Si guardò attorno: le pareti spoglie erano bianche, di un bianco ottico, la porta era blu notte.
Si guardò le mani, scarlatte e poi sangue e la lametta .
Le esili braccia erano scavate da rossi solchi, quelli rimarginati incorniciavano i sanguinanti, come in una grottesca e suggestiva composizione .
Le ricordava Kandinsky .Rise istericamente.
Si abbandonò sul pavimento , lasciando che i vestiti si impregnassero del fluido che a fiotti sgorgava dai suoi polsi.
Provò ad immaginare che il soffitto non ci fosse, che sopra di lei ci estendesse l’universo infinito, con le sue stelle , le galassie e i pianeti con i loro asteroidi.
Immaginò di levarsi in cielo, di fluttuare in quell’immensità, di immergersi nell'oscurità, come faceva da bambina, nelle profondità dell’oceano,in cerca di chissà quale tesoro.
Sollevò la mano ormai scheletrica verso le stelle, cercando di afferrarle – il sangue iniziò a colare, depositandosi sulle sue guance, restituendo il colore che avevano perso da tempo, in quell'ultima ora.
Si dice che prima di morire si vedano le memorie dei momenti migliori scorrerti davanti alle pupille, facendole brillare di felicità , prima della notte senza alba .
Ma neppure questo privilegio le fu concesso.
La sua mente si affollò dei ricordi dei suoi fallimenti, della sue delusioni, delle sue aspettative mai realizzate e il familiare senso di inadeguatezza nei confronti di quel mondo che stava per lasciare la pervase.
Il cielo stellato scomparve e i suoi occhi si spensero , ormai ciechi riflettendo la luce delle lampade.
Il nulla che fu era stato restituito al nulla eterno, a cui era sempre appartenuta.
Non era stato morire, era tornata a casa.