Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Ricorda la storia  |      
Autore: Xenja    03/02/2014    5 recensioni
Un colpo non si può sprecare, Gwen lo sa. Ma come fa ad utilizzare quell'unico colpo per salvare non una, ma due vite?
Dal testo:
Non mi sento sola, anzi, mi sento rincuorata nel vedere di fianco a me un’altra vittima tra le tante, un’amica che nonostante tutto non mi ha abbandonato, ma mi ha solo aiutato cadendo anche lei in questa trappola mortale.
~
“Ti uccido io!” mi dichiara Courtney decisa.
“No! L’hai trovata tu la pistola! Ti uccido io!”
Morire è l’unica via per salvarci.
Enjoy it ♪
SPOILER! SPOILER! SPOILER!
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Courtney, Gwen, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un colpo per due teste
Un colpo, un singolo colpo… Uno!
Non sapevamo come eravamo arrivate lì, o meglio, lo sapevamo, ma non avevamo avuto tempo a sufficienza per realizzare che cosa stava diventando la nostra vita, che cosa stavamo facendo, che cosa ci stava succedendo moralmente oltre che fisicamente…
Non mi sento sola, anzi, mi sento rincuorata nel vedere di fianco a me un’altra vittima tra le tante, un’amica che nonostante tutto non mi ha abbandonato, ma mi ha solo aiutato cadendo anche lei in questa trappola mortale.
Di tempo ne è passato tanto, cinque anni, più o meno, ma questi anni di agonia non hanno rovinato il suo bell’aspetto.
I suoi capelli sono sempre di quello strano color cioccolato, lunghi fino al fondoschiena e ben tenuti in una delicata treccia che poggia sulla spalla destra incorniciandole il bel visino dalle gote che paiono come due mele mature.
Il nasino all’insù tempestato di piccole lentiggini scure, le labbra piene, anche se non troppo, scure come se avessero già un rossetto naturale di un tenue marroncino che risalta sull’ambra del suo volto.
Poi però ci sono gli occhi, l’unica cosa che stona su quel bel volto. Spenti, lucidi, assenti, doloranti, che hanno visto troppo e non possono vedere altro…
Io, al contrario, sono magra, quasi denutrita, smunta. Gli occhi grigi incavati, i capelli corvini non più lucenti come un tempo. Ogni volta che mi guardo allo specchio, quando ne trovo il coraggio, osservo la mia immagine esile, il mio volto scarno, il mio corpo osseo, i miei capelli che sembrano diventare sempre meno…
Certe volte per farci due risate, io e la mia compagna di sventura, ci diciamo parole che potrebbero offendere le normali persone, ma noi ne abbiamo sentite talmente tante che ormai neanche il peggiore degli insulti potrebbe scalfire il nostro animo di pietra, una pietra lucente come il cristallo, ma scheggiata da troppi abusi e maltrattamenti.
Guardo la mia compagna assopita al mio fianco, guardo ciò che giace nella mia mano… prima guardo la mia mano, però.
Fa paura, non ha carne, non ha pelle, non ha forza… è uno scheletro, è fragile!
Come fa a stringere un oggetto così luccicante, pesante e letale? 
Rigiro e rigiro tra gli ossicini che compongono la mia mano quell’arnese.
Luccica nei raggi lunari che traspirano dalle serrande socchiuse, che magnifico oggetto!
Lo guardo e la voglia di lodarlo per la sua esistenza in quel momento è veramente forte.
“Sia benedetto chi ha inventato questa meraviglia!” sussurro entusiasta con quel filo che è diventata la mia voce “O chi lo possiede…” bisbiglio con meno enfasi posando il mio sguardo sul corpo svenuto che giace a terra.
Poggio sulle labbra la freddezza del metallo, è estasiante come una droga.
Socchiudo le palpebre per il piacere che mi procura tutta quella freddezza che mi ridarà la libertà.
Nel buio dei miei occhi vedo la mia vita passarmi davanti, non tutta, solo quello che ricordo… e quello che ricordo è veramente poco!
