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Autore: Painting_Flowers    30/01/2014    1 recensioni
[Alex Gaskarth/Taylor Jardine]
Dall'ottavo capitolo:
- A volte ci penso. È buffo, abbiamo cominciato a odiarci e guarda dove ci ha portato tutto questo: siamo stesi sul prato di una casa sconosciuta coperti di...è gelatina? – disse Alex, assaggiando la sostanza zuccherina verde sul suo mento e Taylor rise.
- È tutta colpa di Jordan. Prima o poi lo soffocherò con il cuscino mentre dorme. – replicò lei con un sorriso dolce. Il cielo li sovrastava con le prime stelle che comparivano tra le sfumature blu scuro. Anche se credevano che sarebbe stato meglio tornare da quel gruppo di scalmanati, preferivano rimanere lì: non sapevano che in realtà era esattamente quello che i loro amici speravano.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Gaskarth, Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5

Churchill Street era una via che collegava il centro alla periferia, tranquilla, piena di giardini e case bifamigliari che erano state costruite da poco. Tutto questo era il panorama di sette anni prima.
Ora i parco giochi nascondevano le bottiglie di birra e le siringhe con l’erba alta e incolta, mentre i muri dei centralini elettrici saltavano all’occhio per i loro graffiti colorati, con l’intonato che cadeva a pezzi, ed è proprio in questo ambiente che Jack venne a fare la conoscenza di Zachary Merrick.
 
La droga non era la ragione per cui quel ragazzo si rintanava in una strada tanto malfamata, ma sapeva bene che Holly abitava lì. Inizialmente si era chiesto se fosse il caso di passare da casa sua, dopo che Alex era tornato a casa e gli aveva messo la pulce nell’orecchio, per poi cambiare idea quando pensò che lei non lo conosceva. L’istinto però non lo mise di fronte ad una scelta, bensì lo catapultò tra i mozziconi di sigaretta e i vicoli stretti prima che lui stesso se ne rendesse conto.
 
Durante il tragitto si era reso conto che in fondo Holly non gli piaceva particolarmente, ma ormai si era puntato a provarci. Quella era una malinconia che Alex non poteva capire. Quel ragazzino si lamentava nonostante la sua vita fosse sempre così spensierata, così felice, che Jack aveva spesso voglia di mollargli due schiaffi e chiedergli di cosa diavolo si lamentasse.
Di certo non era lui che doveva combattere contro il diabete ogni santo giorno.
 
Nonostante la malattia al pancreas, Jack non aveva smesso di bere ogni sabato sera e trascorreva la sua vita come se nulla fosse, anzi, cercando di vivere più esperienze possibili. Non sarebbe vissuto a lungo, gli erano stati requisiti almeno venti anni dal momento in cui le analisi erano state confermate.
 
Jack quindi non capiva se quell’ossessione di avere una vita fuori dagli schemi e senza problemi né limitazioni fosse data dalla malattia o dal suo carattere stesso. Si ritrovò a pensare che Holly era un’autentica sgualdrina ed era svenevole solo con chi sembrava uscito da una rivista di intimo maschile e decise di cambiare strada. Svoltò al primo vicolo che trovò, senza preoccuparsi di andare a finire in brutti posti. Tra due muri grigi e sporchi, sostava un ragazzo intento a fumare una sigaretta, con due braccia muscolose che avrebbero potuto sollevare il cassonetto in fondo alla via senza troppi problemi.
 
- Merrick. – disse Jack, attirando l’attenzione del ragazzo.
- Barakat. – rispose l’altro con un cenno. Il suo piercing alla narice sinistra riluceva in un raggio di sole sfuggito alle nuvole che ricoprivano il cielo.
- Passa. – disse Jack, guardando il pacchetto in mano a Zack.
 
- Non sapevo fumassi. – dichiarò il ragazzo, lasciando che l’altro prendesse una sigaretta.
- Ogni tanto, ma so che tu fumi solo quando qualcosa non va. Che succede? – replicò Jack, con un atteggiamento distaccato che poco gli si addiceva.
- Malinconia. – spiegò Zack alzando le spalle. Non gliene fregava molto del mondo. Il fatto che fosse cresciuto con un’istruzione in casa data da una madre sempre impegnata a fare altro non l’aveva reso un amante delle relazioni sociali.
 

