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Autore: Lys3    02/02/2014    1 recensioni
Tutti a Capitol City amano gli Hunger Games. Tutti tranne Leo.
Lui è diverso, lo è sempre stato fin da piccolo, ma nessuno comprende le sue ragioni. E in un mondo così grande, così forte, lotterà nel suo piccolo per far valere le sue idee in una società travagliata da questi Giochi mortali.
Martia era una ragazza come tante altre. Questo prima di vincere gli Hunger Games. Ora lotta per non perdersi nei suoi incubi, per mantenere la sua famiglia che sta cadendo verso l'oblio e per dare a sé stessa una speranza di una vita migliore.
Dal testo:
“Siamo diversi. Apparteniamo a due mondi diversi. E questa cosa non cambierà mai. [...] Vuoi un ragazzo che ti salvi dagli Hunger Games, non uno il cui padre ha progettato la tua morte.” [...]
“Ti sbagli. Tu mi salvi dagli Hunger Games. Mi salvi dagli Hunger Games ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi stringi la mano, ogni volta che mi sorridi. Ogni singola volta in cui tu sei con me, mi sento libera di nuovo, come se nulla fosse mai accaduto. [...]”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18 – Incubi e ancora incubi
 
Martia fissava lo schermo con aria assente. Lo stesso era per il suo vecchio Mentore e per gli altri presenti nella sala.
Se tutti erano concentrati sullo scontro tra la ragazza del 5, che aveva terminato le frecce, e il ragazzo del 12, lei era rimasta impalata dopo aver visto il sangue di Roland macchiare il terreno.
Mags aveva recuperato il suo zaino con dentro il grosso machete, lo zaino della ragazza del 2, ormai morta, quello dell’1, che si contorceva a terra, e aveva lanciato un ultimo sguardo al compagno di Distretto prima di scomparire di nuovo nel bosco.
Martia non poteva far altro che essere orgogliosa di lei, ma allo stesso tempo sentiva un profondo vuoto dentro per la morte del ragazzino.
Era morto, ed era tutta colpa sua.
Lo stupido festino, che aveva spezzato la vita di Roland, della ragazza del 2 e di quella del 12, terminò lasciando sette Tributi in gara.
Alle parole dei presenti e in particolare del suo Mentore, che cercavano di tranquillizzarla, di farle capire che non era colpa sua, Martia si mostrava totalmente indifferente.
Fissava lo schermo, con l’immagine della chiazza di sangue ancora impressa negli occhi.
Vide il corpo di Roland mentre veniva portato via, in rotta verso Capitol City e poi il Distretto 4 e pensò a cosa stavano dicendo di lei a casa. Che aveva fallito, ecco cosa.
Fin dal primo momento aveva saputo che non avrebbero fatto ritorno entrambi, ma solo adesso si rendeva conto della gravità della cosa.
I presentatori di quell’edizione inquadrarono Mags, che piangeva rannicchiata sulle sponde del fiume mentre cercava di lavare via dal suo corpo il sangue del compagno.
La vista della ragazza distrutta fu insopportabile e, senza dire una parola, Martia si alzò e andò nella sua stanza. Si accasciò sul letto, con l’intenzione di dormire un po’, ma tutto quello che fece fu scoppiare a piangere.
Ricordava di aver visto Roland a scuola. Lo ricordava giocare con i suoi amici per le strade si rese conto che non lo avrebbe mai più incrociato nelle vie del Distretto 4.
Qualcuno bussò alla porta.
“Julio, va’ via” disse lei affondando la faccia rigata dalle lacrime nel cuscino.
Il suo Mentore entrò silenziosamente e rimase in piedi accanto al suo letto. “Non ne ho la minima intenzione. Almeno fino a quando tu non la smetterai con questa storia.”
