Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    31/01/2014    4 recensioni
Sono passati ormai otto anni dalla prematura morte di re Joffrey; ora sul Trono di Spade siede Tommen Baratheon, bello quanto ignaro, manovrato con fine astuzia dall'intraprendente moglie, Margaery Tyrell. Al Nord regna Bran Stark: il suo improvviso ritorno è avvolto in una caligine di mistero, così come il sinistro e devastante potere grazie al quale ha conquistato il comando; al suo fianco c'è la moglie Meera, ma a corte tutti sanno che il re passa le notti nel letto del suo consigliere più fidato. Quando, per vendicare i torti subiti dalla sua famiglia in passato, il principe barbaro Rickon Stark si sporca le mani di sangue Lannister e rapisce la principessa Myrcella, non si può più tornare indietro: è guerra. Che parte interpreteranno Sansa Stark, Yara Greyjoy e Gendry Waters in tutto questo? Tra amori conflittuali, alleanze strategiche e scandali a palazzo, i nuovi concorrenti possono schierare le pedine: e che il gioco del trono abbia inizio.
(Bran/Jojen; Rickon/Myrcella; Gendry/Arya)
Genere: Generale, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bran Stark, Myrcella Baratheon, Rickon Stark, Shireen Baratheon, Tommen Baratheon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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IX. Celeste fu il rimorso.








Quando giunse a far visita alla tenda di suo fratello, Rickon era reduce negli ultimi tre giorni da ben due esperienze che l'avevano scosso.
La prima era stata la totale e distruttiva perdita del controllo dei suoi poteri da parte di Bran, naturalmente, mentre le seconda risaliva a solo poche ore prima. Era accaduto che una sera, quasi casualmente, Rickon s'era lasciato sfuggire qualcosa a proposito del fatto ch'egli si dilettava, spesso in modo alquanto sconveniente, in vagheggi mentali nei quali Myrcella era la protagonista -e fin qua nulla di strano. Ciò che davvero aveva reso depravata quella confessione era che la giovane Lannister, nel corso di quelle fantasie, era intenta a scellerati atti di cannibalismo estremo, quali scuoiare una vittima viva con i denti e mordicchiarne le corde vocali dopo aver dilaniato la giugulare; ad ogni modo, quelle rivelazioni erano sopraggiunte senza impegno alle labbra di Rickon, ma non era quello che Myrcella recepì. Ella infatti, vincolata da un senso d'obbedienza, d'obbligazione ed idolatria verso il ragazzo, sfrenatamente ed ansiosamente desiderosa di compiacerlo e di non annoiarlo mai, decise di tenere fede alla propria sottomissione volontaria ed incondizionata, e così di dimostrarla e ribadirla per l'ennesima volta, accondiscendendo -seppur non proprio bendisposta, e quindi solo in parte- a quegli obbrobriosi capricci. Per fargli una sorpresa non lo informò dei propri propositi ed approfittò della sua assenza, durante il pomeriggio, per procurarsi ben quattro catini di sangue umano. Non scarseggia di certo, di questi tempi, si era ritrovata a pensare tristemente. Si assicurò che non fosse prelevato da corpi morti per malattia, per timore che potesse essere infetto, ma soltanto da ferite di guerra o -cosa che non poteva fare a meno di impressionarla terribilmente- da cadaveri deceduti da un giorno o due. Quando richiese ciò che le serviva, venne guardata con sbalordito orrore e sgomenta diffidenza da tutti, ma le bastò nominare Rickon e le sue esigenze per vedere tutti scattare sull'attenti, disposti a procurarle quanto domandato senza fare troppe domande. Meno si sapeva, del principe-lupo e del re Metamorfo, meglio era: questa lezione si imparava in fretta, fra le truppe del Nord.
Così Myrcella trascorse il pomeriggio ad esercitarsi, a prendere familiarità con ciò che le sarebbe toccato fare quella sera. Non appena portò alle labbra il primo boccale di sangue della giornata, con mano esitante, il solo odore intenso e penetrante la spinse ad allontanarlo con ribrezzo dal viso. Ma dopo pochi istanti ci riprovò: doveva farlo per Rickon, si ripeteva, per Rickon. Questa volta resistette stoicamente al fetore che emanava e riuscì a bagnarsi la lingua con il liquido scuro, però non ne inghiottì nemmeno una goccia; lo sputò a terra tutto, assolutamente disgustata non solo nella gola, ma anche nell'animo. A prescindere dall'influenza inevitabile della consapevolezza, il suo stesso corpo si rendeva conto che c'era qualcosa di sbagliato in quello ch'ella cercava di fare e respingeva violentemente tale empietà. Tutta sconvolta e tremante, Myrcella non si diede per vinta e tornò a colmare il bicchiere daccapo. Inizialmente si limitò a sciacquarsi la bocca con il sangue, per abituarsi al pesante sapore acre, turpe e ferrigno, e infine ad ingoiarlo prudentemente, a piccoli sorsi; dopo un paio d'ore scoprì che il suo palato se n'era avvezzato e le sue narici distinguevano appena il fastidioso pizzicore aspro che esalava. Fu così che quando, calata ormai la notte, Rickon fece ritorno alla tenda, esausto ed assonnato, venne salutato da una Myrcella inusualmente allegra e sorridente, perchè l'incontro con Tommen l'aveva lasciata nostalgica e rattristata dalla piega degli eventi, dalla tremenda scelta che le era stata imposta e dal conseguente esito. La fanciulla gli offrì un bicchiere, ma Rickon non dovette nemmeno portarlo alla bocca per realizzare che quello non era vino, ma sangue; sollevò gli occhi, per chiedere spiegazioni, e in tutta risposta Myrcella sorbì il contenuto del suo boccale in tutta fretta; un po' troppo in fretta, perchè lunghi rivoli cremisi scivolarono dalle sue labbra avide e gocciolarono sulla pelle immacolata del collo, a macchiare il corpetto. Cos'altro avrebbe dovuto fare lui, ritrovandosi Myrcella con la bocca lorda di sangue umano, le vesti discinte e i suoi grandi occhi verdi spalancati, in giubilante attesa d'approvazione? In seguito, alcune ore dopo, la ragazza decretò che ne era valsa davvero la pena.
La mattina seguente, Rickon si presentò dunque per verificare le condizioni di Bran, mezzo stordito dai ricordi della sera prima.
-Posso vedere mio fratello senza rischiare che mi esploda il cranio?-
Septon Gilliard, che si era preso cura di sua Maestà il re fin da quand'era crollato nel sonno asettico del latte di papavero, scosse la testa con mestizia. -È troppo debole anche solo per alzarsi in piedi, e quindi inoffensivo. Il suo stato sembra cosciente, tiene gli occhi aperti e a volte si muove, ma non ha ancora pronunciato una sola parola. La sua presenza potrebbe donargli un po' di conforto, mio principe. Può stare tranquillo: da quel punto di visto, lei non corre nessun rischio.-
Rickon fissò l'ingresso della tenda per qualche istante, prima di liberare un lungo sospiro sofferto. Il suo era un compito ingrato, lo sapeva, ma improrogabile, che soltanto lui poteva assolvere: bisognava sperare che non fosse troppo tardi per salvare Bran. L'aveva visto come mai prima, come se si fosse spezzato per la seconda volta. Erano passati due giorni interi e nessuno aveva avuto ancora l'ardire d'avvicinarsi al re Metamorfo, non dopo l'innominabile abominio che si era consumato in quella stessa tenda, quando il sangue dei soldati del Nord aveva macchiato i vessilli degli Stark, dopo che quello di Jojen Reed aveva imbrattato le mani dei Lannister.
-Vado, allora.- bofonchiò, afferrando il lembo della tenda con una mano. Dopo un ultimo istante, la strattonò con forza.
Nonostante in quell'opprimente spazio angusto facesse un gran caldo, Bran era sommerso da una catasta di pellicce; il capo era avviluppato dalla federa di un gigantesco cuscino ed i capelli colavano sulle sue spalle, opachi e scompigliati, incollandosi alla sua pelle rovente. Piccole gocce di sudore erano disegnate in controluce, sulla sua fronte paonazza. La carnagione aveva un colorito effettivamente insano, come se una febbre feroce lo stesse divorando dall'interno. Eppure, sebbene apparisse esanime, non era statica la sua sofferenza; era fremente, nervosa, irrequieta, vibrava sotto la sua pelle, formicolava nelle fibre dei suoi muscoli, nella sensibilità dei suoi nervi.
Rickon rimase lì in piedi, ad aspettare, sentendosi un po' stupido ed un po' inutile -perchè era Bran a dover fare tutto da solo- ma non fuori posto. Rimase a fissarlo con lo sguardo aguzzo e le palpebre chine in un'espressione distaccata, superiore.
Bran aprì gli occhi. Avvenne in modo repentino, in un frullio di ciglia nere. I suoi occhi erano dischi di tenebre, come portali su un mondo d'ingenua, vellutata, casta oscurità. Le ombre degli abissi vi si erano annidate come ragni che nidificassero nelle fessure delle roccaforti; lo sguardo rimase immobile, implacabile, mentre la sua anima si dibatteva urlando. Il fuoco aveva invecchiato la sua tristezza di duecento anni.
-Chi?- La sua voce si fece strada come uno stridio fra pareti arrugginite, combattendo contro il dolore. Dalle labbra morsicate, uscì così rauca che Rickon provò un deplorevole, triste turbamento. -Chi è stato?-
Voleva sentirlo, voleva saperlo. Voleva sapere chi aveva spento la luce negli occhi che amava, chi lo aveva strappato dalle sue braccia troppo deboli per difenderlo, a chi si poteva ricondurre quel panico che gli serrava lo stomaco. Voleva sapere.
La sua calma apparente era soltanto stanchezza, uno sfinimento simile a quello delle ultime scintille che non riescono ad appiccare fiamme fra le braci. La sua voce era soltanto un'estrema supplica. Rickon distolse lo sguardo, storcendo il naso, mentre il sinistro malessere che provava quando vedeva Bran vacillare gli avvinceva le membra.
-Si dice si sia suicidato.- riportò a voce fredda. La risata di suo fratello fu quanto di più atroce le sue orecchie avessero mai percepito, un gemito sotto mentite spoglie.
-Oh, ma certo.- Il sarcasmo era aspro come sangue malato.
-Effettivamente ha un senso.- insistette Rickon, cercando di dissimulare il disagio che provava. -Tyrion Lannister non è un idiota, non l'avrebbe mai... hai capito. Probabilmente voleva che gli snocciolasse qualche previsione, e lui...- Lo struggente panico raggrumato nello sguardo fisso del suo re lo innervosì non poco. -Senti, Bran. Non ti puoi permettere di reagire così.- sbottò con veemenza.
Bran schiuse le labbra e, faticosamente, emise un rantolo che aveva lo stesso sapore delle alte grida di pochi giorni prima, inarticolato ed arido, prosciugato di tutto il suo furore ma ancora pregno di desolazione. -Rickon.-
-Sta' attento a quello che stai per dire.- lo interruppe subito lui, alzando il palmo verso di lui. -Dimmi che vuoi tornare a casa, e ti darò un cazzotto. Dimmi che vuoi ucciderti, e ti darò un cazzotto.- lo avvertì poi, con tono minatorio.
Bran gli rivolse un'occhiata vitrea, quasi distratta, senza guardarlo davvero. La sincerità dolente delle sue parole fu pacata, riflessiva e così razionale da far paura. -Voglio uccidervi tutti.-
Rickon alzò gli occhi al cielo e sbattè le mani contro i fianchi, in un gesto esasperato. -Oh, è una risposta così idiota che non era nemmeno contemplata.-
Il fratello rivolse di nuovo il volto al cuscino, quasi a cercare il buio. Tutta quella coscienza e razionalità lo stavano uccidendo. Aveva bisogno d'intorbidire la propria mente, confondere i propri sensi, perdere la concezione di tempo, spazio e realtà. L'evasione gli era necessaria per avere l'empietà di gonfiare il petto nell'ennesimo, doloroso respiro.
Una domanda premeva contro le sue labbra serrate. 
-Quanti uomini?- Parole inutili d'un ricordo frammentario, tentativo fallito e tardivo d'un desiderio di espiazione che non provava.
Rickon contrasse il volto ad una rigida severità. -Sette.- pronunciò a voce alta, senza schermi. -Avevi mai ucciso più di un uomo contemporaneamente?-
Le labbra di Bran si contrassero come se stessero torcendosi sotto i colpi d'una tortura, fino a mimare un sorriso senza speranza di sopravvivenza, senza allegria di sorta.
-Non ci sono mai riuscito.- ricordò a voce fioca e rauca. Gli parve un'altra epoca quella in cui si addestrava nella caverna di Bloodraven per diventare una sistematica arma di distruzione, in cui uccideva i prigionieri Bolton in fila nella sala di Grande Inverno; quella in cui lui ed il suo consigliere facevano l'amore nel buio soffuso dei loro gemiti soffocati. -Jojen diceva che non mi ci impegnavo, che non mi concentravo, che non ci credevo veramente.... che non ero motivato abbastanza.-
Era ironico dirlo, dopo tutto quel ch'era successo. Ecco cos'era stato quel suicidio, un modo per motivarlo, per attivare quei maledettissimi poteri, per far scoppiare Bran in tutta la sua potenza. Jojen Reed aveva osato ciò che nemmeno la brutalità dei Lannister aveva potuto infliggergli, dolori di cui non conosceva nemmeno l'esistenza prima di quel momento. Jojen Reed aveva il suo cuore in mano e l'aveva sacrificato in nome di qualche losco intrigo, in nome del gioco del trono. Jojen Reed sapeva, come nessun altro sapeva, quanto disperatamente Bran fosse aggrappato a lui. E se l'era scostato di dosso con indifferenza.
Questo non era amore. Era odio, un odio nero, perverso ed efferato, in nessun modo paragonabile all'odio per i Bolton, all'odio per i Frey, all'odio per i Lannister. Era un odio ancora più spregevole perchè immotivato. Questo non era amore.
Jojen Reed non l'aveva mai amato in vita sua, probabilmente nemmeno per un fugace istante, nemmeno per un secondo. Aveva approfittato della sua debolezza per rendersi indispensabile, e perchè l'aveva salvato? Per il Nord. Era sempre stato il Nord. La salvezza del Nord era il suo obiettivo, tutto era il resto era secondario, accessorio, sacrificabile -Bran per primo.
Jojen Reed non aveva mai amato Bran Stark -casomai aveva servito il re del Nord. Era un concetto talmente diverso da sconcertarlo.