Il mio cervello riesce a mettere insieme immagini che mi raccontano di come sono arrivata a tutto questo.
Già, Courtney!
Ecco come sono arrivata qui, grazie a Courtney, la mia compagna di sventura.
La ricordo ancora quel giorno, un’estate troppo afosa per il clima di una Toronto estiva.
Era arrivata alla porta del mio condominio immersa nel sudore e con il fiato corto.
Al primo impatto avevo provato solo rabbia, per la sua storiella con Scott, il suo tradimento nei miei confronti e il fatto che io e Duncan ci eravamo lasciati solo per colpa sua. Da quando lei era stata eliminata non ci eravamo più parlate.
Poi le domande mi avevano travolto confuse, ma ragionevoli:
“Come sa che abito qui?”
“Perché è qui?”
“Perché sta piangendo davanti a me?”
“Perché è conciata in quel modo impresentabile?”
L’avevo fatta entrare nel mio appartamento e offerto un bicchiere d’acqua per paura che cadesse a terra da un momento all’altro.
L’avevo fatta accomodare in salotto e dato un  asciugamano per asciugarsi il sudore.
Lei mi aveva fissato per qualche secondo, uno sguardo pietoso, sembrava quasi che pregasse per me.
Aveva allungato la mano destra per racchiuderne la mia all’interno.
Io l’avevo guardata, non capivo il perché di quel comportamento, non sembrava nemmeno lei...
“Gwen, dobbiamo parlare…” mi disse sul punto di una crisi di pianto.
Poi raccontò tutto, tra fiumi di lacrime e singhiozzi strozzati e pugni di rabbia dati al cuscino, ma non lasciò mai la mia mano, l’aveva sempre tenuta stretta nella sua, sudata, ma rassicurante.
Appresi e assorbii le informazioni come una spugna. Dapprima incredula, poi sempre più convinta e rassegnata.
Eravamo entrate in un circolo senza uscita, impossibile, letale.
Entrambe, prima lei e poi io.
Lei se ne era resa conto fin da subito, io no.
Ma Courtney mi aveva messo in guardia, mi aveva avvertito per proteggermi, per far sì che almeno una di noi si salvasse.
Il giorno dopo ci recammo al commissariato, sebbene lei inizialmente si rifiutava, io la convinsi. Era stato facile convincerla, avevo capito che la Courtney forte e autoritaria ormai non esisteva più, al suo posto una donna fragile e di lacrima facile si faceva spazio tra le persone insieme a me, mano nella mano.
Eravamo sul marciapiede davanti al commissariato, aveva paura. La presi per le spalle sussurrandole parole d’incoraggiamento, parole in cui nemmeno io credevo, ma in cui lei cascava come un bambino ingenuo, era disperata…
Neanche il tempo ci girarmi e fare il primo passo per avviarmi al vialetto che porta all’entrata principale ed eccomelo davanti.
Gli occhi azzurri, sciolti da alccol, droga e chissà cos’altro.
Courtney aveva urlato e lui aveva riso, sprezzante “Vedo che non sai leggere molto bene, topina! Ti avevo avvertita di non recarti al commissariato, ma non mi hai dato ascolto!”
Poi aveva puntato i suoi su di me “Hai portato pure la tua amichetta…” mormorò barcollando sui suoi stessi piedi “Ciao dolcezza!”
Che nessuno avesse visto quella scena, non ci credo.
Che le persone e i poliziotti lì presenti se ne fossero infischiati, sì, quello lo credo.
Ma dopotutto di ubriachi se ne trovavano a bizzeffe per le strade affollate di Toronto e poi l’ubriaco in questione non aveva fatto alcuna violenza sulle due ragazze, una messa peggio dell’altra, in questione.
Quel giorno era stato l’inizio della nostra fine, della nostra distruzione.
Biglietti provocatori nella cassetta della posta, attaccati alla porta d’entrata, chiusi in una busta bianca, poggiati sullo zerbino.
