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Autore: Alex Wolf    02/02/2014    6 recensioni
Ultima parte della storia di LegolasxElxSauron. Ispirata al film "Il ritorno del re".
Dal 13° capitolo:
"Mi sono sempre chiesto perché amore e sangue avessero lo stesso colore: adesso lo so.
- Alessandro D'Avenia"
« Stai lontano! Stai lontano da me! » Gli ordinai, facendo un passo indietro. I suoi occhi celesti mi guardarono stupiti dal mio comportamento e le sue labbra si socchiusero un poco. « Non voglio farti del male, ti prego. » Lo implorai, e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii fragile, distrutta e vuota dentro, con le lacrime che minacciavano di scendere. Ma non volevo piangere, perché non volevo mostrarmi debole, non volevo essere debole.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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You must go. ‘Cause it’s time to choose.   


“Dice agli altri di resistere, quando è proprio lei che sta per crollare.”
 

 
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Il cielo era sereno quel giorno, non una nuvola solcava l’azzurro di cui era dipinto. Gli alberi se ne stavano comodi, a crogiolarsi sotto il sole mentre le loro foglie verdi frusciavano a qualche ventata occasionale. I primi boccioli stavano fiorendo, adornando le chiome colorate, e qualche farfalla svolazzava di qua e di la sull’erba del prato. Poggiai la schiena ad un albero e presi a sfogliare il mio libro: le pagine frusciarono fra le mie mani e le parole stampate sulla carta intrappolarono i miei occhi. Accanto a me, la mia sorellina aveva iniziato a giocare con le sue barbie; le lanciai un occhiata e inarcai un sopracciglio. Non avevo mai approvato il fatto che lei giocasse con quelle specie di “ragazze perfette” plastificate, per il semplice fatto che, durante la crescita, avrebbero potuto innescargli nel cervello strane idee. Sul telegiornale vedevo troppe volte storie che andavano a finire male e il tutto era iniziato a causa di un qualche paragone sulla magrezza.
« Non giocare con quelle streghe, leggiti un libro che è meglio. » Borbottai e lei si voltò a guardarmi. I suoi occhi chiari m’incenerirono all’istante, come se avessi appena bestemmiato. Arricciai il naso e le feci la linguaccia. « Guarda che se fai la cattiva, i Goblin ti verranno a prendere e ti mangeranno. » Lei gridò e, alzandosi velocemente, corse da nostra madre che stava seduta poco più in la. La seguii con lo sguardo, finché non si gettò fra le sue braccia e nascose il viso contro il suo petto.
« Mamma! » Strillò, agitando i piedini come un’elica impazzita. « Mamma! Mamma! » Le tirò i capelli, costringendola così ad abbandonare la sua lettura e prestargli attenzione. Sgranai gli occhi e riaprii in fretta il libro, nascondendo il mio volto fra le pagine de “Lo Hobbit”. Purtroppo, quella piccola arpia sapeva come fare ad ingraziarsi nostra madre e così mi subii una bella lavata di capo. Sbuffando, abbassai il libro e sorrisi a mia madre, che non perse l’occasione per fulminarmi con le sue iridi scure.  Successivamente, alzò gli occhi al cielo e sorrise. La osservai e rimasi a guardare le sue labbra piegate verso l’alto e le fossette ai loro lati. Era bella mia madre, almeno per me sarebbe sempre rimasta la donna più bella del mondo: con quella sua voglia di vivere e di crescere due figlie così agitate, come me e mia sorella. Dopo poco si alzò, tenendo mia sorella fra le braccia e mi diede le spalle, dirigendosi all’auto. Tentai di alzarmi ma qualcosa non me lo permise. Affondai i palmi nell’erba verde e spinsi verso l’alt,  ma sembravo come incollata al terreno.
« Mamma. »  La chiamai, ma lei parve non accorgersene. « Ehi, mamma… » Ancora non mi ascoltò e continuò ad allontanarsi. Colta dal panico iniziai a dimenarmi, ma non riuscivo a far nulla se non del male a me stessa. Attorno a me, intanto, tutto stava diventando scuro e  un intensa nebbia cominciava a diramarsi fra gli alberi in fiore, che perdevano le foglie e diventavano neri; come se un fuoco invisibile li avesse bruciati, divorati dentro. « Mamma! » Strillai, continuando a guardarmi attorno. La nebbia divorava ogni cosa e persino la figura di mia madre stava scomparendo dentro di essa. Graffiai il terreno, ora fangoso, e m’issai sulle gambe nonostante sembrasse una cosa impossibile; la pressione voleva schiacciarmi a terra. « Mamma! » Urlai, ma nessuno mi rispose. « Mamma! »
« E’ inutile che urli, lei non ti sentirà. » Una voce rimbombò nell’aria, cupa e roca. « Nessuno può. » Non ci misi molto a riconoscerla, dato che il proprietario non si fece problemi a mostrarsi a me. Una figura si erse nell’ombra: i capelli corvini gli arrivavano alle spalle, la pelle chiara contrastava con il nero e il verde smeraldo dei vestiti, mentre gli occhi rossi parevano due fuochi accesi.
« Sauron. » Sibilai, riducendo le palpebre a una fessura. La mia mano lottò contro la forza di gravità e toccò il mio fianco in cerca dell’elsa della mia spada, ma lo trovò vuoto. Le dita  accarezzarono la stoffa dei jeans e nulla di più. L’uomo rise sinistramente, facendo qualche passo nella mia direzione pur tenendosi a debita distanza. « Cosa ci fai qui? »