L'idea che quando Jojen scivolava nel suo letto stesse obbedendo ad un ordine, quando gli carezzava i capelli stesse intanto progettando di calpestargli l'anima, era quell'idea a devastarlo.
Le promesse, le parole, i baci... menzogne. Menzogne. Il compito era riportare gli Stark a Grande Inverno, dare un sovrano al Nord, e il resto non lo riguardava.
Bran si sentiva come se ciò che gli stava accadendo fosse la sequenza successiva di quella spaventosa situazione di molti anni prima, quand'era abbandonato in quel bosco -come se Jojen, dopo essersi accostato a lui per qualche tempo, fosse scomparso fra gli alberi, lasciandolo all'incuria della notte, nel totale smarrimento e scoramento precedente.
Se Jojen Reed avesse condiviso anche solo un granello dell'amore che Bran provava per lui, non si sarebbe permesso di morire per niente al mondo. E invece era andato dritto nelle fauci dei leoni, a farsi inghiottire. Jojen aveva potuto scegliere se spezzare il cuore al suo re o mettere in pericolo il suo esercito. Aveva scelto la prima opzione. La coltellata che aveva inferto alla propria gola in realtà era indirizzata all'anima di Bran. Non c'era nient'altro da aggiungere.
-Ma adesso lo sei, adesso sei riuscito a valicare il limite dei tuoi poteri, e quindi hai le armi per vendicarti.- stava ribattendo Rickon con energia.
Bran lasciò cadere gli occhi a terra, mentre l'amarezza gocciolava come sangue dalle sue labbra schiuse. -L'unica persona di cui voglio vendicarmi è morta.-
Come poteva piangere la vittima se allo stesso tempo era anche l'aguzzino? Come poteva piangere quell'orrore? In realtà piangeva se stesso, mosso a compassione dalla propria stessa vita come se la stesse guardando con gli occhi di un estraneo.
-Reed è stato indotto al suicidio, e il motivo per cui l'ha fatto è stata la lealtà verso...-
-Reed era a Delta delle Acque in quel momento, quando non avrebbe dovuto essere a Delta delle Acque.- sibilò Bran, infuriato da quel tentativo di discolparlo. -Vorrei che fosse ancora vivo soltanto per poterlo uccidere con le mie mani.-
Rickon indietreggiò istintivamente, nel vedere le iridi del fratello fremere di furore. Ma quei pensieri tormentosi e quello sbalzo d'ira dovevano essergli costati molta fatica, perchè nuovi rivoli di sudore impastarono l'attaccatura dei suoi capelli e gli rigarono la fronte. Il suo viso si fece scarlatto. Il dolore gli circondava il capo come una corona di zanne, pressandogli la fronte.
-Vado a chiedere a septon Gilliard di portarti dell'altro latte di papavero.- dichiarò Rickon, lanciando un'ultima occhiata inquieta a Bran. In realtà, i suoi piani all'inizio comprendevano anche l'annunciargli il fatto che il corpo di Jojen era stato trovato nelle macerie di una torre di Delta delle Acque e che lo avrebbero condotto all'accampamento, affinchè Bran decidesse in seguito quale fosse la sua ultima destinazione; ma evidentemente non era nello stato fisico ed emotivo adatto per udire parole simili.
Il fratello lasciò ricadere il capo sul cuscino, esanime.
-Non voglio dormire.- mentì. Perdere conoscenza sembrava l'unico modo per sopravvivere. Traditi due volte gli Stark, dunque, traditi di nuovo, e Bran non potè fare altro che chiedersi perchè, perchè.
***
Alayne Stone ebbe soltanto sette ore per tornare ad essere Sansa Stark; recuperare la sua identità era però l'ultima raccomandazione che Petyr le aveva impartito, prima di chiudere sopra la sua testa il coperchio del baule, quindi indubbiamente era importante che ciò avvenisse.
Ci mise un po' di tempo a fare mente locale, a disfare senza pietà il lavoro di integrazione, creazione, rimozione, la tessitura composta pazientemente in otto anni di lacrime asciugate in tutta fretta ed in nome di un'autoconvinzione inesistente: e tornò ai primordi. Eddard Stark ed il suo sorriso benevolo, che nonostante avesse sangue del Nord nelle vene la faceva sentire così protetta e al caldo. Catelyn Tully ed il suo tenace, intrepido affetto, il suo profumo di casa, la sensazione delle sue mani fra i capelli. Robb, che nascosto dietro alla diligenza ed alla risolutezza degni di un vero lord aveva un animo sensibile e coraggioso. Arya, quella peste di Arya, sempre con gli stivali incrostati di fango e un'aggrottata irrequietezza in viso, i suoi scherzi e le sue marachelle. Bran e Rickon, il suono delle loro risate che allietavano i pomeriggi a Grande Inverno. Sì, Grande Inverno, la sua casa. Casa. La sua stanza, il comò dove riponeva spazzole e piccoli monili, la sala dove si tenevano i banchetti, il cortile dove un tempo avevano accolto re Robert... L'arrivo dei Lannister. E qui i suoi pensieri s'incrinavano e il pallido celeste dei suoi occhi si scioglieva in lacrime. Ancora non era capace d'indifferenza, di fronte a quel ricordo, in special modo lì, al buio, dove non poteva distrarsi con nulla e quelle immagini dardeggiavano senza posa la sua mente; così poco ci sarebbe voluto, per non precipitare in quel baratro di folle dolore, così poco.
Alayne recuperò le sue emozioni una per una, l'euforia di quella prima, ora empia ed inenarrabile infatuazione per Joffrey, la vergogna che bruciava sulla sua guancia dopo che era stata colpita, alla quale assisteva la corte intera, osservando la sua veste squarciarsi al tocco della lama di una spada; raccolse il febbrile panico che si propagava celere come il sangue scuro di suo padre sul palco dell'esecuzione, le fantasie di fiamme e demoni sbocciate nella sua mente come un fiore velenoso nell'apprendere della distruzione di Grande Inverno; richiamò alla mente ed al cuore la soffice speranza di potersi stringere al fianco di ser Loras con un abito nuziale, l'ebbrezza fugace delle confidenze di Margaery, della fiducia nel realizzare di non essere sola in quella guerra silenziosa; scavò nel profondo delle proprie ossa fino a trovare le impronte delle mani degli uomini che l'avevano aggredita ad Approdo del Re, l'immagine del volto orribilmente deturpato del Mastino che la traeva in salvo; rievocò il sapore nauseabondo della delusione, fiele nelle vene mentre Tyrion Lannister le posava un mantello nuziale sulle spalle, e la puntura di lacrime acide come la realtà, come il vituperio quando il Folletto berciava ubriaco la sera della prima notte; lustrò nella memoria e disegnò sulle palpebre il viso angelico e distorto di Cersei Lannister, da alleata a nemesi, il terrore oscuro di quelle ore passate con lei durante la battaglia di Blackwater, la gioia selvaggia nell'apprendere della sua morte... no, no, tutto ciò apparteneva già ad Alayne. Andava tracciata una linea di confine ben definita, se davvero voleva abbandonare quelle spoglie ormai inutili, se voleva recuperare il diritto di sangue e portare il nome di Stark. Alayne Stone era soltanto una bastarda d'umili origini che aveva sposato un lord per pura fortuna, astuta ma passiva e condiscendente. Alayne Stone non serviva più a nulla.
E infine, inevitabilmente, i ricordi di ciò ch'era accaduto poche ore prima sopraggiunsero prepotenti. No, no, no, non doveva, non poteva, bisognava concentrarsi su Sansa, solo su Sansa... ma perchè tornava ad essere Sansa esattamente quando avrebbe voluto essere Alayne ancora per un po'? Non riusciva assolutamente a capire con che sfrontatezza avesse potuto baciare Petyr. Lui era un uomo maturo, non gli interessavano le ragazzine... oh, invece sì, una ragazzina in particolare sì, sussurrò una vocina nella sua mente. S'impose nuovamente di non pensarci, ma la mente vi ritornò inevitabile. Con che slancio eroico aveva osato accostare le labbra alle sue? E perchè, poi? Si era lasciata trasportare dall'emozione, dal timore di non vederlo mai più? Non credeva più negli arrivederci, non dopo i troppi che si erano rivelati addii. Sarebbe forse successo lo stesso? E lui come aveva reagito? Non l'aveva considerata una sgualdrinella, o peggio, una bambina capricciosa? Smettila di pensarci, smettila di pensare come Alayne! strillò quella voce nella sua testa. A Sansa non piacevano gli uomini adulti, casomai gli stupidi cavalierini infiorellati e i principi viziati ed odiosi con manie omicide... Ma certo che no, anche Sansa era cresciuta, non poteva essere esattamente la stessa di otto anni prima. Sansa non è innamorata di Petyr Baelish, rammentò a se stessa aspramente, perchè Sansa non è Alayne. Ma Alayne è anche la figlia di Petyr... ma a me piace Petyr. Quell'ultimo pensiero le fece scoppiare il cuore in gola, in un'esplosione forse di gioia o forse di paura. Alla fine, chi era Alayne? Chi era Sansa? Che differenza c'era esattamente fra i loro sentimenti, e chi era lei?
Quando, un'eternità di pensieri più tardi, il coperchio del baule si levò in alto, Sansa Stark aprì gli occhi contro la luce del giorno.
Una sagoma lunga e scura incombeva su di lei, ritagliata sul bagliore informe ed indefinito alle sue spalle. Sansa si strofinò gli occhi, confusa, ed aguzzò lo sguardo. Lo scenario era una specie di agglomerato di tende e viavai di uomini. La ragazza di fronte a lei non era dotata di particolare bellezza, ma aveva l'espressione carismatica ed attraente dei caratteri impetuosi; aveva una crocchia frettolosa di capelli scompigliati, ingrigiti da un velo di polvere, e la fissava con uno strano sguardo beffardo, sorridendo un sorriso un po' storto, come se sogghignasse. Vestiva come uno stalliere, con calzoni sdruciti e una camicia di garza a quadri, che le cingeva giusto il seno poco abbondante e ricadeva logora e sfibrata sui fianchi magri.
-Sempre la solita espressione scioccata, come se ti avessi macchiato il vestito.- motteggiò storcendo un angolo della bocca. Furono molteplici i dettagli che Sansa notò, di conseguenza a quelle strane parole: gli alti stivali di cuoio marrone, incrostati di fango essiccato, la lunga spada appesa alla cintura e quegli occhi, quegli occhi color del mare tempestoso... quegli occhi.
Quel nome
non osò nemmeno giungerle alle labbra: la ragione le impediva di pronunciarlo. Temeva che il destino potesse beffarla nel modo peggiore possibile, sopprimendo la sua ultima speranza, quella folle caduca speranza...
A quel punto, il viso della ragazza si contrasse in un'espressione imbronciata. -Non dirmi che non mi riconosci. Oh, su, avanti! Ci è riuscito Rickon e non ci riesci tu? C'è di che vergognarsi...-
Fu a quel punto che Sansa balzò in piedi e la strinse con tutta la forza di cui le sue braccia erano capaci. La sua anima l'aveva riconosciuta, finalmente. Non c'erano più schermi, più barriere che le dividessero, che impedissero il ricongiungimento. Adesso Sansa era riuscita a distinguere quel bagliore così prezioso, ch'ella credeva perduto nei meandri della propria memoria, a scorgere oltre il viso un po' diverso e le sofferenze così tempranti.
-Sorella.- Fu poco più che una supplica, mentre il sollievo dopo un'agonia di otto, nove anni si scioglieva nel felice delirio dell'avverarsi d'un miracolo. Era lei -la sua fantasia non avrebbe mai avuto tanta presunzione da formulare un'ipotesi simile, eppure l'evidenza si stagliava di fronte a lei come troppe volte si erano stagliate le sventure, le disgrazie, le tragedie. Mai aveva percepito una persona più intima, vicina e cara, più sorella di quella bambina che non vedeva da tempo, di quella ragazza che non conosceva.
Anche Arya l'abbracciò, con l'appassionato impeto e lo scalpitante furore ch'erano sempre stati suoi. La felicità scombinò i pensieri di Sansa come tasselli di un mosaico.
-Sei viva! Tu sei viva! Io non ci posso credere. Come... dove... cosa?- Rise, perchè al momento non aveva assolutamente importanza. Si sentiva così contenta che si chiedeva come quella gioia così grande potesse starci, in un cuore angusto come quello umano.
-È una storia lunga. Quel che importa è che Baelish ha rispettato i piani e ti ha portato dove avevamo stabilito, quando avevamo stabilito. Quell'uomo ha la tragica abitudine di fare di testa sua...- Arya le piazzò le mani sulle spalle e la squadrò per bene; si conteneva molto più di lei, però il suo sorriso era vivace come una fiamma, le guance paonazze di gioia e la sua emozione era evidente. -Ti dico la verità: non credevo che saresti sopravvissuta. Ero convinta di tornare a Westeros e scoprire ch'eri morta... uccisa da Joffrey o da chiunque altro. Invece ti sei rimboccata le maniche e hai preso in mano il tuo destino, a giudicare da quanto mi è stato detto. Volevo dirti che sono orgogliosa di te, anche perchè il tuo nuovo stile mi piace di più.- concluse, indicando il grembiule sporco di cenere che Sansa aveva scambiato con la serviciattola.
La ragazza si asciugò gli occhi umidi: Sansa Stark era sempre stata molto emotiva. Alayne di meno, ma non esisteva più, ormai. O no?
-E io? E io, quanto sono orgogliosa di te? Tu... sei fuggita, sei sopravvissuta, hai fatto perdere le tue tracce... sei fuggita da Westeros... hai ritrovato Rickon, hai ritrovato me! Oh, Arya, mi hai trovata! Ma tu... dove sei stata, esattamente? E... tu e Petyr eravate d'accordo?- Aveva le idee piuttosto confuse.
Arya annuì. -Si è messo in contatto con me, perchè qualcuno da Braavos l'ha avvertito della mia presenza. Così abbiamo discusso per corrispondenza. All'inizio credevo che fosse solo un imbroglione e volesse fregarmi, ma poi mi ha parlato di te, di come ti ha salvata e ti ha portata a Nido dell'Aquila; mi ha raccontato tutto quel che succedeva a corte, dalla morte di Joffrey al matrimonio di Tommen con una Tyrell. Mi ha raccontato di Bran, poi anche di Rickon. La mia fiducia se l'è guadagnata. Mi ha detto anche che per prima cosa, appena arrivata qui, avrei potuto rincontrare te.-
-Perchè Petyr ti cercava? E... che interesse ha ad aiutare me e te e la nostra famiglia? Credevo che odiasse gli Stark.- Sansa aggrottò la fronte pallida. Non riusciva a crederci, che quell'uomo stesse facendo tutto questo soltanto per rispetto verso il ricordo di sua madre. Se prima lo trovava improbabile, ora che poteva affermare di conoscerlo lo riteneva impossibile. Era intelligente, scaltro, e molto egoista: non faceva nulla che non gli recasse un tornaconto personale. Allo stesso tempo, le sembrava frivolo pensare che Baelish lo facesse per lei...
