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Autore: ILoveRainbows    02/02/2014    1 recensioni
Perdersi a Londra se non la conosci può essere spaventoso in un primo momento, ma cosa succederebbe se incontrassi una persona che ammiri, stimi: consideri persino il tuo eroe? Clara potrebbe scoprirlo e chissà...
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 8
- Hai preso tutto? -
- Quanta roba vuoi che avessi dietro? Un borsone basta e avanza. - Indicai quello che avevo in spalla.
Glielo diedi e lo mise nel retro della sua auto. - Bene. Allora, prossima meta, casa di Gauthier, Clara Gauthier. -

Quando arrivammo a casa mia mi accorsi che mia madre era in casa. Non buono. Avevo comunque le chiavi. L'autista parcheggiò davanti al palazzo e noi due entrammo. Quando ci vide tutto quello che fece fu lanciare un'occhiata a me e allo strano figuro accanto a me. Non disse niente.
In camera presi un paio di valigie e iniziai a metterci dentro un po' di tutto. Una era per i vestiti e il beauty. L'altra conteneva alcune cianfrusaglie, una foto di me e mio padre, altri vestiti e il computer. Ah, non dimentichiamoci i CD. Non so come riuscimmo a farceli stare.
Il resto l'avrei preso in seguito. Una cosa era certa, non potevo più vivere lì dentro. Non avevo vissuto. Mia madre era la persona più oppressiva del mondo eppure se ne fregava di me. Ero giunta alla conclusione, una certezza, che mi odiava, per quello che avrei fatto a mio padre,  e quindi se poteva mi rendeva la vita un inferno, ma se la disturbavo in qualunque modo sarebbe stato menefreghismo totale.
Poi ce ne andammo. Dissi "ciao", ma di rimando ottenni solo un grugnito. Non m'importava. Sentivo il cuore leggero ad andarmene.

- Questa è la tua camera. Puoi farci quel che ti pare nei limiti della decenza... Beh, diciamo che puoi farci quello che vuoi. Basta che non tiri giù la casa. - Stava per andarsene quando lo chiamai debolmente e si fermò accanto allo stipite della porta, dandomi le spalle. - Grazie, per tutto quello che stai facendo. Significa molto per me. Sei... -
- Sisi, va bene. - Non doveva essere stata una buona giornata. Quello era Morgan, non Marco. Era la faccia pubblica. Il giorno prima era stato lui a propormi questa situazione con entusiasmo. Ora invece era triste. Chissà perché.
Mi sistemai cercando di ricreare un posto che dicesse: casa. Non era difficile, ma mancava del colore. Decisi che avrei comprato della vernice. Mi sdraiai sul letto e mandai un messaggio a Mika: Sto bene qui. Ci vediamo domani. Fai un salto pasticcino - risi - Non vedo l'ora di vederti di nuovo. Ti amo.
Send

Morgan passò il pomeriggio a suonare musica al pianoforte. Ne aveva uno molto grande in soggiorno. Nero, a coda. Sembrava essere tutta la sua vita. Stava cercando di comporre qualcosa, ma non si capiva. Passai almeno un'oretta in soggiorno, seduta per terra, con la schiena al muro e gli occhi chiusi ascoltandolo. Era ancora un lavoro molto grezzo, ma mi piaceva.
Intorno alle sette e mezza preparai un piatto di pasta per la cena. Niente di particolare. Cenammo in silenzio. Ognuno nei suoi pensieri. Nel circolo vizioso della propria mente.
Alle nove e mezza ero già a letto. In realtà fissavo il soffitto senza riuscire a dormire, ma ero a letto. Ascoltavo musica. Playlist delle preferite. Amavo quelle canzoni, ma ora che conoscevo, possiamo dire, abbastanza bene, chi le cantava, non avevo bisogno di ascoltarle sempre e altre canzoni si erano intrufolate fra loro: And I Love Her (Beatles); Sunday Bloody Sunday (U2); Somebody To Love (Queen); Starman (David Bowie) e Aria, dell'uomo che stava a distanza di un paio di muri da dove mi trovavo in quel momento. Dopo un po' caddi addormentata e il mio ultimo pensiero andò a Mika.

