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Autore: MadAka    03/02/2014    0 recensioni
"È il numero sette, il leone nero della Nuova Zelanda.
Vederlo davanti a me con i suoi capelli corti, le spalle possenti, che entra sul campo di casa sua, affondando i tacchetti nel prato morbido, così perfetto per lui, mi smuove dentro. Il mio esordio sta per compiersi nel posto più difficile in cui possa giocare."
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Una storia che parla di rugby, Nuova Zelanda e di un giocatore che rappresenta perfettamente entrambe le cose.
Genere: Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicono che quando il tetto del Millennium Stadium è chiuso non riesci a sentire nemmeno il suono dei tuoi pensieri. Forse è vero, ma credo che la stessa cosa la si possa dire di Eden Park, anche senza essere chiuso.

Io sento qualcosa dentro di me, ma non so se sono i miei pensieri o la mia preoccupazione. È il mio match di debutto con la mia nazionale, indosso la maglia rossa che tanto speravo di portare un giorno, ma anche se sono eccitato all’idea, al contempo sono terrorizzato, perché oggi i nostri avversari sono i tutti neri, gli All Blacks.

Se insieme sono fortissimi, quasi imbattibili, uno di loro lo è quasi da solo: il capitano. Nessuno, in questa città, non lo conosce, perfino quelli che il rugby non lo seguono sanno perfettamente chi è.

È l’irrefrenabile perno su cui ruota la squadra, l’inarrestabile terza linea che in mischia spinge accanto ai suoi compagni e si libera subito per fermare l’avversario.

È il numero sette, il leone nero della Nuova Zelanda.

Vederlo davanti a me con i suoi capelli corti, le spalle possenti, che entra sul campo di casa sua, affondando i tacchetti nel prato morbido, così perfetto per lui, mi smuove dentro. Il mio esordio sta per compiersi nel posto più difficile in cui possa giocare.

Ed è vero ciò che credevo prima, Eden Park è un’arena, marchiata di nero e argento. Ovunque i neozelandesi incitano la propria squadra, lo fanno cantando il loro inno e rispettando silenziosi il nostro.

Ora che sono al centro del campo, affianco agli altri giocatori della mia nazionale, posso vedere tutti gli All Blacks negli occhi e quelli di uno di loro mi colpiscono più degli altri, sono quelli del capitano.

Non sembra neanche la stessa persona. Quando ci ha accolto, ore prima, ci ha stretto la mano e sorriso, augurandoci buona fortuna; adesso, invece, è determinato a guidare i suoi fratelli verso un’altra vittoria e tenterà di farlo con tutta la forza di cui lui solo è capace indossando la sua maglia nera.

Il numero sette si è impresso sul suo corpo come fosse un tatuaggio, proprio come la fascia da capitano. Centoventiquattro partite giocate, un record, proprio come record è il suo numero di vittorie: centodieci.

Ma come potrebbero perdere gli All Blacks quando in squadra hanno uno come lui, un leone nero?

Quando il fischio d’inizio risuona, l’animale si risveglia e lotta per tutti gli ottanta minuti di gioco.

Quando porta palla attacca, sfonda e annienta e se viene fermato mette immediatamente l’ovale a disposizione, per non lasciare un solo attimo di respiro agli avversari.

Quando difende bracca e affonda il nemico, rialzandosi subito per atterrare anche il successivo.

E quando ti guarda negli occhi dopo averti portato a terra è solo perché sta pensando a come cucinare la tua carcassa alla fine del match.

Ma il ruolo di leader, di guida, gli calza a pennello soprattutto perché nei momenti peggiori è in grado di incitare i suoi compagni e renderli più determinati e in grado di far male di prima.

Se vince non si vanta del suo successo, perché non c’è onore in questo; nel rugby l’onore sta tutto nel rispetto dell’avversario e lui lo sa. Per questo appena l’arbitro fischia la fine della partita l’animale si acquieta e il capitano torna ad essere una delle persone più socievoli del mondo.

 

Ka Mate!

 

Ma ora tutto deve ancora iniziare ed eccolo lì il leone nero.

 

Ringa pakia!

Uma tiraha!

Turi whatia!

Hope whai ake!

Waewae takahia kia kino!

 

Lui, un tempo, non avrebbe mai potuto essere qui. È un pakea, un bianco, proprio come me.

 

Ka mate, ka mate

 

Eppure ora è il capitano di una delle più grandi squadre di sempre, un leader indiscusso.

 

Ka ora' Ka ora'

 

L’animale è sul punto di risvegliarsi al suono della sua Haka, l’antica danza di guerra maori.

 

Ka mate, ka mate

Ka ora' Ka ora'

 

I miei compagni sono determinati e non posso che esserlo anche io.

In fin dei conti fra ottanta minuti il leone sarà tornato nella sua tana.

 

Tēnei te tangata pūhuruhuru

Nāna i tiki mai whakawhiti te rā

A Upane! Ka Upane!

Upane Kaupane"

Whiti te rā,!

 

Tuttavia, quegli ottanta minuti non sono ancora iniziati.

 

Hī!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se mi posso permettere di darvi un consiglio, andate su Wikipedia e leggete la traduzione della Haka, c’è ed è molto bella( e forse un pochino aiuta a spiegare perché l’ho usata così nel finale).

Ora, intanto ringrazio quelli che sono arrivati a finire la mia shot, l’ennesimo e immotivato pensiero che ho voluto articolare e arricchire, per fare un omaggio al rugby e alla squadra che, forse, lo rappresenta a livello mondiale. Dato che non esiste la sezione fanfiction sugli atleti ho tolto il soggetto (che, voi che avete letto tutto perché conoscete gli All Blacks, avrete sicuramente indovinato di chi si tratta) e l’ho resa un’originale, anche se non avrei voluto inserirla esattamente qui, ma non importa.

So che non è niente di eccezionale, ma l’ho detto, è uno sclero uscito per caso che ho voluto tentare di trasformare in un omaggio ad un signor giocatore.

Alla prossima!

MadAka

 

p.s. Il protagonista di cui leggete i pensieri (che non è nessuno di specifico) è gallese, l’ho usato per via del Millennium Stadium, perché quello che si dice su questo stadio, è vero.

  
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