Erano passati otto mesi da quel giorno di febbraio. Jack girovagava in quei vicoli perduti e dimenticati da tutti per abbreviare il percorso verso casa, ma gli bastò avanzare per pochi metri per incontrare tre teppisti del posto. Tra loro tre, uno sembrava avere un’aria particolarmente indisponente, come se gli bastasse schioccare le dita per decidere il destino di qualcuno.
- Bella maglietta, amico, sembra quasi nuova. – cominciò questo, indicando la maglia con la scritta “BONER”. – Te l’ha lavata e stirata la mammina? –
Jack sembrava aver perso l’uso della parola, ma continuava ad aprire la bocca, cercando di riprendere l’ironia che lo caratterizzava. Il silenzio era un’arma a doppio taglio: la situazione poteva migliorare, come poteva semplicemente peggiorare.
- Avrai sicuramente dei soldi dietro. – continuò il tizio, avvicinandosi e fingendo un tono pacato.
- Veramente sono al verde, più al verde del prato e dei deliziosi capelli del tuo amico. – replicò disperatamente Jack con un sorriso molto tirato.
- Non sei simpatico, stronzo. Svuota le tasche o ti appendiamo al palo della luce. – ribatté il teppista, adottando il tono brusco e provocatorio. Gli aveva già tirato un pugno quando fu interrotto.
 
- Mike, ti consiglierei di lasciarlo perdere. – disse stancamente un ragazzo dai ricci capelli castani che aveva notato la scena.
- Zack, amico mio! Sembri in forma.  Ci occupiamo di questo frocetto e poi ti ascoltiamo. – disse allegramente il teppista di nome Mike.
- Mi devi un favore, ricordalo. Lascialo stare. – ribatté secco Zack. L’altro parve incupirsi e dopo qualche secondo di riflessione decise di allontanarsi.
- Ok, ma solo perché hai mantenuto il segreto. – rispose Mike con tono minaccioso, voltandosi per andarsene, seguito a ruota dagli altri due.
 
- Grazie, mi avrebbero pestato. – disse Jack dopo un sospiro di sollievo e un massaggio all'occhio colpito, ma quel ragazzo riccio l’aveva ignorato ed era tornato ai suoi impegni.
- Ehi, dai, ascoltami! Sei un genio, ti devo ringraziare. – gli urlò dietro Jack e corse per raggiungerlo.
- Vuoi ringraziarmi? Lasciami in pace e a mai più rivederci. Così siamo pari. – sputò seccamente Zack.
- Che favore hai fatto a quel tipo? Da queste parti sono tutti messi male, deve essere qualcosa di grosso perché non mi abbia riempito di calci. – disse l’altro, ignorando il riccio. Da parte sua, Zack pensava che avrebbe potuto lasciare quel petulante ragazzo al suo destino, invece di trovarselo tra i piedi.
- Hai intenzione di seguirmi? – domandò il riccio dopo qualche secondo di silenzio e camminata.
- Sì, mi stai simpatico. Non parli molto, ma sei a posto. – rispose Jack tranquillamente. Zack alzò impercettibilmente le sopracciglia, sorprendendosi per quella risposta: nessuno l’aveva mai ritenuto “a posto”. Lui era sempre stato il bambino silenzioso e invisibile del quartiere malfamato o il ragazzo muscoloso che non ispirava fiducia.
 
Così, in questo modo strano, era iniziata un’amicizia particolare, di cui nessuno era a conoscenza. Si vedevano qualche pomeriggio per parlare della propria vita in generale, ma nessuno di loro sapeva molto dell’altro. Conoscevano le proprie ombre interiori e i loro rimpianti, eppure Jack non aveva idea di cosa l’altro facesse il resto del tempo o della sua situazione famigliare. Parlavano di loro stessi e questo bastava: avevano trovato una persona che li comprendeva, perciò non necessitavano di altri argomenti.
Jack non poteva sapere che la madre di Zack faticava ad arrivare a fine mese, ma era una cosa a lui nota che volesse essere normale e passare il sabato sera con i suoi amici normali come un ragazzo normale. Zack non sapeva delle numerose storie di Jack, ma era sicuro che avesse il diabete e rimpiangesse i propri momenti di eccesso e pazzia perché gli avevano sempre causato solo guai.
L’unica cosa che nessuno dei due sapeva è che in poco tempo si sarebbero trovati più vicini di quanto non fossero.
 

