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Autore: y3llowsoul    02/02/2014    1 recensioni
Le quattro mura grigie, il vuoto della stanza, l'umidità, il freddo – tutto gli faceva, in modo inquietante, pensare a un carcere. Il fatto che non sapesse che cosa intendevano di fare di lui non migliorava il suo stato e non sapeva neanche che cosa dovesse pensare del fatto che per quanto sembrasse non lo sapevano neanche loro. Sembrava che l'avessero semplicemente spostato lì finché il problema non si fosse risolto da solo. Per esempio tramite Charlie se si fosse deciso a lavorare di nuovo per loro. Oppure se avessero concluso i loro affari. Oppure se Charlie si fosse suicidato.
Charlie collabora a una missione segreta. Don cerca di venire a sapere qualcosa della faccenda, ma quando finalmente ci riesce, non è una ragione per rallegrarsene, e per la famiglia Eppes cominciano periodi brutti.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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E di nuovo, mille grazie a BlackCobra e scusa per il ritardo. Ma adesso vedremo quanto male ho fatto a Larry ]:)

 



35. Battaglie della vita

Regrets? I’ve had a few,
But then again too few to mention.
I did what I had to do
And saw it through without exemption.
(Frank Sinatra, My Way)


La notte stava già per calare quando Megan e Don arrivarono al Parco di Livingston. "Harry" – se si chiamava davvero così – sembrava aver detto la verità: quantomeno c’era davvero lo zoo.

Quando Megan e Don si avvicinarono all'entrata dello zoo, la loro supposizione, finora latente, si rafforzò, perché a pochi metri di distanza dall'entrata, su una panchina, c'erano tre uomini di età diversa e aspetto simile: non sembravano essere molto puliti, abbastanza decaduti, e se i due agenti federali avessero avuto dei bambini con loro, probabilmente avrebbero badato a stare molto alla larga da loro. Data la situazione, però, andarono direttamente verso i tre uomini, ovviamente dei senza tetto.

«Uno di voi è Harry?» cominciò Megan. Don era un po' dietro di lei, ogni muscolo teso. Era pronto a reagire se una qualsiasi cosa non fosse andata come doveva.

«Potrebbe essere» rispose l'uomo in mezzo e Megan riconobbe nella sua voce quella di Harry. Era un cinquantenne e così si trovava ad occupare una posizione mediana anche riguardo l’età. L'uomo alla sua sinistra aveva sicuramente più di sessanta anni, l'altro probabilmente non ancora quaranta. Benché i loro vestiti fossero molto logori e Don non si sarebbe mai lasciato vedere in nessuna piazza pubblica conciato in quel modo, tutti i tre sembravano esser sobri e nel pieno possesso delle loro forze mentali.

«Abbiamo telefonato» disse Megan.

«Mi ricordo» rispose Harry. Non sembrava esser diventato più comunicativo dalla loro ultima conversazione.

La sua laconicità non rendeva Don più paziente. «Allora ricorda anche la sua promessa?»

Harry lanciò a Don uno sguardo provocatorio prima di voltarsi verso Megan. «E lui che vuole?» le chiese.

«E' il mio collega». Megan si costrinse a rimanere calma. «Le saremmo molto grati se ci lasciasse vedere il cellulare».

Harry tirò fuori l'apparecchio dalla sua tasca e lo mise sotto il naso dei due agenti. «Eccolo».

«Vorremmo guardare la rubrica» disse Megan, allungando la sua mano con un gesto di richiesta.

«Vorreste farlo, sì». Harry fece una pausa retorica. «E cosa riceveremmo noi tre in cambio?»

Don non riuscì più a contenersi. «Dovreste essere felici se non vi denunciamo per sottrazione di oggetti ritrovati. Inoltre non saprebbe che farsene di un cellulare». E poi, un oggetto come un cellulare era, nella compagnia di Harry, non solo una ragione per contrasti, ma con la giusta dose di alcool nelle vene, sarebbe potuto diventare motivo di un omicidio.

