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Autore: DoMyThang    01/02/2014    0 recensioni
Come esattamente avevo fatto a trovarmi in quell’assurda situazione proprio non lo capivo. Eppure in qualche modo era successo e adesso dovevo uscirne assolutamente fuori! Avevo un esame da dare da lì a pochissime ore ed ero intrappolata con un’imbecille nel retro dello Starbucks.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come esattamente avevo fatto a trovarmi in quell’assurda situazione proprio non lo capivo. Eppure in qualche modo era successo e adesso dovevo uscirne assolutamente fuori! Avevo un esame da dare da lì a pochissime ore ed ero intrappolata con un’imbecille nel retro dello Starbucks.

Mi ero svegliata quella mattina ripetendo tutto ciò che avevo imparato da quando mi ero trasferita a Los Angeles con la borsa di studio vinta un po’ anche a fortuna alla Sapienza di Roma. Erano mesi che mi stavo preparando a dare quell’ultimo esame e una volta finito, sarei potuta rientrare in Italia dalla mia famiglia e lavorare finalmente come vera editrice. Avevo solo bisogno di un caffè. Un caffè per svegliarmi e per iniziare bene la giornata, come avrei mai potuto sospettare che mi accadesse una cosa simile?

-Buongiorno un caffè lungo.
-Nome?
-Claudia

Vidi l’impiegato scrivere su un bicchiere il mio nome e passarlo ad una signorina, quando pagai andai dall’altra parte del bancone per prenderlo. Fu in quel momento che qualcosa andò storto! Stavo giusto per bere un sorso dal mio tanto desiderato caffè dopo averci semplicemente messo un po’ di zucchero dentro che una specie di bisonte riccioluto mi venne addosso. Caddi, e con me cadde anche il caffè che si rovesciò in parte sul pavimento e in parte sul mio vestitino grigio. Con aggiunta a tutto ciò, mi scottai anche! Il bisonte che mi aveva aggredita si butto subito su di me chiedendomi scusa e aiutandomi facendomi alzare, l’impiegato che mi aveva servito stava accorrendo a pulire il pavimento mentre io osservavo il mio vestito completamente macchiato presa dalla disperazione!.

-Mi dispiace così tanto, ti sei fatta male?. Mi chiese con aria gentile, gli feci una smorfia ironica. Figurati se una persona cadendo si poteva mai far male! Non mi diede neanche il tempo di rispondere che decise di offrirmi la colazione per scusarsi. Cercai di rifiutare ma fu tutto inutile e intanto, la gente intorno a noi,  si era già dimenticata di ciò che era successo e di quanto male mi ero fatta!.

Tornò al tavolo in cui mi aveva fatto sedere con una colazione con i fiocchi, un vassoio colmo di biscotti di tutti i tipi, tantissimi muffin, due ciambelle ripiene di panna e due caffè. Si sedette accanto a me mettendosi su un cappello che tirò fuori dalla tracolla nera che portava, i suoi ricci marroni scomparvero al suo interno e con gli occhiali da sole completamente neri che non aveva mai tolto, sembrava che stessi facendo colazione con un pericoloso criminale in incognito.

-Grazie mille non dovevi. Dissi indicando tutto il vassoio un po’ imbarazzata.
-Era davvero il minimo, ti ho macchiato tutto il vestito mi dispiace! Non stavo proprio guardando dove andavo.

Continuò a scusarsi per tutto il resto della colazione e mi divertii a prenderlo in giro per della panna che gli era finita sul naso. La sua risata aveva un buon suono e mi sarebbe piaciuto molto rimanere a chiacchierare lì con lui, ma dovevo davvero scappare. Da quando mi ero trasferita a Los Angeles mi erano capitate tantissime cose, la mia lingua era diventata praticamente perfetta e ogni giorno incontravo persone strane da cui attingere tanto. Quella colazione l’avrei messa nella lista delle cose che ti possono capitare solo in America!