« Tua madre, suppongo. » Ignorò completamente la mia domanda e si guardò alle spalle, nel punto esatto in cui mia madre era scomparsa assieme a mia sorella nella nebbia. « Splendida donna, davvero. Ti assomiglia molto, sebbene tu abbia un aspetto più felino. » Ancora i suoi occhi rossi si puntarono su di me. Sostenni lo sguardo, senza mai lasciarlo cadere e rizzai le spalle il più possibile; la forza di gravità, adesso, mi schiacciava contro il tronco dell’albero. Ad essere sinceri, non credevo si trattasse proprio di quello: pensavo più che fosse Sauron a manipolarmi. Conoscevo i suoi trucchetti, sapevo cos’era in grado di fare. « Mi chiedo se sia brava come te nel combattimento, magari… »
« Non pensare neanche a sfiorarla, o ti strapperò gli occhi con le mie mani. » Ruggii aggressivamente, spingendo in avanti le spalle. Sbattei le palpebre e, quando riaprii gli occhi, le mie iridi si colorarono di rosso come la mia vista. Lui rafforzò la mia spinta contro la corteccia.
« AH! » Uno sbuffo gli solcò le labbra, mentre le sue gambe si muovevano verso di me. La pelliccia nera che indossava sempre ondeggiò alle sue spalle e sotto di essa dei serpenti neri strisciarono; non era la prima volta che vedevo qualcosa di simile manifestarsi. Doveva essere qualche trucco che Sauron usava per non farsi cogliere di sorpresa: serpenti di cenere che attaccavano chiunque quando tentava di ucciderlo. « Mi è sempre piaciuto questo tuo aspetto animalesco/aggressivo, sai? Tiri fuori gli artigli, wroar. » Mimò, con la mano, il movimento di un leone che muove la zampa come per prendermi in giro. Digrignai i denti indignata.
« Ah, si? Allora perché non la smetti di tenermi incollata all’albero così ti mostro anche quando sono animale dentro? Potrei fare un bel lavoretto sulla tua faccia con i miei artigli. » Lo minacciai, con aggressività, prima di sputargli in faccia. Lui inveì contro di me e si passò il dorso di una mano sulla guancia, pulendosi dal mio regalo viscido.
« Sei così insolente, ragazzina! » Strepitò. « Prima non lo eri. Dimmi, è il tuo amore per quello stupido elfo ti ha, per caso, fatto perdere le buone maniere? » Smisi di dimenarmi e sbattei le palpebre, sorpresa da quella sua domanda. Allora era per questo che era venuto qui – se mai ci fosse stato un “qui” da qualche parte -. Osservai i suoi occhi e, per un attimo, mi parvero azzurri. Un azzurro/grigio tanto lontano e freddo, spento e triste, che raccontava di una vita passata e di molte delusioni subite. Per un istante mi sentii triste per lui. Mentre quegli occhi all’apparenza grigi mi osservavano; era come se avesse abbassato le sue difese senza saperlo. Come se lui non si accorgesse di nulla. « Dannazione, mi dici perché non puoi amarmi? Mi puoi dire perché lui è riuscito a farsi amare da te e io no? Dove ho sbagliato? » Strillò ad un tratto, frustrato.
Chiusi gli occhi, mentre le sua voce iniziava a rimbombare attorno a noi. Le sue parole smuovevano l’aria umida e facevano fremere la nebbia. Sentivo l’umidità penetrarmi nelle ossa, come quelle domande taglienti.
« Perché lui mi fa stare bene. » Mormorai, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
« E io no? Non sei stata bene con me? » La sua mano si poggiò sul mio collo, facendomi fremere. Non l’avevo nemmeno sentito avvicinarsi.  Mi sentivo una vigliacca, in un certo senso mi sentivo come se l’avessi usato; come se lui fosse stato un passatempo quando litigavo con Legolas: ed era così. Avevo giocato col fuoco e, facendo si che lui si avvicinasse tanto, ora mi stavo bruciando. I suoi occhi rossi mi fissavano in attesa di risposte; in quel momento non mi sembrava nemmeno l’elfo cruento e crudele che aveva minacciato di morte me e il mio bambino. Non pareva l’essere che aveva dichiarato guerra alla Terra di Mezzo, portando morte e desolazione. Sembrava solo un uomo distrutto e solo, che tenta di aggrapparsi all’unica speranza che lo tiene in vita.
« Sono stata bene, è vero. Ma non ti amavo. » Sussurrai. « Eri solo un passatempo. » In un moto di rabbia strinse la presa sul mio collo e mi costrinse ad alzare la testa. I miei capelli si incastrarono nella corteccia e lui attanagliò con tanta forza la mia pelle che, invece di un grido, riuscii solo a rantolare. Alzai, con sforzo, le mani fino a stringergli i polsi e provai a scalciare: era così dannatamente forte. Ingoiai un fiotto di saliva e rantolai ancora. Mi mancava l’aria e quella poca che riuscivo a respirare era melmosa; mi affaticava i polmoni.
« Ero un passatempo, è questo che sono stato per te? Solo un passatempo!? » Gridò, a pochi centimetri dal mio volto. I due fuochi che aveva dentro gli occhi divamparono. Avevo una paura tremenda, non per me, io sapevo che potevo cavarmela in qualche modo, ma per il bambino dentro di me; sentivo il mio petto infuocarsi: come se dentro di me stessi bruciando. « Io ti amata e ti amo, ma sono solo un passatempo! » Mi lasciò andare e ripresi a respirare, poggiando la schiena all’albero alle mie spalle. Sauron mi diede le spalle, per poi infilarsi una mano in tasca. Quando l’estrasse, qualcosa brillò al suo interno. L’oscuro signore voltò il viso nella mia direzione e alzò l’angolo della bocca di poco.
 