Harry sorrise con disprezzo. «La tua amica è un negoziatore migliore di te» disse in modo molto diretto. «Forse non ci crederai, ma tre anni fa avevo anch'io un cellulare, e inoltre una casa, una donna e un lavoro con cui ho guadagnato in un mese probabilmente più di quanto tu – ma lasciamo perdere. Potete averlo, per quel che mi riguarda. Può essere davvero difficoltoso trovare una presa di corrente in tempo. E non lo userei comunque. Sapete, noi non siamo abituati a farci chiamare col cellulare. Chissà perché».

Sogghignò con occhi scintillanti e Don e Megan si sentirono costretti a ricambiare un sorriso forzato. Comunque avevano già pensato a che senso avrebbe potuto aver un cellulare per un senza tetto.

«Dunque possiamo darvelo» continuò. «Ma i miei amici e io siamo sempre un po' al verde…»

Non era difficile indovinare cosa volesse Harry. A Don ripugnava un po' l’idea di dare soldi a quel tipo, ma considerate le circostanze non pensò sul serio alle alternative.

Tirò fuori il portafogli, sempre pronto a reagire ad un eventuale attacco dei tre uomini. Loro però rimasero calmi e pazienti finché Don non tese loro una banconota da 20 dollari.

Harry piegò la sua testa e inarcò le sopracciglia. «Stai scherzando? Ascolta, non siamo stupidi, va bene? E tutti e tre siamo stati uomini d'affari una volta. Capisco che non importa a gente come voi e che non riuscite ad andare oltre il pregiudizio secondo cui i clochard sono tutti beoni pigri, ma ehi, non potete liquidarci così facilmente. Voglio dire, non è difficile vedere che tenete molto a questo coso». Tenne il cellulare in alto. «Credo che un centinaio dovrebbe andare bene, no?»

Don strinse i denti. Cento dollari per qualcosa che questi tre avevano probabilmente trovato – e rubato! – senza pagare niente in una qualsiasi discarica pubblica! Però era chiaro che a Don non importava nulla il prezzo. Si trattava di Charlie e quella era l'unica pista promettente che avevano. Non doveva davvero rifletterci. Era solo felice che si fossero fermati a un bancomat prima di arrivare lì e che così aveva pronta la somma richiesta. Tentò di non pensare a quanto poco professionale fosse questo comportamento, ma piuttosto sperò che avrebbero davvero fatto progressi in quel modo.

Il cellulare – insieme con il caricabatteria che Harry tirò fuori dagli abissi delle tasche del suo cappotto – e i soldi cambiarono i rispettivi proprietari. I tre senza tetto sembrarono molto contenti di sé, ma Don non poteva ancora fidarsi della situazione. Solo quando trovò nella rubrica sia un "Pete" sia una "Doris Conrad", si ritenne soddisfatto: quello sembrava davvero essere il cellulare di Anna Silverstein. Posticiparono un’analisi più approfondita del cellulare ad un secondo momento, nel motel, perché la batteria era quasi scarica. Non volevano rallentare ancora di più la loro ricerca dei sequestratori incappando nel PIN del cellulare.

Quando Megan e Don voltarono le schiene ai loro "partner d'affari", Harry augurò loro una "Buona serata!". E anche se Don sperava che quella serata passasse in modo migliore rispetto alle precedenti, non poteva ancora sapere che cosa avrebbero portato le ore successive.

- - -

Larry fu preso dal panico. Ma fortunatamente anche in quello stato desolante i nervi nel suo cervello non avevano ancora dimenticato cos'era logico: voleva sopravvivere e il panico non l'aiutava, quindi doveva costringersi ad agire razionalmente. Fino a qui tutto bene.

C’era però un ostacolo all'esecuzione di quel piano: niente panico? Come, precisamente?! La sua macchina stava continuando ad accelerare, la strada era sempre più in discesa ed era ancora umida a causa del breve rovescio di pioggia di pochi minuti prima e –

Oh mio Dio.

Direttamente di fronte a lui, un albero era apparso dalla nulla.

