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Ero sdraiata a letto, agitata, intenta a rigirarmi fra quelle
fresche lenzuola. Non riuscivo a prendere sonno e la testa mi doleva quasi
volesse scoppiarmi da un momento all’altro.
Cosa
scatenava i miei mal di testa?
Erano
casuali o ero io stessa a provocarli?
Erano
le mie emozioni o i pensieri che, vorticando frenetici tra le pareti del mio
cranio, premevano per poter uscire?
Assurdo… cosa andavo a pensare!
Nervosa ed scossa mi alzai, tanto era unitile continuare a
rimaner sdraiata a letto senza riuscire a prender sonno. Camminai un poco per
la grande stanza che ormai dividevo con Eric, tenendomi la testa con le mani.
Il mal di testa non accennava a diminuire ed ora avevo anche
la nausea.
Decisi di andare di sopra, in cucina, per mangiare un poco e
prendere qualcosa per quel dolore assurdo che mi trapanava, da diverse ore, il
cranio.
Di sopra, notai che Eric mi aveva comprato altre confezioni
di fragole e mi appuntai mentalmente di ringraziarlo non appena fosse tornato a
casa, da lavoro. Ne mangiai due confezioni, per dessert una bustina di
analgesico, semi sdraiata sul divano. Chiusi gli occhi e pregai che facessero
effetto alla svelta.
Un’ora dopo, con le lacrime agli occhi e una nausea fortissima,
mi costrinsi ad alzarmi per spegnere tutte le luci e prendere una piccola
coperta. Mi misi seduta sul divano, poggiando la testa all’indietro in modo da
non comprimere lo stomaco e aggravare la situazione.
Il mal di testa non era passato, anzi andava peggiorando di
minuto in minuto.
Sudavo freddo e un momento dopo morivo di caldo. Lo stomaco
mi sembrava pesantissimo, avevo acidità e frequenti conati. Eppure, per quante
volte ero andata in bagno, non avevo vomitato. La situazione era rimasta
immutata e stavo arrivando seriamente al limite.
Mi capitava spesso di soffrire di mal di testa ma non erano mai
così persistenti e violenti, tanto da farmi piangere.
Ero preoccupata ed anche un poco in ansia perché non sapevo
come far cessare tutto.
Provai a sdraiarmi nuovamente, chiusi gli occhi e tentai di calmarmi respirando profondamente. Iniziai
a contare mentalmente … 1, 2, 3, 4, 5 …
Rientrai a casa, più tardi rispetto al solito e già mi
immaginavo le storie che avrebbe fatto Sara. Parcheggiai la macchina in garage,
abbassai la bascula e la sigillai con il solito lucchetto pesante. Rialzando il
capo, mi apprestai ad entrare notando, solo in quel momento, che tutte le luci di
casa erano spente e nessun rumore proveniva dall’interno. Prese le chiavi, aprì
la porta di casa come una furia. Preoccupato a morte.
Solo quando accesi la luce in sala mi accorsi di lei. Era seduta
rigida sul divano, gli occhi sgranati e le mani a tenersi il capo con forza.
Davanti a lei, vicinissimo al suo petto, andava creandosi una strana sfera luminosa.
Tentai di toccarla, di arrivare alla sua spalla, ma un
potente scudo d’energia me lo impedì. Anzi mi spedì con forza dall’altra parte
della stanza, scaraventandomi sul tavolino in vetro.
“Che cos’hai?” domandai ad alta voce “Sara!”
Lei non dava segno di sentirmi né di esser cosciente di
quanto le stava accadendo, sembrava concentrata in altro. La chiamai di nuovo,
gridando il suo nome ma con tutta probabilità non mi vedeva né sentiva la mia
voce.
Mi alzai in fretta, ripulendomi dalle schegge di vetro e
tentai nuovamente di avvicinarmi.
“Sara! Svegliati!” gridai
“Guarda cosa stai facendo!!!”
