. Louis senza pensarci due volte, accarezzò i tre cani prescelti e li avvicinò ad Harry mettendoglieli vicini. Poi gli prese la mano con l’intenzione di farglieli accarezzare. Appena strinse il polso di Harry tra le sue dita sottili, sentì come il ragazzo di fronte a lui si irrigidì, tentando di ritirare la mano. Aveva spostato rapidamente lo sguardo di fronte a lui –doveva smettere di girare il collo così velocemente, prima o poi si sarebbe fatto davvero male-, per poi dire “Lasciatemi la mano” con voce roca fintamente sicura. Non erano le dita di sua madre, lei aveva le dita più callose e lunghe. Pensava fossero le dita di Louis, ma aveva paura di sbagliare. Che figura ci avrebbe fatto?
Louis ci rimase un po' nel sentire quella voce. Roca come quella di un uomo, ma incerta come quella di un bambino.
Voglio solo farti accarezzare Zoe, Luke e Finn. E dimmi quello che ti piace di più dopo averlo accarezzato” lo rassicurò Louis tirando la mano di Harry verso Zoe che si guardava attorno ansimando. Harry sentì qualcosa di morbido, corto e caldo contro la mano, prima che una cosa bagnata gli inumidisse il palmo. Un’espressione schifata gli attraversò il volto e tentò di ritirare ancora la mano, per evitare che la bestia gli benedisse di nuovo il palmo.
Una risata soffocata male uscì da Louis, che continuò a stringerli il polso della mano, facendogli accarezzare Luke che abbaiò non appena non ebbe attenzioni. Poi Finn, molto più tranquillo, rimase seduto col capo alzato che andava da Louis a Harry. “Questo” sussurrò Harry, grattando appena la testa a Finn. “Bene, allora ciao ciao Finn” disse Louis rintristito dall’abbandonare quel cane che gli piaceva un po' di più rispetto agli altri. Era perfetto per Harry, col suo essere calmo e forte, silenzioso, ma rumoroso quando serviva.
Venite che vi faccio firmare le carte” li invitò Louis mentre dava un ultima carezza  a Finn. Da dietro al bancone prese un guinzaglio e un collare di scorta, una ciotola, un osso giocattolo e un flacone di balsamo. “Vi serve un- ehm il…?” domandò Louis indicando con il capo il bastone per ciechi appoggiati dietro di lui. Harry avrebbe voluto tanto chiedergli con voce inacidita “Potresti specificare? Sai, non vedo” in modo fintamente calmo, ma si accontentò mettere su un’espressione neutra e di chi non vuole essere nel posto in cui si trova.
No, lo abbiamo già il bastone, ma Harry non vuole usarlo” disse sua madre scuotendo leggermente il capo. Harry arricciò il labbro superiore a quella frase. È ovvio che non userà mai quel bastone. Sembra ridicolo andare girando con un coso del genere con la sua età di diciotto anni. O almeno lui lo crede.
Beh, dovresti” lo riprese Louis guardando intensamente Harry. Appena si ricordò che il ragazzo poteva solo sentirlo, distolse lo sguardo ripuntandolo sui moduli che aveva di fronte, appena firmati. “Beh, non sono cose che ti riguardano” lo rimbeccò Harry incrociando le braccia al petto. “Comunque” disse Louis con tono più dolce “Verrò dalle quattro alle sette ogni pomeriggio, almeno per le prime due settimane” terminò rivolgendosi a Anne.
Oh si, va benissimo per quell’ora, vero Harry?” domandò retoricamente la donna voltandosi verso il figlio che annuì leggero.
Finn ha bisogno di un bagno ogni tre o quattro giorni, mangia di tutto, ma è meglio fargli mangiare solo delle crocchette specifiche di cui vi darò in pacco in omaggio; per i suoi bisogni sarà lui a farvelo capire. È addestrato a sporcare all’aperto, quindi o lo si porta a fare un giro o lo lasciate uscire semplicemente” spiegò Louis con tono spiccio, cercando di elencare tutti i vari problemi che possono sorgere nell’avere un cane.
Mi sembra perfetto” disse Anne “Lo portiamo già ora?
Come volete voi, per me non ci sono problemi” rispose sorridendo appena.
Harry, che ne dici? Lo prendiamo ora?” domandò eccitata Anne. Sapeva che avere un cane in casa avrebbe dato una mossa di vita alla sua casa e, soprattutto, alla vita del figlio. Non vedeva l’ora.
Uguale” rispose apatico Harry muovendo un po' i piedi.
Allora prendiamolo ora, su” dichiarò Anne raccogliendo tra le mani le cose appoggiate sul bancone.


Che dici, piacerà a Gemma?” domandò Anne accarezzando il capo del caso seduto vicino al divano. Harry aveva lo sguardo appoggiato alla sua destra, gli occhi verdi fermi a fissare qualcosa che non vedevano davvero. Era sicuro che il cane sarebbe piaciuto a Gemma, lei ne aveva sempre voluto uno.  Per questo mugugnò un ‘mh-mh’ muovendo l’indice sul suo ginocchio, facendo dei cerchi immaginari.
C’è qualcosa che non va Harry?” chiese apprensiva Anne dedicando la sua attenzione al figlio. Appoggiò la sua mano su quella di Harry, fermandone i disegni astratti che stava facendo. Il riccio in risposta scosse la testa, non voleva parlare con sua madre. Non quella sera.
La sua mente era ancora ferma a pensare al fatto di avere un cane-guida. Non vedeva, aveva bisogno di un cane per poter camminare. Buio, Harry con gli occhi aperti vedeva il buio. Nero. Spesso gli capitava di sentirsi perso, spaesato, come se barcollasse nel buio. Poi aveva capito che era davvero così, lui barcollava in un mondo ancora nuovo nonostante la sua situazione fosse iniziata da cinque mesi; usava le mani per orientarsi, i ricordi a fargli da vista.
Ad Harry il buio non era mai piaciuto, il fatto di non vedere dove si trovasse lo mandava in panico. Come quando si svegliava di notte e vedeva di essere al buio, senza luce. Iniziava a mancargli il fiato, e cercava di ricordarsi che non c’erano mostri nella sua stanza, non doveva aver paura. Ma non serviva, era convinto che creature dalle braccia simili ai rami degli alberi morti, con i volti scuri e le orbite vuote, fossero sempre pronti a tirarlo con loro nel buio totale.
Come poteva vivere Harry al buio, quando ne aveva paura?
Realizzare il fatto di non vedere era una cosa ancora troppo difficile per lui. Aveva bisogno di una luce che avrebbe potuto oltrepassare il suo nero.

*
Ciao!
Allora, ehm che dire? Questa sarebbe la prima parte una "presentazione"(?)
Idk, ehm non so perchè sto postando questa cosa.
E' la prima volta che pubblico qualcosa, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate.
Me la lasciate una recensione? Daaai.
Anche di poche parole, basta che mi fate sapere cosa ne pensate.
Much love,
saveher xxxx
 
 
  
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