In un solo movimento, Larry sbloccò la cintura e aprì la portiera. La strada volava sotto di lui, ma non aveva davvero la calma per osservarlo più attentamente. Dopo un grosso salto e un rotolamento di cui non si sarebbe mai ritenuto capace, Larry molto bruscamente cadde sull’asfalto duro. Continuò a rotolare fino a che si trovò a metà fra strada ed erba. Nello stesso momento sentì una botta forte, poi un fischio. Non osò voltarsi.

Larry rimase immobile sul terreno per qualche minuto, incapace di muoversi. Non era incosciente – almeno di questo era abbastanza sicuro – ma sentì che sarebbe andato al di là delle sue forze alzarsi in quel momento.

Sentì passi e grida. Persone che gridavano cose incomprensibili, sottosopra. Larry non capiva né che cosa dicessero né poteva distinguere quanti fossero. Tentava di indovinarlo, voleva aprire i suoi occhi, ma le palpebre erano troppo pesanti e tanto più tentava di avvicinarsi alle voce, tanto più questi si allontanavano da lui. E infine la notte per Larry divenne più oscura che mai.

- - -

Il cellulare era attaccato alla presa di corrente e adesso Don riteneva finalmente sicuro cercare l'investitore misterioso. Lui e Megan prima frugarono tra tutti i nomi notando quelli che non conoscevano: li avrebbero controllati più tardi. Almeno questo era il piano.

Fino a che non trovarono “John Doe”.

Ambedue fissarono lo schermo per qualche istante senza crederci. Don non osava sperare: l'avevano d'avvero trovato? Quello era uno dei sequestratori di Charlie? Era troppo bello per essere vero.

«Forse la Silverstein conosceva davvero una persona con questo nome?» fece Don considerare.

Megan lo guardò in modo scettico. Chi avrebbe dato al proprio figlio oppure a se stesso un nome che veniva generalmente usato per cadaveri non identificati?

«E allora come dovremmo procedere secondo te?» chiese lei.

«Potremmo chiamare il numero, per esempio» propose Don senza riflettere.

Questa nuova traccia caldissima sembrava aver attizzato un po' troppo il suo dinamismo; altrimenti Megan non avrebbe dovuto spiegargli che non era una buona idea: «Don, se chiamiamo quel John Doe adesso, lui potrebbe insospettirsi e scappare».

Don abbassò la testa, le fattezze contratte. Gli venne in mente – non per la prima volta! – che questo caso gli stava chiedendo troppo. Faceva errori che altrimenti non avrebbe mai fatto, era accanito, aveva i paraocchi, era diritto verso una sola meta e si lasciava sfuggire troppe cose. E sempre più spesso si chiedeva se non sarebbe stato meglio dare il caso a qualcun altro.

Grazie a Dio aveva la sua squadra, anche se questa nuova distribuzione dei ruoli non gli piaceva affatto. Non gli piaceva chiedere consiglio. Ma si trattava di Charlie... «E invece che cosa proponi tu?»

«Prima dovremmo scoprire a chi appartiene il numero e poi controllare tutto ciò che abbiamo su questa persona. Senza che essa se ne accorga».

Don annuì lentamente, ma non ce fece in tempo a rispondere perché in questo momento il suo cellulare squillò. «Eppes».

Per un po’ ascoltò senza dir niente. Megan lo osservava. Non le piaceva cosa vedeva, non le piaceva per niente. Credette di vedere il suo capo impallidire e gli occhi si allargarono. Le notizie che stava ricevendo non potevano essere buone. Dalle sue risposte però non riusciva a capire che cosa era successo.

«Sì, è accanto a me. Glielo dirò. Grazie, Amita. E salutalo da parte nostra. Ciao».

Riattaccò e benché sentisse lo sguardo di Megan sui lui, fissò il tavolo davanti a lui per qualche attimo prima di volgersi verso di lei. «Okay, Megan, non allarmarti ora».

Queste parole la misero ancora di più in uno stato d'allarme. «Cos'è successo?»

«Larry ha avuto un incidente».

