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Autore: Pearlice    30/01/2014    6 recensioni
Prima classificata al contest "Una sana risata!" indetto da Amahy sul forum di EFP.
“Oh sì, Aragorn vecchio mio sei proprio nei guai…” si autocommiserò tra sé e sé, dopo essersi reso conto, per qualcosa come la ventesima volta in quella giornata, che i suoi occhi erano rimasti fissi sul didietro di Legolas per un arco di tempo che aveva iniziato ad essere quantomeno imbarazzante. Certo, anche l’Elfo non gli facilitava la vita chiedendogli di guardargli le spalle quando si allontanava dal gruppo per aprire il sentiero, ovvio che se gli porgeva l’occasione così su un piatto d’argento il suo sguardo scivolasse ben più in basso delle spalle.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Aragorn, Boromir, Gimli, Legolas
Note: Missing Moments, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nonostante la tacita promessa che Aragorn e Legolas si erano fatti quando erano stati gentilmente invitati a prendersi le loro responsabilità e mettere da parte le loro cicalate da esponenti del gentil sesso, quel discorso non ebbero modo di riprenderlo tanto presto. Il monte Caradhras li aveva sfiancati tutti, compreso l’elfo, che sarebbe passato alla storia come il più instancabile della compagnia e che quella notte crollò addormentato prima di riuscire ad appropriarsi di un posto vicino al Ramingo.
Quello, dal canto suo, ringraziava la sorte provvidenziale, apparsa nelle grigie vesti di Gandalf, che gli aveva impedito di aprire bocca e dargli allegramente fiato ed era ben deciso ad evitare di farsi nuovamente circuire dalla disarmante dolcezza dell’altro, adducendo scuse sempre più fantasiose per interrompere la conversazione con lui ogniqualvolta questa si inoltrasse in terreni pericolosi.
Il giorno successivo, quando il sole era ormai calato da un pezzo sulla Terra di Mezzo, si inoltrarono nelle miniere di Moria. Alla fine l’incessante tiro alla fune con cui Gimli e Boromir avevano messo a dura prova la pazienza degli altri compagni, per spingerli ad attraversare l’uno le miniere e l’altro Minas Tirith, era stato vinto dal primo, con sommo sgomento non tanto dell’altro contendente quanto di Legolas.
Era chiaro come il sole infatti che, anche se l’elfo non si sarebbe mai azzardato a sollevare un solo lamento per influenzare le scelte della compagnia, per una qualche sua orgogliosa reticenza, in quel luogo oscuro stava soffrendo pene difficilmente immaginabili.
Chiunque avesse posseduto un briciolo di spirito d’osservazione avrebbe capito che qualcosa non andava in lui, deducendolo anche semplicemente dal suo mutato atteggiamento nei confronti del detestato Gimli. Da quando erano entrati in quel buio antro infatti, l’elfo aveva sorprendentemente preso ad ignorare con un self control, bisognava ammettere, ammirevole, ogni provocazione dell’altro. E questo, dopo i giorni trascorsi a sibilare invettive più o meno velate nei confronti di quello e di tutta la sua stirpe, poteva, senza esagerare, esser definito un clamoroso passo avanti.
Per Aragorn sarebbe stato però assai preferibile e sicuramente meno terrificante vederlo reagire con la solita verve, piuttosto che deglutire stoicamente con l’aria di chi sarebbe esploso a momenti in una crisi isterica di proporzioni apocalittiche e potenzialmente letale per tutti gli astanti. 
E così, per quanto l’uomo avesse provato ad evitare le sue domande nelle ultime ore, non ebbe il cuore di lasciarlo da solo in quello stato a dir poco preoccupante e quando Gandalf ammise candidamente di aver perso la strada, approfittò di quel momento di tregua per avvicinarsi a lui. 
Quello era seduto a terra quasi fosse stanco, in un atteggiamento che davvero non gli apparteneva, stringeva le ginocchia al petto, guardando fisso davanti a sé, come se nella mente si stesse proiettando in una stupenda foresta molto, molto distante da quella miniera.
«Legolas…» richiamò la sua attenzione, a pochi passi da lui.
L’amico sollevò subito lo sguardo nella sua direzione, in un fioco sorriso imperscrutabile come suo solito. Nulla, nulla di quell’espressione lasciava trasparire quanto stesse passando internamente e se Aragorn non l’avesse conosciuto tanto bene si sarebbe anche lasciato ingannare da quel fare spavaldo che ostentava. Però lui lo conosceva più che bene. E sapeva che portarlo in quella miniera era equivalso a mettere l’elfo di fronte alle sue paure più grandi e recondite, senza lasciargli altra scelta se non quella di affrontarle e non aveva intenzione di lasciarglielo fare da solo.