Chiamate nel cuore della notte, durante il giorno, messaggi in segreteria, squilli del telefono che duravano ore e ore, sempre muti, nessuno rispondeva dall’altra parte della cornetta.
Il citofono che suonava ripetutamente, la continua vibrazione del cellulare per i ripetuti SMS, gli ininterrotti squilli del telefono, il leggero poggiarsi dei foglietti di carta sul pavimento…
Tutto questo aveva bloccato Courtney a casa per giorni. Solo una settimana dopo era venuta a chiedere il mio aiuto.
E ora, ora anch’io ero come lei.
Bloccata, spaventata, avevo paura solo a muovermi da una stanza all’altra, ad aprire la porta della camera, ad aprire i cassettoni o le ante dell’armadio, avevo paura di ritrovarlo nascosto in qualche angolo della casa, ovunque.
Chiamate, messaggi, foglietti, buste, squilli…
Quando mi trovai la porta di casa sfondata e l’appartamento messo a soqquadro andai  a chiedere asilo da Courtney e lei mi accolse a braccia aperte, con le lacrime agli occhi, un pigiama fucsia indosso e un bastone tra le mani.
Iniziammo la nostra vita in sincronia, così diverse, ma nello stesso momento così uguali.
Dopo un mese di convivenza sassi di varie dimensioni avevano già rotto numerose finestre, catene ci avevano sbarrato l’ingresso di casa, pezzi di legno erano stati infissi alla nostra porta nel cuore della notte e poi messaggi, squilli, lettere per entrambe, vasi di fiori anche. Peccato che spesso i fiori erano finti e la terra non erano altro che bigliettini scritti o ciocche di capelli castani, corvini e verde petrolio…
La prima volta che vedemmo i fiori rossi come sangue e tutti quei capelli con le nostre stesse tonalità di tinta, tutti raccolti insieme in un enorme vaso bianco con sopra scritto “Siete le mie prede!” svenni e non mi risvegliai per i due giorni seguenti.
La porta era stata forzata e il vaso era stato poggiato sul tavolo, non prima che il muro fosse stato imbrattato di rosso e le scritte “Prede!” in caratteri neri popolassero le pareti, i mobili, gli infissi, i vestiti, anche il poco cibo presente.
Fu uno shock per entrambe, un  vero shock, ma non avemmo il coraggio di chiamare la polizia o di chiedere qualsiasi aiuto.
Nessuno fece domande, nessuno diede risposte.
Molto semplicemente le persone ci evitavano, ci consideravano delle emarginate che stavano rinchiuse in casa loro per tutta la giornata con le serrande socchiuse e le finestre sbarrate.
Uscivamo solo per andare a compare lo stretto necessario per sopravvivere e non morire di fame o sete.
Ma il vero inferno iniziò più o meno due anni fa, dopo aver visto la nostra casa bruciare sopra le nostre teste, il nostro perseguitore ci prese sotto la sua ala protettiva con la semplice scusa che avevamo bisogno di un posto in cui vivere.
Usciva la mattina lasciandoci un vero porcile da ritrasformare in un salotto e una latrina da ritrasformare in un bagno.
Tornava per pranzo pretendendo che tutto fosse pronto al suo ritorno, altrimenti una decina di bastonate su braccia e gambe non ce le toglieva nessuno e poi di nuovo fuori per tornare alla sera più confuso che mai da alcool e fumo, non di sigaretta.
La notte era il suo paradiso e il nostro inferno.
Abusava di noi, giravamo seminude per le stanze illuminate da una semplice lampadina che funzionava come una luce a intermittenza, prendevamo legnate solo per compiacerlo con le nostre urla di dolore, eravamo costrette a chiamarlo signore, a baciare i suoi piedi e poi sempre più su, ci vietava cibo e acqua per vedersi implorare da due sgualdrine, come lui ci definiva, dovevamo accontentarlo in tutto per tutto, eravamo violate, abusate, avevamo perso ogni ritegno di pudore, decenza era una parola inesistente in quel porcile in cui eravamo tenute prigioniere… eravamo schiave.