-Beh è stato un piacere, grazie mille per la colazione ma adesso devo scappare. Mi alzai prendendo la borsa e lui si alzò con me per salutarmi, sembrava un così antico gesto di galanteria che non potei non sorridergli! Lui ricambiò il sorriso e mi porse la sua mano, il gesto che feci per afferrarla mi sembrò lentissimo e quando gliela strinsi qualcuno nel locale urlò. Un urlò straziante che mi fece sobbalzare e girare spaventata, che stava succedendo? Qualcun’altro era caduto? NO. Assolutamente nulla di brutto era successo. Quell’urlò arrivò da due ragazzine che fecero girare tutto il locale, “E’ LUI E’ LUI O MIO DIO”, stavano guardando verso di noi ed indicavano lui. Lo sentii imprecare mentre tutto il resto del locale si stava avvicinando per guardarlo, l’attimo dopo mi ritrovai ad essere trascinata tra un mare di flash di Iphone puntati su di noi, nella cucina dello Starbucks con i tutti i dipendenti che cercavano di contenere la folla impazzita. Il riccioluto si tolse il cappello e gli occhiali e si accasciò sul pavimento sospirando tristemente. Lo guardai senza capire assolutamente nulla di tutto ciò che era appena successo, doveva essere qualcuno di famoso, ma perché diamine mi aveva trascinato con sé?. Lo guardai male e feci per andarmene.

-Mi dispiace signorina non può passare, il locale è sottosopra è impossibile attraversarlo.
-Eh? Ma io devo uscire di qui! Ho un impegno, mi faranno passare.

Scansai il dipendente e andai verso la porta ma proprio nel momento in cui la stavo per aprire qualcuno si ci precipitò dentro ansando e la chiuse a chiave.

-Sono impazziti! Mi hanno aggredita. Esclamò con il fiatone la ragazza di prima che si ritrovava con il grembiule totalmente strappato, la guardai sconvolta.
-Presto mettetevi al sicuro qui dentro, abbiamo già chiamato la polizia. Un terzo signore un po’ più anziano ci fece strada verso un’altra stanzetta fuori dalle cucine, una specie di ufficio del direttore con un paio di certificati incorniciati sulle pareti e un divanetto.
-Mi dispiace per il disagio. Disse il bisonte/riccioluto al proprietario.
-Oh non si preoccupi signor Styles questa è tutta sana pubblicità per noi! Quando le persone si saranno calmate e la polizia le avrà cacciate, ritorneranno speranzose d’incontrarla e acquisteranno i nostri prodotti. Lo consolò l’anziano signore dai capelli bianchi tutto soddisfatto, dopodiché uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Non avevo la minima idea di chi fosse il “Signor Styles” ma lo guardai malissimo per tutto il resto della giornata.

Ed eccomi lì, a fare nervosamente avanti e indietro in quell’ufficio aspettando che la polizia arrivasse a salvarci. Ed il signor Styles era anche lui lì, sdraiato sul divano di finta pelle nera con un braccio a coprirsi gli occhi con l’aria un po’ stanca e un po’ rassegnata. Non c’erano finestre da cui scappare né uscite sul retro, mi sembrava di essere intrappolata e i minuti passavano velocemente. Avrei fatto tardi e non mi avrebbero permesso di fare l’esame.

-Camminare in quel modo non darà una svolta alla situazione. M’incalzò il signorino mettendosi seduto a guardarmi.
-Beh mi dispiace Signor Styles ma SCUSAMI se sono stata trascinata QUI DIETRO e intrappolata come un topo in un ufficio SENZ’ARIA quando in questo momento sarei dovuta essere sul bus diretta all’università a dare il mio ULTIMO esame. Lo incalzai un po’ urlando e un po’ gesticolando. Lui sospirò e abbassò lo sguardo colpevole, probabilmente lui era abituato a quelle situazioni ma io non lo ero, avevo degli impegni, dovevo ritornare a casa! Ero stanca di stare lontano dalla mia famiglia, mi mancavano e se non avessi dato quell’esame avrei dovuto aspettare mesi prima di poterlo ridare. Ero entrata nella disperazione.

-Ti farò accompagnare all’università in macchina, faremo in tempo! E se non faremo in tempo farò in modo di farti fare quest’esame.
-NO! Non funziona così, se non sto dentro quella stanza entro le 10.00 a.m. non mi faranno fare l’esame fino alla prossima sessione. Le persone normali hanno delle regole da rispettare, non tutto piove dal cielo allo schiocco delle dita. I personaggi famosi erano così superficiali, mi veniva da piangere per il nervoso.
-Io sono una persona normale.

Fu in quel momento che mi bloccai, il mio gesticolare impazzito, il mio viso pieno di rabbia, persino le mie gambe. Vidi nel riccioluto uno sguardo così triste e allo stesso tempo così determinato che persino se avesse avuto gli occhiali da sole mi avrebbe sconvolto. Nessuno mi aveva mai trasmesso così tanta energia con delle parole.
   
 
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