3.47 umpf! Mi ero svegliata di soprassalto, ero sicura di aver fatto un incubo, ma non lo ricordavo. Andai verso in cucina e vidi Morgan in soggiorno. Era ancora seduto al pianoforte, ma non suonava. Aveva aperto le tende dell'immensa finestra che dominava quella stanza e dei raggi di luna illuminavano Marco e la sua vita, perché sì, quello seduto a quel pianoforte era Marco, non Morgan. Fissava i tasti bianchi e in mano teneva elegantemente un bicchiere di vino e la bottiglia corrispondente stava appoggiata sul pianoforte creando un'altra ombra. Mi avvicinai silenziosamente, pur sapendo che sapeva che ero lì. Mi sedetti davanti al pianoforte e non dissi una parola, aveva gli occhi lucidi, ma non sapevo se era per l'alcol o per qualche sentimento sempre represso quando era in pubblico. Aveva cambiato vestiti. Ora indossava una camicia nera con una giacca in pelle dello stesso colore, dei pantaloni sempre neri e un cappello calato in parte sugli occhi. Solo a quel punto notai che una lacrima aveva lasciato una scia bagnata su una guancia. Allungai una mano e sobbalzò, ma non si mosse e gliela asciugai con un dito. Accennò un sorriso in mia direzione - Grazie. -
Appoggiai la testa sulla sua spalla e rimanemmo lì per non so quanto tempo.

Mi risvegliai alle dieci di mattina. Doveva avermi rimesso a letto dopo che mi ero addormentata.
Mi stiracchiai, buttai sulle spalle la vestaglia rosa shocking, regalo di Mika e andai a prepararmi in bagno. Avrei fatto un giro. Avevo ancora tre o quattro giorni di convalescenza. Avrei dovuto riprendere il programma scolastico, ma avrei comunque avuto tempo per fare altro. Intendevo godermi quei giorni di libertà. Era come iniziare una nuova vita senza mia madre. Per la giornata avevo alcuni programmi. Prima avrei preparato una colazione per Morgan, sapevo che non si era ancora svegliato perché in quei giorni aveva il naso un po' chiuso e lo sentivo russare dalla sua stanza. Poi volevo andare a fare un giro in centro, cercavo un regalo per Mika. I soldi non erano un problema. Da quando ero nata mio padre aveva messo via soldi per me. Avevo iniziato a riceverli quando avevo compiuto la maggiore età e ora, ogni mese, mi arrivava un bonifico di 100€ sulla carta di credito. Morgan e Mika avrebbero pensato a molte cose, me lo avevano detto e io ero ancora sconvolta da questo, ma mi aiutava un sacco. Poi volevo andare al cimitero, dovevo andare a trovare mio padre. Non ero religiosa, quasi mai stata, ma sentivo di doverlo andare a trovare.
Infine avrei fatto una sorpresa a Michael.