La sfera di energia sembrava ingrandirsi a poco a poco, le
sue mani sembravano aggrappate tenacemente al cuoio capelluto mentre gli occhi erano inondati di lacrime.
Fui scioccato da quella scena. Le sue lacrime avevano sempre
avuto uno strano effetto su di me.
Scossi la testa tentando di schiarirmi le idee. Fermarmi a
pensare a lei, a quanto fosse fragile ed indifesa non avrebbe contribuito a
migliorare la situazione.
Magari,
se tentassi un approccio differente…
Con lentezza esasperante, avvicinai la mia mano alle sue ma
la sua energia, quella che aveva materializzato da chissà dove, mi respinse di
nuovo.
Le sue lacrime continuavano a rigare il suo bellissimo viso e
questo mi fece scattare rabbiosamente. Erano così fastidiose e dolorose che
senza pensarci mi fiondai su quel divano e lo scossi, brutale. Lo sollevai con
la sola forza delle braccia e lo sbatacchiai più volte. Volevo gridare ancora
il suo nome, farla svegliare per fermare qualunque cosa stesse facendo ma dalla
mia gola non uscì altro che una accorata supplica.
“Sara … ti prego, smetti di fare qualunque cosa tu stia
facendo. Torna da me”
Chiusi gli occhi e posai a terra il divano. Mi accasciai
sulle ginocchia, poggiando la testa sul bracciolo del divano tentando di fare
mente locale e trovare una nuova soluzione efficace.
Appena un secondo dopo mi sentì sfiorare i capelli e sollevando
la testa la vidi guardarmi con una dolcezza in volto che mi spezzò dentro, in un
milione di pezzi.
“Sara” sussurrai avvicinando lentamente una mia mano al suo
bellissimo viso
“Sei stanco?” domandò ricambiando la carezza “Quando sei tornato? Non ti ho sentito … devo
essermi addormentata”
Ritrassi la mano come scottato e rimasi a fissarla con
sguardo serio
“Che significa?” domandai teso “Non ricordi?”
“Cosa? Che c’è … perché fai quella faccia … sei arrabbiato?”
domandò non riuscendo a capire quale fosse il motivo del mio irrigidimento
“Come ti senti?” chiesi di rimando, fiondandomi sul divano ad
abbracciarla stretto
“Bene, credo … sono stata male a causa di un tremendo mal di
testa … poi devo essermi addormentata perché non ti ho sentito rientrare” un
sorriso stanco sul volto “Come è andata
a lavoro?”
“Lascia perdere il mio lavoro … voglio sapere come stai” tuonai
in modo brusco, iniziando a tastarle la fronte e le braccia e il collo
Ero morto di paura, qualche minuto prima, nel vederla preda
di quella strana situazione. Ora sembrava non solo che lei non ricordasse nulla
ma che non avesse riportato conseguenze dall’accaduto.
“Io sto bene. Perché continui a chiedermelo?”
Mi guardava negli occhi un poco accigliata e solo allora mi
accorsi che il suo sguardo era ancora bagnato di lacrime. Le avvicinai i
pollici agli zigomi e con calma glieli asciugai non resistendo poi a lasciarle
un lieve bacio a fior di labbra.
Le tenni la testa vicino alla mia, fronte contro fronte,
mentre le mie mani le accarezzavano il collo.
“Eric cosa c’è? Sembri … turbato” sussurrò avvicinandosi con
il resto del corpo “Parlami, non riesco a leggerti nella mente, lo sai … non
con te”
“E’ quasi una fortuna, a volte” sussurrai, scostandomi poi
per baciarle la fronte
“Vieni, parliamo giù … in camera nostra. Sono stanco. Ho
bisogno di una doccia e di cambiarmi”
“Va bene”
Mi alzai per primo e mi voltai appena in tempo per vederla
scivolare a terra. Le erano cedute le gambe, quasi fosse senza forze.
Si guardò lentamente per poi riportare lo sguardo su di me
“Credo di non sentirmi molto b-”
Non riuscì a finire la frase perché si addormentò prima.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare alle mie braccia. L’unica cosa che riuscì a
fare fu prenderla in braccio e portarla di sotto senza dire una parola.