Osservo l’anello al mio dito e sento la rabbia crescere dentro di me. Quel piccolo cerchio d’argento mi ha procurato solo danni; mi ha fatto uccidere mia sorella. Non voglio che uccida il mio bambino, non voglio che gli faccia del male. Vibra al mio dito, rubandomi energie preziose.
“Tu sei il primo pericolo per tuo figlio”.
Il vuoto dentro il mio petto è desolante, arido e io mi sento così sola. Con rabbia estraggo l’anello e lo lancio contro il vetro dello specchio che si frantuma in mille pezzi.
 
« Te lo ricordi questo, si? » Sorrise malefico Sauron. Fra le lunghe dita si stava rigirando l’anello di Isil, il mio, e l’osservava con avidità e divertimento. Il mio petto si alzò con più velocità, affanno e sorpresa. Cosa ci faceva con quello in mano? « Certo che lo ricordi: l’hai lanciato contro uno specchio e poi l’hai dimenticato li. » Mi lanciò un occhiata veloce, prima di far scivolare l’anello nel palmo della mano. « L’aveva preso in custodia il tuo amico stregone…Gandalf! »
 
Lo stregone parve come risvegliarsi da un sonno durato anni. La barba bianca fruscia contro il suo petto scompigliandosi. Qualcosa brilla contro luce, ma lui lo nascose velocemente.
 