Arya alzò le spalle. -Questi sono affari suoi, ma da quel che ho capito crede che il regno dei Lannister sia ormai troppo fragile per resistere ancora a lungo. Poi di sicuro spera di ottenere qualche vantaggio, di ricoprire qualche carica importante qualora la rivolta avesse successo.-
Sansa sbattè le palpebre. -Scusa, quale rivolta? Vuole far salire te, sul Trono di Spade?-
Lei scoppiò a ridere. -Non io, cretina! Gendry. Gendry è fondamentalmente il motivo per cui mi cercava. Sapeva che, arrivando a me, sarebbe arrivato a lui. E arrivare a lui significa avere il Trono di Spade a portata di sedere.-
-Chi sarebbe questo Gendry?- chiese ancora Sansa.
Arya ghignò. -L'unico figlio bastardo sopravvissuto, e naturale, del fu re Robert.-
La sorella scosse la testa, sempre più esterrefatta. -Come accidenti sei finita ad andare in giro con il figlio di re Robert?! Perchè nessuno ad Approdo del Re lo ha mai cercato?!-
-La risposta alla tua prima domanda è che... ci siamo conosciuti e basta, chiamala fatalità del destino.- Arya fece un cenno scorbutico con il capo, chiudendo la questione. -E in passato qualcuno gli ha pure dato la caccia, ma è riuscito a sbarazzarsi di loro o comunque a scappare. Lui è uno forte. Adesso credo che nessuno sia al corrente della sua esistenza, ad Approdo del Re.-
Sansa si morse il labbro inferiore, pensosa. -Che prove avete a sostegno del fatto che lui è il figlio naturale di re Robert?-
-Intanto, la somiglianza innegabile. Quando re Robert aveva la sua età, dicono che fosse pressochè identico a lui, e chiunque abbia una certa età lo può confermare. In secondo luogo, lui stesso. Nessuno può dubitare che sia un Baratheon, anche Stannis l'ha detto... Te lo farò conoscere più tardi.- Arya sorrise fra sè, quasi intendesse un segreto umorismo. Sansa inarcò le sopracciglia.
-Se voi due vi conoscete... e c'è tutta questa storia del cercava-me-perchè-trovare-me-significa-trovare-lui.... significa che è il tuo ragazzo?-
-Non è il mio ragazzo!- esplose Arya, arrossendo furiosamente. -Ma perchè ne siete tutti convinti?! Siamo solo amici. Amici. E alleati.- aggiunse sdegnosamente.
Sansa represse una risata. -Va bene, va bene. Oh, Arya, mi sei mancata così tanto... mi devi raccontare tutto! Come hai vissuto in questi anni, e cos'hai fatto, e... dobbiamo recuperare il tempo perduto. Dopotutto, adesso abbiamo molto più in comune di quanto ne avessimo un tempo, giusto?-
Arya le rivolse una smorfia addolorata. -Sì, ma non so se si possa considerare un bene... Comunque sappi che non abbiamo molte ore per sollazzarci. Fra poco dovremo metterci in marcia.-
-Dovremo inteso in che senso? Io, te, questo Gendry e chi altri?-
-I rivoltosi che Baelish ha radunato prima del nostro arrivo. Non sono molti, ma d'altronde i Lannister ci noterebbero subito al loro seguito, se fossimo un grande esercito. Contiamo sul fatto che, appena giunti ad Approdo del Re, il favore del popolo sarà dalla nostra parte.-
Sansa sospirò: erano davvero troppe emozioni in una volta. Arya parve comprendere la sua stanchezza -aveva viaggiato per ore dentro una cassa non propriamente comoda e nemmeno particolarmente larga, e le fece cenno di seguirla. Le due sorelle Stark si avventurarono fra le tende dell'accampamento, dove gli uomini si preparavano a partire; i vessilli che sventolavano al vento frizzantino del tardo pomeriggio raffiguravano il mata-lupo degli Stark e il cervo dei Baratheon. Per un istante, osservandoli, Sansa si chiese che razza di regina sarebbe stata sua sorella, ma l'idea era un pelino inquietante e decisamente estranea, fuori dalla portata della sua immaginazione, così la scacciò. Le era molto più facile immaginarla a cavallo, con la spada sguainata, pronta a fare a pezzi i suoi nemici che seduta su un trono, ammantata di sete e broccato. Arya la condusse presso una tenda che per nulla si distingueva dalle altre, grigiastra e rattoppata, che però doveva essere la sua, perchè ne prese una bisaccia ed offrì alla sorella frutta, carne e persino qualche pagnotta di pane, sebbene un po' raffermo. Ma Sansa aveva una fame nera e divorò tutto con una smania che si placò soltanto quando la sacca delle provviste fu vuota; rammentò che avrebbe dovuto vergognarsi della scarsa femminilità che aveva dimostrato, visto che la Sansa Stark di un tempo l'avrebbe fatto, però realizzò di non averne nè il tempo nè la voglia. Arya la osservò mangiare con una sorta di ghigno, quasi che pensasse la stessa cosa.
Quando finalmente ebbe ingoiato l'ultimo boccone, Sansa potè porle una domanda che le stava a cuore.
-Prima hai accennato al fatto di avere parlato anche con Rickon... in che occasione?-
-Io e Gendry abbiamo fatto sosta presso Seagard, venendo per di qua. Avevamo acceso un fuoco e lui era stato mandato in esplorazione da Bran per accertarsi che non avessimo cattive intenzioni. Per poco non mi ha ammazzato.- commentò Arya, spiluccando una salsiccia.
Sansa sorrise. -Com'è diventato?-
-Non lo puoi neanche immaginare.- fu la lugubre risposta, accompagnata però dall'accenno di un sorriso divertito.
-Si raccontano storie terribili su di lui.- raccontò Sansa, pensosa. -Che sia cresciuto in un'isola di cannibali, che abbia sbranato pezzi di carne dal corpo di Myrcella Lannister...-
-Allora non hai ancora sentito quello che dicono su di me.- replicò Arya, infilzando con rabbia la salsiccia, che continuava a svincolare dalla presa dei quattro denti di ferro, per poi stufarsi ed afferrarla con le mani.
Sansa non sapeva se la sorella stesse scherzando o no, ma ad ogni modo ridacchiò poco convinta.
-Quando ci ricongiungeremo con Bran e Rickon? Non possiamo aspettare il loro esercito e poi fare irruzione nella capitale tutti insieme?-
-Non è saggio dare il tempo ai Lannister di organizzarsi, ed eventualmente di fuggire. Dobbiamo batterli sul tempo.- rispose Arya, con voce secca.
-E allora la nostra famiglia sarà quasi come prima.- mormorò Sansa, pensando che effettivamente la vecchia Sansa avrebbe detto proprio così -e comprendendo la reale entità di quei suoi pensieri.
-Quasi come prima.- ripetè Arya. Il sangue che grondava dalla sua salsiccia gocciolava sulle sue mani, correndo lungo l'ossatura sottile dei polsi e le falangi delle dita. Per qualche istante, non potè far altro che fissarlo con inquietudine.
***
Uno, due, tre, quattro: compiendo passi a larghe falcate, Yara Greyjoy attraversava la sala del trono di Grande Inverno con innata spudoratezza, lo sguardo arrogante alto davanti a sè. Il rumore dei suoi alti stivali contro le piastrelle del pavimento scandivano i secondi, il ritmo d'una strana tensione.
Meera Reed stava ancora pensando a cosa significasse davvero essere regina, quando la vide entrare dal suo scranno di pietra. Non si aspettava certo di ricevere ospiti. Indossava un abito in faille di seta nero, con una mantellina a frange di ciniglia lungo le spalle; sopra le sottovesti scure la gonna era grigia, con ricami di fiori ed arabeschi neri. Un lieve velo di seta, intessuti di fili fini come tessuto di ragnatela, le oscurava il viso cereo. Gli occhi, appena intuibili, erano gonfi e ancora liquidi di lacrime arrestate con violenza.
-Ho dato esplicito ordine di non presentare nessuno al mio cospetto.- La voce tuonò potente ed insfaldabile nella grande sala, colmandola senza sforzo. Il dolore non era mai stato sinonimo di debolezza per Meera Reed.
Yara Greyjoy sogghignò. -Io e la mia scure l'abbiamo chiesto per favore.-
Meera la riconobbe. Non l'aveva mai vista di persona, ma il sigillo inciso sulla corazza era infraintendibile: infraintendibile ed odioso.
-Qui non ci piacciono i voltagabbana.- replicò con astio, protendendosi verso di lei con il capo e reggendosi con le mani ai braccioli del trono. -E nemmeno le sorelle dei voltagabbana.-
Il ricordo di Theon Greyjoy e del suo imperdonabile tradimento era ancora vivo nella secolare memoria del Nord. Rickon aveva espresso la sua intenzione di dichiarare guerra anche alle isole di Ferro, ma non possiamo inimicarci tutti e sette i regni, aveva risposto Bran con raziocinio, altrimenti rischiamo di non essere all'altezza del numero d'avversari che ci procuriamo. Le sue intenzioni erano quindi quelle di non adottare una politica offensiva verso i Greyjoy, a meno che non fossero loro a costringerli a farlo. Era la guerra contro i Lannister la priorità, non l'abbattimento definitivo di quel mucchietto d'ossa ch'era rimasto di Theon.
-Ah, certo.- la motteggiò l'altra. -Voi siete i Reed, quelli perennemente fedeli. Una casata di servi.- Yara Greyjoy non distoglieva dal suo lo sguardo bieco e torbido, come una lama rugginosa. Il suo ghigno era lungo e distorto come una cicatrice e gli occhi, dalle estremità lievemente piegate verso il basso, avevano una fissità obliqua e sofferta; i corti capelli arruffati avevano il colore dell'ottone invecchiato, un castano potenziale soppiantato da un'ombra, ed avevano un'aria così trascurata che sembrava li avesse lavati con l'acqua di mare. Il volto aveva tratti rudi, duri, grossolani, ed esprimeva una pericolosità quasi oscura. Vestiva per l'appunto con una corazza leggera dal colore rossastro del rame, ma presumibilmente di ferro consunto, un paio di calzoni da uomo ed una cintura di pelle a cui era appeso il fodero di una grossa spada, oltre che quattro o cinque piccoli pugnali e stiletti. Un pesante e trasandato giaccone da marinaio, d'un ambiguo colore tendente dal verde al grigio, ammantava l'intera figura ed era rimboccato all'altezza delle maniche per scoprire le mani guantate di cuoio.
La regina del mare non porta conchiglie fra i capelli, pensò Meera con sarcasmo, e la sua voce sembra più avvezza a mettere in riga i rematori che ad ammaliare i naviganti.
I suoi abiti erano spartani ed il suo aspetto lasciava decisamente a desiderare, però era impossibile non percepire l'imperiosa aura di regalità che la sua figura esprimeva, e che probabilmente aveva spinto i suoi uomini a darle retta e seguirla per mare.
-Noi dell'Incollatura siamo gente modesta, ma non ritiriamo la parola data. A quel viscido traditore è stata offerta la possibilità di sopravvivere e in futuro diventare principe, è stato accolto con i riguardi dell'ospitalità, e non ha fatto altro che sputare sulla clemenza concessagli. Adesso in tutta Westeros siete considerati una famiglia di spergiuri, mentecatti e sacrileghi. Perlomeno dei Reed di Torre delle Acque Grigie non si dirà mai che hanno abbandonato il loro re.-
Yara scoppiò a ridere, sfrontata. -Dei Reed di Torre delle Acque Grigie non si dirà mai più niente, cara la mia regina delle paludi. Cosa ci hai guadagnato, con la tua lealtà? Un letto vuoto, un marito in guerra chissà dove, un fratello sgozzato chissà perchè e un paio di corna che le si vede da qui a Volantis. Dunque, fra me e te, credi di essere ancora la più furba?-
Meera Reed la squadrò con disgustato disprezzo. -Dimmi cosa sei venuta a fare qui, oltre che ad insultarmi, oppure soddisferò la curiosità della mia daga nei confronti delle tue viscere, figlia del kraken. Cosa pretende ancora la tua famiglia dalla mia?-
Yara si rese conto di essere partita decisamente con il piede sbagliato: non aveva certo preparato il terreno per una richiesta d'aiuto, dicendo quelle cose, però la colpa era di quella fastidiosa ragazza, che aveva tirato fuori la storia di Theon.
-Ramsay Bolton è vivo.- proferì a voce piatta. Meera aggrottò le sopracciglia, perplessa.
-A me avevano raccontato una storia diversa, ovvero che era stato ucciso nell'assedio di Forte Terrore dai vostri uomini...-
-... una storia tristemente falsa.- concluse Yara sbrigativa. -Messa in giro per dissipare il panico. Il fatto è che dopo aver liberato Theon ero praticamente disarmata, e sono stata costretta a rinchiuderlo in una cella con un espediente per avere la possibilità di fuggire. Quando ho indicato ai miei soldati il luogo in cui trovarlo per finirlo, le segrete erano completamente disabitate. Deve aver utilizzato un qualche passaggio segreto, dato che conosce Forte Terrore meglio di chiunque altro... ad ogni modo, dopo tre anni, a Pyke sono stati commessi alcuni omicidi inspiegabili. Prima le sentinelle di ronda dell'isola, poi le guardie del castello. Poi mio marito.-
Meera pensò che avrebbe pure provato un soffio di compassione, se solo glie ne fosse rimasta per qualcun altro che non fosse se stessa. Aveva sentito dire anche questo, ovvio. Se n'era parlato, della morte di lord Botley, l'attuale governante delle Isole di Ferro, però le ipotesi che erano state formulate al proposito erano poco romantiche.
-Giravano voci... voci che dicevano ch'era stato fatale, per Botley, sposare una Greyjoy, perchè si sa che da tempo immemore la tua famiglia non condivide il Trono del Mare con nessuno. La tua sanguinaria ed omicida ambizione era già pronta per essere cantata nelle ballate.- commentò Meera, imperscrutabile in volto.