Scrissi velocemente un post-it. "Faccio un giro in centro. Dopo pranzo vado al cimitero a trovare mio padre. Poi faccio un salto da Michael. Ho dietro il cellulare. Questa è per te. Clara."
Lo misi vicino alla colazione che gli avevo preparato e uscii. L'aria era frizzante, ma si avvertiva l'arrivo della primavera. Sugli alberi comparivano le prime foglioline; gli uccelli cantavano felici l'arrivo della bella stagione.
Camminai con le mani in tasca e le cuffiette nelle orecchie fino a Corso Vittorio Emanuele. Ero intenzionata a trovare qualcosa per Mika. Non avevo ancora avuto l'occasione di regalargli nulla fra ospedale e tutto. Volevo ringraziarlo per tutto. Per essermi stato vicino e poi, beh, ora era il mio fidanzato. In realtà non avevo bisogno di una ragione specifica per fargli un regalo, bastava averne voglia. Sapevo esattamente cosa regalargli. Percorsi buona parte della via finché trovai la strada laterale giusta. Mi ci infilai e dopo aver svoltato un altro paio di volte trovai il negozio che cercavo. Aveva un'aria un po' scassata, ma era quello giusto. Sembrava di essere finiti in un universo parallelo. Il negozio era quasi vuoto e solo alcuni vecchi signori cercavano dischi tranquillamente. Di sottofondo suonava una leggera canzone di musica jazz mai sentita.
Il negoziante mi salutò. Ero un'assidua frequentatrice di quel negozio e ormai mi conoscevano bene.
Andai sotto la "Q" di Queen. Era quello che ci voleva. Sfogliavo delicatamente gli LP fra le dita alla ricerca di quello giusto. Amavo la sensazione che mi dava toccarli. Finalmente lo trovai. In Sheer Heart Attack. Lo tirai fuori e lo ammirai un momento. - Ottima scelta Clara. - Mi girai e trovai alle mie spalle Daniele. Dava una mano al propietario del negozio e mi veniva dietro da un sacco di tempo. Purtroppo non aveva possibilità, ma non volevo infrangere i suoi sogni.
- Come sempre - scherzai. - A parte gli scherzi. Prendo questo. - 
Sistemata tutta la burocrazia salutai ed uscii.
Feci un giro per negozi lì intorno finendo per comprare una bottiglia di vino rosso parecchio costosa a Morgan e poi il mio stomaco iniziò a brontolare. Quindi mi fermai a mangiare delle lasagne.

Amavo questo posto e lo conoscevo come le mie tasche. Magari alcuni lo consideravano un posto triste, freddo, ma per me era quasi "casa", quasi. Ormai tutte le volte che volevo trovare mio padre venivo qua. Accanto alla sua tomba c'era una panchina e mi sedevo sempre lì a parlare con lui... Anzi, a fare conversazione con le voci nella mia testa. Anche quel giorno di marzo finii seduta lì a parlare da sola. Almeno non c'era nessuno se non qualche vecchietta che compariva come un fungo e andava a trovare il marito defunto.
La tomba di mio padre era semplice. Una lapide bianca, tonda, con sopra un breve epitaffio. "Un marito meraviglioso morto per una cosa per cui non si dovrebbe morire." L'aveva fatto incidere mia madre e si vedeva. Era un riferimento a me e me lo aveva rinfacciato più di una volta.
Dopo un po' tacqui finché da dietro non mi appoggiò le mani sulle spalle. - Ciao Clara. -
Trentadue denti si affacciarono dalla mia bocca al solo sentire la sua voce e il suo fresco profumo inebriante. - Come mi hai trovato? -
- Morgan. -
- Ah. Hahaha. Classico. -
- Si guardò intorno spaesato. - Possiamo andare via? Questo posto m'inquieta. -
- Saluto un attimo. - Mi alzai dalla panchina e accarezzai la lapide. Non so il perché di questo gesto. Semplicemente lo facevo sempre.
Mi girai e accettai il braccio del Riccio. Così, a braccetto, ci avviamo verso l'uscita.