« Sai: il tuo amico Gandalf l’ha perso durante l’attacco ai miei Nazgul. Non se n’è nemmeno accorto, da tanto che aveva alzato il suo bastone per salvare il figlio del sovrintendente di Gondor. Sfortunatamente per lui, uno dei miei nove l’ha preso e me l’ha portato. » Un lampo gli attraversò lo sguardo. « Quanti ne avete uccisi tu e mia sorella a proposito? 3 – 4? »
« Quattro, se conti anche quello ucciso da Eowyn. » Sibilai.
« Li avete quasi dimezzati, quindi. E io che credevo fossero i nove guerrieri migliori della Terra di Mezzo. » Sborbottò, stringendo il palmo. Un intenso dolore mi affiorò nel petto e io gridai. « Ah, dunque sei ancora legata al potere di Isil. » Osservò, stringendo il cerchio d’argento; il dolore si intensificò. « Sai, la cosa buffa è che mentre tu come passatempo usavi me, io posso usare te e chi ami. » Dal nulla della nebbia comparve un’altra figura. Avanzò incerta, costretta, e si fermò davanti a me. I lunghi capelli castani di mia madre volteggiavano in aria, mentre anche lei si alzava; al suo dito brillò il mio anello. Socchiusi le labbra e inorridii: cosa voleva fare Sauron?
Un pensiero solcò la mia mente e io gridai in preda al panico: « Non puoi farlo! No! »
« Tu mi hai usato, hai giocato con quello che più aspettavo: l’amore. E ora io giocherò col tuo. »  Detto questo, alzò una mano verso l’alto e mia madre gridò. Fu come se il mio petto fosse esploso: gridai a mia volta. Mi dimenai, scalciai, gettai in avanti ma era tutto inutile: lui mi teneva incollata al tronco. Era straziante vedere mia madre venire torturata, sentire il mio petto andare a fuoco, e non poterla salvare. Una lacrima solcò il mio volto quando lei strillò con più forza e poi si accasciò al suolo, morta. Socchiusi le labbra e la osservai. « E’ un peccato che non sappia resistere al dolore. Era una così bella donna. » Sauron le accarezzò il volto con dolcezza, ed estrasse l’anello dal suo dito. Inveii contro di lui e urlai, mentre lacrime solcavano il mio volto accaldato. Erano come lame che tagliavano la mia carne, affilate e precise. « Tutto quello che è stato fatto può essere disfatto. Così come una vita umana e, io credo, che sia ora che pure tu la segua. Hai vissuto già troppo a lungo. » E con un colpo di mano, chiuse le dita attorno al cerchio d’argento; una luce scaturì dagli spazi delle sue dita e io mi sentii morire. I suoi occhi rossi furono l’ultima cosa che vidi.
 