Ero sotto il getto della doccia da quasi due ore eppure mi
rifiutavo di uscire. L’acqua calda mi scorreva sul corpo, lenta, e sembrava
essere l’unica cosa capace di tenere a freno la mia rabbia e la mia paura.
Non
so nemmeno per quale motivo io sia così arrabbiato…
Avevo voglia di urlare e scatenare la mia ira.
Avevo voglia di azione e movimento eppure non potevo fare
altro se non rimanere in quella maledetta doccia, rinchiuso tra due pareti di
marmo.
Che cosa avrei dovuto
fare? Raccontarle tutto quello che aveva fatto o tacerglielo? Come mi sarei
dovuto comportare?
Godric
avrebbe sicuramente saputo come agire…
… il giorno seguente…
Cominciai di nuovo a perdere sangue dal naso, quel dannato
mal di testa era tornato un’ora prima e nonostante l’assunzione di ben due
analgesici non era sparito. Cominciavo a sentirmi di nuovo debole.
Buio.
Avevo bisogno di buio assoluto e di silenzio.
Mi sdraiai sul divano dopo aver oscurato tutta la stanza. Ripresi
a respirare lentamente e tentai di calmarmi. Forse se mi fossi addormentata, sarei
riuscita a farlo passare.
Ieri
sera ha funzionato…
Quando riaprì gli occhi erano passate un paio di ore, era
appena l’una di notte. Il mal di testa era diminuito e il mondo aveva smesso di
vorticarmi attorno. Provai a sollevarmi, lo feci lentamente e con la massima cautela.
Mi diressi in cucina perchè avevo una fame da lupi. Mangiai
in piedi, appoggiata al frigo. Vampate di caldo soffocavano la mia pelle e rimanere
vicinissima alla parete del frigo mi trasmetteva una sensazione di frescura,
davvero piacevole.
Quei
dannati analgesici non funzionano per nulla!
Stavo per tornare in salotto a distendermi quando una fitta
alla tempia mi stordì d’improvviso. Mi ritrovai a barcollare colta da vertigini
e nausea. Appoggiai la schiena al muro e lentamente mi lasciai scivolare a
terra.
“Ma che cavolo mi succede?” biascicai con le lacrime agli
occhi
Sentì solo in lontananza il telefono di casa suonare. Poi la
suoneria del mio cellulare.
Non pensai nemmeno per un momento di andare a rispondere. Non
vi sarei riuscita. Mi presi la testa fra le mani e pregai con tutta me stessa
che finisse tutto presto.
Voglio
stare meglio, voglio stare bene.
“Non risponde nessuno” mi annunciò Pam entrando in ufficio
Ero in piedi col cellulare tra le mani e stavo provando a
chiamarla da diversi minuti. A Pam avevo ordinato di chiamare a casa mentre io
provavo sul suo cellulare. Non rispondeva nessuno.
“Merda!” imprecai ad alta voce
Possibile
che stia ancora male?
Un gigantesco lampo di preoccupazione e paura mi attanagliò
lo stomaco.
Forse,
non avrei dovuto lasciarla a casa da sola.
Non
puoi starle sempre appiccicato al culo, cazzo! E’ adulta ed autonoma!
Pam mi guardava incuriosita e confusa, appoggiata alla porta.
Sollevai lo sguardo e mi volsi verso di lei
“Fai andare via tutti. Chiudi il locale” ordinai mentre
raccattavo le poche cose presenti sulla scrivania
“Cosa?” mi domandò scioccata “Che diavolo stai dicendo, Eric?”
Era stupita, incredula e a buona ragione. Purtroppo in quel
momento non avevo tempo di spiegarle i dettagli, avevo bisogno che mi seguisse
subito a casa.
“Fai come ti ho detto, Pamela” ordinai deciso, sollevando di
scatto la testa verso di lei
Raramente la chiamavo con il suo nome completo e quando lo
facevo era per imporre la mia volontà sulla sua. Si trattava di ordini che non
poteva assolutamente discutere.