Martia si voltò con rabbia. “Non ho intenzione di smetterla e non so affari tuoi!” strillò.
Julio si piegò fino a ritrovarsi solo a qualche centimetro da lei. “Sono affari miei perché se adesso non la pianti di fare la ragazzina dovrò occuparmi io dell’altro Tributo e non ne ho la minima intenzione!” La ragazza rimase in silenzio, sconcertata da quell’ira che non aveva mai visto. “Sei una Vincitrice, hai vinto gli Hunger Games, hai ucciso un ragazzo e ne hai visti altri morire e ora vuoi farmi credere che una cosa del genere ti scandalizza?! Piantala e alzati da quel letto.”
Martia sentì l’ira ribollire dentro di lei. “Perdonami se ho ancora dei sentimenti. Perdonami se gli Hunger Games non hanno portato via da tutta la mia sanità mentale!”
Julio la guardò per qualche istante, interdetto. Poi si voltò e andò via.
Lei si lasciò andare ancora di più, sperando con tutte le sue forze che Mags avrebbe trovato il coraggio di andare avanti, di vincere, ma soprattutto di non diventare un mostro.
Passò molto tempo nella sua stanza e si addormentò, anche se non seppe dire per quanto. Fu svegliata dallo squillare del telefono ma preferì non rispondere. Sicuramente era Sam e voleva evitarlo ancora per un po’. Non sapeva cosa dire, non sapeva come scusarsi.
Andò a fare una doccia e poi accese il televisore dove mostravano le immagini del Tributo dell’1 mentre cercava di curarsi la ferita inferta da Mags e la ragazza del 5 che cercava di recuperare più frecce possibile.
Parve strano a dirlo, ma i Favoriti non lo erano più di tanto, ora che erano solo in due e che avevano perso molte armi.
In una parte lontana dell’Arena, Seth aveva scoperto che non gli era utile lo zaino di Roland, con fili per reti e ami che lui non sapeva usare.
In cuor suo Martia era contenta. Il regalo per Roland era solo per lui e nessun altro doveva usarlo.
Stava per spegnere la televisione, quando comparvero i genitori della ragazza del 2, intervistati per la morte della figlia. Sua madre era in lacrime, mentre il padre aveva solo gli occhi lucidi.
Martia ebbe un tuffo al cuore. Intervista alle famiglie. Ora toccava a quelle di Roland.
Ecco comparire i genitori di lui, con accanto una bambina di circa dieci anni. Tutti con gli occhi rossi e gonfi, l’aria distrutta.
Parlarono di Roland, raccontarono un po’ della sua vita e espressero il loro dolore con tante frasi di saluto.
Vedendoli piangere, vedendo quanto era stata incapace di poter aiutare quella famiglia, anche Martia ricominciò a piangere. Dovette spegnere la televisione, per evitare di vedere le immagini struggenti dell’ultima famiglia traviata dalla morte di una figlia, e si rannicchiò sotto le coperte.
Si sentiva sprofondare, e avrebbe dato tutto pur di trovare un modo per riprendersi.
Sentì bussare alla porta e si accorse che ormai era pomeriggio inoltrato.
Doveva essere sicuramente Julio, tornato per convincerla ad uscire da lì. Così urlò: “Va’ via!” Ma la sua richiesta non fu accolta e l’incessante bussare diventava più forte. “Voglio stare da sola, Julio! Mi hai capita?!”
Quando sentì la porta aprirsi, si asciugò le lacrime con il palmo della mano e sbucò da sotto le coperte: “Allora sei stupido?! Vattene imme…” ma si bloccò.
Davanti a lei non c’era Julio a guardarla in modo furioso, ma Leo, che la fissava con lo sguardo più triste che avesse mai visto, come se fosse accaduto qualcosa di terribile.
 