°    °
 
«

El! El, per carità svegliati! El, non lasciarmi solo.  Gandalf, aiutami! » Due mani mi smossero con violenza e si bloccarono quando socchiusi le labbra per respirare. Con lentezza aprii i miei occhi e sentii le mie guance umide di pianto. La prima cosa che vidi furono le iridi azzurre di Legolas, talmente vicine al mio volto che potevo distinguere ogni piccola sfumatura al loro interno. Le sue labbra inspirarono aria e sospirarono, sollevate. Con gentilezza, poi, fece passare le sue braccia attorno alle mie spalle e mi strinse a se. « Mi hai spaventato, non ti svegliavi più. » Sussurrò al mio orecchio.
« I-io cosa? » Chiesi disorientata, passandomi il dorso si una mano sotto gli occhi, per asciugare le lacrime che ancora cadevano. Continuavo a sentire gli urli di mia madre e vedevo il suo corpo morto a terra. Sauron che sorrideva e schiacciava l’anello fra le dita, ponendo fine alla mia vita. Ingoiai un fiotto di saliva e lasciai che le mie iridi vagassero per la stanza in cui ci trovavamo; non era molto grande, ma era intatta al contrario delle case che potevo vedere da fuori una piccola finestra. Io ero seduta su uno scomodo letto di legno e paglia e non c’era mobilio. L’aria era fredda ma il calore di Legolas riusciva a scaldarmi le ossa infreddolite.  
« Sei svenuta, El. Non lo ricordi? » Gli occhi azzurri del principe mi osservarono. Dovevo avere un aspetto tremendo, visto quanto mi ero mossa tentando di contrastare il potere di Sauron.
« S-si. Si, lo ricordo. » Sussurrai, osservandomi le mani per un istante. Come mai ero ancora viva? Insomma, ogni volta che sognavo, o meglio avevo collegamenti con Sauron, tutto era reale dal  dolore, alla felicità. Allora perché non ero morta, come il signore oscuro aveva previsto? Mi toccai il ventre e l’accarezzai: la pancia c’era ancora e questo era un buon segno. Il mio bambino era forte e non si era arreso.  
« Come ti senti? » Voltai la testa verso l’elfo e mi portai una mano al petto, accarezzandolo. Formicolava un poco, ma non faceva più male come prima. Sotto la pelle accaldata qualcosa si mosse: un battito mi fece trattenere il respiro.  « Tesoro? » Spinsi di più il palmo contro la pelle e rimasi in attesa. Piano piano il cuore iniziava a battere, pompare regolarmente come aveva fatto prima che Titano morisse.
« Legolas, dammi la mano. » Lo pregai, allungando un braccio verso di lui con il palmo rivolto verso l’alto. Il principe piegò leggermente il capo verso sinistra ma fece quello che gli avevo chiesto. Quando le sue dita sfiorarono le mie, un piccolo fremito mi corse su per la spina dorsale.
« Cosa c’è? » Mormorò, lasciandomi poggiare la mano sul mio petto. I suoi occhi rimasero incollati ai miei per un lungo istante, prima che io sorridessi.
« Ascolta. » Gli chiesi soltanto, lasciando che ogni cosa cadesse nel silenzio. Lui rimase muto, mentre all’esterno della stanza potevo sentire i pianti delle donne che avevano perso i mariti e i figli, oppure le loro gioie nel ritrovarli. Riuscii a distinguere persino i passi veloci di Gandalf; non era difficile distinguerli da quelli degli altri.
 « Batte, non è così? Il suo cuore, batte. » Lo stregone si materializzò davanti a me, sorridente. Aveva fatto un bagno, perché la sua barba e i capelli erano bianchi e splendenti, e gli occhi chiari brillavano di felicità. Appoggiandosi al bastone rimase a osservare il viso di Legolas, che ora aveva spostato lo sguardo verso di lui e sorrideva felice.
« Com’è possibile? Io credevo che… » La voce incerta dell’elfo, che spostava gli occhi da me allo stregone, rimbombò nelle pareti di legno.
« Sauron. Sauron ha distrutto l’anello di Isil e così ha ucciso anche l’ultima parte che mi teneva legata a lei. » Lanciai uno sguardo di fuoco a Gandalf, che abbassò per un istante il capo avendo capito che io sapevo. Quando, poi rialzò il volto ci sorrise.
« Sauron? » Sborbottò Legolas, infastidito nel sentire quel nome. Sbattei le palpebre e poggiai le mia mani sulle sue guance, sentendo il calore della sua pelle riscaldare la mia. Era così bello averlo accanto, essere riuscita a superare tutto e rivedere il suo volto; sebbene sapevo che non sarei mai riuscita a dimenticare la scena di mia madre.
« Si, ma stai tranquillo Legolas, te ne prego. Il bambino sta bene, non è questo quello che conta?  »
« Lo so, ma so anche che ogni volta che riesce a intrufolarsi nella tua mente ti fa del male. Se ha provato a sfiorarti, giuro, che partirò ora per Mordor e lo ucciderò io stesso e… » Avvicinai il volto al suo e premetti le mie labbra conto le proprie. Lui s’immobilizzò sorpreso e lasciò che le mie mani scivolassero sul suo collo, per poi unirsi dietro di esso. Quando mi staccai lui era ancora li, fermo immobile, ma le sue mani si erano posate sulla mia schiena e l’avevano stretta pronte a spingermi più vicini al suo corpo.
« La guerra porta molte disgrazie, giovane principe, ma anche qualcosa di bello, non è così? » Ridacchiò Gandalf, schiarendosi la voce.
« Non è successo nulla, fidati di me. »Sussurrai all’orecchio di Legolas, prima di issarmi sulle gambe.
 
 


°    °
 
 