Tutto questo andò avanti per due anni fino ad ora.
Certo, cinque anni tra cui due di schiavitù sono molti per accorgersi di quello che stava accadendo, ma le nostre teste erano sempre popolate dalla paura, dall’odio, da immagini orrende che eravamo costrette a subire… non riuscivamo a pensare, ad avere la mente libera.
Adesso, io e Courtney, le due amiche per la vita, le due sgualdrine, le due compagne di sventura siamo sdraiate su un materasso malfatto, con le molle rotte e le piume che si disperderono nell’aria ad ogni minimo movimento.
Io tengo in mano quell’oggetto luccicante, freddo, metallico, ma salvatore.
Courtney dorme al mio fianco, tra le mani il pezzo di legno insanguinato che aveva colpito più volte le nostre gambe, schiene, braccia, teste, seni, ma questa volta il sangue non è il nostro.
Sdraiato sul pavimento sporco giace il nostro detentore, il nostro assassino. Non è morto, solo svenuto. Courtney l’ha colpito con forza alla testa, ha avuto il coraggio di ribellarsi dopo due lunghi anni, ma la sua forza non è molta perciò potrebbe svegliarsi da un momento all’altro, l’assassino, e potrebbe farci di tutto, senza ucciderci, però, perché noi siamo i suoi giocattoli. Rantola qualche volta e la paura che si svegli aumenta ad ogni suo respiro.
“Courtney” le tocco un braccio e lei si sveglia di soprassalto “Dobbiamo muoverci” le dico.
Le mi guarda persa e io le indico con lo sguardo l’oggetto nero tra le mie mani.
Per un attimo il luccichio del metallo passa attraverso i suoi occhi onice.
“Quanti colpi ha?” mi chiede.
“Uno solo” rispondo.
“Riesci a schiacciare il grilletto?”
“Se mi concentro sì” le dico “Ma ha solo un colpo. Come facciamo? Noi siamo in due!” alzo per poco il volume della mia voce e quel mostro sdraiato a terra si gira supino.
Lo fissiamo spaventate mentre la poca acqua che abbiamo in corpo si fa strada sulle nostre fronti.
“Ti uccido io!” mi dichiara Courtney decisa.
“No! L’hai trovata tu la pistola! Ti uccido io!”
Morire è l’unica via per salvarci.
Lei ragiona facendo aumentare il sudore sulla sua fronte.
Gli passo una mano sulle goccioline luccicanti, faccio piano però, ho paura di strapparle quella misera pelle che le ricopre il cranio.
“Un colpo per due teste…” sussurra “Un colpo per due teste!” ora urla.
Il corpo a terra si alza di scatto, ci da di spalle.
Courtney veloce come un fulmine, ma tremante come una foglia, preme la sua testa contro la mia e mi fa impugnare la pistola posando il mio dito sul grilletto.
Capisco al volo cosa vuole fare.
L’uomo che ci da di spalle sembra un po’ disorientato e si gratta la schiena mentre si massaggia la botta della legnata.
“Pronta?” chiedo a Courtney in un sussurro per paura che quel pazzo si giri.
“Pronta!” esclama lei senza alzare troppo la voce.
Teniamo la pistola contro la mia testa mentre Courtney spinge il suo fragile cranio contro il mio.
Una pallottola basta per trapassare due teste, due crani, niente pelle né carne, solo ossa.
Non posso guardarla negli occhi, dato che si trova al mio fianco, ma so che l’antica luce che invadeva quello sguardo fiero si sta riaccendendo, per pochi secondi però, prima di spegnersi definitivamente.
“Ciao, ciao Geoff!” urliamo in coro, poi faccio pressione sul grilletto mentre l’osseo braccio di Courtney mi cinge le spalle e le nostre mani libere si incrociano, strette in un’unica presa che mi da la forza necessaria per spingere quel dannato grilletto e farla finita.
