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Autore: Nadie    01/02/2014    2 recensioni
Non ci crede.
Non ci deve credere.
Non ci può credere.
Il tempo non torna indietro e questo lo sanno tutti.
Allora cosa c’è che non quadra?
Cos’hanno quell’istante, quella spiaggia, quel sole, quel mare, quel ragazzo e quella ragazza di sbagliato?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Piccolo pianto


La foto che tiene tra le mani la ricorda bene, perché l’ha scattata lui.
Dentro c’è un bambino minuscolo, con gli occhi chiusi, che sembra stia urlando.
L’uomo alza il capo.
È in un ospedale, alla sua destra c’è un enorme vetro, ed aldilà del vetro ci sono della creaturine strane che devono essere appena venute al mondo.
Strillano e piangono.
I loro vagiti lo divertono.
Si avvicina al vetro e a fianco a lui arriva un ragazzo con gli occhi lucidi che osserva attento un bambino che si agita come un dannato.
Rubén.       
Sembra felice.
I suoi occhi neri sono fissi su quel bambino che piange e sembra che gli stiano dicendo qualcosa.
L’uomo vuole entrare nella testa di Rubén, nella sua stessa testa e leggere i suoi pensieri.
Chiude gli occhi e le voci dei bambini si spengono, cala il silenzio dentro a quell’ospedale e sente solo la voce di Rubén, la sua voce.
Smettila di piangere, piccolino.
Siamo collegati io e te.
Siamo collegati perché se sei qui, se sei arrivato fin qui da chissà dove, è anche grazie a me.
Non tornerai più indietro, piccolino, mettiti l’anima in pace e smettila di piangere.
Devi essere felice.
Devi essere felice perché tua madre è un essere perfetto ed anche tu, per mezzo di Lei, sei perfetto.
Devi essere felice perché sei stato parte di Lei ed ora Lei è parte di te.
Devi essere felice perché hai vissuto nel Suo corpo armonioso, devi essere felice perché la Sua coscienza è stata anche la tua coscienza, devi essere felice perché sei stato Lei ed ora Lei è te.
Piccolino, io non ti conosco ancora, ma già adesso, già adesso mentre guardo gli occhi scuri che Le hai rubato, già adesso mentre ti ascolto piangere come un disperato, penso che morirei per te.
Sono sicuro che morirei per te.
Io e te, piccolino, siamo legati da un filo invisibile ed inconsistente, un filo fatto d’aria e del nostro amore traslucido, un filo fragilissimo ed indistruttibile che ci tiene stretti, e così sarà per sempre.
Piccolino, smettila di piangere.
Adesso, piccolino mio, a partire da te e per mezzo di te comincia la mia storia, la tua storia, la Sua storia, la storia di tutti noi.
Siamo solo noi, piccolino mio.
Noi e ciò che è parte di noi, prometto che ti riempirò di me, e Lei ti riempirà di sé, piccolino, e allora sarai perfetto, sarai te stesso, sarai me e sarai Lei allo stesso tempo e avrai l’infinito nel petto.
Smettila di piangere, piccolino mio.
Smettila di piangere.
Sei piovuto dall’alto o dal basso?
Ti ha mandato Dio e sei venuto da solo?
Non importa, piccolino.
Non importa.
Non importa perché parte tutto da qui, parte tutto dal tuo pianto, ciò che sei stato prima non è un tuo problema, non è un mio problema, non è un Suo problema, è un problema universale, un problema senza la soluzione, la soluzione sarebbe ricordare, ma io non ricordo, il signore a fianco a me non ricorda, e tu? Tu, piccolino mio, ricordi? No, quel ricordo lo ha mangiato il cielo, e allora lascialo lassù, dimentica ciò che eri lassù perché ora sei qui e qui resterai per sempre, piccolino, un giorno non sarai più piccolino ed incontrerai una ragazza bella come tua madre, sarà difficile, lo so, ma accadrà anche a te e lei ti regalerà un piccolino a cui dirai le stesse cose che ora io dico a te.
Smettila di piangere, piccolino,
Ascolta il tempo che si mette in fila avanti a te e ti prepara anni nuovi, felici e pieni.
Ti daremo tutto quello che abbiamo, piccolino.
Ora smetti di piangere che la mamma vuole vederti, vuole toccarti, vedrai, vedrai com’è bella, tu ora sembri un mostrino, ma sarai bello come Lei, vedrai.
Smettila di piangere, piccolino.
L’uomo riapre gli occhi e il pianto dei bambini scivola prepotente nelle sue orecchie.
Rubén prende una macchina fotografica dalla tracolla che gli pende sul fianco e scatta una foto al bambino, al mostrino.
È la foto.
La foto che lo ha portato in quell’ospedale.
La foto che tiene ancora in mano.
Rubén sorride e volta il capo verso l’uomo, allungandogli la foto.
«È mio figlio. Ora non sembra tanto diverso dagli altri bambini, lo so, ma quando crescerà diventerà bello come sua madre, ne sono sicuro. Vuole sapere perché ne sono sicuro? Perché sua madre, cioè mia moglie, è la donna più bella di Spagna. Anzi, del mondo. La più bella del mondo.»
L’uomo vorrebbe rispondergli che lo sa, lo sa che la moglie di Rubén, che sua moglie, è la donna più bella del mondo, ma si limita a sorridergli ed annuire.
«Allora… allora tienila stretta e non farla andare via, il tempo, quando vuole, diventa davvero cattivo.» gli dice e poi corre via, scende le scale, si scontra con i medici in camice bianco e corre via, corre verso le enormi porte del piano terra, le spinge ed esce fuori e cade giù.
Non lo sa dove diavolo sta andando a finire, ma prega che ritorni tutto come prima, prega di poter tornare al buio della sua stanza, prega di poter rimettere tutte le foto al loro posto e di restare nel suo presente, perché il passato - questo gli hanno insegnato le foto - fa male.
Ed effettivamente la stanza in cui precipita è la stessa stanza da cui è partito, ma non è buia e non è vuota.
C’è la luce.
E c’è Roxana seduta sulla sua poltrona.
  
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