Leo sentiva le mani tremargli.
Pregava affinché smettessero ma non era semplice date le circostanze.
Martia se ne stava seduta tra le coperte, gli occhi gonfi e arrossati per le lacrime, i capelli scombinati e lo guardava con aria sorpresa. “Cosa diavolo ci fai qui?”
Leo tirò un respiro di sollievo nel constatare che nella sua voce non c’era più la rabbia con cui lo aveva cacciato ieri sera, ma solo tanta sorpresa.
Si avvicinò piano a lei, ma adesso erano anche le gambe a tremargli.
Lei seguiva ogni suo spostamento con lo sguardo e si scostò leggermente quando lui si sedette accanto  a lei. “Ho saputo di Roland. Mi dispiace” disse lui, valutando la possibilità di prenderle la mano, ma scartandola subito a causa delle ultime cose accadute.
Gli occhi della ragazza si riempirono ancora di più di lacrime. “Adesso che l’hai detto puoi pure andare via” disse abbassando lo sguardo sulle sue dita che si contorceva nervosamente.
“Martia, dobbiamo parlare” sussurrò dolcemente Leo, prendendogli le mani tra le sue. Lei le guardò, indecisa sul da farsi, poi spostò lo sguardo su di lui. “Lo so che sei arrabbiata per ieri sera ma… C’è stato un problema, per questo non mi sono fatto vedere.”
“Che problema?” domandò lei ma con indifferenza.
Leo era convinto che lei credesse che fosse solo una scusa. “Mia sorella sa di noi” disse tutto d’un fiato per evitare discorsi troppo lunghi.
Martia sgranò gli occhi e li puntò dritti nei suoi. “Cosa?!”
Leo annuì e le raccontò tutto. “Ha detto che non devo farmi vedere con te, mai più. Ha detto che stiamo dando troppo nell’occhio e non vuole che si sappia. Dice che può anche capire che io voglia stare con te, ma pensa che non debba mettere in cattiva luce la nostra famiglia. E poi vuole che le compri non so che affare super costoso che è appena uscito e permette di cambiare da un giorno all’altro colore di capelli, ma questa è un’altra storia.” Martia non rispose, così continuò. “Per questo ero con Verin. Non dovevo far insospettire mio padre e per questo sono venuto alla festa ma sono rimasto in disparte con lei sperando di non incontrarti. Speravo non accadesse ciò che in realtà è successo.”
La ragazza rimase in silenzio. Dopo qualche secondo liberò le sue mani dalla stretta e rotolò su un fianco, per poi sdraiarsi sul letto. Fece cenno al ragazzo di fare lo stesso.
Leo sorrise, contento che le cose non erano peggiorate con quel discorso e si stese accanto alla ragazza, che non aspettò nemmeno un istante prima di accucciarsi contro il suo petto. Lui la strinse forte, pensando a quanto le era mancata in quei giorni.
“Non hai più quell’assurdo cartellino?” constatò Martia ispezionando con le mani la sua maglia alla ricerca di quell’affare.
“No” rispose lui sorridendo. “Sono quasi normale per lo psicologo.”
Lei ricambiò il sorriso, poi affondò la testa nell’incavo tra la spalla e il collo di lui.
“Tu come stai?” domandò Leo.
Martia scosse la testa, incapace di rispondere.
La sentì respirare irregolarmente, poi arrivarono i singulti e infine sentì la sua maglia bagnarsi per le lacrime. La strinse più forte a sé. “Andrà tutto bene, stai tranquilla.”
 