Yara fece un cenno di diniego, secco e rapido. -Non sono stata io ad uccidere Tristifer, non l'avrei mai fatto nè avrei avuto motivo di farlo. Non c'era amore da parte mia nei suoi confronti, ma non volevo il suo male. Eravamo amici, e-
-Eravate amici.- proruppe Meera, la voce pregna d'improvviso rancore e sarcasmo. -Già, interessante questa storia dell'amicizia, no? Ve la cavate sempre così. Con l'amicizia. Così non sembrate troppo disonesti.-
-Meera.- La voce di Osha, che finora era rimasta in silenzio ad assistere allo scambio, interruppe con fermezza ma senza sgarbo il torrente di parole. La donna, seduta su un sedile qualche gradino più in basso, teneva Kenned sulle ginocchia ed oscillava una massiccia zanna di pantera-ombra, appesa ad un cordoncino di iuta, poco più in alto della piccola testa rotonda del bambino, attirando la sua attenzione. Il piccolo allungava invano le piccole manine paffute, nel tentativo di afferrarla, e Osha aveva tutta l'aria di divertirsi un mondo a sottrargliela un istante prima che le piccole dita la toccassero.
Meera si rese conto di essersi fatta trasportare oltre il lecito e tacque per qualche istante, per riprendere il controllo di sè. Era assolutamente convinta di avere ragione, comunque. Da quando in qua gli amici si sposano? Ti tradisco ma ti voglio bene lo stesso, perchè sei mia amica, questo è il discorso?
-Domando scusa.- disse infine, con un sorriso freddo e forzato. -Soltanto che so cosa significa stare dall'altra parte, essere l'amica di turno. Ma torniamo a noi. A questo punto viene da chiedersi come fai a stabilire con sicurezza che l'assassino di tuo marito è Bolton.-
Yara, che aveva ascoltato il suo sfogo con un'espressione d'implacabile intransigenza, si lasciò scivolare di dosso la giacca e sollevò la manica della casacca che portava sotto la corazza. Senza parlare, tese il braccio in modo che Meera potesse guardarlo bene. Sulla carne bianca v'erano quelli che a prima vista sembravano graffiti sconclusionati, i fendenti furiosi ed arruffati degli artigli d'un felino inferocito. Prima di poter pronunciare una sola parola, la ragazza capì: quei tagli erano lettere con un senso logico, ed era scritto qualcosa...
Sollevò lo sguardo, turbata. Yara scrollò le spalle. -Il cadavere di Tristifer aveva un dito scuoiato.- aggiunse, a mo' di conclusione, per non lasciare spazio a dubbi di sorta.
-Non mi hai ancora detto cosa vuoi da me, Yara Greyjoy.- obiettò Meera.
Lei fece un passo avanti. -Pyke non è più un posto sicuro per me e per Theon. Bolton non ci ha uccisi perchè il suo obiettivo è farci capire che non ci teme, che può colpirci in qualsiasi momento, che siamo prede alla sua mercè. Vuole Theon, perchè si diverte a torturarlo e straziarlo come ha fatto prima che io venissi a liberarlo. Ce l'ha a morte con me, perchè ho assediato Forte Terrore e gli ho scombinato i piani, quindi probabilmente vuole cuocermi a fuoco lento e poi riservarmi una fine obbrobriosa. Io sono giunta fin qui... per chiedere asilo a Grande Inverno.-
Meera battè le palpebre, interdetta; infine sorrise.
-Ma certo. Qualche preferenza per la stanza? No, perchè ne ho una davvero fantastica a Nord-Est, vista Foresta del Lupo, che farebbe proprio al caso tuo... sveglia! Ma ti pare?! Ciao serviciattola, la tua casata non esiste più, sei cornuta, torna nelle tue paludi del cazzo, ah sì posso dormire a casa tua? Inverti la rotta, amica mia. Ma hai svaligiato le cantine di Grande Inverno di tutte le bottiglie di vino prima di venire qui?! Quando ti ho vista entrare mi sono salite in mente tante assurde teorie su quali fossero le tue intenzioni, ma non ho una fantasia così paradossale da andare a pensare che tuo fratello sia giunto a chiedere alloggio nella stessa casa che ha devastato, sterminandone gli abitanti e cacciandone i proprietari a calci nel deretano. Questo castello non è una locanda nè un rifugio per profughi, per tua informazione. Solo perchè per qualche tempo a governare il Nord c'è una regina anzichè un re, non significa che io provi una qualche donnesca pietà per la tua malasorte, sai? Non credevo che saresti caduta così in basso da venire a supplicare per una cosa del genere. Hai una bella faccia tosta, figlia del kraken!-
Yara Greyjoy non parve molto stupita nè offesa da nessuna delle sue parole, e mantenne un'espressione imperturbabile. Impossibile stabilire se stesse solo dissimulando.
-Primo, nessuno qui sta supplicando nessuno, Reed.- cominciò calma. -Secondo, non sono mica venuta qui confidando nel tuo buon cuore, tantomeno perchè sei una donna. Io e te ci somigliamo molto più di quanto credi. So come gira il mondo, che nessuno dà niente per niente... infatti non mi hai lasciato finire di parlare.-
Meera rise di cuore. -Beh, allora stupiscimi. Dimmi una sola buona ragione per la quale dovrei ospitare a Grande Inverno la persona che ha tentato di assediarla, attirando di conseguenza qui un assassino assetato di sangue e rischiare di essere uccisa nel mio letto.-
-In realtà ce ne sarebbe più di una.- annunciò Yara. -Combattere contro Bolton rientra anche nei tuoi interessi, prima di tutto, visto che logicamente il suo secondo obiettivo, dopo essersi ripreso Theon, sarebbe espugnare Grande Inverno e tornare a capo del Nord, e se potesse fare le due cose contemporaneamente ne sarebbe più che contento. Oppure, per esempio, io potrei offrirti qualcosa in cambio. Le nostre truppe. Le nostre navi. Che dici, a tuo marito tornerebbero comode?-
Meera inarcò le sopracciglia. -Non comode al punto da accogliere Theon Greyjoy sotto lo stesso tetto dove dorme suo figlio, temo.-
Yara seguì il suo sguardo fino al bambino, poco più che un infante, che metteva in bocca il dente di pantera-ombra.
-È tuo figlio?- domandò a Meera, ricevendo in risposta un breve cenno affermativo. -Davvero un bel bambino.- commentò dunque. -Sarebbe un vero peccato se Bolton lo trafiggesse con una forca grondante del tuo sangue e lo esponesse fuori dalle mura di Grande Inverno.-
La ragazza cercò di non esternare le sue emozioni, ma Yara colse ugualmente il movimento convulso delle dita, che arpionarono spasmodicamente il bracciolo del trono, e l'irrigidirsi delle spalle. -Ed è una vera fortuna che non avverrà.- sibilò.
-Invece sì, se Bolton non sarà fermato in tempo.- insistette Yara, battendo il tacco dello stivale a terra con enfasi. Il suo sguardo era salace come il sangue che le scorreva nelle vene. -Lui non vede l'ora di fottere il trono a tuo marito, non te ne rendi conto?! Adesso che non c'è, poi, l'occasione è ideale. Io non ti chiedo di farmi la carità, ma ti propongo di unire le forze per sconfiggere un nemico comune. Perchè, diciamocela tutta, io e Theon siamo nella merda fino al collo, però tu non sei messa tanto meglio. Innanzitutto, non hai abbastanza uomini per difenderti. Non puoi permetterti che Ramsay scateni una rivolta del Nord, a partire dalla riconquista di Forte Terrore, specialmente adesso che ci sei tu al comando. Non sto mettendo in dubbio le tue capacità, dico solo che il popolo sarà più bendisposto ad appoggiare la rivolta di un uomo piuttosto che rimanere fedele ad una donna. O no?-
La domanda era retorica, e infatti Meera era in difficoltà. Cominciava a sorgerle qualche dubbio. Non aveva tutti i torti, in effetti, il discorso filava alla perfezione. Cos'altro avrebbe potuto volere, un Bolton, se non ripristinare la supremazia di qualche anno prima? Già il fatto di essere stata informata della sua ricomparsa la avvantaggiava, vanificando l'eventuale effetto sorpresa, però non fare nulla per affrontarlo e respingerlo avrebbe significato sprecare quella possibilità. Non doveva farsi trovare impreparata. Quelle navi, poi... l'abilità bellica marittima dei Greyjoy era famosa in tutta Westeros e la loro flotta era molto temuta ed invidiata. Meera si rendeva conto di non poter commettere scelte azzardate, visto che qualsiasi cosa avesse deciso sarebbe stato determinante per il futuro del Nord. Nel frattempo, Yara seguitava a parlare, stavolta con toni più moderati.
-Ho sentito dire che Jojen Reed è morto da poco. Se potessi tornare indietro nel tempo ed impedirlo, non lo faresti forse a qualsiasi costo? Non saresti disposta a tutto pur di proteggerlo? Se in cambio avessi un'opportunità per salvare tuo fratello, non riterresti forse un esiguo prezzo correre dai tuoi rivali a supplicare un'alleanza?- Yara fece ancora un passo avanti, senza interrompere il contatto visivo con la regina del Nord. Il suo sguardo era di sale, ma la sua determinazione era di ferro. -Tu sai come mi sento io, Meera Reed, non fare finta di non capire. Conosciamo entrambe quella sofferenza. A prescindere dagli errori o dalle colpe di cui un consanguineo si può macchiare, a prescindere dalle angosce e dai dolori che può procurarci, è impossibile lasciarlo al suo destino e smettere di preoccuparsi per la sua incolumità. Siamo quasi nella stessa situazione... l'unica differenza è che stavolta tu, solo tu, puoi impedire che la storia si ripeta.-
Meera abbassò gli occhi, mentre una lacrima fremeva dal desiderio bruciante di raggiungere la sua guancia; ma mai, mai avrebbe pianto di fronte a Yara Greyjoy, lo sapeva. Come avrebbe potuto non capire? Aveva votato la propria vita alla causa di Bran, ma ancora prima alla causa di Jojen. Sola fra tanti aveva creduto alle visioni del fratello, che molti nei pressi dell'Incollatura ritenevano fuori di senno, aveva prestato fede all'importanza di quella missione ed aveva acconsentito ad accompagnarlo, armata di un'unica certezza: la parola di Jojen. Difenderlo, sostenerlo ed aiutarlo nei suoi alti scopi erano stati gli obiettivi più importanti che si era prestabilita. Grazie a Jojen era divenuta regina del Nord, a causa di Jojen aveva perso la possibilità di guadagnarsi con il tempo l'amore di suo marito. Adesso che Meera ci pensava, ovunque ella guardasse nella propria esistenza, non vedeva altro che Jojen. Con tanta irriducibile fermezza l'aveva amato, con tanta silenziosa discrezione lui era morto, e adesso tutto pareva aver perso il suo originario significato. Forse che il suo inconsapevole rancore era il motivo del di lui suicidio? Forse che, con la propria presenza, avrebbe potuto evitarlo? Una famiglia di servi, i Reed, le tornò in mente. Sembra che non siamo serviti ad altro che ad aiutare gli Stark a riprendersi il trono, per poi inchinarci a Bran e scaldargli il letto per tutto il resto della vita. Jojen credeva che fossimo nati per questo? Jojen credeva che dovessimo morire per questo? Il nostro unico, implacabile destino era Bran? E se non siamo nati in sua funzione, perchè è quello che tutti si aspettano da noi?
Temeva da un lato di lasciarsi raggirare dalle parole di Yara, che magari erano per l'appunto solo parole, atte a persuaderla unicamente secondo il tornaconto dei Greyjoy, dall'altro di farsi sfuggire un'opportunità di salvezza e di rimpiangerla in seguito, magari nel momento in cui Bolton avesse sollevato le folle e avesse marciato contro Grande Inverno. Cosa avrebbe fatto Bran al suo posto?
-Se solo Bran fosse qui.- sospirò quindi, sfiorandosi la fronte per scostare i riccioli castani. Osha, dal basso del suo scranno, sollevò lo sguardo dal piccolo Kenned per lanciarle un'occhiata sinistra.
-Non credevo che saresti diventata quel tipo di donna che dice se solo Bran fosse qui.- commentò con voce un po' pungente, sapendo quanto quelle parole fossero in grado di colpire l'amica nell'intimo. Meera si voltò verso di lei, con un'espressione indecifrabile. Quel tipo di donna che dice "se solo Bran fosse qui". Aveva tanto deprecato quelle ragazzette incapaci che si aggrappavano al mantello dei mariti, nascondendosi dietro la loro ombra, fino a che era diventata come loro. Quel tipo di donna che dice...
-Basta.- Il suo sussurro fu così fievole che solo lei stessa lo udì. Fremette del calore d'una sola lacrima. -Basta.-
E stava dicendo basta a quel destino che, negli ultimi giorni, sembrava ostinato ad accanirsi contro di lei come una calamità. Stava dicendo basta alla passività del suo subire immobile ed impotente. Dopo tanto, troppo tempo, si stava alzando in piedi di nuovo. Non avrebbe permesso alla sua casa di crollarle addosso, piuttosto ne avrebbe sorretto il tetto sopra le spalle.
Ed in quel momento comprese che una regina non è quella che si fa il re. Regina è colei che difende i suoi sudditi, che protegge i suoi territori, che combatte fino all'ultimo respiro a costo di concederlo agli altri. Guardò dunque quella ragazza dalle mani spellate dalle corde delle navi e la pelle scottata dal sole riflesso nel mare.
-Io accetto, Yara Greyjoy.- Le rivolse uno sguardo saldo e determinato.
Lei non era come loro. Lei non sarebbe mai stata come loro.
Osha sorrise fra sè. Le parole che aveva pronunciato, con l'obiettivo di scuoterla, erano andate a segno a dovere. Adesso Meera era la Meera che conosceva lei, non la pallida ragazza dagli occhi vacui che non aveva saputo accettare la morte di Jojen.
-Bene.- si limitò a dire Yara, con uno dei suoi inquietanti sorrisi curvi e spiacevoli, tendendo la mano salda e forte verso di lei. Meera scese i pochi gradini che le separavano e rispose con una stretta non meno vigorosa.
-Invierò una missiva a Pyke stasera stessa, affinchè i miei uomini preparino la flotta e la inviino in aiuto a tuo marito: una promessa è una promessa. Avrà i migliori dei capitani al suo servizio. Qui, invece, bisognerà stare all'erta, nel caso in cui si tratterà di sedare una rivolta o prepararsi ad un assedio. Lo sai, vero? Potrebbero esserci dei massacri...-
-Per quanto sarà possibile, il sangue umano non verrà versato.- precisò Meera, adombrandosi. Nonostante amasse cacciare, aveva sempre avuto grande rispetto della vita.