Sudo, ci sto mettendo troppo, Geoff sta cercando di capire se quelle due voci roche e doloranti erano frutto della sua immaginazione o se tutto è vero.
Ansimo, Courtney stringe sempre di più la mia mano, ho paura che le sue ossa si spezzino per tutta quella pressione.
Piango, fino a quando l’unico colpo in quella pistola non viene sparato, trapassando le nostre teste, prima la mia e poi quella della mia inseparabile compagna di vita.
Libere!
Faccio appena in tempo a vedere lo sguardo di Geoff che si volta per il gran botto mentre un qualcosa che mi buca la testa,  mi fa perdere la concezione del tempo.
Incrocio quegli occhi ormai grigi mentre sento il corpo di Courtney cadere pesantemente sul materasso, ma la sua mano è ancora stretta nella mia e lo rimarrà per sempre.
Lo osservo con i miei occhi ormai cechi, Geoff, il ragazzo che stava per diventare il mio fidanzato durante la prima stagione del reality, il compagno di squadra di Courtney per un’intera stagione, il presentatore del Dopo Show, l’ex-fidanzato di Bridgette.
Un ragazzo d’oro, migliore amico di DJ, sempre allegro, con una gran grinta, che non faceva altro che divertirsi a feste sulla spiaggia, un po’ stupido, anche… ma pur sempre normale… ora pazzo!
Pazzo di gelosia per l’abbandono del suo unico amore, Bridgette, una pazzia peggiorata da sostanze stupefacenti, fumo e alcool.
Uno stalker, un detentore, un assassino… un pazzo!
Incrocio il suo sguardo perso, non so se si rende conto di quello che sta accadendo intorno a lui…
Non so che cosa succederà poi…
Non so se Courtney ha avuto il tempo di vedere, seppur per un secondo, l’ultimo sguardo del suo assassino… come ho fatto io.
So solo, anzi, sappiamo solo di essere libere… e per libere si intende morte!
Niente corpo, niente anima, niente ricordi, niente!
Solo nero e vuoto, anzi, nemmeno quello!
Perché se sei morto, come fai a vedere il nero e a percepire il vuoto?
 
 
ANGOLO DELLA SADICA AUTRICE
Ciao ^^
Oddio! Io sono ancora sconvolta e ho appena finito di scrivere questa roba…
Credo di non aver mai scritto un qualcosa di così inquietante… A-I-U-T-O!
All’inizio doveva essere una storia piuttosto romantica, una Crack-Pairing tra Courtney e Geoff, ma poi… è uscito questo, con l’aggiunta speciale di Gwen che racconta la storia, una storia veramente orrenda!
Il pazzo doveva essere Duncan, all’inizio, ma poi mi sono detta che era troppo scontato, così ho messo Geoff… e credo che la scelta non sia così sbagliata, forse…
Credo che vi debba dare anche qualche informazione sulla trama. Dunque, questa storia è ambientata a circa un mese dalla fine della quinta stagione, tutti tornano a casa e un bel giorno Courtney si trova bigliettini, chiamate, SMS e messaggi in segreteria piuttosto inquietanti e provocanti. Lascia passare una settimana, ma vede che tutto questo va avanti e lo stalker dice che pure Gwen è in pericolo e la minaccia di non andare a denunciare tutto ciò al commissariato altrimenti sarebbero stati guai per entrambe le ragazze. Courtney trova l’indirizzo di Gwen e la avvisa… e da qui parte la storia :)
Spero vi sia piaciuta, almeno un pochino :3
Vi lascio una schifosissima immagine disegnata da me che rappresenta il momento in cui Courtney e Gwen decidono di farla finita, scusate se è colorata con i pastelli, ma non ho lo scanner quindi non posso trasferirla sul computer ;)
Bene, mi dileguo dopo aver scritto un papiro -.- altro che angolo dell’autrice!
Leggere un  vostro parere sulla storia mi farebbe mooolto piacere ^^
BACIONI
Xenja
 
Image and video hosting by TinyPic
 
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: Xenja