Trascorsero la maggior parte del pomeriggio e della sera lì sopra, abbracciati.
Lei a piangere, a raccontare quanto l’accaduto fosse frustrante, e lui a consolarla.
Martia decise di non andare alla solita festa quella sera. Credeva che la morte del suo Tributo fosse una ragione valida per assentarsi.
Se ne stava ferma accanto alla porta ad aspettare che le portassero il cibo che aveva ordinato quando squillò il telefono. “Sarà sicuramente mio fratello. E’ da stamattina che chiama. Devo rispondere per forza ora” disse a Leo che annuì, preparandosi a rimanere in silenzio totale per i prossimi minuti.
“Pronto?”
“Sono io. Che ne dici di rispondere ogni tanto?” fece Sam con aria arrabbiata.
“Scusa. Non me la sentivo proprio di risponderti. So che sei arrabbiato. Se vuoi puoi aggiungerti alla lista delle persone che dopo oggi mi odiano. C’è già Julio, se ti fa piacere.”
“Julio? Che gli hai fatto?”
“Assolutamente niente. Dice che devo smetterla di abbattermi per quanto successo a Roland.”
“Capisco…” disse Sam rimanendo per qualche istante in silenzio. “Mi dispiace per lui. Lo sai che andava in classe con Paul?”
Martia si immaginò i due seduti vicini in una banco e poi lo immaginò vuoto. “No, non lo sapevo.”
“I genitori sono venuti qui oggi.”
Martia sentì il sangue nelle sue vene raggelarsi. “Cosa hanno detto?”
“Abbiamo parlato un po’. Di Paul, della mamma… Di papà. E poi naturalmente di Roland. Ti ringraziano di tutto e mi hanno chiesto di dirti di non sentirti in colpa. Sono due persone fantastiche.” Di fronte al silenzio della sorella, Sam continuò. “Sono preoccupato per te. Sei diventata strana da quando sei lì. Mi stai nascondendo qualcosa? Va tutto bene?”
“Lo sai, è difficile avere tanto peso sulle proprie spalle…” tentò di scusarsi.
“No, non parlo di questo. Lo so quanto sia difficile il tuo compito. Ma sei evasiva, non mi chiami quasi mai e le nostre telefonate durano sempre poco. E’ come se mi volessi nascondere qualcosa” disse Sam.
Martia spostò lo sguardo su Leo, seduto a mezzo metro da lei sul letto. Si guardava le mani che muoveva in modo strano, ma lei sapeva che teneva le orecchie tese per sentire ciò che poteva della conversazione.
Era lui che stava nascondendo e ormai Sam stava iniziando a capire qualcosa. Si chiese se fosse il caso di dirglielo, se fosse prudente tramite telefono.
“Sono cambiate tante cose, Sam” disse, evasiva.
“Non credo. Potevi dirlo da quando il tuo nome è stato estratto a quando mamma è morta e invece non lo hai fatto. Ma lo dici ora. Che sta succedendo? Parlando con Liz lei ha detto di non preoccuparmi ma sono convinto che lei sappia qualcosa che io non so. Che stai combinando?”
“Sam, so badare a me stessa. Lo so che ora ti potrai fare tante domande, okay? Ma è tutto apposto. Ne parliamo quando torno a casa, così sarai più calmo.”
“Ne dubito. Ma va bene. Non sparire. A domani.”
Martia chiuse in fretta il telefono mentre il cuore le batteva a mille. Doveva dirglielo, prima o poi, ma per ora era meglio ritardare il momento.
“Non penso ne sarà felice” commentò Leo continuando a guardarsi le mani.
La ragazza capì che le sue sole parole erano state sufficienti per far comprendere appieno la situazione. “Non dire stupidaggini.”
“Sto dicendo solo la verità. Già il fatto che hai un fidanzato sarà traumatico per lui, figuriamoci poi la sua reazione quando gli dirai che sono di Capitol City. E del fatto che sono ritenuto pazzo? Vogliamo parlarne?”
Martia sorrise. “Invece ne sarà felice. Perché io lo sono” e dicendo così lo baciò per fare in modo che non rispondesse ancora.
 
Il mattino seguente, quando Leo si svegliò, fu contento di ritrovarsi a pochi centimetri da Martia, che dormiva ancora.
La guardò nella poca luce della stanza e desiderò di non alzarsi mai e che il tempo si bloccasse in quel preciso istante.
Fissò la sua ragazza, anche se pensare a lei così gli sembrava ancora strano, e non poté fare a meno di chiedersi come poteva stare con lui, tanto che era bella.
I suoi capelli invadevano completamente il cuscino, era rannicchiata contro il suo petto e respirava tranquillamente. Erano finiti gli incubi.
Quando la sera precedente lei gli aveva chiesto di restare, Leo era contento, nonostante sapesse cosa lo aspettava.
Urla, pianti, calci e strilli improvvisi, dovuti agli incubi sempre più frequenti. Non aveva fatto altro che svegliarsi tutta la notte, in lacrime, gridando il nome di qualcuno che conosceva, vivo o morto, non faceva differenza. Ancora più brutto era quando non riusciva a svegiarla. Lei urlava, scalciava e si dimenava, in preda a chissà quale orrore e lui tentava di svegliarla ma ci volevano diversi minuti.
Ma nonostante tutto non si era pentito di essere rimasto.
Se stare con lei avrebbe significato affrontare migliaia di notti piene di incubi, lui avrebbe accetato ugualmente.






Buonasera a tutti! Mi scuso per il ritardo ma eccomi finalmente.
Mi dispiace se troverete eventuali ripetizioni ma ho potuto dare solo una rilettura veloce perché il letto ormai mi chiama dato che la sveglia è prevista per domani alle sei.
Spero che questo capitolo vi piaccia e spero di poter aggiornare il prima possibile.
Ne approfitto per dare il mio saluto a Philip Seymour Hoffman, attore bravissimo che nei film interpretava Plutarch Heavensbee e che oggi ci ha lasciati. Purtroppo non lo conoscevo abbastanza bene ma so ugualmente che era bravissimo.
A presto.

 
  
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