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Autore: moonwhisper    12/06/2008    3 recensioni
Era consapevole di sfiorare una tra le cose più belle che potessero capitare nella vita.
E ringraziava, ringraziava, si.
Ringraziava per l’aria distratta di quella ragazza, per la sua abitudine di non bere mai tutto il latte alla mattina, di lasciarne un po’ nella tazza.
Per i suoi sbuffi quando lui la stuzzicava, per la sua mania di mettersi lo smalto sul tavolo della cucina e per la quantità industriale di acqua che consumava sotto la doccia.
Ringraziava per quella imperfezione perfetta che non si sarebbe mai stancato di osservare.
....
- Chiara? -
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era sera. Una bella sera di fine Aprile. L’aria era ormai tiepida, segno che la primavera stava svanendo, lasciando dietro di se le prime tracce di un’estate che sarebbe stata calda. Le luci del cinema, dei pub e dei negozi si riflettevano sui vetri delle auto parcheggiate ai lati del lungo marciapiede. In alto, nel cielo nero, brillava una falce di luna lattescente.

Una piccola folla si riversò fuori dalle porte scorrevoli del cinema, dove proiettavano una melensa storia d’amore e un film horror che oltreoceano aveva sbaragliato i concorrenti ai botteghini.

La gente si disperse velocemente. Alcuni, ridendo, si diressero alle macchine più vicine, commentando scene del film o criticando la performance di quella famosa attrice che ormai era troppo vecchia per ruoli di quel tipo.

Quando la maggior parte degli spettatori ebbero svuotato lo spiazzo di fronte al cinema, dalle porte scorrevoli uscì una coppia. Lei magra, sottile, con lunghi e lisci capelli castani, occhi grandi, forse verdi, sorrideva. Un sorriso felice, dedicato tutto al ragazzo che le stringeva la mano, dritto al suo fianco. Lui non era particolarmente bello, capelli piuttosto lunghi, ricci e scuri, carnagione pallida e aria svagata. Rideva di gusto, probabilmente per qualcosa che si erano detti.

Una volta arrivati nello spiazzo, si abbracciarono. Fu un abbraccio tenero, dolce.

I due erano fidanzati da quattro anni, ed entrambi erano convinti che quei quattro anni fossero stati i più belli della loro giovane vita.

Avevano poco più di vent’anni, scuola alle spalle da poco e corsi della stessa università da frequentare. Ma non condividevano solo questo. Condividevano l’amore. Un amore nel quale nessuno dei due aveva particolarmente creduto, fin quando non si erano incontrati, in un modo piuttosto bizzarro.

 

Ritardo. Terribile, solito, stupido ritardo. Lei era sempre in ritardo, dovunque. Era per quel motivo che stava correndo, la gonna che le saliva lungo le gambe e una borsa a tracolla che sbatacchiava contro il suo fianco.

“Ancora poco… Svolta l’angolo e sei li. Forza, forza!”

Accelerò ancora e prese l’angolo ad alta velocità. Ma qualcosa interruppe la sua corsa. Sbatté la testa contro una superficie dura e barcollò indietro, rischiando di cadere. Davanti agli occhi le esplosero le stelle, bianche e accecanti.

Aprì le palpebre a fatica, cercando di ricollegare i pensieri e guardò davanti a se, spaesata. Per terra era disteso un ragazzo. Avrà avuto la sua età. La prima impressione che le diede fu di disordine. Aveva la maglietta spiegazzata e i pantaloni sdruciti. I capelli ricci gli cadevano sulla fronte, liberi. Si stava massaggiando il naso, mugolando.

Poi il ragazzo sollevò lo sguardo su di lei, e si sentì una perfetta deficiente, con la gonna che le scopriva le cosce e i capelli arruffati.

- Ma sei pazza? – le disse, sconcertato, come comprendendo in quel momento ciò che era successo. La ragazza strabuzzò gli occhi.

- Io?! Sei tu che mi sei venuto addosso! – ribatté oltraggiata.

Il ragazzo si alzò, spolverandosi la schiena e raccogliendo la sua tascapane, che era finita sul bordo dello sporco marciapiede.

- Cosa?! Sei tu che stavi correndo come una forsennata – la rimproverò additandola. Lei cercò di rimettere in ordine gonna e capelli in pochi gesti veloci e alzò il mento.

- Dovresti imparare a guardare meglio dove e come cammini – sentenziò, allontanandosi in fretta.

Non si accorse che il cellulare le era scivolato dalla mano ed era finito ai piedi del ragazzo. Lui si però.

 

E poi tutto era venuto da se. Perché l’amore deve venire da se, non lo si deve scovare. Loro l’avevano sempre pensata in quel modo.

Mai cercare l’amore, altrimenti non si trova.

Forse è d’obbligo dire che loro erano stati più fortunati di tanti altri.