- Cosa facciamo? - chiesi una volta in auto.
- Quello che vuoi te. Hai voglia di venire da me? -
- Bene. -
- Bene. - poi disse ad alta voce in modo che l'autista potesse sentire dove andare. Vedendo i miei due sacchetti assunse un'aria incuriosita. - Cosa sono? -
- Non è importante. -
- Ma io lo voglio sapere! - Aveva assunto la tattica bambino, ma non funzionava.
- Dovrai prima passare sul mio cadavere. -
- Sarà fatto. - Si buttò su di me facendomi il solletico.
- No... Fermo... Smettila... Hahaha... - Quando riuscii a fermarlo era praticamente sdraiato sopra di me nella limousine e gli strappai un bacio veloce che provocò in lui la voglia di un bacio più lungo che si chinò a darmi.
Poi arrivammo a casa sua. Salimmo all'ultimo piano ed entrammo nell'appartamento.
Misi giù i sacchetti e la borsa, tolsi la giacca e andai in bagno. Quando uscii Mika era in cucina a preparare il tè. Presi il disco e lo raggiunsi da dietro. Gli abbracciai i fianchi. - Questo è per te. -
Si girò e quando vide quello che avevo in mano mi saltò al collo. - Ommioddio piccola. Dove l'hai trovato? -
- Spoiler! -
- Ma come... Come facevi a sapere che questo... -
Finii la sua frase - ti mancava? L'hai detto tu. -
- Ma io non ricordo di avertelo detto. -
Gli accarezzai una guancia. - Mio caro, mi spiace avvertirti che... Eri ubriaco. -
- Ah... - Mi guardò negli occhi e iniziammo a ridere. Piangevamo dal ridere senza ragione.
Quando riuscimmo a ricomporci il tè era pronto e ci mettemmo a berlo. - Ti fermi qui stasera? -
- Non posso. -
Ci era rimasto male e mi mise il broncio. Quando lo faceva era bellissimo. - Devo andare a casa. Marco non sta bene. -
- In che senso? -
- Dev'essere successo qualcosa. Una goccia che ha fatto traboccare il vaso del suo dolore. Ieri ha quasi pianto. -
- Mmmmh. Buona fortuna. Quell'uomo è un mistero per tutti. -
- Ci proverò. - Rimanemmo assorti per qualche istante e poi esclamò - allora dovrai farti perdonare. -
- Per cosa? -
- Per non rimanere con me stasera. -
- E sentiamo signor Penniman. A qualche idea su come potrei farlo? - Chiesi avvicinandomi a lui in modo pericoloso.
- Beh... Potresti iniziare avvicinandoti ancora un po'. -
- Hahaha. Così va bene? - Mi strinsi a lui e mi misi sulle punte dei piedi per essere un po' più alta.
- Bene, ma non ci siamo ancora. - Mi baciò dolcemente fermandosi ad esplorare ogni angolo della mia bocca. Non respiravo, ma non era importante. Vivevo di lui. Non ce l'avrei mai fatta a vivere senza di lui ora che l'avevo conosciuto. Mi prese in braccio e mi sdraiò sul divano mettendosi a cavalcioni sopra di me. - Così ci siamo -
- Non credo proprio. - E con una mossa repentina mi misi sopra di lui. - Ecco. Ora ci siamo. -
- Hahaha. Okay. E ora? -
Sprofondai su di lui e iniziai a baciarlo sul petto, salendo, fino alle labbra. Danzammo quella danza per almeno dieci minuti finché non fummo entrambi senza fiato e mi lasciai cadere su di lui accarezzandogli il petto mentre lui giocava con i miei capelli.