In quel momento Gandalf, per non attirare l’attenzione dei nemici, spense la luce con cui aveva fino ad allora rischiarato l’antro, ed Aragorn sospirò, perdendo di vista il viso dell’amico proprio quando era riuscito ad avere un contatto con lui.
Procedendo a tentoni, si lasciò scivolare al suo fianco con la schiena contro la roccia, confidando nel fatto che la presenza degli altri compagni avrebbe tenuto a bada i suoi istinti più indecorosi e gli avrebbe concesso di investire il semplice ruolo di amico, di cui era certo l’altro essere disperatamente bisognoso in quel momento.
«Come ti senti?» sussurrò guardando un punto indefinito nel buio dinanzi a lui. Il suo piano era quello di farlo capitolare, di costringerlo ad ammettere la sua debolezza e non per suo personale sadismo, ma perché altrimenti non avrebbe potuto offrirgli il proprio aiuto. Lo sguardo che l’elfo gli aveva rivolto precedentemente era stato perfettamente controllato, ma vi doveva pur essere qualcosa che non riuscisse a gestire completamente, vi doveva pur essere una falla in quell’eccezionale dispositivo di occultamento delle emozioni.
«Sono tranquillo, davvero, io sto benissimo, non dovete preoccuparvi per me, in fondo anche la tenebra è a suo modo affascinante e non hai notato prima quelle, ehm, adorabili stalattiti affilate sul soffitto?»
Ed ecco la falla…
A giudicare dalla velocità spaventata e nevrotica con cui aveva snocciolato tale risposta, l’elfo era ben lungi dal ritenere “affascinante” o “adorabile” alcunché in quell’ambiente.
«No, quelle devo essermele perse…» ammise l’uomo, fingendo di stare al suo gioco: improvvisamente non gli sembrava più una strategia così geniale smontare il suo forsennato tentativo di autoconvincersi di quanto anelasse a passare lì il resto dei suoi giorni. Se non altro perché ciò avrebbe potuto mandarlo definitivamente fuori di testa. 
«Ah… e non avrei mai pensato che quest’atmosfera tenebrosa potesse aggradare così tanto i miei sensi e l’odore di putrefazione potesse essere così… conturbante» davvero, faceva sempre più paura. Urgeva trovare un piano B al più presto. «Credevo che tu mi stessi evitando…» proseguì poi repentinamente, dopo aver aggiunto qualche macabra osservazione in piú nel suo personale agghiacciante panegirico sulle miniere.
L’uomo tentennò: aveva abbassato le difese nel vederlo così in difficoltà e non era pronto ad affrontare l’argomento. Mentre cercava le parole con cui rispondere a quell’accusa velata ebbe per un attimo il folle timore che gli elfi potessero vedere al buio come i gatti e sperò ardentemente che così non fosse, perché in tal caso l’altro guardandolo avrebbe visto il volto stesso della colpevolezza. E lui non aveva nessuna intenzione di ammettere le sue colpe, soprattutto con un Legolas per nulla padrone delle sue facoltà mentali, e pertanto potenzialmente letale, come quello che gli si trovava davanti in quel momento.
«Non ti chiedi perché lo stessi facendo?» NO! Da quale remoto, atrofico lobo cerebrale era stata partorita quella frase?! Aveva forse intenzione di farsi scoprire?
E quale sarebbe stato il passo successivo? Gli avrebbe forse detto “Legolas, la verità è che mi piaci”? No dannazione, quelle parole sarebbero suonate così ridicole pronunciate dalla sua bocca, che nemmeno accompagnarle con una delle sue virili pacche sulla spalla avrebbe potuto in qualche modo risollevare la dignità dell’intera situazione. Senza contare che sicuramente gli sarebbe toccato spiegare all’elfo anche in che modo gli piacesse, giacché il semplice apprezzamento della sua persona era di norma compreso nell’ambito dell’amicizia. Insomma avrebbe dovuto fargli comprendere quello che avrebbe tanto voluto fare con il suo… pensandoci bene non era certo esistesse un modo per esprimere il concetto che non scadesse nel turpiloquio e l’ultimo dei suoi desideri era offendere il sopraffino senso del pudore del principe.
«Forse sì» rispose quello e da come quelle parole erano giunte alle sue orecchie capì che doveva aver sorriso nel pronunciarle. Per qualche motivo, nell’apprenderlo maledisse internamente Gandalf per averli privati della luce. E poi maledisse nuovamente se stesso per aver posto quella domanda di cui si rendeva in quel momento conto di non voler affatto sentire la risposta. Insomma, “forse sì”? “Forse sì” cosa? Che cosa aveva capito?!