La ragazza si sciolse dall’abbraccio ed osservò per un attimo il profilo del giovane, sorridendo tra se e se. Chiunque, almeno una volta nella vita, desidera essere guardato così. Dalla mattina, dal primo istante del risveglio, fin quando cala l’oscurità, e quegli occhi non riesci più a vederli. Lui era consapevole di sfiorare una tra le cose più belle che potessero capitare nella breve esistenza umana. E ringraziava, ringraziava, si. Tutto e tutti. Il cielo, gli oggetti, il vento, Dio, sua madre. Ringraziava sempre e comunque. Ringraziava per l’aria distratta di quella ragazza, per la sua abitudine di non bere mai tutto il latte alla mattina, di lasciarne un po’ nella tazza. Per i suoi sbuffi quando lui la stuzzicava, per la sua mania di mettersi lo smalto sul tavolo della cucina e per la quantità industriale di acqua che consumava sotto la doccia. Ringraziava per quella imperfezione perfetta che non si sarebbe mai stancato di osservare.

I due si scambiarono qualche parola, ridendo ancora sommessamente, poi lui scese dal bordo del marciapiede e lei lo seguì, pentendosi di aver indossato quei tacchi.

Proprio mentre il ragazzo stava attraversando la strada, il sottile cordoncino nero che le circondava la caviglia si slacciò, costringendola a fermarsi. Il ragazzo si voltò, arrivato dall’altra parte, cercandola con lo sguardo. La vide intenta a riallacciarsi le scarpe, con una smorfia infastidita sul viso. Sorrise, studiando le labbra imbronciate e la fronte corrugata. Si chiese se fosse normale, sentire sempre quel colpo al cuore, ogni volta che la guardava.

Come un proiettile… come un proiettile.

Ad un tratto, qualcosa cambiò. Come uno spostamento d’aria troppo veloce.

Vide il volto della ragazza distendersi in un’espressione sperduta, come se improvvisamente avesse dimenticato dove si trovasse. La vide portarsi una mano alla testa e tentare di sedersi goffamente per terra, cercando appigli nel nulla.

- Chiara? – fece, con un tono a metà tra il preoccupato e l’interrogativo.

Lei non rispose. No, non rispose. Tacque.

Rimase li, seduta, con una mano premuta sui capelli, che le accarezzavano le spalle. Le gambe piegate davanti a lei, a formare un angolo incerto. Il cordoncino della scarpa ancora slacciato.

- Chiara? – disse di nuovo, questa volta con più ansia nella voce.

Tornò indietro, chiedendo scusa con un cenno al guidatore di una macchina spuntata dal nulla, che frenò all’ultimo per lasciarlo passare.

- Cos’hai? – le chiese, abbassandosi accanto a lei e posandole le mani sulle ginocchia.

Chiara lo guardò, incredula. Uno sguardo talmente perso e vuoto che gli fece paura.

- Che ti succede? – disse, prendendola per le spalle. La voce iniziò a tremargli e non seppe spiegarsi perché.

Lei fece come per aprire la bocca, per dire qualcosa, ma non ci riuscì. Boccheggiò per pochi istanti, senza emettere un suono.

- Amore? Cosa c’è? Parlami – implorò lui, cercando di mantenere il controllo sul suo cuore impazzito, che premeva nel petto come se desiderasse uscir fuori.

Lei scosse appena la testa, socchiudendo gli occhi e riaprendoli a fatica.

- Chiara – la scosse, alzando la voce.

Qualcosa gli stava sfuggendo dalle mani. Qualcosa se ne stava andando ma non riusciva a vedere cosa.

Di  nuovo scosse la testa. Di nuovo socchiuse gli occhi e li riaprì. Lo guardò, come se cercasse aiuto. Come chiedendogli di fare qualcosa, subito. Ma cosa? Cosa?

Le si sedette accanto, sul bordo di quel marciapiede inondato di luce lunare, in preda al terrore.

Chiara sospirò tra le sue braccia. Un sospiro stanco, agghiacciante. Sollevò una mano allungandola verso di lui, senza mai raggiungerlo. Poi si accasciò contro il suo petto, le dita sottili abbandonate a terra, a sfregare l’asfalto grigio.

- Chiara? – la voce di Marco si spezzò.

E sotto le sue mani Chiara già non respirava più. Il suo sorriso si era spento, ma i suoi capelli profumavano ancora, sotto il suo mento. Ne sentiva l’odore. Sentiva ancora il calore della sua pelle. Ma lei non respirava più.

- Chiara? – ripeté. Le accarezzò il capo. Anche se le lacrime gli riempivano gli occhi. Anche se ancora non capiva perché. Anche se Chiara non avrebbe più risposto.

- Chiara? -

 

 

 

 

***

 

Note di Phan: Ci sono tanti modi per morire come è morta Chiara. Non voglio fare un saggio di medicina, quindi evito i particolari tecnici, che rovinerebbero tutto.

Questa breve one-shot è stata ispirata da Luvstory - Sigur Ros ft. Mogwai, una canzone tanto bella quanto malinconica.

Un ringraziamento speciale a Lales che ha revisionato il testo.

 

  
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