Quando arrivai a casa udii dei suoni non ben definiti dalla stanza di Morgan. Ognuno decideva di riparare un cuore nel modo che voleva. Lui usava quel modo.
Mi preparai un panino e andai a mangiarlo in camera mia che per fortuna era insonorizzata. Così da poter ascoltare musica quando volevo a qualsiasi volume volevo.
Finito di mangiare misi le cuffiette nelle orecchie e ascoltai musica. Una domanda premeva nella mia mente "Perché avevo chiesto a Morgan di ospitarmi e non a Mika?" Non lo sapevo. Sentivo che se mi trasferivo da Mika sarebbe crollato tutto. Era troppo presto. Volevo far passare un po' di tempo. Dovevo avere la certezza che la nostra relazione fosse stabile. Giorni prima, all'ospedale, avevamo parlato del suo fidanzato. Tutti sapevano che ne aveva uno. Era venuto fuori che si trovava in Africa. Faceva il missionario ed era andato ad aiutare i bambini sopravvissuti di una città distrutta. Avrebbe dovuto tornare dopo qualche giorno. Avrebbe chiarito la situazione. Lo avrebbe lasciato.
Mi misi giù per dormire, ma troppi pensieri mi affollavano la mente e una volta mischiati a un po' di insonnia di qui soffrivo finii per alzarmi e scendere in cucina. Tornai di sopra, ma ancora non riuscivo a dormire. Così dopo un po' mi preparai per andare a fare una passeggiata. Erano le due di notte. Nemmeno tanto tardi e per strada c'erano ancora molti giovani. Pensai di fare un salto da Mika. Casa sua e di Morgan erano vicine e in dieci minuti ci sarei arrivata a piedi. Mandai un messaggio a Mika per avvisarlo che arrivavo al quale arrivò riposta poco dopo e m'incamminai mescolandomi fra i gruppetti di ragazzi ubriachi e passando inosservata.
Una volta sotto casa sua suonai e mi aprì la porta. Salii. Lo trovai che mi aspettava sullo stipite della porta. Probabilmente lo avevo svegliato. Aveva il sonno leggero (a volte) e si ostinava a non voler mettere in silenzioso il cellulare. Aveva un aria un po' stravolta ma lo sguardo allegro. I capelli erano, se possibile, più stropicciati del solito. Indossava una lunga vestaglia rosa con delle ciabatte a forma di cane. Era fantastico!
- Ma tu hai sempre l'abitudine di uscire a queste ore della notte? -
- Solo quando so che c'è un bell'uomo ad aspettarmi. -
- Ha-ha-ha. Dai entra. - Si spostò dallo stipite facendomi spazio. - Come mai sei qui? -
- Vuoi che vado a casa? -
Mi stava voltando le spalle per sistemare il portaombrelli, ma si girò di scatto. - Cosa?! No! Non volevo dire questo! Ti prego, non arrabbiarti. -
Mi avvicinai e gli cinsi i fianchi con le braccia poggiandogli la testa sul petto. - Non potrei mai... Non potrei mai... - Sussurrai.
- Bene. Marco? -
- È distrutto. Ma non parliamo di lui. È la nostra serata. -
- Okay. Che vuoi fare? -
- Potremmo: guardare una stupida commedia sdolcinata. Che te ne pare? -
- Ottima idea. -
Ci sedemmo sul divano abbracciati e accese la tv. Dopo un po' di zapping trovammo "Notting Hill". Una replica. Adoravo quel film.
Già quando eravamo a metà film non vedevo più niente. Ai trequarti mi prese in braccio e mi portò in camera da letto dove mi fece sentire completa e amata dandomi tutto l'amore del mondo.

- Buongiorno. -
Aprii gli occhi e non capii dove mi trovavo per qualche istante. Poi i ricordi del giorno prima mi piombarono addosso. Ero ancora sotto le coperte, anche se ero nuda, e Mika stava di fronte a me, in boxer blu fluo con un vassoio in mano con la colazione. Gli sorrisi soddisfatta. - È stato fantastico. -
- Anche per me. - Poggiò il vassoio sul letto e si chinò a baciarmi sulle labbra. - Vado a farmi la doccia. Tu intanto gustati la colazione. È raro che io cucini. Mi sono scottato le mani. -
Gli presi le mani fra le mie e gli baciai ogni singola scottatura gentilmente. Poi lo lasciai andare in bagno.
Mi gustai il cappuccino con sopra disegnato un cuore e il cornetto. Una volta finito mi misi delle mutande e una maglietta del Riccio che mi faceva quasi da vestito e andai a mettere via il vassoio.
Andando in cucina accadde ciò che non avrebbe mai dovuto accadere.

Udii il chiavistello girare e mi voltai per vedere di chi si trattava. Vidi un uomo dall'aria familiare e lì capii che eravamo fregati. - Amore, sono a casa. Sorpresa! -
Poi alzò lo sguardo con le valigie fra le mani e mi vide. Le lasciò cadere ed entrambi rimanemmo immobili a fissarci.
- Chi sei? -
- Clara. -
Rimanemmo così per un tempo infinito. Poi il suono di un altro chiavistello che girava giunse al mio orecchio dalle mie spalle. Non mi voltai per vedere di chi si trattava perché lo sapevo per certo, ma Bryan alzò lo sguardo e affrontò l'uomo che era uscito dal bagno. - Michael, chi è questa? -
Michael che aveva solo un asciugamano in vita e nient'altro a coprirlo disse solo - Bryan, che ci fai qui? -
- Che ci faccio qui? Mika, sei un figlio di puttana. -

NOTA SCRITTRICE: ciaooo! Allora, ecco qui un nuovo capitolo. Mi sembra più lungo, ma io e le unità di misura non andiamo d'accordo. Mi sono divertita a scriverlo e spero vi piaccia. Commentate ;)
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