Yara tese un ghigno. -Quanti uomini hai ucciso, Meera Reed?-
La ragazza sollevò il mento con fierezza. -Nessuno, per grazia degli dèi.-
-Allora questo sarà un battesimo di sangue.- Dopo averle lanciato un ultimo sguardo derisorio ed acuminato insieme, Yara Greyjoy si voltò e tornò sui suoi passi, mentre Meera dava ordine a due schiave e ad un soldato di scortarla fino ad una stanza al piano superiore. All'ultimo momento, però, la regina del Nord realizzò d'avere ancora una domanda da porle.
-Aspetta, Yara.- richiamò la sua attenzione, alzando di un registro il tono di voce ed aggrottando le sopracciglia. -Quanto vi fermerete a Grande Inverno, tu e... tuo fratello?-
Lei la fissò per qualche istante con grave intensità, prima di rispondere. -Fino a che Ramsay Bolton non esalerà l'ultimo respiro. Ma non temere di dovermi sopportare troppo a lungo: ti assicuro che il bastardo si farà vivo molto prima di quanto credi. E quando succederà, lo ucciderò. Buonanotte, Meera Reed.-
Meera, pensosa ed incupita, osservò la sua ospite lasciare la sala. La voce di Osha la richiamò alla realtà soltanto pochi istanti più tardi.
-Una tipa strana, manesca e un po' buzzurra. Andrete d'accordo.-
Meera alzò gli occhi alle crepe del soffitto. -Sentirti accusare qualcuno di buzzurraggine è spassoso più o meno come sentire i Lannister accusare Bran e Rickon di incesto, direi. A parte gli scherzi, che te ne pare della Greyjoy? Secondo te ci possiamo fidare?-
Osha alzò le spalle, indifferente, mentre Kenned riusciva finalmente a stringere la zanna di pantera-ombra fra le minuscole dita e ridacchiava gorgogliando.
-Mi è sembrato che facesse un po' la furba, ma non metterei in dubbio la sua sincerità.- ammise francamente. -Quel che mi preoccupa è il guaio in cui ti sei cacciata, che a mio parere non hai valutato con la dovuta accortezza. Comunque,- aggiunse subito, prima che Meera potesse interromperla infastidita, -penso che tu abbia fatto la scelta giusta. Bran ti ha lasciata a Grande Inverno per difendere il castello in caso di necessità, e agendo di conseguenza non puoi essere accusata di contrastare la sua volontà. Però ascoltami bene, Meera: devi stare attenta. Attenta, capito? Non ti chiedo di non immischiarti in questa faccenda, perchè ormai è troppo tardi, nè di mancare ai tuoi doveri di regina eccetera eccetera, ma devi promettermi che starai attenta. Anche se quella creatura non ha ancora una voce per farsi sentire, non significa che sei autorizzata a mettere in pericolo la sua incolumità. Siamo intesi?-
Meera represse un sorriso sulle labbra, chiedendosi perchè accidenti Osha volesse convincere il mondo di essere scontrosa, del tipo degli-altri-non-me-ne-importa-niente-penso-solo-a-me-stessa, quando in realtà passava tre quarti della sua giornata a fare la baby-sitter a Kenned e il resto a dispensare consigli e farle compagnia.
-Intesi.- promise, facendo scivolare appena la mano per sfiorarsi il ventre piatto, dove il lume fievole di una piccola vita maturava in segreto. Questo non significava nemmeno che si sarebbe astenuta da qualsiasi scontro, però: se si sarebbe trattato di difendere Grande Inverno avrebbe fatto tutto il possibile, a costo di prendere le armi lei stessa. La prudenza che doveva avere nei confronti del proprio corpo a causa del suo stato era una limitazione, ma allo stesso tempo la gravidanza era un pensiero in più a distrarla da quello insostenibile della morte di Jojen. Non poteva permettersi di morire, condannando automaticamente il bambino, ma non poteva neanche permettere al figlio di Roose Bolton di conquistare Grande Inverno di nuovo, consegnandogli di conseguenza il Nord in assenza di Bran; Meera non volle pensare che cosa avrebbe scelto, nel caso in cui fosse stata chiamata a decidere, anche perchè al momento altre questioni avevano la priorità. Un battesimo di sangue, ricordò inquieta, sperando vivamente che lo scontro che la attendeva non lo sarebbe stato.
Ad ogni modo, innegabilmente, quella era guerra.
***
-Giusto un'ora fa è giunta una missiva che segnalava la partenza dei Lannister da Nido dell'Aquila, evidentemente senza successo. Non sappiamo perchè si fossero recati lì, quale fosse il loro obiettivo, ma probabilmente speravano di convincere Robin Arryn a stringere un'alleanza. È l'unico motivo plausibile che possa spiegare una sosta così esosa di tempo ed energie nella Valle di Arryn. Ad ogni modo sono appena ripartiti, verso Bloody Gate, per ritrovare la Strada del Re.- Il dito di Stannis percorse quel tratto sulla mappa, sotto gli occhi attenti di Davos Seaworth; il suo signore gli rivolse un'occhiata penetrante. Il suo re scrollò le spalle, per poi sbattere i palmi sul tavolo, arcigno in volto. -Ma questa non è l'unica stranezza. Tutto lascia intendere che l'esercito stia ripiegando verso Approdo del Re. La domanda è... perchè? Che sia una tattica, che vogliano sfiancare il nostro esercito? Non vedo altre buone motivazioni per giustificare una simile, bislacca scelta, anche perchè si tratta di un momento cruciale.- 
Bran annuì con il capo, senza parlare. I suoi occhi bui si limitavano ad osservare la mappa, inespressivi. Stannis lo fissò per qualche istante, meditabondo, poi chinò nuovamente il capo a contemplare la carta e proseguì. -Tully mi ha informato che ci attende all'incrocio del Tridente. Le truppe che aveva portato con sè sono state decimate, ovviamente, ma ha portato con sè i pochi uomini superstiti. L'ultima cosa che mi voglio farti presente è che un drappello di uomini si sta dirigendo verso l'accampamento. Una trentina di uomini, più o meno. Si direbbe una scorta, piuttosto che uno schieramento. Le loro intenzioni non appaiono bellicose, perciò non ho preso provvedimenti a proposito. D'altronde, così come sono, non potrebbero danneggiarci nemmeno se fossero il triplo. Sono più propenso a credere che si tratti del messaggero di una casata minore, o qualcosa di simile.-
-Molto bene.- Il re si rivolse poi ad un attendente che taceva dritto al suo fianco. -La lettera di questa mattina?-
Egli scattò sull'attenti, porgendogli la pergamena arrotolata. -Il sigillo è di Grande Inverno, Maestà. Notizie da parte della regina, a quanto sembra.-
Bran la prese senza dire una parola e lacerò la ceralacca grigia. Lesse in silenzio, facendo scorrere gli occhi fra le righe. Le parole di Meera erano piuttosto fredde e formali, e ciò non lo stupiva. Era chiusa nel suo dolore. Ho il forte presentimento, e solo per scaramanzia non parlo di certezza, d'essere in procinto di darti un altro erede. Bran inarcò le sopracciglia e non commentò -nella sua mente risuonava ancora quell'insopportabile meravigliosa di cui non riusciva a liberarsi. Levenna La Non Nata meritava un meravigliosa, Bran Stark il Metamorfo nemmeno un addio. Quella gelosia senza destinatario lo stava opprimendo come un dilemma la cui soluzione sia sul fondo d'un pozzo, e l'unico modo per raggiungerla precipitare nelle tenebre. Per un attimo, Bran desiderò con struggente, avida prepotenza che quella maledetta bambina non nascesse affatto, che soffocasse nel ventre in cui si sviluppava senza far rumore, che non venisse al mondo per sfoggiare tutte quelle qualità che evidentemente la rendevano tanto meravigliosa... Poi si vergognò di quegli atroci pensieri. Lui non era il Re Folle, lui non poteva permettersi d'impazzire, e quella di cui si stava augurando la morte fino ad un istante prima era sua figlia. Doveva rimanere all'erta, vigile, pronto. Passò al resto della lettera. So che pretenderai giustamente molte spiegazioni che non ho il tempo per fornirti nei dettagli, ma Grande Inverno subirà presto un assalto e mi sto preparando a respingerlo, insieme a Yara Greyjoy. Fu a quel punto che Bran rischiò di cascare da Estate. Respingere un assalto... insieme a Yara Greyjoy? Ma che diamine voleva dire? Delirava, per caso?
-È successo qualcosa?- domandò Stannis, inquietato dalla reazione ritratta sul volto del ragazzo, mentre il suo pensiero correva a Grande Inverno ed a Shireen.
Bran proseguì a leggere, sempre più sconcertato. -Meera ha dichiarato guerra... a Ramsay Bolton. Ma Bolton non era morto? Yara Greyjoy è venuta a chiederle aiuto per liberarsi di lui... e questa folle le ha pure dato ascolto?!- Dopo aver sospirato con rabbia, continuò innervosito. -Hanno stretto una coalizione per ucciderlo, quando cercherà di assediare Grande Inverno. Assediare Grande Inverno? E con cosa, per amor degli dèi?! Con chi? Questa ragazza è completamente pazza. Si è alleata con una Greyjoy... per sconfiggere un fantasma.- Scosse la testa, confuso.
-Quanto pericoloso potrebbe rivelarsi tutto ciò?- domandò Stannis, aggrottando le sopracciglia.
-Non ne ho la più pallida idea. Dice che in cambio la Greyjoy ci concede la sua flotta.- continuò Bran, sbalordito. -E dice anche che sarà sua competenza difendere il maniero e tutti i suoi abitanti, come stabilito prima della partenza. Continuo a vederci poco chiaro, in questa storia.- concluse. Seaworth, accortosi dell'espressione torva di Stannis, cercò di tranquillizzarlo.
-Non vedo motivo di preoccuparsi prima del tempo, mio signore. La regina Meera ti ha assicurato che Shireen sarà al sicuro, e sono certo che manterrà la promessa. Da quanto è scritto, si tratterà di respingere un nemico esterno alle mura di Grande Inverno, e a giudicare dalla reazione di re Brandon non particolarmente temibile. Non è necessario allarmarsi inutilmente.- ripetè, avvertendo l'urgenza di rasserenare innanzitutto se stesso.
-Lascia che sia io a decidere cosa è necessario fare e cosa no, Seaworth.- borbottò Stannis, intimamente un po' confortato da quelle parole -anche se mai l'avrebbe dato a vedere.
Bran schioccò le dita ed Estate si voltò, pronto a condurlo fuori dalla tenda. Stannis lanciò una rapida occhiata a Davos, infine, corrugando la fronte, trovò il coraggio per esclamare:
-Un momento, Stark. Ci sarebbe un'altra cosa.-
Il ragazzo scosse la testa. -Qualsiasi sia, può aspettare. Devo andare a cercare Rickon...-
La voce di Stannis giunse fredda ed inaspettata come un colpo di spada. -Un messaggero dei Tully ha portato il corpo qui questa mattina.-
Bran percepì quelle parole raggiungere ed avvolgere la sua mente senza fretta, come un vapore venefico. Dovette battere le palpebre un paio di volte prima di figurarsi ciò che lo aspettava. Non Jojen, no, lui mai più. Un corpo. Gelido. Insanguinato. Immobile. Morto. Il suo peggior incubo a portata di sguardo.
Il suo peggior incubo a portata di sguardo, l'unica cosa che in quel momento desiderasse. Perchè quello non era Jojen, ma un corpo; e non era un corpo qualsiasi. Era il suo corpo, il corpo che tante volte -forse più del consentito- aveva rimirato, baciato, posseduto. Sfigurato dalla morte, lordato dal sangue, ma presente, solido come i suoi ricordi non sarebbero mai potuti essere. L'estremo desiderio esaudito per un cuore assetato: colmarsi la gola di cenere.
-Dov'è?- La lingua strappò con violenza le parole dal palato. Stannis strinse le labbra, incerto, ma Davos fu più celere.
-Con tutto il rispetto, lord Stark, non credo che sia il caso che tu lo veda. Sono stato io a coricarlo nella tenda del guaritore in attesa del tuo responso, e l'ho visto. Non pensi che sarebbe più bello serbare un ricordo di lui quand'era ancora vivo? Quel che vedresti avrebbe l'unico effetto di turbarti e rovinare-
-Con tutto il rispetto, ser Davos, non credo di aver chiesto la tua opinione. Io ho bisogno vederlo.- Bran s'interruppe e, dopo aver lanciato loro un'ultima occhiata inquieta, abbandonò la tenda per dirigersi a quella dove le infermiere da campo ed i guaritori si occupavano dei feriti. Onde di panico s'innalzavano sempre più possenti dentro di lui, scompigliandogli le viscere, ma non poteva fermarsi a riflettere abbastanza da considerare meglio il partito opposto. Non ora che Jojen era così vicino -e così lontano.
Uno stuolo di guardie era accalcato all'ingresso, ma non appena videro il loro re gli uomini si scostarono immediatamente. Bran percepì la loro compassione così come l'olezzo di ferite infette che aggredì le sue narici, non appena varcò la soglia. Una vampata di calore risalì il collo fino alle guance.
A terra c'erano molte stuoie, ma Bran comprese subito dove Jojen fosse. Tutti i feriti erano scoperti in volto ed erano immersi in un sonno profondo, e un solo corpo era avvolto in ampie stoffe bianche dalla testa ai piedi. Un nodo scorsoio avvinse la gola di Bran in una morsa infallibile, rapprendendo il fiato, ed egli emise un singulto che nessun suono fu in grado di riprodurre. Tutto quel che rimaneva del ragazzo che aveva amato era lì dentro. Nonostante Bran l'avesse spronato con un cenno, fu con un certo riserbo ed una inaudita circospezione che Estate si avvicinò al corpo, fiutando l'aria, con le orecchie abbassate. Il re del Nord chinò una mano. Tremava. Con un gesto secco che gli valse due lacrime, scostò il panneggio.
La prima impressione fu una vertiginosa euforia, la seconda l'orrore più ignobile. Bran non ricordava che cosa avesse provato mentre precipitava dalla Torre Spezzata, però doveva essere più o meno un'emozione simile a quella che investiva la sua anima in quel momento: lo smarrimento vacuo ed inconsapevole dell'incredulità, la confusa sospensione prima del trauma.