«Immagino sia perché tu non abbia intenzione di dirmi cosa nascondi» aggiunse quello, con una punta di rassegnazione nella voce, insperatamente tornata ad una velocità più consueta.
Ecco sì è esattamente così, non ti sognare nemmeno di contraddirlo.
«Ma non fa nulla» riprese inaspettatamente l’elfo, con un tono quasi stridulo che tradiva il suo nervosismo e mai gli era appartenuto, ma che riuscì quasi subito a modulare verso frequenze più usuali. «Io mi fido di te, so che se questa volta non vuoi mettermi a conoscenza dei tuoi problemi hai probabilmente una valida motivazione per farlo…»
Aragorn si sentì il cuore pesante nel sentirlo parlare così. Era davvero una buona motivazione la sua? C’erano in gioco la loro amicizia e la sua reputazione, ma davvero questo lo giustificava dal non essere sincero verso di lui? Davvero giustificava il fatto che gli stesse nascondendo quali mire meschine avesse iniziato a fare sul suo conto, quando la sua amicizia sarebbe dovuta essere pura e disinteressata? Gli sembrava di star compiendo un crimine orribile…
«… Solo che non volevo accettarlo. Perdonami Aragorn» concluse infine, con una dolcezza così profonda, nonostante l’instabilità emotiva di cui aveva dato ampio sfoggio poc’anzi, che avrebbe fatto crollare difese ben più salde di quelle che il Dùnedain si era ripromesso di erigere nei suoi confronti.
«Perdonami tu, mellon nîn, perdonami tu» si affrettò a rispondere, toccato, desiderando sopra ogni cosa di poter far sparire quella bassa lascivia nei confronti dell’altro che così tanto gravava sulla sua coscienza in quel momento.
Un secondo dopo Legolas violò barbaramente la “distanza di sicurezza”, cingendolo in un abbraccio che lo pietrificò come si trovava.
Nel buio non aveva potuto prevedere quella mossa, né le sue orecchie sarebbero mai state tanto fini da poter anticipare i movimenti di un elfo e così si era ritrovato come un fesso, con una morbida matassa di capelli -certamente non confondibili con i propri- schiacciata contro uno zigomo, delle braccia allacciate al torace ed il peso di un corpo morto sulla gamba.
Il suo primo pensiero fu che se li avessero visti sarebbe stata la fine sua e dei suoi maldestri tentativi di insabbiare l’attrazione che provava per lui.
Il secondo fu che tuttavia era buio e logica voleva che non sarebbero stati in grado di farlo.
Il terzo fu che Gandalf avrebbe nondimeno potuto illuminare nuovamente l’antro da un momento all’altro.
E il quarto fu che Legolas stava tremando e che pertanto dei precedenti tre non gli importava nulla.
Non esitò un attimo di più prima di stringerlo a sua volta, premendo la sua testa contro l’incavo tra il collo e la spalla, come incoraggiandolo inconsciamente a nascondervisi e circondando le sue spalle con l’avambraccio, con un trasporto tale da far dubitare chi fosse dei due ad aver bisogno di quel sostegno.
Sciocco di un elfo caparbio ed orgoglioso, alla fine ti sei deciso a chiedere aiuto…
Il respiro dell’amico, a pochi millimetri dal suo orecchio, era innaturalmente accelerato e le sue mani artigliavano convulsamente la tunica dell’uomo quasi si stessero disperatamente aggrappando ad un’ancora di salvezza, in un impeto che non sapeva se fosse nato dalla loro recente riconciliazione o dal profondo terrore da lui celato.
In ogni caso, quel contatto gli aveva dato modo di toccare con mano quanto il Luminoso si fosse spinto oltre i propri limiti nel voler rimanere fedele alla compagnia pure a costo di entrare nelle miniere, che gli elfi temevano almeno quanto i nani le foreste. E sentirlo così scosso e spaventato per la prima volta da quando lo conosceva, aveva risvegliato in lui un qualche istinto protettivo talmente potente da chetare qualunque altro pensiero, sconcezze e manie di persecuzione comprese.
Riflettendoci, era la prima volta dopo lunghi anni di amicizia che si abbracciavano. Mai avevano sentito il bisogno di dimostrarsi il loro affetto con gesti così espansivi, loro sapevano che avrebbero potuto contare sempre l’uno sull’altro e questo era sempre valso più di qualunque smanceria. Non si erano sicuramente mai lasciati andare a certi comportamenti equivoci, come il tenero bacio che Aragorn posò impulsivamente su quella chioma dorata per poi sperare ardentemente che l’altro non l’avesse avvertito. Strano come quei gesti venissero un po’ più facili al buio, strano come quell’elfo fosse stato in grado di tirar fuori da lui quella dolcezza che nemmeno credeva di possedere. Effettivamente però, era da un po’ di tempo che erano iniziate ad accadere cose strane all’erede di Isildur.