“Bene” sibilò infastidita, precipitandosi ad eseguire
Salimmo in macchina velocemente e qualche minuto dopo eravamo
a casa. Notai subito che le luci erano spente e dentro di me pregai
intensamente che lei stesse bene.
“Come mai è tutto spento? Dov’è Sara?” domandò Pam scendendo
dalla macchina
Arrivai alla porta e l’aprì velocemente. Accesi la luce e i
miei incubi si concretizzarono all’istante.
Sara era riversa a terra e sembrava svenuta.
Mi precipitai da lei gridando il suo nome “SARA!!!”
La presi tra le braccia e le sfiorai il viso. Non dava segni
di ripresa ma per fortuna non era preda di quella strana crisi che l’aveva
colpita la sera prima.
“Che cos’ha?”
“Non lo so” risposi prendendo in braccio quel suo fragile corpo
umano
“Sara, piccola mia…” sussurrai al suo orecchio a voce bassissima
Pam, capendo le mie intenzioni, liberò il divano e lo sistemò
permettendomi di posarvela sopra.
Le accarezzai delicato la fronte e la trovai fresca, non
aveva febbre. Corsi in cucina e presi una pezzuola di stoffa e un piccolo
catino, riempiendolo di acqua.
Tornai accanto a lei e cominciai a bagnarle la fronte, il
collo e i polsi. Non sapevo cos’altro fare e mi volsi verso Pam come in cerca
di aiuto.
“Forse dovremmo sollevarle le gambe … potrebbe aiutare”
borbottò dandosi da fare
Non so quanto tempo fosse passato quando notai che lentamente
stava riaprendo gli occhi e tornando cosciente.
“Hey” sussurrai
Era tutto quello che riuscì a dire. Non mi ero allontanato da
lei e non lo avrei fatto sino a quando non si fosse alzata anche lei. Pam era
al mio fianco, in piedi, rigida e silenziosa.
Sarebbe
stato sempre così?
Sarei
morto ogni volta che si fosse sentita male e sarei risorto solo quando si fosse
ripresa?
E che ne era stato del mio carattere? Del mio
modo di fare e di essere? Perché spariva del tutto in sua presenza?
Perché
mi risultava così importante ed essenziale?
Perché
mi scatenava tutto quel sentire quando avevo fatto della mia esistenza una
distesa eterna ed oscura di insensibilità totale?
La porta di casa si spalancò d’improvviso, proprio in quel
momento, e l’autoritaria figura di Godric entrò velocemente.
Arrivò vicinissimo a noi, in pochi istanti, accovacciandosi ad
accarezzare con una dolcezza ultraterrena, che gli invidiavo e che mai mi
sarebbe appartenuta, il livido viso di Sara.
“Papi” sussurrò lei con un sorriso stanco
Mi sollevai di scatto e lasciai il posto a lui, che si
accomodò vicino ai suoi piedi prendendoli sulle sue ginocchia
“Stai meglio, figlia mia?” domandò sollecito, prendendole una
mano tra le sue
“Ora si” risposi io per Sara “Ma è stata molto male ... anche ieri sera”
continuai con tono duro “C’è qualcosa
che non va”
“Lo so bene Eric … la casa è circondata da un alone di energia
molto forte … a tratti è impenetrabile”
“Cosa?”
Mi voltai verso Pam che aveva trattenuto il fiato sorpresa
poi gli domandai “Credi che sia lei?”
“Sono sicuro che sia opera di Sara … ero fuori da qualche
minuto e solo adesso sono riuscito a passare … e quell’energia è ancora qui …
tutta la stanza ne è pervasa” mi spiegò sempre senza distogliere lo sguardo da
Sara, che si era riaddormentata
“E’ fortissima… com’è possibile che tu non riesca a
percepirla?” mi domandò voltandosi e guardandomi, finalmente, per la prima
volta da quando era arrivato