La pelle di una guancia era disgregata in grumi di sangue, lasciando un vuoto rossastro e frammenti d'ossa rotte; evidentemente dei frammenti delle macerie dovevano averlo colpito di striscio. Un occhio era ridotto soltanto in poltiglia e fango, ma l'altro era perfettamente distinguibile, intatto, la palpebra delicata calata sull'iride che Bran sapeva preziosa come uno smeraldo -qualcuno doveva avergliela abbassata, forse Edmure, forse Davos stesso. Il taglio sul collo era terribile come Bran sospettava: un lungo squarcio che per un pelo non gli aveva reciso l'intero capo, che esponeva empiamente allo sguardo altrui la spina dorsale e la trachea. Il re del Nord si rese conto del perchè il Cavaliere delle Cipolle lo avesse supplicato di non guardare. Nessuna persona al mondo vorrebbe sopravvivere abbastanza a lungo per vedere in quelle condizioni chi ama.
Bran recuperò il contegno molto prima di quanto credeva. I suoi occhi, esperti di molti mali e sazi di sangue, si abituarono presto a quello scempio; riuscì persino ad arginare il dolore. Bran Stark si sentiva troppo stanco persino per piangere, quando si chinò ancora a sfiorare quelle labbra schiuse in un ultimo, indecodificabile sussurro. Sapevano di carne, carne morta, carne in decomposizione, ma Bran dedusse che non glie ne importava affatto. Quando aveva lasciato la sua tenda, quella notte, sapeva già che non sarebbe tornato mai più. Non l'aveva nemmeno svegliato. Era fuggito come un ladro, privandolo di un ultimo saluto, un ultimo sguardo, un ultimo sorriso. Probabilmente il suo corpo si stava già putrefacendo.
Una voce tagliente fendette il suo silenzio. Allora, Bran, a te la scelta. Preferisci bruciarlo o seppellirlo? Preferisci bruciare o seppellire l'ultima persona che ti eri concesso di amare e che reggeva il filo della tua coscienza fra le dita, la carcassa del tuo cuore sul palmo della mano? Lo darai in pasto alle fiamme o getterai terra sopra il suo viso? E Bran capì che per un giorno solo era troppo, per una vita sola era troppo. La testa gli ricadde fra le mani.
La voce di un soldato lo riscosse. -Maestà, c'è una persona che chiede di vedervi.-
Bran non si mosse. La sua voce era già umida di pianto. -Una persona chi?-
-Dice di volerlo spiegare a voi solo.- fu la bizzarra risposta. Il ragazzo alzò il viso giusto per urlargli che al momento era occupato e che non gli fregava di nessuno, nessuno al mondo, e che potevano andare tutti a crepare per quanto lo riguardava, e per cacciare via chiunque ci fosse.
E fu allora che lei entrò. Bran rimase interdetto: comprese immediatamente che si trattava di una donna. Non vestiva nemmeno abiti maschili; aveva un vestito di leggera ed umile garza di colore verde, che le lasciava scoperte le spalle bianche e formava morbide pieghe sul petto, mentre uno scialle di raso marrone le drappeggiava le braccia. Doveva avere all'incirca quarant'anni, ma era ancora piuttosto graziosa. Aveva una fluida e docile chioma di capelli castani, pettinati a dovere, che scivolavano ondulati fino alle scapole, ed una frangia abbastanza regolare le copriva in parte la fronte. Ma quel che davvero sconvolse Bran furono gli occhi, che rilucevano miti e quieti in un viso diafano a forma di cuore.
Occhi verdi. Verdi, color del muschio, preziosi come smeraldi.
-Se vi ho arrecato disturbo perdonatemi, Sua Maestà. Sono Jayna Reed, di Torre delle Acque Grigie.-
La donna si inchinò solennemente, rimanendo all'ingresso della tenda, con un'espressione ferma e compunta in volto. Un enigmatico velo di cortesia e freddezza caratterizzava la sua voce.
Jayna Reed. Bran avvertì la voce affievolirsi sulle sue labbra, ma cercò di darsi un tono.
-Lei...? Oh. Non... non mi aspettavo la sua visita, mi ha colto di sorpresa. Io non... avete ricevuto il messaggio?- riuscì a balbettare.
Lei annuì con il capo. Le sue labbra erano una linea di sofferenza. -Sono partita appena ho saputo. Lui è lì?-
Parlava con estrema calma e serenità, come se il suo tono di voce fosse dolce e mesto per non urtare i sentimenti del re. Bran lasciò scivolare ancora una volta gli occhi sulle lenzuola.
-... sì. Mi dispiace doverla conoscere in queste circostanze, lady Jayna, ma... l'accaduto lo impone. Se lo vuole vedere...-
Non servì dire altro. La donna si avvicinò lentamente, quasi che tentasse di prolungare il più possibile la pausa che la divideva da quello scempio. Il suo sguardo incontrò il viso di Jojen senza infrangersi; si limitò ad inginocchiarsi accanto a lui e a cercare la mano destra sotto le lenzuola. La trasse e la strinse alla sua, forse nel pallido tentativo di infonderle un po' di calore. Il cratere rosso sul volto del ragazzo tonava insostenibile, come se vi fosse ancora imprigionato un estremo grido. Non c'era traccia di lacrime negli occhi di Jayna Reed, mentre Bran lasciava gocciolare il doloroso pianto lungo le guance, senza asciugarlo nè frenarlo.
-Sono giunta fin qui per farvi una proposta, Maestà.- affermò la donna, esaminando con avvilita tenerezza lo strazio delle carni di suo figlio. -Chiedo umilmente il tuo permesso per poter portare via con me Jojen e farlo riposare per sempre insieme ai suoi predecessori, sotto il suo tetto, nella casa che gli ha dato i natali. Sono moltissimi anni che non lo vedo. Nove, per la precisione. Per nove anni una madre ha dovuto vivere priva di suo figlio, e le viene permesso di ricongiungersi soltanto con il suo cadavere. Non l'ho potuto avere al mio fianco da vivo, Maestà, per cui mi appello alla tua bontà e ti imploro di lasciarlo a me almeno da morto.- 
La sofferta compostezza del suo discorso lasciò Bran senza fiato. All'idea di doversi separare da quel corpo tanto accanitamente amato e venerato il suo cuore ebbe un singhiozzo, un sussulto, e fu tentato di stringerlo forte a sè per impedire che gli fosse portato via di nuovo; avrebbe voluto potergli destinare un posto d'onore nella cripta degli Stark, accanto alle ossa di Eddard, protetto dalle spade e dai metalupi di pietra che facevano guardia al sotterraneo, affinchè il re del Nord potesse fargli visita ogni volta che desiderava e porgergli gli stessi ossequi che i mariti rivolgevano alle spoglie delle loro consorti. Ma Jojen non era uno Stark, e Bran sapeva qual era la cosa giusta da fare.
-Il permesso ti è concesso, lady Jayna.- rispose a mezza voce, irrigidendo la mandibola, compresso dal dolore. Alla fine, il destino aveva deciso per lui: Jojen Reed non sarebbe stato dato in pasto alle fiamme nè gli sarebbe stata gettata terra in volto, ma il fango l'avrebbe inghiottito, trascinandolo nel ventre di quelle stesse paludi nelle quali era nato.
Lady Jayna chinò il capo con deferenza. -Vi ringrazio infinitamente. So che potete comprendere il mio dolore. Ho sentito dire che voi due eravate molto legati, che lo amavate teneramente.-
Bran contrasse la bocca in una smorfia. -Così è stato. Suo figlio è morto da eroe, mia signora. Ha sacrificato la sua vita per salvare la moglie di mio zio Edmure, i suoi bambini, per non parlare di tutti i castellani ed i guerrieri che abitavano Delta delle Acque... Il suo gesto non sarà dimenticato.-
-No, sono sicura di no.- mormorò la donna. -Come sta Meera?-
Bran si morse il labbro inferiore. Non gli parve il momento migliore per spiegarle esattamente la situazione: allarmare ed elargire in maniera gratuita un'angoscia in più a quella povera donna sarebbe stato stupido e controproducente.
-Meera è al sicuro a Grande Inverno, insieme a Kenned. Sta bene. Questo è un momento un po' complicato per il Nord, ma ad ogni modo sua figlia è una tosta, lei lo sa.-
Jayna si lasciò sfuggire un sorriso, e Bran notò che assomigliava incredibilmente a quello di Meera. -Ovvio che lo so. Mi ha scritto di essere di nuovo incinta.-
-Una buona notizia.- bisbigliò lui, atono.
-E a questo punto esprimo la mia seconda richiesta.- La donna sollevò il mento fino ad incontrare gli occhi di Bran. -A me e a mio marito farebbe molto piacere se, quando i nostri nipoti saranno cresciuti, ne mandaste uno a Torre delle Acque Grigie per un certo lasso di tempo... a farci compagnia. Consideratelo come il periodo d'affidamento che tutti i giovani rampolli trascorrono presso le altre casate.-
Vogliono un rimpiazzo, pensò Bran con una strana, infastidita amarezza, io ho sottratto Jojen ai suoi genitori e loro chiedono in cambio uno di quei poveri mocciosi infelici che nasceranno sotto la stella di un'unione sbagliata. Che non potranno mai prendere il suo posto.
-Così sia.- rispose, apatico.
Jayna Reed annuì. -Vi sono grata. Un po' di felicità non guasterebbe, dopo tutte queste inaudite disgrazie...- Allungò la mano a sfiorare la guancia integra di Jojen, mentre l'angoscia s'affacciava nello specchio del suo sguardo. -Adesso devo andare. Non posso permettermi di attardarmi, non in un momento di dolore così atroce per il popolo delle nostre terre.-
Con evidente sforzo, riuscì a distogliere gli occhi dal volto martoriato del figlio e ad alzarsi in piedi; alcuni soldati, alle sue spalle, si avvicinarono e ricoprirono il corpo di Jojen, per poi sollevarlo.
Bran rivolse un'occhiata interdetta alla donna. -Avrei ancora così tante cose da chiederle... avremmo ancora così tante cose di cui parlare.-
Dopo qualche istante, Jayna sorrise. -È vero. Spero tanto di potervi rivedere, sano e salvo, al più presto. Magari in occasione della nascita del mio secondo nipote.-
-Magari.- concordò lui, cupo. Se la guerra sarà finita, naturalmente. Se sarà finita bene. La donna fece un ultimo inchino, prima di voltarsi ed uscire dalla tenda scortata dai suoi uomini; la sua malinconia lasciò un presentimento nell'aria che assuefece Bran come una droga.
Andare a stanare i Lannister ad Approdo del Re, combattere, disseminare le strade di cadaveri, vincere o morire. E, nel caso in cui si vincesse, tornare a Grande Inverno. Poi? Un vuoto cavernoso si spalancò davanti a lui, dentro di lui. Scoprì di avere paura, e non di quel futuro che sapeva di fuoco e sangue: ma di quello subito successivo, quello desolante e silenzioso dei respiri aridi e troppo lunghi che avrebbe dovuto esalare, abbandonato a se stesso in una foresta. Vincere, trionfare. E dopo? Nessuna risposta giunse in suo soccorso.
Ricorda cosa si prova a comandare, condannare e giustiziare, ricorda cosa si prova a sentirsi chiamare Maestà. Quando e se siederai di nuovo sul Trono del Nord, ricorda bene questi istanti, cerca di starci comodo. In fondo, Jojen ci ha speso una vita per farti arrivare fin lassù.
***
Brienne di Tarth era sempre stata una donna salda nei propositi, ferma nelle proprie convinzioni. Da quando, bambina, aveva compreso che il mondo non è un gran bel posto in cui vivere, se n'era fatta una ragione ed aveva impugnato una spada. Anche nei momenti più cruciali, quando si trattava di uccidere o di risparmiare, non aveva mai dubbi su quale fosse la cosa migliore da fare. In quel momento, però, un certo tramestio confondeva i suoi pensieri.
Jaime non faticò ad accorgersi che Brienne era combattuta; ormai erano anni che, dopo essere tornato alla Fortezza Rossa, l'aveva convinta a rinunciare alla sua impresa -ritrovare le figlie di Catelyn Stark e condurle in salvo- e le aveva offerto di che vivere ad Approdo del Re, proponendo a Cersei di prenderla nella sua scorta. La gemella le aveva rivolto qualche frecciatina acida, l'aveva tormentata per un po', com'era nel suo carattere, ma era ben lungi dal provare una reale gelosia nei suoi confronti -in quanto riteneva che Jaime, da sempre estimatore delle belle donne, non potesse averci provato con lei nemmeno se l'alternativa fosse stata Tyrion- e aveva finito per apprezzare il riserbo e la durezza di Brienne. Erano completamente diverse, eppure erano giunte ad una strana e tacita intesa, probabilmente a causa del rapporto conflittuale che entrambe avevano nei confronti della propria limitante natura di donne, al punto che era stata proprio Brienne a spronare Cersei a trovare dentro di sè la forza di amare ancora la vita, alla morte di Joffrey. Jaime non sapeva esattamente cosa ci fosse di diverso in ciò che provava per Cersei e ciò che provava per Brienne, però aveva realizzato di necessitare della presenza di entrambe.
Proprio perchè Jaime aveva imparato ad interpretare il comportamento di Brienne, s'era reso conto che qualcosa non andava. La donna sedeva un po' in disparte, più assorta che triste, fissando gli arabeschi lattiginosi delle nuvole con la fronte aggrottata. I suoi occhi esaminavano la tersa distesa del cielo, e l'azzurro delle iridi baciava la volta celeste.
-Ho il braccio sinistro un po' intorpidito, ma sono certo che se me le suoni tornerà come prima.- dichiarò in tono divertito, infrangendo il suo silenzio.
Brienne scosse la testa, abbacchiata. -Magari più tardi.-
Jaime la osservò per qualche istante. Tirare di spada era la cosa che lei amava fare di più, quindi doveva esserci per forza qualche problema.
-Nostalgia di casa?- domandò. Era da tempo che Brienne non faceva visita a suo padre, a Tarth.
Lei dissentì di nuovo con il capo. -No, no... stavo solo pensando.-
-Ma non mi dire.- scherzò Jaime, guadagnandosi un'occhiata in cagnesco. -E a cosa, si può sapere?- aggiunse in fretta.
Brienne riabbassò gli occhi al terreno, dove, seduta su un tronco abbattuto, stava disegnando linee spezzate nella polvere con la punta dello stivale. -Non so se è il caso che te lo dica.-
-Oh, su, avanti. Se non lo dici a me, a chi altro?- la incoraggiò Jaime.
