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Autore: Chamelion_    11/06/2008    1 recensioni
Immagino che la morte sia uguale proprio per tutti. Un pensiero scontato, vero? E invece no. Per niente. Credo che nessuno ne sia effettivamente conscio finché non gli viene sbattuta in faccia la verità. E da quando la morte sarebbe una certezza? Se è solo il più grande enigma che perseguita l’uomo sin dall’inizio della storia del mondo!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La terra si sbriciola sotto le mie dita mentre faccio leva con le mani per sollevarmi: cerco col piede un sostegno tra le rocce, su cui ergermi e continuare la mia scalata. Mi piace arrampicarmi sulle pareti di roccia naturale: è una sfida con la giusta dose di rischio, che richiede concentrazione ma mi permette di rilassarmi, di trovare un punto di contatto con i miei pensieri. Non mi manca molto: ancora sei metri di dislivello, e avrò raggiunto la cima. Laggiù, ai piedi della parete, c’è soltanto mio zio a reggere la corda che mi sostiene, ma so che sa quello che fa. Del resto, correre un pericolo non mi spaventa, come non ha mai spaventato mia madre. Beh, c’è da dire che anche a lei piaceva arrampicarsi, e lo facevamo spesso insieme. C’è da dire che, se ancora oggi continuo a farlo, è proprio per sentirmi più vicina a lei. C’è da dire che mia madre è morta un anno fa.
No, non è morta cadendo da una roccia mentre la scalava: non è morta facendo ciò che le piaceva, ciò che la appassionava. È stata una caduta dalle scale a portarla via. Mi aveva sconvolto pensare che proprio mia madre, così forte e grintosa, potesse andarsene cadendo dalle scale, lei che aveva scalato le pareti di roccia più ripide senza difficoltà; nell’immaginazione del mio inconscio, lei non sarebbe potuta morire se non per qualcosa di micidiale, più forte persino di lei. Immagino che la morte sia uguale proprio per tutti.
Un pensiero scontato, vero? E invece no. Per niente. Io non avrei mai potuto credere, non veramente, intendo, che proprio tutti potessero morire cadendo dalle scale. Credo che nessuno ne sia effettivamente conscio finché non gli viene sbattuta in faccia la verità. Non tutti i grandi personaggi della storia, quelli di cui la gente si ricorda, sono morti “eroicamente”. C’è chi se n’è andato essendo malato terminale, c’è chi si è spento durante il sonno; e se penso veramente al puro significato di questo, mi sconvolge. Forse sono inconsapevolmente convinta che ognuno debba morire in un modo che renda giustizia alla propria vita; sembra semplicemente giusto che un criminale debba andarsene in un modo desolante, mentre un personaggio “grande”, che qualcosa di eccellente nella vita lo ha fatto, non può che morire in modo straordinariamente eroico.
Ma poi, “eroico” cosa significa? Se in realtà è stato l’uomo a stabilire ciò che significa morire eroicamente! Morire sul campo di battaglia è eroico? Per qualcuno sì; per altri, è vergogna. E chi ha ragione? Forse non ce l’ha nessuno, perché in realtà nessun essere umano può definire quale morte sia la migliore. E se non ci fosse una morte migliore? Ma noi, in fondo, che cosa ne sappiamo?
Ecco, questi più o meno sono stati i miei pensieri dopo la morte di mia madre. Ho pensato tanto. La morte è diventata la mia ossessione, e di certo non sono stata aiutata quando ho sentito un mio amico dire distrattamente: “L’unica certezza è la morte”.
Eh già. E da quando la morte sarebbe una certezza? Se è solo il più grande enigma che perseguita l’uomo sin dall’inizio della storia del mondo! Riflettendoci, non è certo nemmeno che avvenga: finché non si “passa dall’altra parte”, come si dice, non si può avere la conferma che la morte sia una cosa reale e non un semplice bluff. Lo so che tutto questo sembra ridicolo, ma a dire il vero nessuno di noi ha gli elementi per escludere alcuna ipotesi. E poi, cosa significa “passare dall’altra parte”? Supponendo che veramente la morte avvenga con certezza, come possiamo sapere che morendo si “pass da un’altra parte”, e non ci si reincarni (cosa di cui, del resto, qualcuno è davvero convinto), o non si viva una seconda vita parallela, analoga a quella vissuta precedentemente, ma sovrapposta ad essa, generando un brusco e totale cambio di prospettiva? Insomma, si potrebbero fare tutte le considerazioni del mondo e non esisterebbero limiti.
Però all’uomo risulta più facile rimuovere ogni dubbio dichiarando che la morte sia l’unica certezza. Eppure, perfino tra coloro che sostengono questa aurea verità vi sono dei punti di attrito: si trova chi dice che morire significa andare in paradiso, e anche chi dice che significa spegnere un interruttore e basta. Io trovo agghiaccianti entrambe le tesi. La prima, perché mi spaventa l’idea di affidarmi ciecamente alla sicurezza di trovare un posto la cui esistenza non è accertata; la seconda, perché nessuno può stabilire che vivere è luce e morte è buio. Nessuno lo sa: solo chi è morto, sempre se di esso rimane qualcosa, e in ogni caso non può comunicarlo a noi.
Noi, loro… Detesto questa distinzione. Per me, mia madre fa ancora parte del “noi” di questo mondo; non so spiegare come: non posso dire che “la sento vivere dentro di me”, perché non è così, ma non mi sento di dire che non c’è più, è scomparsa del tutto, perché non ne avrò mai la certezza. Credo, alla luce di tutte le mie considerazioni, di poter dire che una cosa, effettivamente, è certa: non so se mia madre sia ancora esistente, da qualche parte, se si sia reincarnata in un altro essere, se se ne sia andata del tutto, ma qualunque di questi casi si riveli vero, la conclusione per tutti è che lei non è più con me. Magari si trova altrove, magari non si non si trova più da nessuna parte, ma in ogni caso non è con me.
Eppure, non mi sento sola. Mi manca la sua presenza e so che mi mancherà quella di tutte le persone a me care che un giorno non saranno più con me, ma sento di potercela fare. A vivere. Non so se questa sia luce o buio, se sia realtà o finzione, ma è vita: non mi importa di sapere che cosa sia. So che c’è, la sento nel corpo, la respiro, mi nutro di essa, la vivo. Questa è vita, e almeno per ora, io ne faccio ancora parte.
Con un’ultima spinta, mi innalzo sull’ultima roccia, mi tiro su con il corpo e sono sulla cima. Ho scalato la mia parete di roccia: molti metri sotto di me, mio zio sorride trionfante reggendo ancora tra le mani la corda.
Scalare è stato faticoso, ma mi è piaciuto; ora sono seduta sull’erba, e sorrido.
  
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