- Che ne diresti di fare un giro? – propose Jack, tornato dal flashback che lo aveva assalito.
- Mi scoccia. Qui sto comodo. – rispose Zack appoggiato al muro.
- Almeno sediamoci su una panchina. Mi sono stancato di stare in piedi. – replicò l’altro ridendo, al che il riccio non disse nulla e se seguì l’amico verso la strada principale.
- Non mi hai mai detto che favore hai fatto a quel tizio che stava per picchiarmi. – buttò lì Jack, curioso di saperlo. Zack si limitò a grugnire di disapprovazione e decise di lasciar perdere.
- Non puoi tenermi sulle spine così! – protestò Jack, spintonandolo, ma vide che l’altro non si era spostato di un millimetro e mise il broncio. Appena Zack lo notò sbuffò e scosse la testa sorridendo: che ci poteva fare con quello? Ormai era diventato suo amico ed era difficile scrollarselo di dosso.
 
- Prima o poi dovrò presentarti Alex e Rian. Non so se andreste d’accordo ma potreste provarci. – disse Jack all’improvviso, sollevando l’argomento. A quella proposta, il volto di Zack si scurì: si sentiva geloso quando il suo amico nominava persone che non conosceva e questo Alex sembrava piuttosto frequente nelle frasi dell’altro.
- Non so neanche chi siano. Parli di gente e non so a chi ti stai riferendo, mi sento fuori luogo e non è bello. – disse seccamente il riccio.
- Calmati. Che ti prende? – domandò l’altro preoccupato.
- Allora da adesso fai parte della nostra compagnia. Vieni con noi ad una festa sabato? – continuò Jack con tono rassicurante e capendo il problema dell’altro.
- No. Io non giro il sabato sera e in più mi sentirei d’intralcio. Non mi conoscono, non mi rivolgeranno la parola. – rifiutò Zack, credendo di essere un peso per il mondo.
- Scordatelo, ti accoglieranno bene! Sei troppo negativo, devi rilassarti. – replicò l’amico con allegria.
-  Basta, Jack. Smettila di rompere le palle. – disse il riccio, infiammandosi e lasciando il silenzio tra loro due.
 
- Cercavo solo di aiutarti. – sussurrò Jack con i grandi occhi puntati sull’altro.
- Non capisco nemmeno perché mi stai vicino. Uno come te dovrebbe girare al largo da un asociale. – disse Zack tra i denti, sedendosi su un muretto.
- Sei mio amico. Ci sto bene con te, a volte credo tu sia l’unico che mi capisca davvero. Chi mi sta accanto da troppo tempo si sta stancando di me, tu invece mi ascolti. – rispose l’altro, guardando il marciapiede. A quella risposta il riccio si zittì, poiché non sapeva cosa replicare oppure perché preferiva non discutere.
- Fidati, non sto con te perché mi fai pena o cose simili. Vorrei anche che ti unissi al mio gruppo, così non ti sentiresti tanto solo. – continuò Jack, cercando di convincere il proprio amico. Stava pensando a come terminare il discorso, quando udì uno sbuffo e vide Zack voltarsi verso di lui.
Gli sorrise, sperando di inviargli un po’ di sicurezza che gli mancava e l’altro lo invitò a sedersi accanto a lui.
 
- Pensi mai a come le persone si incontrano? È strano. – disse Jack dopo qualche secondo.
- Parli del destino? Io non ci credo. Ognuno fa quello che vuole e poi subisce le conseguenze: secondo me funziona così. – replicò Zack, guardando il cielo che si era liberato da alcune nuvole.
- No, sembra troppo assurdo. Io credo ci sia qualcos’altro. Non sto pensando a chissà quale divinità, ma a uno schema. Ognuno di noi ha delle strade e da quelle strade poi ci sono altri rami, come un grande diagramma. – ribatté l’amico, fermamente convinto di ciò che diceva, ma l’altro iniziò a ridere.
- Che c’è? – domandò Jack sulla difensiva.
- è quello che ho detto io, idiota. – spiegò Zack, prendendo la testa dell’altro e strofinando.
- Dai, piantala! Te la farò pagare un giorno. Ricorda le mie parole. – lo minacciò scherzosamente Jack, con la testa bloccata da un suo braccio muscoloso.
In effetti era strano come quelle due persone fossero entrate in contatto, appartenenti a mondi diversi. Nonostante tutto, c’era una profonda amicizia tra loro, ma per uno dei due, era molto di più.
 
 
 





 
 
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Scusate per il ritardo di due settimane, ma ho avuto un po' da fare. Mi sono accorta che la mia storia è troppo superficiale e ovlevo aggiungere qualche fattore problematico. Vi piace l'entrata di Zack? Fatemi sapere!
  
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