«Hannon le» mormoró sommessamente Legolas, allentando appena la presa e scendendo ad appoggiare la guancia contro il suo petto, ma senza smettere di stringere con le mani la sua tunica logora.
«Shhh» fu la risposta del Dùnedain, che ben volentieri alzò il braccio per permettergli di accoccolarsi tra questo ed il torace, prendendo poi ad accarezzargli rassicurante la spalla «Non c’è niente da ringraziare». Improvvisamente si scoprì per nulla desideroso di esser sciolto da quella stretta.
 
Aragorn non seppe esattamente per quanto tempo stettero in quella posizione, ma percepì a poco a poco i muscoli dell’altro distendersi, le sue mani prima serrate sulla stoffa aprirsi e posarsi ferme sopra di lui ed il suo respiro farsi più placido, in sincronia con il proprio. In qualche modo era riuscito a far cessare quel terribile attacco di panico, ció nonostante, per qualche motivo, non smise di accarezzarlo, stringendoselo al petto. Non sentì la stanchezza nelle braccia o la noia di quel gesto così ripetitivo, che una volta sdoganato non era nemmeno più motivo di imbarazzo per lui.
Quando la luce di Gandalf tornò nuovamente a rischiarare le pareti rocciose e la sua voce lontana li informò che aveva deciso la strada da prendere, Aragorn aveva raggiunto uno stadio di pace interiore tale che seppe perfino resistere all’impulso di saltar su come un salmone per evitare di farsi scoprire in simili atteggiamenti. A dirla tutta, anche se avesse voluto, quella stasi dei sensi in cui si trovava gli avrebbe impedito di compiere qualunque gesto richiedesse una velocità maggiore di quella di un bradipo.
“Ma sì” si disse ancora completamente instupidito, “in fondo Frodo e Sam si abbracciano sempre perché sono amici e nessuno ha mai pensato di fare dell’ironia sulla cosa… A parte Boromir, ma si sa che Boromir è un decerebrato …”.
«Aragorn! Legolas! Prima vi mettete in marcia, prima potrete giacere nuovamente su un morbido prato, al posto di questa fredda roccia!» Fu l’esortazione che lo stregone fece loro comparendogli improvvisamente davanti ed accecandoli con quella bianca luce puntata nei loro bulbi oculari. Dopodiché, senza minimamente sospettare quanto pessima fosse stata la sua scelta di parole, si raddolcì facendogli un occhiolino che fece rivoltare l’intero tubo digerente di Aragorn e si mise in cammino.
Legolas, ripresosi del tutto, si alzò in piedi scattante ed attivo come era solito essere e, dopo aver regalato all’uomo un delizioso sorriso riconoscente, si allontanò portandosi in testa al gruppo e festeggiando il ritorno alle proprie facoltà con chissà quale colpo basso, che fece riecheggiare nella grotta le bestemmie di Gimli, e successivamente quelle di Gandalf che ingiungeva loro di fare silenzio.
Aragorn però era rimasto troppo scioccato dalla frase dello stregone e soprattutto da quell’occhiolino per potersi riprendere così in fretta. Era stato come esser svegliati da un bel sogno in modo particolarmente spietato e turbolento. All’improvviso tutte le preoccupazioni che la sua mente aveva temporaneamente deciso di obliare erano tornate, più assillanti ed incombenti che mai.
Mentre raccoglieva a sé il senno rimasto al fine di convincersi che di sicuro Gandalf aveva utilizzato la parola “giacere” con un’accezione ben più innocente di quella che era venuta in mente a lui e che in quell’occhiolino non vi fosse alcuna della malizia che vi aveva intravisto, arrivò improvvisa e folgorante l’illuminazione. 
Pipino, Boromir, la radura… “Giacere nuovamente su un morbido prato”. GANDALF… ANCHE TU??
In un attimo sentì mancarsi la terra sotto i piedi: non poteva credere che anche il vecchio stregone avesse alluso a quell’episodio! Ma allora Pipino l’era andato a spifferare proprio a tutti! Stando così le cose era ovvio che, trovandoli avvinghiati a quel modo, al Grigio fosse venuto naturale fare un’associazione -che probabilmente aveva ritenuto anche simpatica- con quella volta in cui li avevano “beccati” nella radura.
Quale terribile leggerezza aveva appena commesso? E non era nemmeno riuscito a studiare la reazione degli altri compagni, abbagliato dal bastone dello stregone!
Una cosa però era certa, decise mettendosi finalmente in cammino verso gli altri, avrebbe chiesto spiegazioni a Gandalf, una volta usciti da quella miniera infernale. Soprattutto su quell’occhiolino, per Lùthien.

  
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