La sala del trono, della città dei Re, brillava di una luce bianca e candida. Era una delle poche cose rimaste intatte a Gondor e tutti ci eravamo radunati al suo interno. Prima di entrare mi ero lavata e cambiata la casacca, che si era sporcata di sangue. Aragorn mi aveva abbracciata e osservata, e poi il suo sguardo era corso a Legolas che stava appena dietro di me. Il calore del suo corpo era inconfondibile, ma non eravamo qui per quella ragione: una guerra doveva ancora concludersi e avevamo bisogno di organizzarci. Ora che avevamo perso anche l’esercito dei morti, poi, avevamo ancora più bisogno di una strategia.
Gimli si era seduto su una sedia posta prima degli scalini che portavano al trono, e così io mi dovetti accontentare di quelli. Legolas si frappose fra noi, mentre Eomer affiancò il nano. La giovane elfa dai capelli bianchi si accomodò al mio fianco, mentre Aragorn preferì restare in piedi.
Gandalf prese a parlare ma, del suo inizio discorso, colsi solo: « L’oscurità sta aumentando. » Abbassai lo sguardo e osservai le mie mani. Le immagini di Sauron tornarono a navigarmi nella mente, come una barca sbattuta di qua e di la durante una tempesta. Pensai a Frodo e Sam e mi domandai se sarebbero mai riusciti a distruggere quel dannato anello e porre così fine all’esistenza del male.
« Se Sauron avesse l’anello lo sapremmo. » Annunciò sicuro Argorn.
« Sauron non ha l’anello. » Concordai, dopo aver poggiato gli avambracci sulle ginocchia ed aver alzato il viso in direzione di Gandalf. « Frodo e Sam non sono ancora stati scoperti. »
« E’ solo questione di tempo. » Rispose lo stregone. « Sauron, ha subito una sconfitta, si. Ma, dietro le mura di Mordor il nostro nemico si sta riorganizzando. »
« Su questo, non posso darti torto. Sauron sa quello che fa, non lo si può negare. » Fanie avevo preso parola ed ora si era alzata e aveva iniziato a camminare per la stanza. Eomer e Legolas la seguirono con lo sguardo.
« Che rimanga li, che marcisca! Perché interessarcene? » Sborbottò Gimli, facendo fuoriuscire dalle sue labbra una nuvola di fumo bianco e denso. Gandalf si volto verso di lui con occhi sbarrati e io feci lo stesso. Davvero credeva che l’oscuro signore non sarebbe tornato alla carica?
« Perché diecimila orchi, ora, si trovano tra Frodo e il monte fato. » Spiegò con semplicità lo stregone, lasciando che il nano si pentisse di quello che aveva detto. « L’ho mandato alla morte. » Sussurrò poi, a se stesso, l’uomo. Si, era vero: lui aveva mandato alla  morte Frodo e Sam, e tutti noi. Ma, così facendo, aveva anche permesso agli uomini di mobilitarsi e tentare di rimediare al danno di Isildur.
«  No. C’è ancora speranza per Frodo. » Aragorn si voltò a osservarlo, le mani incrociate al petto. « Ha bisogno di tempo, e di passare al sicuri attraverso le pianure. Questo possiamo darglielo noi. » Una strana idea m’increspò la mente. Osservai gli occhi azzurri del sovrano di Gondor e attesi che spiegasse, prima di dire la mia. Fanie fece lo stesso.
« Come? » Chiese Gimli.
« Attiriamo gli eserciti di Sauron, smuoviamo le sue terre. Poi raduniamo le sue forze e marciamo sul nero cancello. » Il nano, che stava fumando, per poco non si strozzò con la nuvola che gli uscì dalle labbra. Lanciai un’occhiata a Fanie e lei sorrise, assentendo con la testa. Socchiusi le labbra ma Eomermi si parò di fronte, oscurandomi la vista.
« Non possiamo vincere la battaglia con la forza delle armi. »
« Non per noi stessi: ma possiamo dare a Frodo una possibilità se teniamo l’occhio di Sauron fisso su di noi. » Poi, osservando Gandalf il re aggiunse: « Renderlo cieco ad ogni altra cosa visiva. »
« Un diversivo. » Mormorò Legolas.
« Io e Fanie possiamo tranquillamente are quello che hai in mente, Aragorn. » Mi issai in piedi avvicinandomi a lui. Tutti gli occhi dei presenti in sala erano rivolti a me e alla giovane elfa che mi aveva affiancata. « I nostri draghi posso facilmente volare attorno alla torre dell’occhio e confonderlo. Frodo avrà tutto il tempo che gli serve a disposizione. »
« Potrebbe pensare che sia una trappola. » Intervenne Gandalf. « Non abboccherà all’amo. »
« Allora potrei entrare nella torre e affrontarlo: è mio fratello e abbiamo dei conti in sospeso. Gli ho promesso che avrei tolto la vita dal suo corpo con le mie stesse mani e manterrò fede ad essa. » Propose Fanie. I suoi occhi grigi non erano mai stati più freddi e seri, come il suo tono.
« Certezza di morte, scarse possibilità di successo: che cosa aspettiamo? » Gimli sorrise, alzandosi dalla sedia. Gli gettai un’occhiata e sorrisi a mia volta, per una volta in accordo con lui.
« Io quoto il nano, cosa stiamo aspettando?  » Chiese Fanie, già in procinto di partire.
« Ci farai muovere con i draghi? » Domandai freddamente. Io non volevo tenere occupato Sauron, io volevo ucciderlo. Per tutto il male che mi aveva fatto.  Aragorn mi osservò per qualche secondo e poi sospirò, lanciando un’occhiata alle mie spalle. Sapevo che Legolas disapprovava ma io dovevo farlo, a qualunque costo.
« Solo, state attente. » Ci raccomandò, sorridendo brevemente.
  
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