Lei contrasse le labbra screpolate. -Ti rovinerei la giornata.-
L'amico scrollò le spalle con indifferenza. -Il cuoco me l'ha già rovinata servendomi una costola di maiale praticamente cruda e tu l'hai già rovinata a te stessa, quindi tanto vale.-
Brienne sospirò pesantemente, prima di decidersi. -Pensavo a Rickon Stark.-
Vide Jaime irrigidirsi al suo fianco e si maledì per aver pronunciato quelle parole. Lo sapeva, che non avrebbe dovuto farlo, ma quell'imbecille riusciva sempre a persuaderla. Dal giorno in cui avevano incontrato Stark di persona, insieme a quel che rimaneva di Myrcella, per Jaime si trattava di argomento tabù.
-E perchè mai?- chiese infine l'uomo, a voce piatta ed impassibile. Brienne mosse la e punta dello stivale e tracciò una linea curva un po' sbilenca.
-Mi risulta odioso quanto risulta a te, te lo assicuro. La sua condotta è veramente abominevole e le voci che circolano riguardo a lui sono agghiaccianti... quello che ha fatto a Myrcella, poi, non lo voglio nemmeno immaginare. Però... io avevo promesso a Catelyn di proteggere i suoi figli, e adesso sto facendo questo... È solo che, quando mi sono trovata davanti a lui, l'ho guardato è mi parso talmente giovane... poco più che un bambino.- S'interruppe bruscamente, corrucciata.
Jaime replicò subito. -Tu avevi promesso a Catelyn di proteggere le sue figlie, ovvero delle povere ragazzine innocenti di... quanti? Dodici, tredici anni? Le cose sono cambiate, Brienne. Quelle disgraziate sono morte. Oggi ne hai avuto la prova: Tyrion s'illudeva di aver trovato quella Sansa, però ovviamente non era lì. Rickon Stark non è una femminuccia indifesa, non è un bambino ed è abbastanza grande da potersi prendere la responsabilità delle sue azioni.-
-La sua famiglia è stata sterminata...- obiettò debolmente Brienne.
-Se tutti coloro la cui famiglia è stata sterminata diventassero cannibali, io e te non saremmo cui a discuterne.- sbottò Jaime. -C'è modo e modo di pretendere vendetta e di sfogare la propria rabbia. Rickon Stark è un pazzo ed è assolutamente incontrollabile. Non ha ricevuto un'istruzione civile e non sa adeguarsi ai costumi della nostra società. Si comporta come un barbaro e, ovunque vada, dissemina morte senza un buon motivo. Finora ha ucciso una miriade di innocenti e ben pochi colpevoli... se di colpevoli si può parlare. I crimini di cui si è macchiato sono diventati imperdonabili, troppo gravi per essere tollerati con il pretesto della sua povera infanzia infelice. Basti pensare che fra tutti se l'è presa con Myrcella. Non solo non è uno Stark, ma non è nemmeno un uomo. Non devi lasciarti ingannare dalla sua età: quello è un demonio, senza alcun rispetto per il mondo in cui vive.-
Brienne tacque. Tutti vedevano crudeltà e perfidia nei suoi occhi, a quanto pare, ma quando lei aveva incrociato il suo sguardo aveva visto solo dolore. Conosceva il dolore, Brienne, e la rabbia che come un'infezione germina rapida in un cuore ferito, annerendolo ed avvizzendolo ma senza ucciderlo, e la follia che corrode la mente per cancellare i ricordi e spegnere gli incubi. Però l'aveva capito, Brienne, che per Rickon Stark poteva non essere troppo tardi.
Che cosa avrebbe fatto, se si fosse trovata con una spada in mano davanti a lui? L'avrebbe trafitto per l'amore che provava per Jaime, per vendicare Cersei e la famiglia Lannister, oppure l'avrebbe risparmiato in nome della sofferenza che, in qualche incomprensibile modo, li accomunava, in nome della speranza senza la quale vivere sarebbe uno spreco di pazienza?
Brienne di Tarth non era un'assassina, ma nemmeno una dea. Sapeva soltanto che poteva contare sul proprio intuito e si augurò che la soluzione raggiungesse il suo cuore al momento giusto, perciò quella sera accettò di tirare di spada con Jaime e dimenticare i suoi dilemmi.
***
Margaery Tyrell era in ansia e, benchè sapesse quanto potesse nuocere al piccolo, non riusciva a farne a meno. Aveva cercato di distrarsi con la lettura, ma le lettere si scardinavano dalle parole e volteggiavano di qua e di là, scappando fra le righe ed evadendo dai loro schemi, sfuggendo al suo sguardo frenetico e distratto; aveva preso in mano un fazzoletto da ricamare, sebbene quel genere di lavori era quanto odiasse di più in assoluto, e non aveva ottenuto altro che pungersi tutte le dita. Inutile: il presentimento d'una catastrofe incombente la schiacciava dall'alto, comprimendola al suolo come se volesse spezzarla. Torcendo le mani in grembo, Margaery sperava: si trattava di qualcosa di puro, qualcosa di etereo, qualcosa di irrimediabilmente ingenuo ed innocente, ovvero qualcosa di cui non si sentiva più in grado, non più degna nemmeno di quella minuta, bianca forma di bontà inconsapevole.
Quando percepì i passi avvicinarsi alle sue stanze fuori dal portone, balzò in piedi dal letto troppo in fretta e percepì di rimando un dolore rancoroso in corrispondenza dell'addome; dovette affrettarsi a carezzare il ventre con ambo le mani per placarlo un po'. Si sentiva così piena, così colma, così ingombra che pareva non ci fosse più spazio per quel bambino che protestava e sgomitava, tentando di farsi posto nell'ambiente angusto. Ma adesso era troppo intenta a pensare a colei che stava per varcare la sua soglia.
Si trattava di septa Idelyne, servitrice della corte di Alto Giardino condotta ad Approdo del Re, fedele alla Regina di Spine dalla notte dei tempi. Margaery fece per venirle incontro, ma la donna fu più svelta e le afferrò le mani, gli occhi rigonfi d'ansia.
-Allora, cara septa? Non farmi soffrire ancora in questo modo, dimmi cosa sta accadendo! Dove si trovano Garlan ed il suo esercito ora? L'ultima missiva che mi ha mandato risale a l'altro ieri ed assicura che le truppe procedono secondo i piani...-
-L'esercito è stato ostacolato e ricacciato indietro, mia regina, pena la scomunica imperiale e la condanna in quanto traditori della corona.- svelò d'un fiato septa Idelyne, con un'espressione angosciata. -È tutto finito. Ci hanno scoperti... hanno scoperto i vostri piani! Sua Maestà è venuto a saperlo, a quanto pare ha lasciato delle spie a corte, o forse è stato per colpa di quel Payne... Non siamo ancora risaliti esattamente al colpevole.-
Margaery era sbiancata dal terrore. -Scoperti...?! Come può essere...? Vuol dire che Tommen sa quali sono le mie intenzioni? E allora... ha contattato la corte? Ha dato disposizioni?! Cosa vuole fare di me?!-
La septa scosse il capo e le carezzò una gota. -No, non ci ha contattati, mia regina, però si sta dirigendo qui per riaffermare il potere centrale, quindi probabilmente intende occuparsene di persona... Non c'è motivo di andare nel panico prima del tempo. Si può ancora fare un tentativo. Dovete fuggire adesso, mia regina, adesso o mai più... affrettiamoci, dunque! Ditemi quel che volete portare con voi, giusto il necessario per riempire due bisacce, ed andiamo. Ci sono alcuni soldati ancora fedeli alla casata dei Tyrell che ci aiuteranno, però non possiamo indugiare. È per la vostra vita che stiamo combattendo!-
Quelle parole infusero in Margaery la forza di reagire. Subito cominciò a snocciolare qualche disposizione, cioè di prendere un mantello pesante per il viaggio, e svelò il nascondiglio di un piccolo bottino d'oro che teneva da parte da un pezzo, in caso di situazioni d'emergenza; cambiò le scarpe in un paio di stivaletti che le avrebbero permesso di camminare più abilmente e prese con sè altri capi di vestiario più spessi, casomai fosse capitato di viaggiare di notte. Ma fu proprio mentre si apprestava ad imbracciare un fagotto di sottane di lana, che una fitta lancinante al ventre le mozzò il fiato e la costrinse a boccheggiare, con le ginocchia incerte ed una mano a cercare un sostegno. Il panico le causava dolori da ore, ma adesso la loro intensità era diventata eccessiva per essere spiegata solamente come un effetto collaterale dell'ansia.
-Mia regina...- Septa Idelyne la fissò preoccupata, una mano già sulla maniglia della porta.
-Non è niente.- bofonchiò Margaery, stringendo i denti con tenacia e raddrizzandosi piano, -andiamo.-
Non avrebbe permesso al suo stato di rallentarla, non in un momento cruciale come quello. Fu in un certo senso sollevata dal fatto che quella sofferenza tagliente non si presentasse più, ma stava cantando vittoria troppo presto, perchè mentre scendeva le scale una stilettata poderosa al ventre la costrinse a piegarsi su se stessa, gemendo. A quel punto la septa capì che nessuna delle due sarebbe fuggita dalla Fortezza Rossa quel giorno.
-Dobbiamo chiamare immediatamente il Maestro e ritornare nella vostra stanza, altezza. Presto.- sospirò la donna, mettendole un braccio attorno alle spalle e sostenendola. Margaery protestò vivacemente.
-Ma non possiamo rimanere qui! Dobbiamo scappare prima che l'esercito arrivi! Io non voglio-
-Maestà, voi state per partorire.- dichiarò la vecchia septa, con voce calma e ferma. -E vi assicuro che partorire in piedi è assolutamente improponibile. Voi non potete camminare e sforzarvi ancora, dovete riservare le forze per il momento in cui darete alla luce la creatura... Se faticherete troppo, potrebbero esserci gravi conseguenze per il bambino.-
Suo malgrado, benchè combattesse per non versarle, Margaery avvertì gli occhi velarsi di lacrime. Vacillava persino l'onore, che l'aveva sempre spinta a camminare a testa alta malgrado le sue colpe ed i suoi delitti, che le aveva impedito di supplicare e rinnegare se stessa; a gridare ed assordarla era soltanto il ritmo del suo cuore galoppante, stravolto dalla prospettiva di ciò che stava per succedere e dalla scoperta della fuga di notizie. 
-E... Tommen? Come possiamo fare? E se vorrà ripudiarmi, se vorrà... uccidermi? Cosa possiamo fare, cara septa?!-
La donna le rivolse un sorriso dolce e un po' mesto. -Pregare, mia regina. Pregare...-
Per sottolineare quanto imminente fosse il momento del parto, nel risalire le scale Margaery avvertì chiaramente qualcosa dentro di lei non funzionare più come prima, qualcosa d'incrinato che si strappava come seta, un rumore acuto ed agghiacciante che solo il suo corpo percepì e che la lasciò stordita di paura, e quel qualcosa d'irrimediabilmente spezzato palesò presto la sua natura. Pochi istanti dopo, Margaery percepì i fiotti d'acqua calda bagnarle le cosce; le sembrava di stare scivolando in una gola ripidissima e priva di appigli, in una voragine buia ed ignota di non ritorno, di stare precipitando senza possibilità di scampo. La septa si accorse del suo turbamento e la strinse più forte, quasi per infonderle coraggio.
Quando giacque supina sul letto vermiglio, Margaery si chiese quale fosse il tormento più atroce: il pensiero che Tommen sarebbe arrivato di lì a poco per giustiziarla oppure il dolore che cresceva incessante ad ogni sferzata. Il Maestro che l'aveva esaminata assicurava che ci sarebbe voluta almeno un'ora abbondante prima del travaglio, se non due. Le contrazioni erano diventate così potenti e vigorose che stringere le federe con le dita e mordersi la lingua non serviva più a niente, e la regina liberava aspri strilli che scucivano le sue labbra a forza per esplodere nell'aria, che le ancelle s'affrettavano a speziare bruciando incensi in bracieri d'ottone. Quelle fragranze orientali e penetranti nauseavano un po' Margaery, ma ella al momento era troppo distratta da tutto il resto per farci caso. Le serve detergevano inoltre la fronte della fanciulla con panni intrisi d'acqua calda, levavano il sudore dagli zigomi e dal collo contratto, nel tentativo di offrirle un po' di sollievo e rilassamento. Septa Idelyne continuava a sussurrarle consigli e parole di conforto, per distogliere la sua mente dal pensiero del dolore e delle preoccupazioni, perchè al momento il buon esito del parto aveva la precedenza su qualsiasi altro problema -ma Margaery riusciva a stento ad udirla. Il tempo procedeva pigro come mai era stato, consumandosi piano piano ed evaporando lentamente insieme all'essenza nei bracieri, logorando la pazienza, gonfiando i cuori d'aspettativa.
Nel momento in cui venne esortata a spingere, Margaery si accorse all'improvviso che in realtà avrebbe voluto che Tommen fosse lì, alla sponda di quel letto, ad attendere con lei, a contagiarla con il suo instancabile ottimismo; avevano perso importanza le tribolazioni, le macchinazioni, gli intrighi, tutti quei piani inutili e vanificati, quell'ambizione che era solo sabbia a scivolare fra le dita, perchè stava per nascere suo figlio e il giovane re, anche se infuriato con lei, anche se consapevole della slealtà della moglie, di sicuro avrebbe voluto esserci, e anche Margaery all'improvviso lo voleva, infuriato e consapevole e tutto, ma sarebbe bastata la sua presenza a rendere completamente diversi quegli attimi.
All'inizio del loro matrimonio non aveva amato Tommen, è vero, e anzi credeva che non l'avrebbe amato mai, che avrebbe provato per lui quel tiepido affetto e quella sprezzante compassione che i piccoli ingenui suscitano. Invece il tempo le aveva dato modo di conoscerlo per quel che era veramente, con i suoi difetti e qualità: non come pedina in una grande scacchiera di cacciatori ed interessi contrastanti, ma come persona.
Fatto sta che Tommen non c'era, e che la speranza del suo arrivo era irrealizzabile. Quando percepì che la strenua lotta con il proprio corpo era terminata, Margaery affondò il capo madido di sudore nel cuscino, mentre un vagito infantile risuonava nella stanza; allora lei cercò il figlio con lo sguardo, la curiosità vinta da una stanchezza colossale e mista al sapore di una sofferenza sanguigna. Il solo suono energico e vitale di quella vocina le faceva capire che il piccolo stava bene e non c'erano pericoli.