Don non era stato completamente sicuro come la sua forte collega avrebbe reagito. Però non fu molto sorpreso delle sue fattezze sconvolte.

«Come sta?» chiese così veloce che Don poté solo indovinare le parole della sua domanda.

«Sta bene, considerate le circostanze. E' cosciente e trattabile. Ma è in ospedale». Don aveva considerato prudente placare Megan in anticipo, ma non era servito a molto.

«In ospedale?!»

«A quanto pare non è nulla di serio, solo varie contusioni e graffi. E forse una commozione cerebrale; non lo sanno ancora, perciò vogliono tenerlo in osservazione. Megan, sta bene; Amita ha già parlato con lui».

«Sta bene?!» ripeté Megan, sconcertata. Come poteva stare bene con tutte quelle ferite? E soprattutto: perché era ferito? «Cos'è successo?» pretese di sapere.

«Non lo so esattamente, un incidente con la macchina; Amita ha potuto parlare con lui solo per un attimo, anche lei non sa niente di specifico, ma... Okay Megan, ascolta». Don non era sicuro che sarebbe riuscito ad essere quello forte dei due, ma non aveva altra scelta. «C'è qualcos'altro. Sai, Amita ha potuto parlare con Larry dopo l'incidente».

«L'hai già detto».

Don non perse le staffe per i suoi modi impazienti. «E Larry ha detto... Megan, a quel che sembra non è stato un incidente».

- - -

«E davvero non sai chi potrebbe esser stato?»

Larry cautamente scosse la testa che stava sul cuscino morbido dell'ospedale. Poco a poco, sentiva di nuovo la stanchezza grave calare su di lui. Forse aveva anche qualcosa a che vedere con gli analgesici, benché Larry non fosse assolutamente sicuro se poi gli avevano dato davvero analgesici, dal momento che aveva comunque dolori ovunque.

Sospirò e fermò gli occhi, ma li aprì subito quando sentì la voce preoccupata di Amita: «Stai bene?»

La scrutò. Era tutta pallida, solo gli occhi avevano delle ombre scure. Doveva avere un aspetto esausto almeno quanto lui. Ma se non andava errato, una parte del suo pallore derivava anche dalla sua prima rivelazione dopo l'incidente: Penso che sia stato fatto apposta.

Amita aveva reagito in modo sconvolto alla sua presupposizione. E quello spavento non era diminuito quando lui le aveva spiegato la cosa: qualcuno doveva aver manomesso la macchina, probabilmente qualcuno aveva tagliato i fili dei freni. Certo, la macchina di Larry era vecchia – ma era in ottimo stato. E nessuno poteva fargli credere che i freni avessero semplicemente smesso di funzionare.

Tanto di meno considerate le recenti indagini.

Era l'unica spiegazione che gli veniva in mente, perché per quanto Larry pensasse che non c'era nessuno che avrebbe voluto vederlo morto – quella doveva essere stata l’intenzione del sabotatore, in ogni caso ne aveva accettato la possibilità. Se davvero i fili dei freni della sua auto d'epoca erano state tagliati, qualcuno aveva attentato alla sua vita.

«Penso che Don dovrebbe esserne informato».

«L'ho già informato» rispose Amita.

Larry fermò di nuovo gli occhi. Era felice che lei fosse qui. All’inizio l’aveva chiamata solo perché aveva temuto che anche lei fosse stata attaccata in modo simile, ma adesso si sentiva sollevato nel sapere che lei si stava cura di tutto. Perché da solo si sentiva troppo coinvolto nella faccenda.

Sentì la porta aprirsi e aprì gli occhi un po', giusto una fessura sufficiente però per vedere entrare l'infermiera. «Devo pregarla di andare adesso» disse ad Amita. «Il signor Fleinhardt ha bisogno di calma».

«Certo» disse Amita e si alzò, poi però si chinò di nuovo giù verso lui. «Tornerò domani».

Larry annuì, ma i suoi occhi si chiusero prima che potesse pronunciare il suo ultimo pensiero: Abbi cura di te!

 

  
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