-Scoppia di salute, Maestà,- la informò infatti septa Idelyne, commossa, -ed è un maschietto!-
Margaery avvertì il cuore frullare di gioia nel petto: durante la gravidanza aveva temuto di rimanere delusa dalla nascita di un bambino piuttosto che di una bambina, ma invece così non avvenne. Un grande senso di appartenenza e di riconoscimento si radicarono nel cuore della puerpera, come se in fondo in fondo l'avesse sempre saputo. E poi così avrebbe potuto ereditare il trono, un giorno, e non essere venduto al miglior acquirente come sarebbe toccato ad una fanciulla. Tanto dolore gli sarebbe stato risparmiato.
Margaery adocchiò appena qualcosa di piccolo e paonazzo che le ancelle maneggiavano, e vide che lo stavano pulendo del sangue con un panno intinto dell'acqua di un catino, che poi lo avvolgevano in una copertina per darglielo in braccio. Ma proprio mentre tendeva le mani emozionata per prendere il piccolo fagotto, un dolore violento all'interno del suo ventre la richiamò a quella realtà di sofferenza rossa. Il suo primo, orribile pensiero fu che ci fosse qualche complicazione e che lei stesse per avere un'emorragia dovuta al parto; il panico la assalì, perchè lei non voleva morire, non adesso che aveva messo al mondo quella piccola creatura e che la voleva conoscere, com'era diritto di ogni madre. Il ricordo della storia di Joanna Lannister balenò nella sua mente come un monito minaccioso, e d'un tratto le parve che tutto questo fosse un incubo.
Poi realizzò che quel dolore non sembrava anomalo, imprevisto, ma... spontaneo, naturale, come quello che aveva provato finora. E perchè? Perchè c'era ancora qualcosa dentro di lei. Ancora qualcuno. A quella rivelazione si toccò la pancia, sgomenta, e sotto il suo palmo disteso percepì distintamente un movimento.
-Ce n'è ancora uno, Maestà.- esclamò la septa, ripetendo le parole del Maestro.
-Ancora uno?!- La voce di Maegery suonò stridula, strozzata forse dallo sconcerto o forse dalla tremenda prospettiva di ripetere quel calvario di nuovo, subito. Incredula ed incapace di rendersi conto che cosa comportasse quel responso, la regina di Westeros si limitò ad imitare ciò che aveva fatto fino a quel momento, a riprendere il respiro profondo e le spinte, a stritolare le mani delle ancelle. Significava che lei aveva aspettato due gemelli? E com'era possibile che nessuno l'avesse avvertita prima, che nessuno l'avesse previsto in anticipo, durante una delle numerosissime visite di controllo che aveva fatto?! Proprio quando giunse allo stremo delle forze, il secondo neonato sgusciò dalle sue cosce sdrucciolevoli di sangue e la septa recise il cordone ombelicale. Un'altra voce irruppe, sonora e squillante quando la prima, e venne annunciato che si trattava ancora una volta di un maschio; Margaery non ebbe nemmeno la forza di aprire gli occhi. Il suo corpo, ormai appesantito dall'esaurimento e prosciugato d'ogni capacità fisica e cognitiva, non rispondeva più alla sua volontà fiaccata e rimaneva inerme per costrizione, mentre l'ossigeno accorreva precipitoso alle sue labbra schiuse dalla fatica.
Le ancelle provvidero a lei, legandole i capelli fradici in una lunga e stretta treccia intermezzata da un nastro, affinchè non le dessero fastidio, e le offrirono acqua e frutta fresca per rimettersi in sesto; nel frattempo i gemelli venivano lavati e sistemati, di modo che la madre potesse vederli. Finalmente Margaery avvertì un soffice peso sul petto ed aprì gli occhi.
Due minuscole testoline rosse e rotonde erano poggiate contro di lei, mentre i piccoli corpi erano nascosti da panni sontuosi, riccamente decorati. Non c'era traccia di capelli, ancora; era un buon segno, significava che sarebbero diventati belli biondi come il padre. Le ciglia di Margaery s'inumidirono, mentre tenere lacrime raggiungevano il suo sorriso. Ricordandosi di cosa i piccoli avessero bisogno, la madre si scoprì i seni turgidi.
Septa Idelyne le si fece appresso e le parlò a bassa voce. -Come avete intenzione di chiamarli, mia regina? Voi e sua Maestà il re avevate concordato un nome solo, immagino.-
Margaery annuì. -Sì, però so già come si chiameranno. Saranno Nathaniel e Lionel Baratheon.-
Nathaniel e Lionel Lannister, pensò fra sè.
La settimana seguente al parto fu idilliaca. Margaery rimase a letto per recuperare le forze, e i bambini le venivano portati quattro volte al giorno per le poppate, di cui aveva richiesto di potersi occupare personalmente, almeno per il primo mese di vita dei piccoli. Ormai la regina s'era abituata all'idea di aver dato alla luce due eredi, e di conseguenza di ritrovarsi a gestire due figli anzichè uno: non le era mai passata per la testa quell'eventualità, che in fondo non era nemmeno così remota, dato che la famiglia Lannister era geneticamente predisposta a generare gemelli, però le piaceva moltissimo quella sorpresa che le era stata riservata. A parte il travaglio, era davvero contenta di avere due piccolini identici ai quali dispensare il suo amore. Era una prospettiva molto interessante. Le venne riferito che era stato mandato un corvo a Tommen per informarlo dei frutti del parto della regina, della nascita di due gemelli maschi perfettamente sani e vispi, i cui nomi erano Nathaniel e Lionel; la risposta non si era fatta attendere ed era stata mandata dal Folletto, che riferiva che il re, nell'apprendere tale lieta novella, aveva pianto di felicità e non vedeva l'ora di poter stringere fra le braccia i propri figli, cosa che sarebbe avvenuta molto presto. Anche Tommen era rimasto sbalordito di fronte alla prospettiva di due neonati al posto di uno, come finora s'era figurato, però la nuova immagine che aveva preso forma nella sua mente non era meno attraente, ed anzi prometteva un avvenire ancora più roseo. Tutti si erano congratulati con il re, fra l'esercito, avevano rivolto i loro auguri ed omaggi per i principini appena nati, e Tommen aveva ringraziato i suoi uomini con gli occhi lucidi, sorridendo fra i singhiozzi grazie, grazie! Margaery s'era intenerita leggendo quelle righe, e per pochi attimi riuscì ad illudersi che fosse tutto a posto, che non ci fossero impedimenti a quella felicità così immensa ed ideale, così struggentemente accessibile. Era tutta colpa sua, lo sapeva, però troppo tardi aveva capito che c'era qualcosa di molto più importante che delle ambizioni della famiglia Tyrell: qualcosa che cresceva silenziosamente dentro di lei, ed a cui perciò Margaery non aveva riservato le attenzioni che meritava. Poteva soltanto piangere se stessa per gli errori che aveva commesso. C'era forse un modo per riscattarsi? L'avrebbe scoperto solamente al ritorno di Tommen.
Accadde una mattina apparentemente tranquilla come al solito. Margaery s'era svegliata presto ed attendeva l'arrivo della septa con i bambini, che al sorgere del sole erano terribilmente affamati- come se non avessero mangiato rispettivamente appena la madre prendeva sonno di sera e nel bel mezzo della notte- e che giorno per giorno erano sempre più voraci. Ma stranamente, anzichè septa Idelyne, entrarono nella sua stanza da letto due guardie armate. Margaery s'allarmò e alzò il capo dai guanciali, in allerta.
-Cosa vi porta qui? È per caso capitato qualcosa a Tommen?- li apostrofò spaventata.
-No, mia regina.- rispose uno dei due, con voce grave. -Però mi vedo costretto a dichiarare il vostro stato di fermo. Margaery Tyrell, siete accusata di cospirazione contro la corona. Vi chiedo di seguirci di vostra volontà e di non costringerci ad usare altre maniere.-
Margaery era paralizzata dal panico: quelle parole, poi, la riscossero. -Stato di fermo? Mi state per caso arrestando?! Ma è assurdo! Voi... voi non potete! Sono la vostra regina, non avete assolutamente nessun diritto...-
-Ordini di sua Maestà il re.- ribattè la guardia. -Vi prego, altezza, seguiteci.-
Margaery picchiò il pugno contro il materasso, rabbiosamente, reprimendo la disperazione che affiorava. -No! No, io non posso seguirvi! Non posso andare in prigione! Devo occuparmi dei miei figli! I miei figli... cosa ne sarà dei miei figli?! Cosa ne sarà?!-
Non risposero alle sue domande, ma la presero per la braccia cercando per quanto possibile di non farle male. Nonostante la foga delle sue urla, Margaery non si oppose. Rimase pressochè inerme mentre veniva portava nei piani superiori, su una delle torri. In effetti, la sua non era una vera e propria prigione, bensì una camera dotata di tutte le comodità, di suppellettili e mobilia. Le lenzuola del suo letto erano di seta e c'erano libri da leggere che l'avrebbero tenuta impegnata per una decina di vite intere, però Margaery ci fece caso a malapena. Ogni volta che le venne portato di che mangiare -piatti d'oro e porcellana con ricche carni annaffiate di vino e sugo, contorni di verdure lussureggianti, dolci ripieni di crema e ricchi di zucchero insieme a calici del miglior vino- supplicò le inservienti di ritornarle i suoi bambini, fece domande circa le loro condizioni, ma non ottenne nessuna risposta.
-Ci è stato vietato di dirvi alcunchè, Maestà.- si giustificavano le ragazze quando la regina prometteva ricchezze e ricompense in cambio, mortificate dal dolore della donna e dall'impossibilità di recarle aiuto, perchè a quelle visite assistevano sempre le intransigenti guardie. Margaery non riusciva più a pensare a se stessa, ma soltanto al destino di quei piccoli esserini indifesi alla mercè di gente senza cuore, e si tormentava incessantemente.
La regina assistette al ritorno di Tommen dalla stretta finestra della sua torre: un lungo corteo cremisi che innalzava gli stendardi del cervo e del leone, procedendo a passo marziale. Quando il marito si presentò alla sua porta, guardandola attraverso una fessura sbarrata, sputò la domanda che da giorni la perseguitava.
-Come stanno?-
L'espressione di Tommen era abbattuta. Delusa. Rigida nella sua fragilità. -Perchè, Margaery? Perchè l'hai fatto?-
-Come stanno?-
Egli sospirò. -Stanno bene. Non permetterei mai che venisse loro fatto del male. Perchè mai qualcuno dovrebbe fargliene? Sei tu quella nei guai, Margaery, non loro. Loro non hanno complottato alle mie spalle, non hanno tradito la mia fiducia. Loro sono ancora i principi legittimi, anche se tu forse non sarai più regina. Sarebbe più indicato preoccuparti per quello che sta per succedere a te.-
Margaery poggiò la fronte alla superficie di ferro della porta, esausta. -Voglio vedere i miei figli.- mormorò.
-Non è possibile.- obiettò Tommen, apatico.
Lei s'impossessò imperiosamente dei suoi occhi, riaffacciandosi alla fessura sbarrata con un nuovo, sferzante rancore.
-Tu puoi ripudiare tua moglie, puoi levare dal capo la corona ad una regina e puoi imprigionare Margaery Tyrell,- cominciò, con voce appena sfrigolante d'astio, digrignando i denti, -ma non puoi privare una madre dei suoi figli. Questo non lo puoi fare, Tommen Baratheon. Non puoi nemmeno immaginare che cosa significhi per me...- 
-Ah, adesso sei solo tu quella che soffre, non è vero?- Tommen la interruppe, indispettito da quella rabbia ingiustificata che scatenò la sua, investendola violentemente con parole velenose. Fece una smorfia disgustata. -Sei ridicola, Margery. Ti dò una notizia dell'ultima ora: la colpa è tua e di nessun altro. Se ti fossi comportata come ogni moglie perbene, se mi fossi rimasta fedele, a quest'ora avresti i nostri figli in braccio e nulla di tutto ciò starebbe accadendo. Non sai quanto mi renderebbe felice scoprire che è frutto della mia immaginazione. Prima era fantastico, meraviglioso e perfetto, e adesso...- La voce di Tommen si spezzò, ma il ragazzo non volle darlo a vedere e scosse la testa, furioso. -Hai rovinato tutto, Margaery, e di questo non posso perdonarti. Io credevo che i miei nemici fossero là fuori, non sotto il mio stesso tetto! Come mi dovrei sentire, secondo te? Se tu fossi nei miei panni, cosa faresti? Dovrei perdonarti o farti penzolare da una forca come continuano a ripetermi? E io... io non so più nemmeno chi tu sia. Non so cosa pensare.- Tommen le rivolse un'occhiata penetrante, inorridita e scoraggiata.
Prima di parlare di nuovo Margaery riprese fiato, chinando il capo a quelle accuse, quasi fossero pietre. -Non ti sto chiedendo di liberarmi, nè di fidarti di me, nè di riprendermi al tuo fianco. Non ti sto nemmeno chiedendo di fare qualcosa perchè sono io a domandarlo, ma soltanto per il bene dei miei, dei tuoi, dei nostri bambini. Hanno bisogno della loro madre! Non puoi negarci questo diritto. Nè a me, nè a loro.-
-Risparmia il fiato per il processo, Margaery.- la congedò Tommen, freddamente. Margaery si aggrappò alle sbarre, terrorizzata.
-No! No, Tommen, aspetta! Tommen, ti supplico...-
Fu quando suo marito scomparve nella tromba delle scale, che Margaery si asciugò le lacrime sulle guance con gesti rabbiosi, confortata almeno dal pensiero che i suoi piccoli sarebbero stati sani e salvi; ma erano comunque vulnerabili, visto che lei non era lì a proteggerli: e la bufera -lo presagiva nell'aria- si sarebbe abbattuta su Approdo del Re fin troppo presto.


































Note dell'Autrice: Che gli dèi mi aiutino, posto sempre più in ritardo. u.u Però il capitolo è bello lungo, quindi potete essere contenti, miei lettori!
E quindi abbiamo scoperto che il piano di Baelish era mandare Sansa da Arya, che Meera e Yara fanno comunella (qualsiasi accenno di femslash al proposito è puramente casuale) e che Margaery ha partorito due gemelli. ^-^ Per poi finire dritta dritta in gattabuia. o.o Ah sì, per non parlare della carriera di Myrcella come cannibale in erba! XD No, no, tranquilli, non diventerà cannibale anche lei. XD
Comunque, spero che abbiate apprezzato il capitolo e che perdonerete il mio ritardo. La quarta stagione sta per arrivare, gente, è sempre più vicina!
Grazie a tutti coloro che hanno letto, aspetto impaziente di scoprire le vostre opinioni!
Lucy

  
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